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Autore: Riley Bee    11/01/2016    4 recensioni
Castiel fa lo scrittore e passa le sue notti alla ricerca di idee mentre, nella casa affianco, un ragazzo di nome Dean con la passione per la cucina è sveglio tanto quanto lui intento a preparare dei dolci. Il primo abita lì da anni, ma la metà della cittadina non sa che esista, il secondo, appena trasferitosi, aspetta l'arrivo del fratello approfittandone per cucinare nelle sue uniche ore libere. Si incontrano (sbadatamente) nelle loro notti in bianco a discutere degli argomenti più vari.
Castiel, freddo e scostante, si ritrova a non capire cosa gli sta accadendo. Come nella canzone dei Led Zeppelin, "the Rain Song", sente il ghiaccio del suo cuore sciogliersi sempre di più all'aumentare degli incontri notturni con Dean, senza capire cosa gli causa realmente questa sensazione.
(AU, Castiel scrittore, Dean cuoco)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Sesta parte:

 

Entrambi si erano salutati pacatamente e avviati verso le rispettive case. Non si guardarono troppo. Castiel balbettò qualcosa che Dean non stette a sentire preso dall'agitazione, limitandosi soltanto ad osservare il pallido ragazzo entrare in casa e sorridergli mimando di nuovo un piccolo e sentito “grazie”. Non parlarono di cosa fosse successo e tanto meno parlarono delle loro continue strette di mano e, Dean, non volle proprio pensarci. L'unica cosa che pensò, mentre si incamminava nel polveroso vialetto di casa, fu: Come posso smettere di mettere in dubbio la mia eterosessualità? Davvero. Stava diventando un problema.

Con entrambe le mani si grattò prepotentemente i capelli castani mentre cercava di mantenere il controllo. Non avrebbe dormito sta notte, lo sapeva.

 

« Ehi tu. Si, proprio tu. Tizio dall'andatura da cowboy ». Una voce stridula proveniente dalla sua destra si intromise nei suoi pensieri. Voltando lo sguardo Dean vide, appeso alla staccionata di casa sua, un ragazzino dai capelli ramati, un ghigno strafottente in viso ed un lecca lecca rosso in una mano.

Avrà avuto all'incirca l'età di suo fratello ma la metà dell'altezza. Indossava un cappellino giallo di lana ed una sciarpa dello stesso colore portata sopra ad una giacca blu troppo larga per lui.

« Dici a me? » Disse Dean indicandosi e guardandosi intorno allo stesso tempo.

 

« Vedi qualcun altro oltre a te da queste parti? » ridacchiò scendendo dalla staccionata

 

« Senti tappetto. Non so cosa tu voglia ma questo non è davvero il momento » rispose dandogli le spalle e tornando sui propri passi.

 

« Castiel Milton, il vampiro » rispose. Dean sbuffò quello che sembrava dire – Ti prego moccioso no – e lo guardò diretto dopo aver roteato, platealmente, gli occhi al cielo.

 

« Non hai notato? tutto si collega: pelle bianca, non esce mai di giorno, scorbutico e poco incline alla luce del sole. Scommetto che non gli piace l'aglio, ma ancora non ho potuto sperimentare! » sorrise il ragazzino « Quindi quello che vorrei sapere è: come hai fatto a farlo uscire?» disse avvicinandosi a guardarlo con occhi imploranti e allo stesso tempo divertiti.

 

« GABRIEL » Una voce squillante e di vari decibel superiore alla media arrivò dalla casa alle spalle del ragazzino. « Smettila subito di tormentare i vicini con le tue stranezze e torna subito qui ».

 

Colui che sembrava rispondere al nome di Gabriel, e alla descrizione che lo accompagnava, fece un ghigno indispettito, guardò Dean e gridò un « Hasta la vista ». Si portò il lecca lecca alla bocca e corse via.

Dean sorrise sotto i baffi « Amico, se devi citare Terminator citalo bene! ». Il dispettoso ragazzo gli sorrise in lontananza. « “torno presto”» replicò imitando la voce di Schwarzenegger mentre rientrava in casa.

« Devo decisamente presentarlo a quel nerdone di mio fratello » Disse sorridendo infine.


Entrato in casa si addormentò sul divano all'alba delle cinque del pomeriggio.

 

°

 

Castiel era entrato in casa, aveva sbattuto l'over coat e la sciarpa sul divano e si era precipitato nel suo studio. Lo studio (o, come precedentemente detto, la tana del demonio) era un piccolissimo locale con una singola finestra costantemente sbarrata ed il buio che vi regnava sovrano. Era, tanto quanto il salotto, sommerso dai libri e possedeva, posta perfettamente al centro, una scrivania scura con sopra una piccola lampada, di quelle da biblioteca di vetro verde, un pc portatile e diverse pile di fogli scribacchiati.

 

Si sedette sulla scomoda sedia di legno e accese la piccola lampada. Si portò la penna sul mento e prese un foglio bianco dalla pila mettendolo diligentemente al centro della scrivania. Tirando un sospiro, iniziò a scrivere. Scrisse per quasi due ore, fermandosi solo tra un sorso di tè ed un altro. La penna continuava e continuava imperterrita a descrivere luoghi, dialoghi e fatti senza una pausa quando, improvvisamente, alle 19:15 si fermò.

 

Castiel lasciò cadere le braccia a penzoloni dietro di se ed iniziò ad osservare il soffitto. La sua mente era vuota. La sentiva come un appannato e vecchio specchio che qualcosa era andato a scalfire. Qualcosa che stava scombussolando l'ordine delle cose.

Castiel scrive di ciò che sa, mai di altro. Scrive delle cose che conosce e delle cose di cui è stato testimone, abbinandole alla sua conoscenza della letteratura, dei libri e prendendo spesso ispirazione dai suoi grandi maestri. Si armeggiava nel collegare i fatti con fluenti descrizioni di quello che vedeva. Castiel era bravo a descrivere le cose che conosceva e capiva. Ma questa cosa, questa cosa che gli cresceva sempre di più nel petto, proprio non la comprendeva. Le fitte, i rossori, l'imbarazzo e quel calore. Cos'erano? Perchè erano lì? Perchè il battito accellerava? Perchè sentiva il bisogno di avvicinarsi a questa persona quando, lui tra tutti, non aveva mai avuto bisogno di nessuno? Da quando gli aveva stretto la mano, quella stessa mattina, un rumore sordo aveva preso posto nella sua mente. Un rumore di fondo, estraneo, che cercava di prendere spazio tra polmoni e costole. Cercava posto dove non doveva esserci scuotendo e ribaltando tutto il suo ordine interiore.

Castiel lo detesta. Vorrebbe scrivere ma non riesce. Vorrebbe capire ma non gli arrivano le risposte. Continuò a pensare, roteando la penna tra le dita e pendendo sempre di più con la testa verso il basso, finchè non sentì il sangue affluirgli in volto.

Non riuscì a pensare a nulla di logicamente attendibile e, in un rigido scatto, si portò davanti alla libreria alle sue spalle. Ne tirò fuori una serie di volumi rivestiti in cuoio con delle insenature decorate che incorniciavano le parole “enciclopedia. Vol 1”. Tirò giù dallo scaffale i primi tre volumi e li appoggiò delicatamente a terra. Con un tonfo si sistemò a gambe incrociate di fianco ad essi e partì dal primo. Saltò con poco conto la parte introduttiva e partì dalla pagina di inizio. Fece scorrere con il dito i vari e piccoli titoletti tra una colonnina ed un'altra aspettandosi di trovare qualcosa che lo avrebbe portato all'illuminazione divina. Castiel sarebbe stato in grado di far passare tutti e 16 i volumi di quella dannata enciclopedia pur di trovare una soluzione al suo problema.

 

- A : sigla automobilistica dell'Austria. Aa : termine Hawaiano per indicare un tipo di lava basaltica. Aabam: indica i minerali di piombo nei libri di Alchimia – E così via. Passò i nomi di cittadine Svizzere, animali sconosciuti, principi fisici e andò avanti imperterrito senza soffermarsi troppo su ogni singolo concetto ma, piuttosto, limitandosi a leggere i titoletti per velocizzare la ricerca. Arrivato a “Ammidina” ( composto chimico organico, RC(NH2)2 ) accese il computer e, sorseggiando la terza tazza di tè, mise su “The Rain Song”. Con il dito che sempre più stancamente faceva su e giù sulle grandi e spesse pagine bianche dell'enciclopedia, Castiel canticchiò quel brano sbadatamente, ogni tanto saltando una strofa o inciampando in un verbo quando sfiorò con il dito, in quest'ordine, le parole amorale, amoralità, amorazzo, amor brujo e amore.

Si fermò un secondo. Scosse la testa ripetutamente e tornò con gli occhi sulla parola.

  1. Tensione intellettuale e affettiva

  2. Sentimento verso altri uomini

  3. Impulso dell'animo, intenso affetto verso qualcuno

  4. Attrazione romantica, profondo interesse sentimentale

 

Chiuse di colpo l'enciclopedia e, senza riporne neanche un volume, si ricompose sulla scrivania. La canzone sprigionata nell'aria dal pc era spesso smorzata da i continui e scattanti ticchettii delle dita che correvano sulla piccola tastiera del computer.

Ne aveva letto, nei suoi libri, di quello che viene comunemente definito come “amore”. Ne erano pieni. Sapeva cosa fosse ma non sapeva come funzionasse ne tanto meno come si potesse riconoscere ma internet, di certo, non stava aiutando e le risposte date dall'enciclopedia erano troppo rigide persino per uno come lui. Ora iniziava a capire i critici letterali che lo definivano “freddo, rigido e troppo distaccato dai sentimenti”. Continuò con le ricerche per altre due ore piene e, alla fine, si ritrovò sul blocco degli appunti una lista con un'altra decina di libri da leggere riguardanti l'argomento. Il salto verso Amazon prime fu veloce e istantaneo.

 

Erano ormai le undici e mezza quando Castiel si fece l'ultimo tè, mangiò una mini torta e fermò le ricerche spostandosi in salotto. La testa gli girava troppo per poter proseguire. Sdraiato sul divano con la tazza appoggiata sul proprio busto iniziò a passare con gli occhi i libri sparsi in giro alla ricerca di uno di suo gusto. Gli occhi stanchi, pigri e ormai socchiusi di Castiel si soffermavano sui vari titoli mentre la mente affibbiava o all'uno all'altro dei vaghi criteri di valutazione come “non adesso”, “già letto”, “letto dieci volte”, “neh”, “noioso”, “stupendo ma non ora”, “bah”, “ni”. Più titoli passava più il sonno si faceva sentire quando scorse, sul quinto scaffale a partire dal basso sulla sinistra, i suoi vecchi libri universitari. Infilato, piccolo, nascosto e con una copertina blu chiara tra un libro di letteratura e uno di storia Romana stava “O tell me the truth about love” (La verità, vi prego, sull'amore) di Auden. Era un libro che aveva letto anni prima, quando doveva studiare diversi autori per l'esame di letteratura inglese. Castiel non aveva mai capito le poesie di quella raccolta. O meglio, le aveva capite ma mai del tutto. Apprezzava la loro schiettezza e la bellezza degli scritti, come amava e apprezzava tutta la letteratura. Sapeva spiegarti la poesia perfettamente e nei minimi dettagli, ma c'era sempre stato quel qualcosa che gli mancava, soprattutto se si trattava di sentimenti, amore o chissà cos'altro.

Si alzò lentamente e lo sfilò dallo scaffale. Si rimise sul divano a gambe incrociate e iniziò a sfogliarlo. Su ogni pagina erano presenti i suoi appunti a matita, con spiegazioni e dati di ogni genere, che regnavano sovrani sui bordi del libro.

Sorrise e iniziò a leggere. Era quasi mezzanotte quando una poesia catturò la sua attenzione. La ricordava bene e, in quel momento, non poteva essere più esaustiva.

 

°

 

Dean si svegliò alle undici completamente indolenzito. Ammettiamolo, addormentarsi sul divano non era stata la migliore delle idee. Si stiracchiò occupando interamente il divano e spingendo, arricciandoli, i piedi sul bordo. Si portò le mani dietro la testa e, alzandosi, si incamminò in cucina.

Allungandosi verso la mensola tirò fuori i cupcakes incompleti e, riprendendo la crema decorativa che aveva riposto nel frigo, iniziò a lavorare. Aveva optato per una crema gialla alla vaniglia con sopra degli zuccherini arancioni e azzurri che gli aveva procurato, tempo prima, Missouri. Non impiegò molto a tirare fuori la sac a poche e a decorarli uno ad uno con la crema per poi spolverarci dall'alto, mettendo le dita della mano come per sbriciolarli, gli zuccherini colorati.

Guardò il vassoio soddisfatto e lo fece girare un po' con la mano sorridendo del proprio lavoro. Finito di “auto compiacersi” li spostò su un vassoio bianco e circolare per poi mettersi a ripulire gli attrezzi vari nel lavandino sotto la finestra.

Di nuovo, dalla stessa finestra della notte precedente, Dean vide Castiel. Riusciva a vedere solo la sua testolina scompigliata spuntare fuori dal divano che, ogni tanto, si inclinava a destra o a sinistra in quel suo modo buffo e confuso. O stava leggendo o stava leggendo. Nonostante lo conoscesse, da quanto? Un giorno? Meno di 24 ore? Dean era parecchio sicuro che stesse leggendo. Qualcosa glielo diceva, come per esempio il fatto che la sua casa possedesse tanti libri quanto l'intero stato dell'Alabama, così a naso.

Ridacchiò un po' alla visione e, finito di lavare le stoviglie, tornò alla finestra. Castiel era ancora lì e non si era mosso. Fu allora che Dean si ricordò del dannato campanello e del fatto che fosse convinto di averglielo aggiustato quando, l'unica cosa che aveva davvero fatto, era stata comprare il trasformatore, mollarlo in un angolo della casa e trascinare un completo estraneo in un vecchio bar nel bel mezzo dell'interstatale 29.

Mise le mani su uno degli scatoloni e tirò fuori quello che gli serviva. Era convinto che se avesse rimandato si sarebbe nuovamente dimenticato di farlo, cosa che voleva sinceramente evitare. Prese quindi il trasformatore e uscì di casa chiudendo la porta percorrendo poi i pochi metri che lo dividevano dalla casetta di Castiel. Arrivato al portico smontò il campanello e, cercando di non far rumore, sostituì il trasformatore rotto e richiuse il tutto. Si rimise gli attrezzi in tasca e si passò le mani sui pantaloni nel tentativo di scrollare la polvere, abbassando la testa ai suoi piedi. Quando la ritirò su si ritrovò davanti una grande e bianca porta con, di fianco, l'accattivante ma soprattutto funzionante, campanello. Senza pensarci troppo suonò e rimase davanti alla porta in attesa.

 

Sentì qualcuno alzarsi e dei passi vagare ripetutamente davanti alla porta, ignorandola totalmente. Dopo cinque o sei minuti la porta si aprì e ne uscì un Castiel più confuso del solito con la testa già in modalità “incliniamoci fino a spezzarci il collo”.

 

« Non ricordavo che suono avesse il campanello » disse piano.

 

« Sappi che è questo allora. E funziona » gli rispose ghignando divertito.

 

Un altro lungo silenzio.

Una folata di vento gelido lì colpì entrambi quando Castiel si guardò intorno con circospezione e disse « Ti andrebbe un tè? »

 

Dean annuì, si portò le mani in tasca ed entrarono entrambi, lontani per un po' dalla morsa del gelo che stava andando ad aumentare. Appena entrato Dean appese la giacca sull'attaccapanni vicino allo specchio e raggiunse Castiel in cucina. Gli stava dando le spalle mentre trafficava tra le antine e tirava fuori il necessario per il tè. La camicia azzurrina gli cadeva a pennello sulle larghe spalle e formava delle pieghe circolari che gli avvolgevano il busto passando dal centro della schiena, tra le due scapole, arrivando a prendere il fianco. Si spostava di qua e di là con movimenti lenti ma nervosi mettendo da un lato l'acqua per il tè e dall'altro recuperava due tazze, quando si girò e gli chiese che tè volesse.

 

« Il tè alla mela e alla cannella di cui mi parlavi lo hai? »

 

« Certamente » rispose sorridendo. Osservando il suo sguardo vide un pizzico di felicità ed euforia che tenne nascosta ai suoi occhi. Dean credette fosse per via della tisana, anzi, ne era certo.

 

Si appoggiò con la schiena sullo stipite bianco della cucina e incrociò le braccio portando le gambe, anch'esse incrociate, in avanti mentre osservava. Le mani di Castiel misero l'infuso, rossiccio e marroncino, dentro dei piccoli infusori in metallo facendone cadere un po' sul bancone della cucina. Lì trascinò via, con una mano a spingerli e con l''altra sul bordo per raccoglierli, per poi riversarli nel barattolo di vetro. Mise le gabbiette in metallo con dentro l'infuso in due tazze. Quella di Castiel, o almeno così pensò Dean, era cilindrica ma leggermente più larga sopra che sotto. Aveva degli Iris blu che ricoprivano tutta la parte bassa estendendosi verso l'alto nella ceramica bianca. L'altra, più o meno delle stesse dimensioni, era cilindrica con i bordi, sia sopra che sotto, in rilievo, mentre sopra, sempre su sfondo bianco, aveva tante foglioline autunnali che la ricoprivano interamente.

Dopo qualche minuto Castiel versò il tè dal bollitore alle tazze e, riponendolo sui fornelli, gli passò la tazza con le foglie prendendo per se quella con i fiori blu. Dean era più che sicuro che fosse la stessa tazza del giorno precedente ma non ci si soffermò troppo. Entrambi si spostarono in salotto e, come la prima sera, lui si sistemò sul divano mettendosi comodo mentre Castiel rimase sul tappeto a gambe incrociate. Entrambi si guardarono quando Dean gli chiese:

« Raccontami di ciò che stai leggendo adesso » mentre si scaldava le mani intorno alla tazza « Tanto so che stai leggendo qualcosa » continuò spostando la testa, insieme alle spalle, da un lato mentre si appoggiava sullo schienale del divano.

 

« Auden. E' una raccolta di sue poesie risalenti agli anni '30 » rispose mentre prese un altro sorso di tè. Come potesse berlo così caldo per Dean fu inconcepibile. « La poesia che da titolo all'intera raccolta si chiama “O tell me the truth about love”»

 

Dean lo guardò spostare il viso dal proprio e, senza guardarlo, prese un piccolo libretto azzurrino dietro di lui. « E' molto bello » continuò abbassando la voce.

 

« Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo? » Lo interruppe dai suoi pensieri Dean che gli sorrise piuttosto fiero di se stesso. Poi tossì un paio di volte e iniziò a ridere « In realtà non so come vada avanti. Mi ricordo qualche strofa dal college, ma nient'altro ».

 

« Io ricordo qualcosina » disse Castiel.

 

« Rinfrescami la memoria » rispose in tono sarcastico portandosi la tazza alle labbra soffiandoci dentro un paio di volte.

 

« Auden in questa poesia pone una domanda ma non dà mai una risposta concreta. Finisce una strofa si ed una no con la richiesta “oh ditemi la verità sull'amore” ma senza trovarne una fine, dando al lettore l'impressione che potrebbe continuare all'infinito in una serie di comparazioni e domande a riguardo. Nella prima strofa inoltre dice “e quando ho chiesto cosa fosse al mio vicino / sua moglie si è seccata e ha detto / che non era il caso di fare queste domande.” andando a indicare l'amore come ovvietà o come qualcosa non esprimibile a parole o a spiegazioni, ma che comunque, per quanto ovvio, non si riesce mai a definire. Questi continui esempi parlano di un amore che non può essere ridotto ad una singola cosa ma ad una serie infinita di dati, cose e sensazioni » iniziò con gesti esplicativi delle mani e parlando in modo fluido, scorrevole e acceso come mai prima aveva fatto, passando il dito sulle strofe della poesia, quando la leggeva, spiegandone le parti.

« Qui invece dà un altro esempio significativo con le parole “I libri di storia ne parlano / solo in piccole note a fondo pagina, / ma è un argomento molto comune / a bordo delle navi da crociera / ho trovato che vi si accenna nelle / cronache dei suicidi, / e l’ho visto persino scribacchiato / sulle copertine degli orari ferroviari” indicando che lo si può trovare anche in luoghi strani, poco attraenti o dove mai ti aspetteresti di trovarlo » Castiel spiegava guardandosi intorno e sfiorando ogni tanto il volto di Dean con gli occhi ma senza mai soffermarcisi davvero.

« Forse sto esagerando » disse interrompendosi di colpo.

 

« No. No. Continua » disse Dean improvvisamente incurvato su se stesso, con le braccia appoggiate sulle ginocchia sotto di lui e con la tazza tra le mani ancora piena. Negli occhi aveva puro interesse.

 

Castiel sorrise inaspettatamente e riprese « Come vedi Auden sembra aggiungere sempre più cose alle varietà dell'amore e di come esso viene espresso. Guarda lo schema » disse avvicinandosi al divano e, piegandosi, dando le spalle a Dean « La continuità non è regolare. Le strofe seguono un'ordine di rime ABABCDCD abbinandolo alla ripetizione di “O dimmi la verità sull'amore”».

 

« Quindi rimarca l'idea del disordine che è l'amore stesso » riprese il discorso Dean,

 

« Esatto » disse girandosi e con gli angoli della bocca che andavano sempre più ad alzarsi « Dona confusione e mostra quanto può essere vario e inaspettato questo tema. Solo alla fine si chiede come l'amore potrebbe entrare nella sua vita ma, nuovamente, non si da una risposta . Perchè la verità sull'amore non è esprimibile » concluse.

 

« Meno male che ricordi “qualcosina” » disse rimarcando ancora la virgolette con le dita.

 

« Ti ho tenuto davvero troppo tempo. Scusami »

 

Dean lo guardò ancora incurvato verso di lui « Per me sei stato illuminante ». Castiel riprese ad arrossire visibilmente rifuggendo il suo sguardo quando gli prese il libretto dalle mani « Ti dispiace se la leggo per intero? » Lui in risposta annuii con la testa e Dean lesse il tutto pacatamente e con una cadenza della voce, meno roca della propria, che a Castiel sembrò più adatta alla lettura. Fin'ora la voce di Dean era piuttosto diretta e, nel parlare, le frasi e le parole erano mangiucchiate e dette con fretta e velocità. Quella poesia la lesse perfettamente.

 

« (...) Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre mi sto grattando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta,
o là sull’autobus mi pesterà un piede?
Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore »

 

ci fu silenzio per qualche secondo.

 

« Mi piace » disse infine « Mi piace davvero. Ma sai cosa mi piace ancora di più? »

 

Castiel fece no con la testa mentre prese l'ultimo sorso di tè.

 

« Questa … cosa » disse muovendo la mano tra loro due in movimenti retti, con il palmo aperto e le dita unite. « Questo nostro.... incontrarci a quest'ora, a bere tè e a parlare di... cose.» ripeté mandando a fanculo l'intero piano per il recupero della mascolinità « Mi piace parlare con te. Anche se è solo la seconda volta ».

 

« Non puoi essere serio » disse allontanandosi di colpo.

 

« Sono mortalmente serio » Disse e, senza pensarci troppo, afferrò le gelide mani di Castiel e gentilmente lo avvicinò verso il divano. Castiel aveva le ginocchia appoggiate a terra, verso di se, il viso preoccupato e imbarazzato di un bambino ma gli occhi di qualcuno che aveva vissuto troppo. Allungò la testa verso la sua e si fermò.

Per Dean, quello era un sentimento che davvero non voleva provare o nominare.

Fu lo stesso sentimento a fermarlo. Bloccarlo dalla testa ai piedi con una mano in quella di Castiel e l'altra sulla sua spalla a toccare la camicia azzurrina. Riuscì ad aprire la bocca, come se volesse davvero dire qualcosa, ma finì solamente per fissarlo, vacuo e con la bocca mezza aperta che sembrava potesse staccarsi dal viso da un momento all'altro.

 

In quel momento per Castiel, tutte quelle ridicole canzoni e poesie dell'amore, acquisirono senso e in un attimo si sentì travolto da fiumi di lava bollente.

 

Cosa stesse facendo o cosa lo avesse spinto ad afferrargli la mano per avvicinarlo non riusciva a capirlo. Al momento non era poi troppo importante rispetto all'allarme rosso che gli girava come una trottola in testa e che continuava a ripetergli la sciocca domanda - come esco da questa situazione di merda? -. Strinse gli occhi e, chiudendo la bocca, fece un piccolo sorriso tirato. Mantenendo la calma spostò la propria mano dalla spalla di Castiel e, allungando un dito, gli diede un piccolo buffetto sulla guancia.

 

« Moccioso. Non do così facilmente complimenti, quindi fidati quando dico che sei fantastico »

 

« Non lo hai detto »

 

« Eh? »

 

« Hai detto che ti piaceva la poesia. E parlare con me. Non che sono “fantastico” » continuò.

 

« Era... insomma. Sottinteso » disse sopprimendo tutta la tensione che si era creata pochi secondi prima passandosi una mano sui capelli castani e volgendo la testa al cielo, spostandola di lato.

 

« Lo pensi davvero? »

 

Dean spostò solo lo sguardo verso di lui tenendo ancora la mano sinistra sulla propria nuca. « Devo ripeterlo? Perchè non lo farò ragazzino » rispose sbuffando e prendendo un sorso del tè che aveva abbandonato da un lato. La velocità del gesto non fece altro che farglielo andare di traverso e farlo tossire rumorosamente.

Castiel sorrise e assecondò la richiesta di Dean « Se vuoi possiamo parlare ancora » continuò in tono vago ma con il cuore che ancora andava a mille, mettendosi a gambe incrociate e senza però spostarsi dalla posizione in cui era « Cosa ne dici di Shakespeare? »

 

Dean gli sorrise con un ghigno « E andiamo ».

 

°

 

Parlarono ancora per ore, tirando fuori gli argomenti, ed i libri, più vari e distinti dai diversi e disordinati scaffali della casa-biblioteca. Ore, che a entrambi, parvero pochi secondi.

Dean aveva finito per occupare dittatorialmente il divano mentre, Castiel, vi stava appoggiato con la schiena dal pavimento. Dean illuminava lo sguardo alle varie spiegazioni, nei momenti nel quale non era impegnato a definire “una gnocca senza paragoni” Elizabeth Bennett o a discutere sulle stupide scelte di trama nella trasposizione cinematografica del signore degli anelli. Castiel scoprì così che 1) Dean VENERAVA il signore degli anelli, 2) Diventava irritabile quando gli si faceva presente di non aver visto un film, 3) Minacciava di farvelo vedere di conseguenza, 4) Non comprendeva come Castiel potesse vivere di surgelati e preparati per risotti e 5) Non sopportava i Jefferson Starship. Fu dopo aver sferrato l'ultimo insulto verso di loro che crollò addormentato sul divano, ancora vestito e con “Il Silmarillion” di Tolkien aperto sul petto.

 

Castiel lo osservò respirare lentamente sul vecchio divano, tra i libri e la polvere. Fu in quel momento che, improvvisamente, si rese conto di quel piccolo sentimento che, quella notte, aveva occupato gran parte del suo cuore. Non si sentiva diverso rispetto a ieri, o rispetto al loro primo incontro ma, la differenza, stava in una sensazione di bilanciamento, come di un improvviso riordinamento interno che era andato a formarsi subito dopo aver realizzato tutto, andando a sistemare il disordine che si era formato e, in uno schiocco di dita, ridonandogli chiarezza e lucidità.

 

Questo spiegava tutto. Tutti quei sentimenti provavano un'unica possibile soluzione. Che, questa cosa sconosciuta, strana, a tratti davvero fastidiosa e illogica, ma rasserenante e calda, doveva essere amore.

Appoggiò entrambe le braccia incrociate sul bordo del divano. Gli occhi stanchi e appisolati, che dolcemente accarezzavano la figura di Dean, presto iniziarono a vedere tutto un pochino più sfocato e, in un soffio, si chiusero. - Tutto è più chiaro adesso -

   
 
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