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Autore: SilverKiria    06/01/2016    5 recensioni
Albus Silente. Se qualcuno avesse chiesto chi Tom Riddle temeva, l'unico che temeva, chiunque avrebbe risposto lui. Albus Percival Wulfric Brian Silente.
Ma si sarebbero sbagliati, tutti.
Sì perché prima, molto prima di Silente, ci fu un'altra persona che infastidì Tom Riddle.
Che gli fece dubitare di sé stesso.
O del destino che si era prefissato.
Una persona che era stata talmente simile a lui, per certi versi, da fargli paura.
Un passato e un futuro in comune.
Il presente?
Una continua sfida.
Qualcuno l'avrebbe chiamato amore, ma Riddle avrebbe riso.
No, era molto più di quello.
Quello stupido e lodato amore.
Riddle rispettava Meredith.
Riddle detestava i suoi ideali.
Riddle stimava Meredith.
E temeva i suoi poteri.
Perché?
Perché quegli occhi verdi l'avevano colpito più di tutti gli incantesimi che aveva ricevuto nella sua vita.
E non nel modo che ci si aspetterebbe.
DAL PROLOGO:
«Sei mia.»
«Io non sono di nessuno, Tom. Una persona non può appartenerti.»
«Questo lo credi tu.»
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Abraxas Malfoy, Albus Silente, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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CAPITOLO 12 - SACRIFICIO


«Le prime vittime sono sempre gli innocenti.» (1)
 
[1 Novembre 1941]
 
 

Meredith iniziò a respirare a fatica, mentre l’adrenalina scorreva nel sangue, facendole impazzire il cuore.
L’urlo era durato pochi secondi ma in quegli attimi le parve di rivedere una scena fin troppo chiara nella sua mente.
I ricordi le riempirono la mente, mentre le gambe cedevano e il corpo si accasciava piano contro il muro.
Incapace di controllare le emozioni.
Incapace di combattere il terrore che la stava divorando.
 
 
«Andiamo Amy, non ti va di fare un gioco?»
I suoi occhi verdi avevano brillato divertiti, ma nel sorriso si poteva leggere solo una felicità malsana.
«Tom…Tom io non credo che dovremmo…»
La piccola Amy si mosse impercettibilmente verso il gruppo che ora se ne stava andando, ma lui le impedì di muoversi.
Le prese la mano e l’attirò a sé con un gesto protettivo e malvagio.
Il sorriso si allargò sul volto pallido di appena dieci anni, mentre il vento gelido frustava i capelli corvini e lisci sul viso apparentemente angelico.
Su quell’espressione così demoniaca.
«Mrs Cole non si accorgerà nemmeno della nostra assenza. Andiamo Amy, voglio mostrarti una cosa.»
Meredith ascoltava senza farsi vedere il discorso dei due, decisa ad intervenire.
Si girò verso il gruppo di ragazzi, per controllare che anche altre persone fossero pronte ad aiutarla, ma quando si voltò per affrontare Riddle rimase senza parole.
Erano spariti.
Voltò la testa più di una volta, cercando una loro traccia, ma invano.
Amy era scomparsa, e di Riddle svanito nel nulla.
Meredith stava per farsi prendere dal panico, quando avvertì qualcosa.
Era come una scossa elettrica all’altezza delle dita.
Una sensazione strana, una sicurezza insensata.
Si sentì improvvisamente certa di dove fossero, come se qualcosa dentro di lei avvertisse la presenza di Riddle.
Come per magia.
Si avviò in silenzio verso una stradina laterale del piccolo villaggio in riva al mare.
Mentre l’aria salmastra le riempiva le narici e la strada si faceva sempre più ripida, inerpicandosi sulle scogliere; Meredith rifletté come poche volte si era permessa di fare su quel legame.
Era un contatto indissolubile che la legava a Riddle: c’era una parte di lei che riusciva a percepire dove fosse, sempre e comunque.
Come se loro due avessero qualcosa di diverso dagli altri…qualcosa di speciale.
Lei che aveva sempre voluto tenere nascosto il suo potere, ora si trovava a doverlo usare per aiutare qualcuno.
Il cammino si fece scosceso e Meredith dovette tenersi alle rocce acuminate per non cadere in acqua.
Ogni passo che faceva la portava più vicina a Riddle, lo sentiva.
E mentre il suo stomaco faceva un avvitamento triplo alla vista dell’altezza guadagnata, Meredith raggiunse l’entrata di quella che sembrava una caverna.
Aveva fatto pochi passi quando lo sentì.
L’urlo di Amy rimbombò nella grotta, perforandole l’anima.
Iniziò a correre, fino ad arrivare ad una rientranza più grande.
Amy era lì, seduta contro un masso, in preda allo shock. Le mani erano insanguinate e ferite, come se si fosse tagliata ripetutamente il palmo. Così vicino alle vene, così vicino alla morte.
E lui?
Lui era a pochi passi da lei, un sorriso sadico e terrificante in volto.
Ai suoi piedi vi era un coniglio che doveva essere finito disgraziatamente nelle mani di Riddle…un coniglio tremendamente simile a Mr Bunny, l’animaletto diletto di Amy.
Ma non era possibile, no.
Mr Bunny aveva una pelliccia candida come la neve, mentre quello aveva…aveva il manto rosso come il sangue.
Meredith corse fino ad Amy e cercò di calmarla, invano.
Quando si voltò verso Riddle, notò che quegli occhi verde scuro erano pieni di irritazione per la sua presenza.
«Nessuno ti ha invitata, Smith.» disse gelido Tom, facendo sparire, letteralmente sparire, la vittima con uno schiocco delle dita bianche.
«Tom…che cosa le hai fatto?» domandò Meredith, incapace di credere ai suoi occhi.
E lui?
Tom Riddle si limitò a sorridere innocentemente, così bene che le vennero dei brividi lungo la spina dorsale.
Non seppe bene se per il sorriso tranquillo di lui, se per la calma con cui stava andando verso Amy per curarle le ferite alle mani, o se per le parole che pronunciò con leggerezza.
 
«Non capisco perché ve la prendiate tanto. Era solo un gioco.»
 
 
Meredith si alzò decisa, senza più pensare a nulla.
Quella volta era arrivata tardi, ma avrebbe rimediato.
Camminò sprezzante, dimostrando più coraggio di quanto ne avesse in realtà.
Quella volta non era riuscita ad essere d’aiuto, ma avrebbe fatto di meglio.
Aprì la porta del bagno delle ragazze, la bacchetta stretta nella mano fino a fare male.
Quella volta non riuscì a salvare nessuno, ma quel giorno sarebbe stato diverso.
Ma quando vide ciò che vi era riverso a terra, la mente semplicemente si spense del tutto.
Il respiro tornò regolare, i polmoni si liberarono e si aprirono fino al massimo possibile.
Prima di esalare un unico, doloroso urlo.
 
Conosceva quei capelli lisci come spaghi.
Conosceva quegli occhiali tondi, quel corpo mingherlino.
Conosceva quegli occhi azzurri che, ora, la fissavano vitrei e vuoti.
 
Il cadavere di Mirtilla era lì, a pochi passi da lei.
Sembrava dormire, ma Meredith sapeva non fosse possibile.
Stava per andare a chiedere aiuto quando sentì qualcosa muoversi non lontano da lei.
Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare la provenienza del suono.
Quando li riaprì, notò qualcosa che le era sfuggito prima.
Al posto di un lavandino c’era un enorme buco, dal quale, ne era certa, proveniva il rumore secco che aveva sentito.
Immaginò che l’assassino fosse lì e si chiese se non sarebbe stato meglio chiedere aiuto.
Ma si disse che no, che magari non ci sarebbe stata altra possibilità di essergli così vicini.
Si disse che il suo potere l’avrebbe aiutata, in caso di necessità.
Si disse che nessuno l’avrebbe potuta sconfiggere, fintanto che avesse potuto proteggersi con quel dono e maledizione che da sempre possedeva.
 
Si disse che sarebbe andato tutto bene, mentre saltò giù nel buco nero, verso l’ignoto.
 
 
***
 
 
Seth aveva insistito per accompagnare Meredith almeno fino alla fine della scala della Sala Comune.
Stava per ritornare su, quando sentì dei passi dietro di lui.
Passi maledettamente conosciuti.
Non si voltò nemmeno, mantenendo salda la presa sul corrimano della scala, ma incapace di muoversi.
Il respiro affannoso della persona dietro di lui lo colpiva al petto.
Doveva aver corso, cercando di non farsi scoprire.
Doveva aver corso, mentre tornava da lui.
«Hai qualcosa da dire, o te ne starai semplicemente lì a fissarmi?» sussurrò sardonico Seth, cercando con tutto se stesso di non desiderare che i suoi sospetti fossero corretti.
Sperando con tutto il cuore che non fosse lui.
E mentre attendeva un responso, iniziò a domandarsi perché le persone desiderino le cose peggiori per se stesse.
Perché ogni cellula del suo corpo era tesa come la corda di un violino, perché le sue orecchie cercavano la sua voce, il naso il suo profumo e gli occhi il suo viso.
Le sue labbra, così belle eppure così malefiche.
Le labbra che l’avevano insultato, offeso e fatto sentire peggio che mai poche ore prima.
Le labbra che si erano strette impotenti, incapaci di chiedergli scusa.
Incapaci di amarlo fino in fondo.
E, nonostante tutto, Seth riuscì a trovare la forza di fare un passo.
Un solo, misero passo verso la salvezza del Dormitorio.
E una sola, dolce mano gli fermò il cammino, costringendolo a voltarsi.
Il Corvonero osservò il volto dell’altro cercando di sembrare impassibile.
Gli occhi erano contornati da una stanchezza e sofferenza indicibile, gonfi per le lacrime.
Le labbra tremavano appena, cercando ora di formulare parole così difficili da pronunciare.
E gli occhi, quegli occhi di cui si era innamorato, lo fissavano decisi, ma velati di un sentimento che Seth non seppe riconoscere.
Si domandò come dovesse apparire lui agli occhi dell’altro.
Si domandò se anche le sue di labbra tremassero, nello sforzo di non lanciarsi verso quelle dell’altro, attratte da una forza primordiale e distruttrice.
Sì perché avrebbe distrutto tutto e tutti, pur di avvicinarsi ancora a quella pelle, sfiorarla e baciarla.
Avrebbe distrutto perfino se stesso, se ce ne fosse stato bisogno.
Ma l’orgoglio, la sua benedizione e condanna eterna, lo trattennero dal fare qualunque cosa.
I secondi passarono, lenti e dolorosi, ognuno peggio del precedente.
I respiri si facevano più pesanti, mentre entrambi affrontavano il peso delle loro colpe.
Quando Evan parlò, lo fece con un tono così indifeso che qualcosa dentro di Seth si ruppe per sempre.
Gli sembrò come se stesse per cadere a terra, vinto da qualcosa di più grande di lui.
Ebbe l’impulso di reggerlo con le sue braccia, di stringerlo a sé per impedirgli di piangere.
Ma dopo quello che Evan disse, tutto cambiò.
Dopo quello che disse, qualcuno avrebbe dovuto reggere Seth.
 
«Non ti permetto di dirmi che non ho combattuto. Non ti permetto di dirmi che non mi sono avvicinato, che hai fatto tutti i sacrifici tu. Non ti permetto di dirmi nulla di tutto ciò, perché io ho fatto molto, molto più di te.»
«Cos…?» Seth spalancò gli occhi in un muto stupore, incapace di aggiungere altro.
«E’ sempre stato così tremendamente facile per te, vero? Salvare il povero Evan, capirlo, amarlo. E per me è stato così insopportabilmente semplice ringraziarti, pensare che lo facessi per me, ammettere che il problema fosse amarti. Ma sbagliavo, ho sempre sbagliato.» mormorò Evan, avvicinandosi di un passo a Seth.
Il Corvonero si limitò a sorridere, in un modo talmente Serpeverde da far vacillare per un secondo lo sguardo temerario di Evan, ma non abbastanza per farlo crollare.
«Sbagliavi? In cosa? Nell’amarmi? Nell’avermelo detto? Nell’averlo ammesso a te stesso? In cosa sbagliavi, sentiamo?» sputò fuori Seth, incapace di dire ad alta voce quanto ogni sua parola l’avesse ferito dentro.
«No.» rispose Evan, facendo un altro passo avanti «Sbagliavo nel pretendere che tu capissi il vero problema. Vedi, non era amare te…era amare me. Amarmi come sono fatto, con le mie debolezze, così lontane da ciò che mi hanno sempre insegnato i miei genitori. Così imperfetto, così maledettamente felice solo quando ero con te, senza capirne il perché. Il problema era imparare a darmi pace, a non svalutarmi, a credere a qualcosa che potesse fare bene, per una volta. E tu questo non l’hai mai capito. Non fino in fondo. Quando ho protetto Nott, quando ho taciuto invece di parlare, quando me ne sono andato, ho fatto la cosa giusta, solo ora lo so. Sai perché?»
Seth rimase impassibile, gli occhi fissi in quelli dell’altro.
Evan si avvicinò ancora un po’, prendendogli la mano e facendolo scendere da quel gradino che li separava. Ora si guardavano negli occhi, ora si vedevano, forse per la prima volta.
«Perché proteggendo Nott ho protetto me stesso. Proteggendo Nott ho salvato la parte più bella di me, la prima che io sia mai riuscito ad amare prima che arrivassi tu: l’amicizia. E se non sono riuscito nemmeno a scusarmi, a giustificarmi come avresti voluto, come avresti capito; ti chiedo scusa ora. Ma se fossi stato sincero, avrei distrutto la base di me per convincere te. Non credo di doverti convincere, non credo che dovrei sentirne il bisogno. Nott è stato il primo che abbia mai avuto anche solo il permesso di avvicinarsi a me, e io continuerò a guardargli le spalle fino a che vivrò. Spero che tu lo possa capire. Non è vero che non mi fido di te…io non mi fido di me. Almeno, non del tutto.»
Seth lo guardò con calma, soppesando le colpe e i meriti che avevano, cercando di capirlo, di comprendere quanto sforzo avesse richiesto ad Evan rivelare così tanto di sé.
Anche e soprattutto a se stesso.
 
Gli scostò una ciocca selvaggia dal viso e gli sorrise, ma prima che avesse la possibilità di parlare, un’altra voce interruppe i loro pensieri.
 
«Persone fuori dal Dormitorio a quest’ora? Qualcuno vuole un via libera verso lo studio di Dippet?»
 
Mai come allora Seth fu tentato di rompere i denti a Max Jackson, mentre con un ghigno malefico obbligava Evan ad allontanarsi da lui. Il Serpeverde lo guardò un’istante, prima di fuggire nel buio dei corridoi di Hogwarts. Seth colpì la spalla di Jackson, facendolo quasi cadere dalle scale da dove era venuto, e strinse le mani attorno alla bacchetta, impedendosi di affatturarlo, mentre la risata di scherno dell’altro lo seguiva lungo la via per la Sala Comune Corvonero. Sapeva di aver interrotto qualcosa, e sapeva anche con chi,ma Seth continuò a ripetersi che non importava.
Si sarebbero parlati il giorno dopo, avrebbero risolto tutto.
Sarebbe tornato tutto normale.
Sì, tutto normale.
E allora perché un peso all’altezza dello stomaco gli impediva di respirare?
Seth ignorò il dolore, coricandosi, pensando solo ad Evan.
Ad Evan, come non avrebbe mai più pensato.
 
 
***
 
 
Meredith scivolò lungo quello che sembrava un passaggio antico di secoli.
E mentre avvertiva che il tragitto stava finendo, strinse a sé la bacchetta come mai aveva fatto prima, inspirando ed espirando nel vano tentativo di fermare il battito del suo cuore impazzito.
Atterrò in quella che sembrava l’anticamera di un salone, ma a discapito delle immense dimensioni dovette trattenere comunque un conato di vomito, quando annusò l’aria.
Era pregna di un odore misto di morte, decomposizione e sangue.
Solo una lieve luce proveniente da un tunnel situato di fronte a sé le impedì di inciampare sull’ammasso indistinto su cui poggiavano le sue gambe, ormai rette più dalla caparbietà e dall’esigenza che da un vero istinto di coraggio.
Sussurrò un lieve “Lumos”, e trattenne a fatica un altro grido, quando scoprì la vera natura di quell’ammasso che formava il terreno: erano ossa, cadaveri di piccoli animali e, ultimo ma più inquietante di tutto, una pelle.
Una pelle animale, la cui fine si perdeva lungo il tunnel.
La bacchetta di Meredith le infuse un moto di calore, mentre attorno a sé sentiva il gelo delle pareti in marmo attanagliarle la pelle come spilli acuminati.
Stava in effetti per valutare l’idea di tornare indietro e chiamare aiuto, quando una voce la convinse a proseguire.
La sua voce.
Tom stava parlando, ne era certa, ma ebbe difficoltà a capire cosa dicesse: era come una lingua strana, non umana.
Una lingua fatta di bisbigli e sussurri, il cui solo suono sembrava scivolarle fastidiosamente addosso, irritandola.
Le sembrava che l’avesse già sentita da qualche parte, ma non riuscì a collocarla nel suo passato.
I passi risuonarono sinistri nell’eco, ma nonostante il loro rumore Tom non smise di parlare, anzi iniziò ad alzare il volume, come se fosse arrabbiato con qualcuno.
La memoria la riportò al giorno prima, quando la rabbia e la bramosia di Riddle le erano costate care, ma proprio per questo aumentò il passo, ormai del tutto convinta che qualunque cosa succedesse, ora lei era pronta.
Ora avrebbe battuto Tom Riddle.
Eppure, quando raggiunse l’entrata dell’enorme sala, ebbe come l’impressione che ci fosse qualcosa di maledettamente sbagliato.
Osservò la schiena di Tom, voltato verso un’enorme statua di un uomo dalla lunga barba bianca raccolta in spirali, la cui bocca era orribilmente aperta.
Non capiva, Tom stava parlando con una statua?
Gli si avvicinò, la bacchetta pronta ad agire, e non si fermò fino a pochi metri da lui, quando il ragazzo si voltò.
L’espressione di sorpresa mutò dalla rabbia fino alla felicità nel vederla.
E quando parlò, lo fece nella loro lingua, ma mai come ora Riddle non somigliò ad un serpente.
«Meredith! Quale inaspettata sorpresa averti qui, stasera! Ammetto che, secondo i miei piani, tu non fossi propriamente accetta qui, ma ora forse capisco che tutto ciò non è altro che un nuovo spunto per la loro riuscita.»
Provò ad avvicinarsi a lei, ma Meredith gli puntò la bacchetta contro, lo sguardo carico di un odio quasi indicibile.
«Sta lontano da me, Riddle.»
Il sorriso malevolo di Tom si piegò di poco, ma non scomparve.
Anzi, parve divertito da quel moto di spavalderia e, in un modo che nemmeno lui ammise a se stesso fino in fondo, immensamente attratto da quella luce ribelle negli occhi verdi di Meredith.
Era bella come non lo era mai stata, con le labbra screpolate e aride, gli occhi fermi su di lui e le mani delicate fiere e aggressive, pronte ad attaccare.
Pronte ad ucciderlo, se fosse stato necessario.
«Oh, che maleducazione. No, vedi, tu non puoi parlarmi così. Non qui, Meredith.» disse lui, allargando le braccia in un gesto teatrale, come volesse abbracciare l’intera Camera con le sue mani.
«Qui?» domandò lei, guardandosi intorno ma mantenendosi pronta a difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.
Riddle annuì, fiero.
«Sì, qui. Sai dove siamo? Questa, Meredith, è l’antica e leggendaria Camera dei Segreti.» esclamò Tom, bloccandosi solo un secondo per godersi la sorpresa che proruppe nello sguardo di lei.
«Esatto, proprio quella. Vedi, sapevo da, beh, da sempre, di non essere un disgustoso nato babbano. Sapevo che ci fosse qualcosa di speciale, in me.» spiegò lui, accarezzando la bacchetta che gli rispose creando scintille nere e verdi dal suo apice.
Meredith si fece più attenta, ma Riddle era troppo assorto in ricordi e congetture mai esalate ad alta voce, per pensare di attaccarla.
Voleva un pubblico.
Voleva che lei fosse il suo pubblico, nel momento della sua vittoria più grande.
«E avevo ragione. Anzi, le scoperte che feci mi convinsero non solo della mia straordinarietà, ma anche della mia autorità. Non ti sei mai chiesta perché i serpenti attaccassero sempre e solo chi mi dava fastidio? Perché Silente avesse così tante remore a farmi entrare ad Hogwarts? O perché mia madre avesse dato il nome di un presunto mago al suo povero figlio, prima di morire, ma nonostante ciò nessuno venne mai a cercarmi?»
Gli occhi di Riddle brillarono di una luce malsana, e il gelo che prima rimaneva sopra la pelle ora le invase le ossa.
«Non ti sei mai chiesta perché noi due ci attraiamo e respingiamo con la stessa intensità? Perché i nostri poteri si equivalgano, come nessun altro potere ha mai fatto nella nostra vita?» le domandò avvicinandosi, incurante della bacchetta di lei che sprizzava scintille rosse ad ogni suo passo.
«Noi? Di che diavolo stai parlando Riddle?» domandò lei, allontanandosi da lui.
«Ammettilo, Meredith. Anche tu hai sempre saputo che fossimo collegati, in qualche modo. Sai, la leggenda narra che solo il vero erede di Salazar Serpeverde sarebbe stato in grado di aprire la Camera dei Segreti! E io ci sono riuscito, anche se qualcuno me l’ha impedito…tu, me l’hai impedito.»
Tom iniziò allora a raccontarle la verità sulle loro origini, su Merope e Tom Riddle Senior, che sarebbe andato a trovare presto. E poi godette nel vederla sorprendersi, mentre le narrava la storia dei Mills, il sigillo sulla Camera e l’origine del suo potere.
«Non lo capisci Meredith? Noi due siamo gli unici discendenti di due delle più grandi Casate di Maghi mai esistite! Noi siamo i soli detentori di poteri ormai persi nei secoli, e insieme potremmo conquistare tutti. Insieme, potremmo mettere il mondo in ginocchio, di fronte a quelli che credeva solo due poveri orfani!» esclamò sorridendo, gli occhi verde scuro pieni di una follia e smania di gloria che mai si era vista prima.
«No, no Tom! Noi…io non voglio fare nulla di tutto ciò!» urlò lei, cercando di controllare le emozioni che la stavano vincendo.
Lo sentiva: il suo potere si stava preparando ad esplodere, istigato da rivelazioni che le entrarono sottopelle come veleno puro, e dallo sguardo di lui, pronto a servirle quello che aveva segretamente desiderato da sempre: una rivincita.
E Tom Riddle intuì il corso dei suoi pensieri, avvicinandosi fino a toccarle la spalla e fissarla negli occhi.
«Non vorresti farla pagare a Mrs Cole? A tutti quelli che ti hanno derisa, sporchi babbani incapaci di fare nulla se non invidiare? Non sei esausta di nasconderti, solo perché loro non capiscono la nostra grandezza? Solo perché non comprendono la nostra forza?»
I loro sguardi si incrociarono e in un secondo quello che fu davvero Lord Voldemort per la prima volta si insidiò nella sua mente, proiettando immagini che ebbero un eco profondo, fino alle parti più recondite della sua anima.
 
Loro due al potere. Loro due insieme, inarrestabili. Nessuno li avrebbe chiamati mostri, nessuno avrebbe più osato mancarle del rispetto che doveva avere.
Basta impegnarsi a nascondersi, basta bugie. Avrebbe lasciato che il suo potere fluisse e distruggesse, avrebbe smesso di porre un doloroso freno a qualcosa che per lei era naturale. Avrebbe combattuto chiunque l’avesse intralciata.
Sarebbero stati invincibili.
 
Lei sarebbe stata invincibile.
 
Vide quel bacio carico di malsana possessione che se prima l’agitava ora sembrava attrarla. Il desiderio di averlo a fianco, la convinzione che fossero stati creati per unirsi, per regnare.
Che fossero stati destinati a quello, solo a quello.
Li vide fare l’amore e farsi la guerra, consci di essere nient’altro che pedine l’uno dell’altro. Attratti da una forza animale e senza sentimento, e andava bene così.
Morsi, non baci, graffi, non carezze.
Un amore distorto, affamato, distruttore.
Un amore che amore non era, ma che per la prima volta Meredith desiderò con l’ardore che le mostrava Riddle.
 
Ad un tratto però qualcosa si oppose, sorprendendo sia Riddle che Meredith. E le parti si invertirono ancora una volta, mentre altre immagini riempirono questa volta la mente di Tom, lasciandolo senza fiato.
 
La prima volta che Phoebe aveva detto di essere la sua migliore amica. Il primo abbraccio di Seth, e il suo odore, quando capì che quello doveva essere l’odore di casa. I loro sorrisi, i loro scherzi. Le notti passate a casa Lovegood, il profumo di un arrosto caldo in tavola mentre aiutava la signora Lovegood a preparare la tavola. I regali di Natale sotto l’albero, gli auguri di buon compleanno. La sensazione di gioia nel rivedere Hogwarts all’inizio di ogni anno, e la dolce malinconia nell’andare a letto da sola, per poi ritrovarsi nel bel mezzo di una battaglia di cuscini a casa Lovegood.
E poi lui, lui ovunque.
Le mani fredde di Tom che nella sua mente potevano diventare calde, il sorriso distaccato e calcolatore che in una fantasia lontana diventava disteso.
Un abbraccio vero, fino a consumare i corpi.
Un bacio appassionato, fino a non riconoscere più se stessi dall’altro.
Meredith rivide tutto ciò che era capitato tra loro, distorcendolo nell’ottica di qualcosa che Riddle non riuscì a sopportare: la speranza.
La speranza di amarlo, la speranza che ciò non fosse sbagliato.
La speranza che l’amasse, la speranza che lui potesse cambiare.
 
Che lui potesse cambiare, per lei.
 
Il contatto si ruppe tanto bruscamente quanto era iniziato, lasciandoli entrambi ansimanti e sconvolti.
Una smorfia di puro odio distorse i tratti di Riddle, profondamente disgustato da ciò che lei l’aveva obbligato a vedere.
E Meredith levò lo sguardo, più fiero che mai, distruggendo una parte di Tom. Rendendolo più umano di quanto si fosse mai permesso, facendogli assaporare una sensazione a lui così sconosciuta e bruciante: il rifiuto.
Per la prima volta Riddle capì quanto profondamente desiderasse Meredith, quando ardentemente la volesse con sé.
Quanto la rispettasse, quanto la temesse.
Quanto avrebbe desiderato baciarla fino a consumarla, fino a piegarla al suo volere.
E quanto, a prescindere dalla sua volontà, sarebbe rimasto sconfitto.
Perché in Meredith c’era qualcosa che lui non avrebbe mai vinto, qualcosa che non avrebbe potuto domare.
 
Una fiamma ribelle, che avrebbe dovuto essere spenta per sempre.
 
 «Questo, Meredith Smith, è stato l’errore peggiore della tua miserabile vita…e anche l’ultimo.»
In un attimo Riddle si voltò e con pochi, secchi schiocchi di lingua richiamò qualcosa che fino ad allora si era annidato nell’ombra, aspettando solo che il suo padrone gli desse un segno.
 
Quando lei comprese ciò che di lì a poco le sarebbe stato di fronte, non ebbe paura.
Sarebbe morta con coraggio, sarebbe morta difendo i suoi ideali.
Sarebbe morta con onore, certa che senza di lei al suo fianco qualcuno prima o poi avrebbe capito le debolezze di Tom Riddle e l’avrebbe ucciso.
 
Sarebbe morta, se non fosse per una cosa che Tom Riddle non calcolò, e che segnò la sua vita per sempre.
 
Quando lo sguardo di Meredith incrociò quello del Basilisco, il suo potere esplose, e in un secondo Meredith fu dentro la mente dell’animale.
Incapace però di provare sentimenti umani, si trovò imprigionata in un susseguirsi di fame, vendetta, odio e rabbia.
Il Re dei Serpenti soffiò irato, ma invano.
La Corvonero si destreggiò tra sibili a lei incomprensibili, e direzionò tutto il suo potere in un'unica direzione.
Ogni secondo impiegato a convincere il Basilisco era una parte della sua anima che andava irrimediabilmente in pezzi, lo sentiva, ma sapeva anche che se non l’avesse fermato Tom avrebbe vinto e altre vittime innocenti sarebbero cadute di fronte a quegli occhi gialli.
Il tempo si dilatò all’infinito, e quando Meredith cadde a terra, vinta, sembrò essere passata un’eternità.
Non servirono a nulla i richiami fatti al Basilisco, Tom sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiato.
 Che aveva dato ascolto a qualcun altro.
E Riddle osservò inerme il Re dei Serpenti strisciare nella sua tana, per poi puntare lo sguardo sul corpo di Meredith.
Le si avvicinò fino a toccarle il viso freddo come la morte, ma con sua sorpresa scoprì che il cuore di lei batteva ancora, seppur debolmente.
Quando vide i suoi occhi aprirsi però, Riddle seppe che qualsiasi cosa fosse successa a Meredith, era molto peggio della morte.
 
E non lo disse mai a nessuno quanto gli pesò quella lacrima che si dissolse sul freddo pavimento di marmo, mentre pensando alla sua prossima mossa la prendeva in braccio, diretto all’uscita della Camera dei Segreti.
 
E non lo disse mai a nessuno quanto il profumo dei capelli di lei lo tormentò ogni notte, fino a quando, molti anni dopo, il suo stesso incantesimo avrebbe posto fine alla vita di Tom Orvoloson Riddle.
 
 
***
 
 
Silente si smaterializzò entro i confini di Hogwarts, mentre la sua mente brillante rileggeva dentro di sé il messaggio ricevuto dal Preside Dippet.
Gli bastarono pochi minuti per raggiungere lo studio dell’uomo, e non appena incrociò lo sguardo freddo di Tom Riddle seppe con ineluttabile certezza che la vittima di cui si parlava era Meredith.
Forse per la prima volta da quando si conoscevano, Silente riuscì a far abbassare lo sguardo a Riddle, sotto il suo di muta accusa.
Quando la vide, distesa sulla cattedra, sentì gli occhi inumidirsi e una volta avvicinatosi non poté trattenere un sospiro doloroso.
Era viva, se così si poteva definire, ma gli occhi prima verdi erano stati prosciugati di ogni traccia di colore, e le iridi quasi trasparenti continuavano a saettare da una parte all’altra degli occhi, mentre le labbra si muovevano impercepibilmente nel tentativo vano di pronunciare parole ormai impossibili da sentire.
«Chi è l’altra vittima, Armando?» sussurrò Silente, mentre con un gesto chiudeva gli occhi di Meredith, incapace di sopportare ancora lo sguardo perso della ragazza.
«Mirtilla Warren, deceduta. Cosa credi che dovremmo fare Albus?» domandò il preside, sedendosi e sospirando, vinto da preoccupazioni che non pensava avrebbe mai dovuto fronteggiare.
Silente si voltò, pensieroso.
Poi puntò i brillanti occhi azzurri in quelli scintillanti di Riddle, e parlò così piano che l’altro non potesse sentirli.
«Perché sei qui, Tom? Cosa sai dell’accaduto?»
Lo avvertì fremere e per un istante gli occhi carichi di sicurezza vacillarono, puntandosi sul corpo di Meredith, per poi tornare arroganti, incrociando lo sguardo dell’uomo.
«Ho sentito delle urla, e in quanto Prefetto sono subito corso a vedere. Ho trovato prima il cadavere di Mirtilla, disteso in una pozza d’acqua nel bagno delle ragazze, e poco più in là Meredith. E’ successo tutto molto in fretta, l’ho vista puntare lo sguardo su qualcosa di grande e non umano, ma quando stavo per aiutarla è successo qualcosa. Un lampo di luce mi ha accecato, e quando mi sono ripreso Meredith era riversa a terra, del mostro nessuna traccia. Non ho visto che cosa sia stato, ma, se posso permettermi» continuò mellifluo, mimando un’incertezza che però non possedeva «ho un sospetto su chi ci sia dietro.»
Silente annuì, dandogli il permesso di procedere.
«Vede, ho il sospetto che Rubeus Hagrid stia allevando qualcosa nelle Mura del Castello…qualcosa di proibito
Dippet incrociò lo sguardo di Silente alle ultime parole di Tom e corse subito fuori, probabilmente in cerca delle prove.
Prove che, Albus lo capì subito, avrebbe trovato.
Ebbe l’impulso di chiedergli qualcosa, di interrogarlo fino a fargli sputare fuori la verità, ma la forza gli venne meno.
Se ne stava per andare, già pensando su come agire ora, quando venne bloccato sulla porta dalla voce di Tom.
«Professore, ora…cosa accadrà a Meredith? Non chiuderanno la scuola, vero? Non saprei dove altro andare.»
 
Silente non sentì mai più Riddle chiedere di qualcuno che non fosse lui, ma ormai non ci diede più attenzione.
Già con la mano sul pomello della porta, non si voltò nemmeno quando pronunciò la sua risposta:
 
«Non ti preoccupare Tom, risolverò tutto. Meredith sarà al sicuro, ed Hogwarts non chiuderà. Hai la mia parola.»
 
Non capì mai se se lo fosse immaginato, ma pensò che Tom Riddle avesse tirato un sospiro di sollievo.
 
Una volta arrivato nel suo ufficio, con le lacrime agli occhi, mosse la bacchetta veloce e raccolse tutti i suoi ricordi riguardo a quella sera. Una volta rivisto il corpo e lo sguardo vuoto di Meredith nei suoi ricordi, non riuscì a trattenere i singulti, e per la prima volta da molti anni si sentì colpevole come i peggiori criminali.
Eppure sapeva che, per quanto abominevole, avrebbe fatto di tutto pur di salvaguardare quel poco che rimaneva di Meredith Smith. Aveva già provveduto ad obliviare il preside Dippet e subito dopo finto ciò che doveva fare, si sarebbe premurato di mettere Meredith al sicuro. Qualcosa dentro di sé gli disse che Tom Riddle prima o poi l’avrebbe trovata, ma sapeva che fino a quel momento Meredith doveva rimanere viva, e lui avrebbe fatto tutto ciò in suo potere per provare a salvarla, per quanto possibile.
Così, nel mezzo della notte e piangendo silenziosamente, Silente diede vita ad una pozione talmente crudele quanto necessaria.
Una volta che il fumo del calderone fu spento, ore più avanti, prese la mano fredda di Meredith che ora librava accanto a lui, e si smaterializzò, verso l’ignoto.
 
 
***
 

La mattina seguente Hogwarts fu svegliata da una notizia che, pian piano, serpeggiò lungo tutti i Dormitori e accolse i visi frastornati degli studenti una volta giunti alla Sala Grande.
Rubeus Hagrid aveva accudito un’acromantula di nascosto e questa, sfuggitogli, aveva assalito Mirtilla Warren.
Qualcuno si mise a piangere, altri si voltarono ogni due secondi, con l’orribile sensazione di essere sul punto di essere attaccati.
Nonostante le parole di rassicurazione del Preside, la notizia che l’acromantula fosse ancora libera, là da qualche parte nella Foresta Proibita, non aumentò di certo il buonumore.
Quella mattina Phoebe e Seth si svegliarono e incapaci però di trovare Meredith, pensarono si fosse svegliata prima di tutti e furono sicuri di trovarla in Sala Grande.
Quando arrivarono all’enorme porta, si trovarono a pochi passi dalle fila di Serpeverdi che, ancora emozionati dall’avvenuto omicidio, sussurravano fin troppo esaltati tra di loro.
Bastarono pochi secondi per individuare Nott ed Evan, e un solo sguardo per capire che avrebbero dovuto parlare.
Si stavano dirigendo verso gli altri due, in effetti, quando la voce magicamente amplificata di Silente interruppe i loro pensieri.
«Alla luce della terribile perdita di ieri sera, prego tutti gli studenti di sedersi subito, e ascoltare le umili parole che mi sento di dirvi.»
Phoebe si staccò di malavoglia allo sguardo e al sorriso ora appena accennato di Nott, e Seth sfiorò la mano di Evan, mentre si separavano diretti verso i tavoli delle proprie Case.
Lo sguardo allarmato di Phoebe, una volta assicuratasi che Meredith non era seduta al solito posto, raggiunse Seth e gli fece battere forte il cuore, mentre insieme alla gemella prendeva posto, ascoltando con la mente assente le parole del professore di Trasfigurazione.
 
«Sebbene questo immenso dolore sommerga ogni cosa e renda ormai inutili le parole, voglio provare a ricordarvi una cosa. Per quanto distante possa sembrare, per quanto offuscato possa diventare, il ricordo delle persone che amiamo ci rende forti. L’amore vince la distanza, perfino la morte, nel momento del bisogno. Quando sarete pronti ad accettarlo, l’amore vi cambierà anche nel baratro più oscuro.»
 
Non servì che lo guardasse affinché Riddle rabbrividisse, cosciente che in qualche modo Silente intuiva la verità.
 
«E quindi apriamoci all’affetto, alle amicizie, all’amore, che sole potranno vincere la paura di questi giorni bui. Brindate insieme a me a Mirtilla, affinché la sua perdita non sia dimenticata.»
 
Nello stesso momento ogni mano nella stanza si allungò e, sotto i vigili occhi azzurri di Silente, ogni persona bevve dal calice che magicamente le si era materializzato di fronte.
 
In particolare osservò come gli occhi di Tom Riddle si ridussero fino a diventare uguali a quelle di un serpente, per poi dilatarsi e ritornare normali, come se non fosse nulla.
E fu con un dolore immenso e un sorriso sul volto che notò lo sguardo preoccupato di Seth Lovegood evaporare e Phoebe Lovegood sedersi meglio, occupando lo stesso spazio vuoto che fino a poco fa l’aveva sconvolta.
Sapeva che finché qualcuno si fosse ricordato di Meredith, il suo potere e il suo segreto non sarebbero stati al sicuro. Se lo ripeté mille volte e altre mille ancora, quando vedendo uscire Seth, Phoebe, Nott ed Evan osservò come la battuta sarcastica dei Serpeverde morì loro sulle labbra, mentre si perdevano negli occhi azzurri dei gemelli. Phoebe che si toccò le labbra, quasi come se vi fosse un sapore sconosciuto sopra, e Seth osservare Evan, cercando di pronunciare parole che però non avevano ormai senso.
Cercò di rimanere lucido anche quando li vide separarsi per poi voltarsi un secondo, quasi si fossero dimenticati qualcosa.
 
Con la sensazione di essersi dimenticati tutto.
 
Quel giorno, grazie o per colpa di Albus Silente, Meredith e con lei tutti gli avvenimenti a lei legati scomparvero dalle menti di chi bevve la pozione mascherata da succo di zucca.
Quel giorno, e per molti giorni ancora, di Meredith Smith non rimase traccia, né nelle menti prontamente obliviate del Wool’s, né nei ricordi offuscati dei suoi migliori amici.
 
Continuò a ripetersi di aver fatto la cosa giusta, e solo per un secondo pensò di averla fatta davvero.
Finché non notò lo sguardo più sicuro che mai di Riddle.
 
L’unica che aveva mai temuto era ormai persa per sempre, e Tom Riddle era pronto a sorgere, più luminoso di qualsiasi altra stella.
Perfino più luminoso del sorriso di Meredith, ormai custodito solo nei ricordi vischiosi celati nel suo Pensatoio.
 
Almeno, fino a molti, molti anni dopo.


 
*

Note:

(1) Citazione di Harry Potter e la Pietra Filosofale

 

*Angolo Autrice*

Eccoci qui, questo era l'ultimo capitolo. Non perderò tempo chiedendovi scusa per l'assenza, che so essere imperdonabile, ma spero che questo capitolo parli da solo, esprimendovi le mie scuse e la mia voglia di finire questa storia. Dopo questo, manca ufficialmente solo l'epilogo, che prometto non aspetterò un anno a scrivere *stringe il Voto Infrangibile*.
Beh, che ne pensate?
Non ho molto da aggiungere, è tutto qui. Silente ha deciso di proteggere il segreto di Meredith, obliviando attraverso una pozione ogni ricordo di ogni studente di Hogwarts che la riguardasse. Con ciò ha ovviamente eliminato anche tutti gli avvenimenti tra Nott e Phoebe e Seth ed Evan dalle loro memorie, poiché dopotutto senza Meredith nulla sarebbe accaduto. So che mi starete maledicendo in turco e aramaico, ma spero non sarete così arrabbiati da non leggere a tempo debito l'epilogo, che credo sorprenderà tutti voi. Lo scontro tra Meredith e Tom è stato davvero estenuante da scrivere, ma spero sia venuto anche solo la metà della bellezza di come me lo immaginavo io. Ovviamente lo scontro con la mente del Basilisco è stato distruttivo, come penso si possa comprendere, no? Che dire? Vi auguro buon ritorno a scuola, lavoro, o qualsiasi cosa facciate e buon 2016, dandovi appuntamento all'epilogo e sperando sarete così gentili da recensire <3 Un bacio enorme!
 
 
  
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