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Autore: Final_Sophie_Fantasy    07/01/2016    1 recensioni
Una serie di pochi capitoli dove i tre giovani eroi di Baron dovranno affrontare i loro incubi più profondi e nascosti.
È la prima storia che scrivo su questo genere, quindi potrei zoppicare un poco. Come rating sarebbe più rosso che arancione, ma ho voluto renderlo più accessibile.
In via di illustrazione!
Buona lettura!
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cecil Harvey, Kain Highwind, Rosa Farrell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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« Cecil!! Cain!! Rispondetemi! Per favore! »
I tronchi grigi degli alberi intorno a lei erano attraversati da profonde venature nere, disegnando facce di mostri orripilanti, mentre i loro rami sottili erano mani scheletriche pronte ad afferrarla; le foglie, ombre di spettri vaganti che oscuravano la rincuorante luce delle due lune.
« Dai! Non fatemi scherzi! Dove siete!? »
I suoi piedi incerti pestavano un terreno che lei non era capace di vedere, nascosto nel mare di nebbia tanto intensa da sembrare tangibile. Ma ad ogni passo portava dietro di lei uno sputacchio di vapore lattiginoso che spariva, disperso nell’aria fredda e immobile.
Vagava verso il buio che s’apriva davanti a lei, una vastità oscura incanalata nel bosco.
Pestò un ramoscello e quello gemette, assomigliando più ad un singhiozzo.
Rosa sobbalzò dallo spavento, indietreggiando, tremando, quando sentì qualcosa afferrarla da dietro per il mantello.
Gridò e si girò. 
Un ramo secco di un cespuglio morto si protendeva verso di lei come una mano artigliata.
La bambina ora aveva gli occhi lucidi, le sue iridi sembravano due grandi smeraldi luccicanti ora che erano velate dalle lacrime.
« Cecil!!! Cain!!! » Urlò, scappando « Io ho paura! »
Non le interessò più la direzione, tanto ormai era già persa da un bel pezzo. Ogni posto era diverso ed uguale allo stesso tempo. Il bosco cambiava strade, cambiava d’aspetto ma per lei ogni albero valeva comunque come quello precedente. Non sapeva dov’era, non sapeva dov’erano i suoi amici, i suoi punti di riferimento e non sapeva come uscire da quel posto.
Pensò a sua madre, a casa, preoccupata, che magari già la cercava, in ansia per aver perso anche la sua unica figlia.
Papà è morto per colpa di questi mostri della notte… che io debba morire come lui? Pensò, traumatizzata.
Inciampò in una radice e cadde, sparendo nella nebbia lattiginosa. Rimase a terra, lasciando che i singhiozzi venissero fuori e senza tenere alcun contegno, perché il suo pianto echeggiasse nel bosco e qualcuno, anche da lontano, potesse sentirla. Ma per lunghi, dolorosi, minuti ciò che le rispose fu l’eco dei suoi lamenti.
Nessuno verrà a salvarmi…, pensò, nascondendo il volto tra le braccia.
Rimase così, immobile, lasciando che la nebbia fredda la coprisse e che l’humus umido le bagnasse i vestiti.
Passarono forse ore, silenziose e tetre.
Era sicura di morire.
Sarebbe rimasta lì a morire di freddo, fame e sete.
Nessuno l’avrebbe mai trovata.
Sarebbe rimasta divorata da qualche mostro di passaggio, qualche lupo affamato l’avrebbe sbranata.
I suoi amici, sempre che fossero sopravissuti, non avrebbero più giocato con lei. 
E  sua madre sarebbe rimasta sola, senza più quello che lei rappresentava: la sua famiglia.
No, no, no… devo tornare a casa… devo trovare Cecil e Cain e devo tornare a Baron con loro. Cecil non mi abbandonerebbe mai e Cain è coraggioso; pensò, dandosi un minimo di forza d’animo.
Così si portò in ginocchio, alzò lo sguardo.
Gelò all’istante.
Cadde indietro e si spinse con gli arti tremanti lontano.
La figura non era molto alta, completamente coperta da un saio nero stracciato, sul volto una cappuccio abbassato che ne oscurava il volto, abbassato per fissarla con orbite inesistenti. Era lui, il tipo comparso sotto la finestra di Cecil, il mostro che tutti e tre si erano messi a cercare, era il motivo per cui si erano dispersi in quell’incubo.
La seguiva, senza concederle distanze:
« C-c-c-c-chi sei tu!? » Balbettò la bambina, arrivando con la schiena contro un muro.
La figura non le rispose, continuando a pressarla contro il tronco.
« Chi sei!? » Urlò lei.
L’elemento si fermò a pochissima distanza da lei, torreggiandole sopra.
Come vide le braccia muoversi, Rosa gemette e si coprì gli occhi, rannicchiandosi, temendo che l’aggredisse.
Ma le mani dell’essere andarono agli orli del cappuccio che fu tirato indietro rivelando un volto infantile.
Rosa aprì timorosa le palpebre e incrociò due grandi iridi celesti, contornati da un penombra ora più accennata e profonda.
Non voleva credere ai suoi occhi, non poteva semplicemente crederci:
« C-Ce… Cecil…? »
Il bambino la guardava, serio, quasi stupito di quella sua reazione.
« Sei… sei davvero tu? » Chiese Rosa, sempre più incredula.
Alla fine lui le sorrise:
« Sì, sono io. Perché sei così spaventata? Non c’è nulla da temere: adesso ci sono io qui. »
La mano del ragazzino le si aprì davanti, offrendole supporto per farla alzare. Lei guardò con occhi sbarrati il suo gesto, ragionando. E arrivò alla sua parte razionale.
S’arrabbiò, colpendo con la sua la mano dell’amico mentre s’alzava:
« Sei uno scemo! Non mi piacciono questi scherzi! Mi hai fatto prendere una paura terribile! »
Ora lo stava fronteggiando, il bambino era quasi esterrefatto del suo atteggiamento.
« Avanti! Stavamo solo giocando! » Replicò lui.
Rosa fu presa una rabbia ceca e lo spinse indietro:
« Non ci gioco più con voi due! »
Il volto di Cecil si chinò, rabbuiandosi di un’oscura penombra, mentre i suoi occhi che ancora la fissavano, ora silenziosamente irati, trasformavano il celeste in un bianco ghiaccio. Colore che tornò originale come vide la bambina pentirsi di averlo spinto.
Rosa evitò il suo sguardo:
« Scusa… scusa… io… non volevo spingerti… Ma sono molto turbata… »
Cecil le rivolse un sorriso luminoso e si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla:
« Non importa. Hai ragione, è stata colpa nostra. Forse abbiamo un po’ esagerato. »
Lei lo guardò dal basso, accennando un sorriso:
« Sono contenta che tu stia bene. Cain dov’è? »
Il bambino prese un portamento fiero, sorridendo, ma lei, non seppe per quale motivo, ci lesse solo malignità in quello sguardo:
« Abbiamo trovato la strada di ritorno, lui ci sta aspettando là. Vieni. »
E si voltò, facendo ondeggiare il saio nero alle sue spalle.
Rosa gli fu dietro a ruota.
 
Percorsero tutta la foresta, o forse buona parte, in silenzio. Ogni tanto, però, il bambino aumentava inspiegabilmente il passo, lasciandola indietro. Lei cercava con tutta sé stessa di stargli dietro, anche perché aveva ancora paura, e un volta fu costretta a chiamarlo:
« Cecil, aspettami! Vai troppo veloce! Non voglio restare indietro! »
All’inizio sembrava non averla sentita, poi era tornato al suo fianco.
Erano forse verso la fine del loro tragitto che Cecil le disse:
« Sai, io e Cain sapevamo che avresti potuto prendere un grosso spavento, così abbiamo deciso che per chiederti scusa giocheremo tutti ad un gioco tranquillo, così ti rilasserai. »
« Che gioco? » Chiese Rosa.
« Sorpresa… » Rispose.
 
Arrivarono in un posto che Rosa sentiva di aver già visto prima.
Poi tutta’d’un tratto ricordò di essere nel posto in cui lei aveva preso a scappare per i terribili rumori che erano arrivati dal bosco, spingendo Cecil ad inseguirla.
La grande roccia era lì, ma il muschio era nero e il torrente quasi disseccato aveva un inquietante colore rosso.
Cecil era perfettamente a suo agio ma Rosa, fissando il rivolo “d’acqua” chiese, inquietata:
« Cecil… cos’è successo qui? Perché è tutto così lugubre? »
Il bambino era andato avanti, mento alto, verso la roccia e ci si era appoggiato:
« Io e Cain abbiamo deciso di allestire la cosa. E lui voleva una parte rilevante nel gioco, così l’ho accontentato… »
Rosa lo guardò interrogativa.
Il bambino le sorrise:
« Nascondino. Si è nascosto. Trovalo, non è poi molto lontano. »
Così Rosa, seppur inquieta, in totale silenzio prese a cercare, senza mai allontanarsi troppo dalla roccia.
Controllò dietro gli alberi circostanti, scostò con le mani nella nebbia per aprire un poco la visuale. Poi andò a fare il giro della roccia, arrivando anche ad arrampicarcisi sopra, visto che l’amico adorava stare in punti alti. Finché, sconfitta, andò da Cecil, ancora fermo in quella posizione, e scosse il capo:
« Mi arrendo. Dai, fallo uscire e andiamo a casa, sono stufa di giocare. »
« Non andiamo finché non lo trovi. » Fu l’improvvisa risposta di lui.
Rosa rimase di sasso.
Perché si comportava così? Era così… serio, poco affidabile… e quel sorriso non era il suo, questo era cattivo, finto.
« Ma non so dove cercare! » Ribatté lei.
« Ti do un aiuto. Hai guardato ai lati e sopra la roccia… ma sotto… » Replicò lui.
Lei lo guardò male, poi fissò la crepa dove il torrente s’inabissava e contenne un brivido. Tremante, s’avvicinò lentamente all’entrata oscura. Si sporse oltre. Dentro era tutto buio. Non voleva entrare, anche perché dall’aria di chiuso la grotta doveva essere piccola.
« Dai Cain! Lo so che sei qui! Vieni fuori! »
Ritornò solo l’eco delle sue parole.
Tornò composta ed improvvisamente sentì le mani di Cecil bloccarla per le spalle. La bocca del bambino s’avvicinò al suo orecchio e con un sussurro a fior di pelle che la lasciò stizzita, disse:
« Non lo troverai mai. Lui non verrà mai. Lui non giocherà più: ha perso. »
Rosa istintivamente abbassò lo sguardo e volle gridare quando vide una mano spuntare dal buio della crepa. Era lasciata morta sotto l’acqua rossa del torrente. Abbandonata, priva di vita.
« Cosa… cosa… hai fatto!? »
Cecil sorrideva:
« L’ho ucciso, così giocheremo solo noi due… lui non interferirà più. »
Rosa si ribellò e tremando s’allontanò dal bambino.
Gli occhi di Cecil ora erano bianchi, il vestito strappato s’agitava, mosso da un vento quasi etereo.
Lei aveva il cuore in gola:
« No! NO! Tu l’hai ucciso! HAI UCCISO CAIN!!! »
Cecil le porse la mano:
« Vieni, Rosa! Giochiamo! »
Rosa indietreggiò, intrappolata in quegli occhi gelidi:
« NO! No! No! No! »
« Giochiamo! »
« NOO!!! Stammi lontano! Tu non sei Cecil! Tu non sei il mio Cecil! » Urlò lei.
« Ma sì, sono io! Vieni, Rosa! Giochiamo! » Ripeteva lui, levitando verso la sua figura tremante.
« Giochiamo! »
Rosa sentì una seconda voce venire da dietro. Si voltò e si trovò di fronte ad una copia.
Scattò indietro, gridando.
Poi ne ebbe una terza di lato.
« Giochiamo! »
« Vieni, Rosa! »
« Giochiamo insieme! »
Ovunque i suoi occhi guardassero, c'erano quegli iridi bianchi a fissarla.
Le teste folte di capelli bianchi e smorti dondolavano da una parte all'altra in un­ eterna cantilena.
« Vieni! »
« Giochiamo! »
« Giochiamo! »
Rosa s'afferrò i capelli e gridò
« Basta! Basta! BASTAAAA!!!! »
Improvvisamente tutto si spense come le sue ginocchia toccarono il terreno.
La cantilena di centinaia di voci finì.
Rosa piangeva, piangeva, coprendosi la faccia con le mani.
Poi sentì delle braccia avvolgere le sue spalle tremanti.
Le scappò un lamento e una voce, la sua vera voce, le disse, tremando anche lui:
« Sssh, sono io… ti ho sentito urlare… scusa, Rosa, scusa… non avrei mai dovuto portarti con me… » Percepì il suo brivido sul suo corpo « … sono contento che tu stia bene… »
Lei si rintanò nel suo petto, piangendo sommessamente, e lui la strinse, coprendola con il corpo, e poggiando la testa sulla sua.
Sentì le lacrime del bambino scendere fino a bagnare le sue guancie.
Allora seppe che era davvero lui.



 

Salve a tutti!
Beh, diciamo che sto sperimentando com'è scrivere cose inquietanti... ragazzi, mi viene la fifa solo scriverle. Sono una persona facilemente influenzabile, sto combattendo contro le paure che più o meno corrispondono a queste. Poi se vi fa paura o meno sta a voi vedere.
Ci si vede al prossimo capitolo!
   
 
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