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Autore: Joy2000    07/01/2016    1 recensioni
A volte il destino è proprio strano...decide di far incontrare una ragazzina di strada con un rapper che viene dalla strada. E se nascesse qualcosa tra questi due? Magari un'amicizia che va oltre le apparenze e i pregiudizi? Non vi resta che dare uno sguardo: non ve ne pentirete!
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Corsi di fretta verso il pub, facendo solo cinque minuti di ritardo. Salutai Louis e Jake, al quale diedi la busta con i soldi. Mi scusai per il ritardo, ma Jake non ci fece molto caso. Aveva lo sguardo soddisfatto, e desideroso di non so cosa.
«Perchè non sei arrabbiato?» domandai stranita
«Perchè oggi non ne ho il motivo. Sto per concludere uno degli affari più importanti della mia vita» mi raccontò arzillo e pimpante, dandomi la mia parte di soldi e offrendomi da fumare. Rifiutai, non ne avevo bisogno. Non ne avevo voglia...
«E quale sarebbe questo affare?» chiesi curiosa, riponendo i soldi in tasca
«Drake ha avuto la chiamata di un rapper famoso che gli ha chiesto un mix di medicine, in cambio di una cospiqua somma di denaro. Il mio socio ha accettato e io ho preparato il mix che Drake è andato a consegnare mezz'ora fa...adesso che ci penso dovrebbe già essere di ritorno...» Non mi risultava che Drake avesse ricevuto una chiamata...ma poi quale rapper? Cercai di ragionare e di collegare i fatti. Merda! Ecco cosa mi stava nascondendo Drake. E forse...quel rapper....era...Marshall!
Mentre giunsi alla fatale conclusione, Drake ci raggiunse con una busta piena di soldi in mano.
«Concluso l'affare?» chiese Jake entusiasta. Il mio ragazzo annuì, sconsolato e amareggiato. Si avvicinò a me e mi guardò negli occhi, come se avesse già intuito che io sapevo la verità.
«Era Marshall?» chiesi con la voce tremante e con la speranza che la risposta fosse negativa. Drake annuì di nuovo, mortificato, e mi ripetè più volte scusa, per avermi nascosto una bugia così grande.
«Perdonarti?! Come faccio a perdonarti!? Sapevi della sua dipendenza e cosa hai fatto?! Gli hai consegnato della droga, solo per soldi e non dicendomi per giunta niente!!? Ti giuro che se Marshall sta male...» in quel momento cominciai a piangere. Ero arrabbiata, preoccupata che il rapper avesse commesso qualche cazzata. E io me lo sentivo che aveva combinato qualcosa. Non riuscii a finire neanche la minaccia, che corsi verso casa di Marshall. Corsi veloce, fregandomene della stanchezza, del fiatone, e del freddo. Dovevo correre da lui.
MEZZ'ORA PRIMA
EMINEM POV-- Non vedevo l'ora che Drake arrivasse con la roba. Avevo una fottutissima rabbia addosso che provai solo quando Kim mi tradì. Proof, il mio migliore amico, il mio fratello minore era morto. Era andato. Caput. Fine. Non l'avrei più rivisto per l'eternità. E questa cosa mi faceva rabbia: perchè aveva deciso di lasciarmi? Perchè era stato coinvolto in quella sparatoria del cazzo?! E perchè non aveva lottato? Era un ragazzo forte, che non si arrendeva di fronte a nulla, che non aveva paura di nessuno. Eravamo amici da almeno vent'anni, da quando eravamo adolescenti. Lo avevo conosciuto in un locale, mentre conduceva una rap battle. Da subito avevo capito che avesse un carattere forte, di natura pacifica, ma che se fatto arrabbiare avrebbe mostrato i denti come un leone. Fu la prima persona che credette in me, non appena ci conoscemmo. Disse che ci sapevo fare con le rime e che avrei avuto successo. Fu anche quello che mi accettò nella band D12, e che litigò con i suoi amici pur di farmi entrare. Ricordo ancora che Tizio Caio e Sempronio non volevano un bianco nel loro gruppo. Mi giudicarono un "Frocio color latte che tantava di fare rap". Ma Proof invece, sapeva che con le mie rime saremmo potuti andare lontano. E minacciò la band di andarsene se non fossi entrato a farne parte. Solo allora feci parte dei D12. In preda ai ricordi che mi facevano il cuore a pezzi e mi incutevano rabbia e depressione, richiamai Drake, mettendogli fretta. A mezzanotte e due finalmente il ragazzo arrivò, porto un sacchetto, gli diedi i soldi e ci lasciammo. Salii immediatamente in macchina e iniziai a farmi. La polverina colorata di mille colori, tante quante erano le pillole che prendevo scendava giù per la gola che era una bellezza. E finalmente la sentii arrivare al cervello, e calmarmi un po'. Me la finii tutta, sententomi più tranquillo, meno agitato, insomma un tipo tutto scialla. Arrivai a casa in un secondo, poichè decisi di provare qualche brivido in più, accelerando. Ma mi accorsi che non riuscivo a tenere il manubrio fermo e che la macchina ogni tanto sbandava. Ma chi se ne frega, l'importante era che arrivai a casa sano e salvo no?! Scesi dal'auto e barcollando verso la porta, iniziai a sentirmi un malore interno, all'altezza dell'addome. E poi iniziai ad avere l'affanno e a sentire i battiti più accelerati, fino a che vidi intorno a me tutto appannato e poi il buio più totale, il nulla.---
Sebbene la casa sembrasse irraggiungibile, riuscii finalmente ad arrivare. La porta era socchiusa e ciò mi spaventò. Aprii piano pregando in tutte le lingue che Marshall stesse bene. Ma appena spalancata la porta vidi il suo corpo a terra, a faccia in giù, con una busta da più di cinquanta grammi vuota. Mi inginocchiai da lui, girandolo e cercando di rianimarlo con qualche schiafetto, ma sembrava non volersi svegliare. Controllai il respiro. Era flebile, un soffio appena accennato. E lui non si muoveva, rimaneva a terra con un colore pallidissimo in volto, con le labbra disidratate e con il cuore che pulsava irregolabilmente sempre in maniera più debole. Chiamai subito l'ambulanza, dicendo di muoversi, di fare in fretta. Ma l'ambulanza non arrivava e io ero in preda al panico e continuavo a piangere e ad accarezzare il volto di Marshall nella speranza che con un mio tocco si riprendesse e iniziasse a consolarmi, a rassicurarmi come lui sapeva fare. Ma non fu così. E quando l'abulanza arrivò mise il corpo del rapper su una barella, portandolo dentro il veicolo. Entrai anche io, spaventata e traumatizzata. Sull'ambulanza gli attaccarono una mascherina collegata ad una specie di pompa. I paramedici mi diedero il compito di pompare ossigeno, mentre loro frattanto strappavano la sua felpa per attaccare al suo cuore una macchina che gli misurava il battico cardiaco. Era lentissimo. Il rumore che di solito era normalmente veloce, veniva ripetuto ogni quattro o cinque secondi. I medici erano preoccupati e io ero disperata. Avevo paura di perderlo! Finalmente arrivammo in ospedale. Marhall fu trasportato su una barella in una sala a cui a me era vietato l'accesso. Suppongo fosse la sala operatoria, ma non ne ero certissima, non ero esperta di quelle cose...
I medici mi dissero di aspettare nella sala di attesa, gremita di persone che, avendo visto il rapper sulla barella, si erano accalcate intorno a me per capire la situazione. Non facevano che parlare, farmi domande. E io ero confusa, spaventata e volevo solo sapere che Marshall stesse bene! Uscii dalla folla, senza rispondere a nessuno e corsi verso l'ascensore. Lo bloccai e rimasi lì per un po' nel silenzio. Mi accasciai a terra, rannicchiandomi su me stessa e sfogandomi, piangendo come mai avevo fatto in vita mia, neanche alla morte di mia madre! Non mi sembrava vero di ritrovarmi in quella situazione,
Mi ci vollero più e più minuti per ricompormi. Non dico di aver smesso di piangere: mi era impossibile, ma almeno mi ero un po' calmata. Tornai nella sala d'attesa, le persone quando mi videro mi circondarono ponendomi le stesse domande di prima.
«Sentite, Eminem sta poco bene, se volete davvero essergli vicino, sperate per lui, chi è credente preghi, chi non lo è ascolti le sue canzoni, e chi non è suo fan da persona umana speri che non muoia!» dissi semplicemente, parlando una sola volta in modo chiaro. Gli altri si ammutolirono e tornarono ai loro posti. Io invece andai a sedermi in un luogo solitario, appartato, il più vicino possibile alla sala operazioni.
Il tempo non passava mai. Nella mia testa si affolavano vari pensieri, alcuni anche davvero macabri: e se non ce l'avesse fatta? Non riuscivo neanche a pensarci. Ero incapace di immaginare la mia vita senza il mio idolo, colui che mi era stato accanto in ogni singolo momento difficile della mia esistenza. Avevo finanche realizzato il sogno di conoscerlo, scoprendo quale meravigliosa persona lui fosse. E non potevo minimamente progettare la mia esistenza senza di lui. Tutte le cose negative che avevo detto su di lui quando ero arrabbiata non le pensavo in realtà. E giurai a me stessa che se si fosse svegliato, avrei dimenticato quello stupidissimo litigio.
 
Erano le cinque di mattina. Io non avevo chiuso occhio, e non mi ero mossa neanche di un millimetro dalla sedia su cui ero seduta dalla sera precedente. L'ospedale si era svuotato, ed era illuminato dalle prime luci dell'alba. Ero distrutta. Non dormivo da ore, e non facevo che piangere, lacrimare. Avevo il viso ormai tutto rovinato! Ma non riuscivo a farne a meno, in quel momento non riuscivo ad essere forte: la mia forza e il mio coraggio provenivano da Eminem e se la mia fonte stava male, io ero debole. Provai a chiudere gli occhi e a poggiarmi con la testa sul muro. Improvvisamente sentii una voce femminile...aprii piano piano gli occhi e vidi davanti a me una ragazza, giovane dall'aria simpatica, con capelli scuri raccolti in una coda, e con gli occhi chiari.
«Ciao, mi chiamo Tamara, ho visto che sei arrivata qui con l'ambulanza di Eminem. Come ti chiami? Sei qui da ieri sera, perchè non vai a casa a riposarti?» mi parlò dolcemente e con calma, in modo che io capissi. Ci misi un po' a rispondere, sia per cercare di formulare una frase sensata, sia perchè il mio cervello non riusciva a ragionare, aveva sonno, ma non voleva dormire...sì, il mio cervello era stupido...
«Sono Ashley. Non sono stanca. Hai saputo qualcosa di Eminem?» le chiesi diretta, andando subito al sodo. Mi guardò con una certa pena, misto ad un certo bagliore, identico a quello che io avevo per Marshall. Era ammirazione.
«Ti fa onore stare qui, a fianco al tuo idolo. Ma sei una ragazzina, e perdipiù hai bisogno di dormire.»
«Sto bene. Avete notizie di Marshall?» domandai imperterrita, stanca di non essere capita. La ragazza sospirò.
«I medici stanno facendo il possibile. Non si sa ancora niente.» finalmente rispose in modo esauriente alla mia domanda. Ma ciò non mi confortò affatto. Marshall stava in bilico tra la vita e la morte. E doveva lottare.
 
Alle cinque e ventotto precise, finalmente un medico uscì dalla sala operatoria. Mi precipitai da lui.
«Posso sapere come sta?» chiesi con gli occhi che lo scongiuravano
«Tu sei la ragazzina che ha chiamato l'ambulanza giusto?» mi domandò, ignorando momentaneamente la mia domanda
«Sì, sono io»
«Ti dico solo che se non fosse stato per te Eminen ora non starebbe qui! Gli hai salvato la vita!» mi disse il dottore. Ero incredula, e commossa e felice, tanto da stringere il dottore in un abbraccio stritolante. Marshall stava bene! Era salvo!!
«Bene, signorina, puoi andarlo a trovare, ma prima ti devo dire due cose: la prima è che ora è sotto anestetico, la seconda è che durante l'operazione ci siamo accorti che tutti i medicinali che ha preso gli hanno inibito una parte del sistema nervoso. Purtroppo supponiamo che si sveglierà senza l'uso della parola. Dovrà reimparare tutto daccapo...» mi spiegò il dottore mortificato
«Cosa?? Ma lui è un rapper, si nutre di parole!»
«Lo so benissimo, ma col tempo riacquisterà le sue vecchie competenze...è già un miracolo che sia vivo...» concluse il dottore congedandomi. Non fu una buona notizia quella che mi diede il dottore. Per Marshall sarebbe stato devastante accorgersene. Ma io gli sarei stata vicina, e lo avrei aiutato a reimparare a parlare.
Entrai piano nella sala operatoria, da cui gli ultimi medici stavano uscendo per concederci un po' di intimità. Marshall giaceva sul letto esanime, coperto da un lenzulo all'altezza dei pettorali, con le braccia tatuate da fuori. Aveva attaccata al cuore la macchina per misurare i battiti, che erano più regolari rispetto alla sera precedente. Alla bocca, invece, aveva un tubo, un respiratore che gli forniva ossigeno, in modo da non sforzarsi per respirare. Mi faceva male vederlo in quello stato di impotenza a cui certamente non era abituato. Mi sedetti accanto a lui, con le lacrime agli occhi, le quali, sebbene cercassi di trattenere, scendevano ostinatamente bagnandomi il viso. Accarezzai il volto del mio idolo. Era freddo, liscio, privo di imperfezioni, ma sembrava stanco, stremato, giustamente per la lotta da lui compiuta contro la morte. Alla fine lui era stato più forte. Aveva vinto lui!
 
Tornai ad aspettare nella sala di attesa, come mi avevano detto gli infermieri, che dovevano spostare Eminem nella stanza A666. Chiesi loro se potevo andarlo a trovare, ma mi dissero di aspettare almeno una mezz'oretta, il tempo che l'effetto dell'anestetico svanisse. In più mi consigliarono di mangiare qualcosa, visto che non mangiavo da quando avevo chiamato l'ambulanza. Seguii il loro suggerimento, dirigendomi alle macchinette e prendendo un caffè amaro e una bustina di cookies, che finii in una ventina di minuti, mentre continuavo a guardare smaniosamente l'orario affinchè il tempo passasse più velocemente. Finita la mia pseudo-colazione, mi diressi al secondo piano dell'ospedale, dove era collocata la camera. Per fortuna non ci misi molto a trovarla. La porta, con su scritto il codice alfanumerico in plastica dorata era chiusa. La aprii silenziosamente, pensando di trovare il rapper che riposava, ma invece lo trovai seduto sul letto a parlare con il dottore...parlare per modo di dire: il dottore parlava e lui cercava di capire.
«Buongiorno...sono qui per fargli visita...» dissi un po' imbarazzata, interrompendo il loro discorso. Il dottore aveva appena spiegato ad Eminem che avrebbe dovuto reimparare tutto, e lui lo guardava con uno sguardo torbido, infuriato, se non direttamente con lui, con la situazione in cui si trovava.
«Cerca di non stressarlo troppo» ci congedò il medico uscendo dalla porta e lasciandoci in un silenzio a dir poco imbarazzante. Rimasi immobile davanti a Marshall: ci stavamo osservando a vicenda, guardandoci a lungo l'uno negli occhi dell'altra, in silenzio senza proferire parola. Avanzai piano piano verso di lui, non distogliendo minimamente lo sguardo. Quando finalmente gli arrivai accanto, ebbi il desiderio, la voglia, lo stimolo, l'impulso di abbracciarlo. Ci stringemmo reciprocamente, io commuovendomi, e liberando tutta la tensione che avevo accumulato, e lui invece accarezzandomi la testa, continuando a sussurrarmi 'Ssshh' Ci vollero parecchi minuti per staccarci l'uno dall'altra, ma alla fine riuscimmo ad interrompere l'abbraccio. Mi sedetti sul letto di fronte a lui, asciugandomi le lacrime e sorridendogli per rassicurarlo.
«Ok...ehm...il dottore ti ha già spiegato che a causa della droga, devi reimparare a parlare, a scrivere a leggere...io ti darò una mano. Quindi non ti preoccupare, in pochissimo tempo tornerai meglio di prima! Ti ricordi per caso qualche parola?» gli domandai per cercare di capire da dove potessi partire.
«Sì. Fanculo!» scoppiammo a ridere. Possibile che tra tutte le parole di questo mondo si ricordasse per prima proprio quella?
«Ottimo, iniziamo bene...e poi?»
«Ciao. Ashley. Cibo. Acqua. Musica....» il rapper mi elencò molte parole che sinceramente non mi aspettavo si ricordasse. Ma tra tutte queste parole, mancavano molti verbi, e soprattutto mancava un ordine logico.
«Okay, non stai messo proprio male...» cercai di non demoralizzarlo io «Cambiando discorso... come stai?» gli chiesi tornando seria. Marshall sospirò.
«Non bene. Quando tu andata via, io solo. Proof non c'era più e io incazzato finito droga.» la frase di Eminem faceva invidia a quella di un bimbo di tre o quattro anni, o ad un indigeno che visita una città. Sebbene avesse un significato appena comprensibile, aveva bisogno della coniugazione dei verbi e di un lessico molto più ampio...
«Ok, allora, vediamo se ho capito bene, quando io me ne andai, tu rimanesti solo. Poi ricevesti la chiamata dall'ospedale che Proof non ce l'aveva fatta, e disperato e arrabbiato, hai chiamato Drake per il mix. Okay, questo però non ti giustifica. Drake non avrebbe dovuto accettare la consegna e tu non avresti dovuto ordinare. Quella roba ti stava per fare fuori lo capisci?! E se tu mi lasci io non so che fare! Ti prego, fallo per te, per me, sta' lontano da quella roba. Io ti prometto che ti starò vicino, che ti aiuterò, che non ti lascerò mai da solo, però tu aiutami ad aiutarti, ti prego!» gli parlai in tutta sincerità, sperando che lui ascoltasse le mie parole e che la smettesse una volta per tutte di assumere medicine.
«Vieni qui!» mi incoraggiò, aprendo le braccia per un secondo abbraccio che non rifiutai, ma che anzi accettai ben volentieri. «Aiutami. Voglio tutto come prima. Voglio tu vicino a me» proferì a bassa voce, continuando a stringermi nel suo caldo abbraccio.
«Non ti lascio. Questa volta no.»

Buonasera!! Questo capitolo è ricco di adrenalin. Confesso che mentre lo rileggevo ho pensato più volte di staccarlo in due parti per creare più suspance, ma poi sono stata buona e ho deciso di pubblicarlo tutto insieme. Fatemi sapere se vi piace o meno!
  
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