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Autore: Amantea    07/01/2016    18 recensioni
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande". (Jorge Luis Borges, L'Aleph)
Il mio modo di celebrare l'amore eterno di Oscar e André, attraverso la voce di chi ne fu l'unico complice e testimone.
[...]L'uomo guarda la scacchiera d'ombre e luci che danza dinanzi ai suoi occhi, e la trova quasi bella.
Una brezza leggera risveglia le fronde, l'oceano non è lontano da lì. In certe giornate limpide e schiette si può quasi spingere lo sguardo fino all'orizzonte e credere di vederci il bianco spumeggiante delle onde. Vere però sono le vele che, lente, si stagliano in quel biancore, il punto in cui il mare svapora nel cielo.[...]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Madame Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



-5-

«Ricordati sempre: quando un uomo esce da una stanza, si lascia alle spalle tutto quel che c’è dentro. Una donna, invece, si porta appresso tutto quel che c’è avvenuto».

(Alice Munro, “Troppa felicità”

)




Si è svegliato nel brusio insistente di una pioggerellina grigia e fitta, il cielo un unico tappeto incolore fuso a una nebbia opaca che sale dai campi, e tutto confonde. E ora, arreso all'ozio, l'animo rassegnato (inutile arrischiarsi lungo quel manto di fanghighia), le sole brache addosso, una spalla addossata all'uscio, respira l'aria satura d'acqua, e un sorriso attraversa il suo volto.
La stessa pioggia, di quel giorno.
Anzi, no, niente affatto la stessa. Scrosciava con forza, quella, fragorosamente, contro le pietre lisce del piazzale, e il soldato Soisson non sentiva altro che quel rumore insistente e costante, di sotto ai battiti furiosi nel petto. Null'altro, sulla pelle, non il freddo, non quell'acqua che scivolava nel colletto, non le gocce che gli ferivano gli occhi. Solo un ritmo tumultuoso che pulsava nelle orecchie, e la mano, che bruciava ancora.

La odiava. Odiava quella sua aria aristocratica, quel suo culo dritto, quella compostezza imperturbabile. La odiava perché non aveva capito nulla dell'amore che quel povero Grandier nutriva per lei, o, se l'aveva capito, si permetteva ancora, ostinatamente, di far finta di nulla. E quella mattina, poi, che il compagno Lassalle era stato portato via a forza dalla polizia militare, e rischiava la testa (la testa! Per aver venduto un fucile, lui, che doveva sfamare una famiglia intera!), sicuramente -sicuramente!- denunciato da lei, beh... aveva solo una gran voglia di fargliela pagare.
Sorride, ancora, al ricordo del ragazzo furioso e impulsivo, e stolto, che era. Perché non aveva ancora capito nulla, allora, del suo Comandante. Del senso di giustizia che la muoveva, sempre e comunque, anche quando sarebbe stato il caso di retrocedere, arrendersi, tacere. Della nobiltà che portava nel cuore, e non solo appuntata sul petto, come un privilegio di casta. Della costanza con cui aveva reso impervio il suo cuore, per mera sopravvivenza, e non per diletto, perché i sentimenti scavano dentro, espongono e rendono vulnerabili. E quella donna, di essere vulnerabile, proprio non poteva permetterselo. Non ancora. Non in un mondo di uomini. Non in un mondo che stava andando in frantumi, anche se nessuno sembrava rendersene conto.

Ed era entrato nel suo ufficio, con una scusa risibile, per poi aggredirla, scagliandosi addosso a quel corpo così sottile da sembrare malamente fragile, scaraventandolo contro il muro -era così leggero-, e poi schiaffeggiandolo, sì, perché troppa era la rabbia che gli premeva nel petto, per poi trascinarlo fin nel piazzale, perché tutti la vedessero, la faccia di un comandante che vende i suoi uomini. Era l'ora che qualcuno le insegnasse come funzionava il mondo. Che qualcuno la smascherasse. Che qualcuno gliele cantasse, come si cantano a un traditore.

Alain si osserva il palmo della mano, che ha aperto e richiuso, come se stringesse ancora l'elsa della sua spada, quella ridotta miseramente in due pezzi durante il duello. Come se potesse ancora sentire la rabbia che d'improvviso era scivolata via dal suo corpo come quei fiotti d'acqua sul selciato, dispersi in rivoli, assorbiti dalle fughe delle pietre, accostate l'una all'altra, un poco sconnesse, e liquide, al pari della sua coscienza.
Difficile da spiegare ... ma si era sentito d'un tratto come svuotato... svuotato d'ogni intemperanza, d'ogni sospetto, d'ogni rancore. Aveva visto se stesso, riflesso negli occhi di Oscar. Si era guardato come lo stava guardando lei. Senza giudizi, senza alterigia. Avrebbe potuto ucciderlo, se avesse voluto. Avrebbe potuto bloccare sul nascere quella farsa, chiamando altre guardie, o Dagôut. Ma non lo aveva fatto. Aveva accettato la sua sfida, aveva acconsentito a combattere contro di lui, per difendere il proprio onore. Lo aveva trattato con rispetto, come mai nessuno prima d'allora.
Quel giorno, in quel piazzale, sotto quella pioggia battente, l'uomo Alain aveva ricevuto la lezione più importante della sua vita, e da una donna.
Quel giorno, in quel piazzale, sotto quella pioggia battente, Oscar François de Jarjayes era diventata definitivamente il suo Comandante.

Una voce lo riscuote, qualcuno lo chiama, allarmato, gridando.
E' Julien, un contadino che abita qualche casa più in là. Si conoscono molto bene. E di lui Alain direbbe che è un uomo buono e senza dubbio felice, sebbene vedovo da alcuni anni, perché sta per arrivare un nipotino, il primo, e non c'è gioia più grande di quell'evento che allieterà presto la sua vita.
Ma in quel momento sta correndo come un pazzo sotto la pioggia, gli zoccoli che sguillano sul fango, agitando le braccia.
- Che diavolo succede Julien!- gli si fa incontro con la voce.
- Alain! Alain!! E' per mia figlia... ha le doglie... aiutami! -. E' arrivato trafelato, una mano al fianco, l'altra appoggiata contro lo stipite, gli occhi sgranati.
- Ma la levatrice? Non... -
- Ho mandato mio figlio a chiamarla, ma dicono che la strada è impraticabile, ci vorranno delle ore... Alain non so cosa fare... Eugénie...  -. Le mani sul volto, ansimando, a coprire gli occhi.
- Va bene, calmati ora... forse so chi potrebbe aiutarla... ma mi serve un cavallo -.

Ha tagliato per i campi, il cappuccio del mantello sulla testa, al galoppo, le cosce salde sui fianchi, gli occhi vigili davanti a sé.
Nessuno schieramento nemico da superare, nessun fucile spianato addosso, nessun ferito stretto al petto da trasportare in fretta, prima che sia troppo tardi... eppure corre più veloce che può, con i sensi allertati, per giungere quanto prima a villa Jarjayes.
Non ha avuto dubbi, nel pensare a lei. Quella donna ha avuto diversi figli... qualcosa deve sapere di come si partoriscono i bambini, e se non altro è una donna, e il parto è una faccenda da donne.
Ecco il cancello, e non deve sgolarsi molto perché Arnaud gli si faccia incontro correndo e lo faccia passare, mentre la governante, attirata da quel trambusto di voci e nitriti, è comparsa un attimo sulla porta per poi sparire di nuovo, e quando riappare è già con la sua signora.
- Madame vi chiedo scusa se non mi dilungo in convenevoli, ma la figlia di un mio amico sta per avere un bambino, ed è senza aiuti. Se pensate di poter fare qualcosa, qualunque cosa, vi pregherei di seguirmi - spiega Alain, il mantello che disperde la pioggia sul tappeto dell'elegante ingresso, gli occhi scuri, inquieti, che non danno tregua a quelli dell'anziana donna.
Marguerite ascolta assorta, senza ribattere, le sopracciglia un poco increspate. Apprezza la premura e la solerzia di quell'uomo che l'ha investita con coraggio di una grande responsabilità, e lo rassicura con un sorriso limpido e saggio: - Senza dubbio non si può lasciare sola quella ragazza in un momento tanto delicato. Non vi preoccupate, signor Soisson, l'aiuteremo come possiamo -.
E mentre ordina alla governante di preparare una borsa da viaggio con dei teli puliti (un contadino forse non ne possiede abbastanza, e non così puliti, deve pensare), e poi sussurra altro che Alain non coglie, forse per il tono fattosi improvvisamente intimo, o perché i suoi occhi sono stati catturati da una nuvola di zucchero che sosta sulle scale, immobile, Alain non può che ritrovarsi a considerare quanto ammirevole sia quell'anziana donna. Quanto sia anch'ella per certi versi un Generale, quanto dotata di un autorevole e dolce carisma, di una naturale predisposizione alla generosità. E di come debba aver supportato con la stessa docile e assennata premura la regina, nei numerosi anni in cui prestò servizio a corte.
- Camille cara, cambiati, e in fretta, dobbiamo seguire il signor Alain -, dispone ancora Madame senza indugiare oltre, già i passi mossi verso un salottino, da cui ritorna poco dopo con una mantella tra le mani. - Darò ordine ad Arnaud di preparare subito la carrozza e poi di correre ad avvertire il dottore di Arras. Orthènse resterà a custodia della casa -, continua, con delicata fermezza. Non muta espressione nemmeno quando Alain la informa che dovranno andare a cavallo, perché sulla strada fangosa la carrozza rischia di impantanarsi. - Non dubito che avrete già pensato nei dettagli a come organizzare questo nostro trasferimento -, lo adula, porgendogli la mano.
E in quell'attimo anche Camille si unisce a loro. Deve aver volato le scale e stracciato il vestito per essersi potuta cambiare così velocemente, pensa l'uomo con una punta inoffensiva di sarcasmo. E quando le rivolge la parola, è un ordine quello che esce dalle sue labbra, ma pronunciato con una voce così calda che Camille non se ne adombra: - Io porterò Madame. Voi seguitemi con il mio cavallo, e state attenta, la pioggia rende il terreno insidioso -.

Le ha chiesto il permesso di poterla stringere un po' a sé, sul cavallo, perché lo manderà al galoppo e non vuole rischiare incidenti lungo il tragitto. L'ha sentita aggrapparsi un poco al suo braccio, in certi tratti, senza protestare. E una volta scesa, ha rassicurato Julien, con tocchi leggeri e colmi di grazia e calore, chiedendo la cortesia di mettere un po' di acqua a scaldare, e infine si è chiusa con Camille nella camera da letto, dove Eugénie era rimasta accovacciata, le mani appese alle lenzuola, danzando con la voce e il busto il suo travaglio.
Non si sono quasi guardati, con Camille. Ha notato la sua aria tesa, ma decisa, nel seguire la nonna, probabilmente senza avere la minima idea di quello a cui assisterà. C'è solo da sperare che non ci siano complicazioni, che tutta vada come la natura ha predisposto, da secoli, che vada.
E a lui rimane il ruolo di confortare gli uomini di casa. Stringe le sue grandi mani sulle braccia dell'amico, che si trovi qualcosa da fare, magari nella stalla, durante quell'attesa. E poi prende da una parte il marito di Eugénie, battendo forte sulle sue spalle, ridendo contro quel volto un poco pallido.
- Forza Jean, dedichiamoci a quello che gli uomini sanno fare meglio, e lasciamo le donne al loro daffare... e vedrai che tra poco uscirà un bel pupetto da quella porta -. Il ragazzo non riesce nemmeno a sorridergli, ha il viso stravolto, per i lamenti della ragazza. Arrivano a intervalli, attutiti dalla porta chiusa, e sono piuttosto strazianti da sentire, specie per chi, come loro, non può fare a meno di udirli.
- Dai -, lo incalza ancora, trascinandolo di peso verso la cucina. Quello che gli uomini sanno fare meglio è senza dubbio bere.
Lo sa bene Alain, abituato a buttar giù fiumi di birra a Parigi, assieme ai suoi compagni della Guardia. E lo sapeva anche André, se è vero -come è vero- che lo conobbe proprio in un'osteria, ubriaco fradicio e disperato da fare pena al cuore. Perché egli ne aveva conosciuti tanti di ubriaconi, ma quel ragazzo lì, quella sera, stretto in quella giacca di buona fattura, l'aria delicata, non sembrava proprio un disgraziato. Sembrava più qualcuno che volesse espiare chissà che tremendo peccato, che dovesse cancellare chissà quale indicibile colpa dalla sua vita, quale efferato delitto da quel suo unico occhio. Così triste e profondo che Alain non resistette molto, ad ignorarlo, e lo invitò a bere in compagnia... perché aveva l'aria troppo perbene e troppo affranta per lasciarlo marcire da solo.
E adesso, che sul tavolo c'è una bottiglia di pessima acquavite, e due bicchieri un po' sbreccati, e accanto a lui c'è un ragazzo un po' spaurito e un po' spaventato, quello che deve fare è solo farlo bere un po', non tanto da ubriacarlo, ma abbastanza da alleggerirgli la mente, e rassicurarlo che tutto andrà bene.

Non saprebbe dire quanto tempo è passato da quando le due donne sono entrate nella stanza, ma ad un certo momento Camille esce per prendere il paiolo dell'acqua e portarlo dentro, e la bottiglia di acquavite è ormai diminuita di una buona metà.
Jean ha appoggiato il viso sugli avambracci, piegati contro il legno del tavolo, e ha chiuso gli occhi. Alain si alza, verso una finestra che dà sul retro della casa. Piove ancora, ma in modo meno uggioso, ed è quasi sera.
Osserva lo spicchio di cielo, meno denso di come lo ricordava, le braccia conserte, lo sguardo altrove.
E quando la porta si apre di nuovo, e Camille appare con un fagotto tra le braccia, spettinata, gli occhi splendenti e lucidi, invero bellissima, Alain rimane incantato a guardarla. Quasi non si accorge che la ragazza sta chiamando Jean, e quello si alza di scatto, quasi stridendo la sedia, e le mani commosse che non sanno cosa fare.
- E' tuo figlio, Jean -. E quello basta, a emozionarsi di più, e muovere le dita e le braccia, fino alla copertina, a un musetto che sbadiglia con gli occhi chiusi di sotto a una cuffietta, a una boccuccia sdentata che si schiude e si richiude, come se vivere fosse nient'altro che un tentativo andato a buon fine, e tutto è ancora da inventare.
Camille guarda Alain con un sorriso radioso, e poi incoraggia di nuovo il giovane padre a prendere il suo bambino in braccio.
- E... Eugénie? -. Jean ha quasi timore di chiederlo.
- Sta bene. Mia nonna vi chiamerà tra poco, venite -. Gli fa strada, in quella che in realtà è la sua casa, ma che in quel momento nemmeno riconosce, perché con la sua creatura tra le braccia nulla è più come prima. E' un padre, adesso. Julien sosta sull'ingresso, non ha fiatato. Deve aver osservato tutta la scena in silenzio, le parole soffocate nella gola, perché legli è solo un nonno, e un nonno può anche aspettare.

Alain non si è mosso dalla cucina. A volte bisogna farsi da parte, lui lo sa bene. Far finta di non vedere, quasi per non sciupare una felicità di cui si è testimoni solo per caso, o per coincidenza. Camille ha atteso che la nonna chiamasse Jean, e poi, ricevuto un qualche cenno dall'interno, ha richiuso la porta. E sta tornando in cucina, gli occhi su Alain.
- Hanno voluto che mia nonna restasse dentro con loro... Eugénie era così contenta... -.
Si lascia cadere su una sedia, sbuffando, le mani alla fronte.
- Io... io non avevo mai... non credevo che... -
- Che nascere fosse così faticoso? - la aiuta Alain, porgendole un bicchiere. Le ha versato un dito di acquavite, e ora siede, accanto a lei. La osserva, divertito per le espressioni di stupore che la ragazza suo malgrado sta esibendo sul bel viso accaldato.
- Eugénie ha avuto una forza incredibile... le donne hanno una forza incredibile... - commenta, ancora, quasi parlando a se stessa, i gomiti appoggiati sul legno.
- Lo trovate divertente? -, chiede a un certo punto, notando il risolino che sembra non volersi staccare dalla labbra dell'uomo.
- Siete tutta spettinata... e francamente temevo che sareste svenuta, là dentro -.
Camille sgrana i begli occhi azzurri, puntanto un dito contro di lui. - Signor Soisson... avrei voluto vedere voi là dentro... un uomo sarebbe già morto da un pezzo ad affrontare una cosa del genere, vi assicuro... -, spiega, l'espressione beffarda. - E poi, che amore è se non ti scompiglia un po' i capelli? -, ride, socchiudendo gli occhi, gettando un poco indietro la testa. E Alain deve sviare lo sguardo, da quel collo bianco, ornato da un colletto aperto e scomposto; da quei riccioli biondi sfuggiti all'acconciatura, e deliziosamente ribelli. E anche dallo sguardo che adesso lo ha raggiunto, improvvisamente silenzioso e intenso.
- Vi assicuro che era solo amore, quello che ho visto e sentito là dentro -, aggiunge, la voce un poco bassa, turbata.
- Sì, non ne dubito Camille... e voi siete state meravigliose ad aiutare questa povera gente -.
- Lo siete stato anche voi, nel venirci a chiamare prontamente. Non che mia nonna sia medico, ma... la natura ha deciso di fare il suo corso senza intoppi, oggi. Abbiamo solo dovuto assisterla... è Eugénie che ha fatto nascere suo figlio... non noi -.
Si alza, la tensione corre ancora nelle sue mani, un poco strette alla stoffa della camicia, dopo che ha incrociato le braccia sul petto.
- E voi... avete figli, signor Alain? -.
- No. Non che io sappia -. Si è alzato per rispondere a quella domanda diretta e un poco indiscreta, e l'ha raggiunta.
- Mia nonna ha espresso il desiderio di passare qui la notte. Per essere sicura che madre e figlio stiano bene, in attesa che il dottore o la levatrice raggiungano questa famiglia... -.
Alain non si stupisce più ormai. Che una nobildonna sia corsa ad aiutare una povera famiglia, che decida di accontentarsi del poco e nulla che quelle persone possono offrirle. - Chiederò a Julien di sistemarla al meglio per la notte -.
- Voglio restare anche io -. Lo ha detto con veemenza, quasi si aspettasse una replica E infatti Alain ha già aggrottato la fronte, e scosso la testa, come gli ha già visto fare altre volte, con lei.
- Prendete il cavallo e tornate a casa, Camille -.
- No. Dormirò su una sedia, se non c'è niente di meglio. E poi domani, se la notte sarà trascorsa in tranquillità, tornerò a casa con mia nonna -.
- Avete l'aria stanca, e una sedia non vi gioverebbe. E se non vi offendete, a casa mia c'è un letto. Oh, non avete di che sgranare gli occhi... non vi chiedo di dividerlo con me -. Ride, di quella sua risata sgangherata e contagiosa, che gli muove le spalle e il torace tutto.
- E voi? -.
- Io sono un soldato, l'avete detto voi. I soldati dormono dove capita, o non dormono affatto... lo sapevate? -.



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Lascio il racconto della notte che verrà al prossimo capitolo.
Intanto avevo premura di aggiornare!!
Grazie di cuore a chi segue, legge e commenta ...
Un bacio,
Amantea






   
 
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