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Autore: Arydubhe    11/01/2016    0 recensioni
Ciao a tutti! Questa ficcy è dedicata alla mia coppa preferita di FT, la Gale! La storia si propone come una summa della loro intera storia dal loro primo incontro...fino a dove il manga ancora non è arrivato (ma si spera arriverà). Come procede la loro storia vista dai loro occhi? Quali sono i loro pensieri e come evolvono i loro sentimenti? Ma soprattutto come hanno fatto i nostri due beniamini a finire per lavorare per il concilio? Cosa è successo durante l'anno in cui la gilda è stata chiusa? Cosa ci riserva il loro primo bacio e quali saranno le conseguenze di qualche incidente piuttosto hot? questo e tanto altro vi aspettano! Leggete e lo scoprirete!
Dalla storia:
"Dal diario di Levy MacGarden
[...]Dopodichè Gajeel se ne è andato, salutandoci, già girato di spalle.
“Strafottente” ho pensato. Ma stavo ridendo.
Non era proprio tutto ciò che da lui avrei voluto sapere; non era niente, anzi, rispetto a quello che avrei voluto chiedergli, ma non ne avevo la forza. Vedevo Gajeel che trotterellava pian piano lontano da noi, eppure non trovavo la voce per parlare.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Lucy Heartphilia, Pantherlily, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Ho lasciato che un angelo si allontanasse

Dai pensieri di Gajeel

Solo quando Levy sul suo carro fu sparita all’orizzonte ebbi modo di accorgermi che davvero, da quel momento in avanti, tutto ciò che mi rimaneva di lei sarebbero stati una manciata di sbarrette di ferro e un suo libro.
Ma non lei.
 
L’avevo lasciata andare…neanche io sapevo bene perchè. Certo, per la carità, era giusto che seguisse la sua strada…ma era così improbabile che questa potesse correre perlomeno parallela alla mia?
 
La realtà era che non ci avevo neanche provato.
Anzi avevo fatto di peggio: dopo tutti quei mesi passati ad atteggiarmi a suo cavaliere, ora che la gilda chiudeva l’avevo abbandonata lasciandola in balìa del mondo. Lei. Così piccola e indifesa, anche se con un cuore grande e coraggioso.
Proprio un vero uomo…chissà cosa avrebbe detto Elfman se avesse saputo come mi stavo comportando…
 
Non che io avessi grandi progetti in mente.
Di sicuro, da quanto mi sembrava di aver capito dalle sue parole, Levy aveva le idee estremamente più chiare di quante non le avessi io. Non dubitavo, per quanto mi riguardava, che una maniera per tirare aventi l’avrei trovata; del resto sopravvivere era il mestiere che mi riusciva meglio sin da quando ero ancora un bimbetto.
...Era alla vita vera che mi sembrava di aver detto addio, lasciandola partire.
 
Di una cosa ero certo: saperla di non vederla più, neanche si sapeva per quanto, forse addirittura mai più, era un pensiero che mi straziava.
Perché ora che con quel carro aveva imboccato la strada che la portava lontano da Fairy tail, non v'era più alcun dubbio che le nostre strade si erano irrimediabilmente searate.
Ne avevo prese di botte, in vita mia –anche se mai quante ne avevo date hihih.
Avevo sofferto fin troppe volte per la separazione dalle persone a cui mi ero affezionato…
Ma sapere che da quel momento in avanti non avrei più avuto nessuna Levy al mio fianco con cui battibeccare…era un dolore imparagonabile. Superava i pugni dei dragonslayer, le maledizioni dei demoni di Zeref, superava tutto.
Soffrivo, perché adesso era vero, Levy non c’era, non era più una eventualità che paventavo nei miei incubi.
Stavo male come non mai.
Eppure la lasciavo andare...

Che poi perché le avevo concesso di partire?
 
Ah già, la ragazza e l’uomo-drago bla bla bla.
Era un discorso che mi ero fatto mille volte e sapevo a memoria. Era quello il vero motivo per cui ancora una volta ero rimasto a guardare Levy da un angolo, quasi impaurito al pensiero di avvicinarmi troppo a lei. Intimamente dovevo ancora convincermi di essere degno di lei. Sotto sotto ancora mi vergognavo di provare nei suoi confronti- così giovane, innocente e pura- desideri e pensieri che erano tutto meno che innocenti e puri.
Pensavo ancora che Levy avrebbe meritato qualcuno più morigerato e timorato di dio piuttosto che…be’ me. Magari un ragazzino sveglio, ma amante dei libri, intelligente, che la facesse ridere e le tenesse testa nei suoi discorsi filosofici…uno che fosse insomma la mia negazione, la mia nemesi. Il sangue e l’avventura bollivano nelle mie vene.
Non esattamente una prospettiva di sicurezza per una ragazza così coscienziosa e dalle idee serie come lei.
L’avevo lasciata andare perché sapevo di non essere adatto a lei, che si meritava di più.
Sapevo che per quanto avessi provato a cambiare-perchè ero pronto anche a quello, nel caso-, molto probabilmente uno come me non sarebbe mai stato l’uomo giusto per una ragazza così speciale.
 
Ma era questo davvero un buon motivo per non provare nemmeno ad amarla?
Non era troppo tardi per correrle dietro e fermarla, non era troppo tardi per chiederle di venire con me…o di portarmi con lei. Sì, anche questo sarei stato disposto a chiederle.
Ma la paura che un “noi” tra me e Levy fosse sbagliato restava ferma nella mia mente e mi bloccava.
Sapevo fin troppo bene che lei non stava aspettando altro che un “noi”, che però io, ora come ora, non potevo darle.  Sapevo benissimo che lei, in quel “noi”, ci credeva veramente.
Ero io a non riuscirci.
Al momento, non avevo neanche l’onestà di riconoscere a me stesso di amare perdutamente quella ragazza…follementem completamente, senza speranza di ritorno…e tuttavia non riuscivo a dirmi che che andava bene così.
Ma come potevo davvero sperare che funzionasse tra noi due? Sarei stato solo un egoista a credere di poterla fare mia, a desiderare di averla.
Ero io ad essre sbagliato per lei, mi dicevo, era il mio amore per lei a non avere diritto di esistere. E sebbene lei lo bramasse, quell’amore, io mi ostinavo a rifiutarlo proprio per questo.
Allontanarla ora era stato l’ultimo passo delle mia risoluzione, che credevo sacrosanta e giusta.
 
Avrei fatto di tutto per incontrarla di nuovo, prima o poi; per allora però -promettevo a me stesso per giustificarmi, per convincermi che nel mentre anche senza Levy avrei potuto farcela ad andare aventi- sarei stato pronto.
Pronto a fare l’uomo davvero, a farle capire cosa provavo e a prendermi la responsabilità della cosa. Per allora sarei stato un uomo migliore. Sempre che per allora lei mi avesse ancora voluto.
E nel caso avrebbe comunque fatto solo bene a rifiutarmi.
Non so cosa speravo di cambiare in me per allora, come pensassi di diventare più “adatto a lei”, ma come ora non ero pronto a dirle "sì", alla stessa maniera non ero pronto a rinunciare a quella speranza. La realtà credo fosse semplice: l’unica cosa che mi permetteva in quel momento di farla partire davvero, di allontanarla da me come la ragione voleva, senza dire niente, abbracciarla, baciarla o urlarle contro per trattenerla, era quello di raccontarmi la storiella che quel “noi” era sbagliato solo per adesso, ma forse un giorno avrebbe avuto il diritto di diventare realtà.
 
Con questo pensiero ero riuscito a nascondere dietro a sguardi ironici e ghigni il mio dolore nel vederla partire ancora fino a qulche minuto prima.
E avevo fatto bene, mi diceva la testa.
Ero stato un imbecille, mi diceva il cuore: mi ero sentito morire dentro a ogni secondo, mano a mano che la sua partenza si avvicinava, in tutti quei giorni, fingendo con me stesso un po’ che non fosse vero un po’ che non me ne doveva importare.
Perciò non avevo fatto niente, avevo fatto passare semplicemente i giorni e via.
Ogni tanto la cercavo con lo sguardo, dimidiato tra il desiderio di lasciarla libera e di legarla a me per sempre. E per ogni volta che pensavo di essere pronto a dirle addio, mi accorgevo di quanto il mio cuore si colmava nel vederla di nuovo, ancora, comunque, per adesso, lì.
Ma la realtà era che io nei giorni precedenti ero stato schivo, ero rimasto a crogiolarmi nel mio dolore e nei miei dubbi come neanche da bambino ero solito fare; solo che mentre io me ne stavo a dialogare con me stesso senza risolvere niente, il mondo attorno a me non aveva affatto smesso di girare.
Levy non aveva smesso di vivere la sua vita per aspettare me e i miei comodi.
Mi ero illuso che non dicendole niente avrei rimandato l’addio; quasi che a non chiederle nulla su “cosa intendesse fare” potesse servire a non farla decidere davvero, decidere qualunque tipo di cosa, specie se la sua risoluzione l’avrebbe portata a partire per chissà dove.
Mi ero quasi convinto che fosse una strategia degna di questo nome, anziché un modo per evitare di affronatre il problema.
 
Per questo la partenza di levy, avvenuta così di punto in bianco, mi aveva colto di sorpresa. Ma a ben vedere avrei avuto poco diritto di esserlo: l’avevo vista fare preparativi su preparativi, era ovvio che srebbe andata da qualche parte. Ero io a non avere avuto nemmeno in quei momenti il coraggio di avvicinarmi e tirare fuori le palle per chiarire tutto quel tira e molla ci ci stavamo lasciando dietro a un "Ciao, addio". Era stata la strada più facile, ma non certo la più giusta nè la più intelligente.
 
Intimamente, nel vederla partire, quel giorno, non avevo potuto che chiedermi quale fosse il senso di una partenza.
Aveva rinunciato all’amore per me, alla fine?
Se sì, avevo ottenuto quello che volevo, giusto? Salvarla da me.
E allora perché avevo il vuoto dentro?
 
E io, come avrei dovuto reagire nel sapere che il nostro era un addio? Essere felice o no?
Se mi fossi finto indifferente forse si sarebbe offesa, forse avrebbe pensato che l’avevo presa in giro per tuto quel tempo; eppure se mi fossi mostrato dispiaciuto avrei potuto minare la sua risoluzione, che con tutte le mie forze e mesi di impegno la vevo spinta a prendere.
Certo, se avessi mostrato i miei veri sentimenti mi sarei attaccato disperato alle sue gonne(lline), urlandole di restare. Però era per il suo bene che avevo deciso di agire così, quindi non avrei dovuto mostrare il benchè minimo sentore di amore. No?
Se davvero per il suo bene avevo deciso di lasciarla andare, allora avrei dovuto essere felice di sapere che adesso lo avrebbe ottenuto, quel bene…anche se alla fine io potevo dirmi tutto meno che felice.
 
Perciò davanti a quel carro avevo fatto il duro, sciorinato battute…quando invece lo avrei smantellato a morsi e mi sarei caricato Levy a spalla urlandole “Non osare allontanarti da me, gamberetto!”.
Quando più mi sarebbe capitato di chiamarla “Gamberetto”?
 
Non so quanto tempo fossi rimasto fuori a contemplare la strada.
A un certo punto notai un sassolino che giaceva di fianco al mio piede e lo calciai con tutta la forza che avevo nella direzione in cui il carro di Levy era sparito.
“Ecco, è così che sono fatto io- urlava una voce dentro di me- Perché devo sempre rovinare tutto?”
 
Con questa domanda in testa rientrai a Fairy Tail per riprendere la ricerca del ferro per le mie scorte. Guardai per un altro buon quarto d’ora la montagna di barrette della solid script di Levy. Le presi in mano a manciate, sfiorandole. Aveva pensato proprio a tutto, quella ragazza, anche a un formato portatile.
Niente di meno ci si poteva aspettare da Levy MacGarden.
Snack al ferro…nel senso vero della parola.
 
Me ne stavo rigirando un paio tra le dita quando mi accorsi che c’era qualcosa di strano in quelle scritte. Le guardai più da vicino e impallidii di fronte a una scoperta che lì per lì fu fulgorante. La “o” di “iron” non era una semplice apertura tonda. Era…un cuore.
Ero rimasto a bocca aperta.
Mi passai le mani tra i capelli e dovetti trattenere l’istinto di rifilarmi un pugno da solo.
Per sfogo, lo piazzai contro il muro, che si riempì di crepe e microfratture sgretolando l’intonaco. Come se quella povera gilda avesse avut bisogno di altr minacce alla sua precaria solidità...
Farle del bene? Io la stavo uccidendo quella ragazza!
 
Ci aveva provato, davvero, fino all’ultimo, Levy. Mi aveva in pratica implorato di fermare la sua partenza a ogni secondo della mia conversazione con lei.
E io l’avevo coscientemente ignorata, facendolo peraltro così bene da non accorgermi nemmeno dei messaggi che mi mandava.
Ma solo adesso lo avevo capito: lei non sarebbe mai stata felice finchè non le avessi permesso di amarmi. Allontanandola da me non la avrei dissuasa dal suo amore, l’avrei solo lasciata sola con la delusione e la disillusione.
 
Dallo stipite della porta, Panther Lily, svolazzando a mezz’aria, mi stava guardando severo.
Pichiettava il gomito con il dito, a braccia conserte, tra l'irritato e losconsolato.
Aveva visto anche lui le lettere, aveva assistito al nostro addio.
“Te lo devo proprio dire?” mi chiese semplicemente.
Mi aveva già detto sin troppo nei giorni precedenti su come la pensasse tra me e Levy, tutto quel macello per lui era solo stata una conferma di come lui avesse ragione e io fossi un testone completamente in torto. E ora era un fatto evidente anche per me.
“No” gli risposi secco, stringendo tra le mani una barretta un pelo più grossa delle altre.
Non c’era altro da aggiungere.
Ero un cretino.
Al diavolo tutte le mie paturnie!
Dovevo fermarla.
 
Lasciai tutto lì com’era, gli scatoloni della mia roba sparsi per quello che rimaneva della gilda e Lily a fare la guardia.
Potevo farcela.
Levy aveva detto che sarebbe andata dall’altro lato della città, no? Parlavamo di una manciata di chilometri appena insomma, niente di insormontabile.
Aveva parlato di una stamperia…? Be’ non era stata molto chiara al riguardo, ma Magnolia non era così enorme, non potevano essercene che un pugno in giro.
Dovevo capire dove stava andando.
Se mi fossi sbrigato magari l’avrei pure beccata per strada.
 
Cominciai a fermare gente a caso alla ricerca di informazioni. Gli altri membri della gilda non sapevano molto nemmeno loro nè dei piani di Levy nè dell'inidirizzo di alcuna stamperia. Spaventai anche qualcuno nel mentre, nella mia furiosa ricerca: dovevo avere una faccia da assatanato, penso. Racimolai tre o quattro indicazioni utili e mi misi in marcia per ritrovare Levy. Dovevo far presto e cominciare a muovermi subito.
Avrei investigato pian piano, mi sarei avvicinato a lei passo dopo passo, avrei compiuto svolta dopo svolta quei passi che in tutti quei mesi che avevo potuto…no, non avevo voluto compiere.
 
Nella mia testa frullavano solo insulti e incitamenti alla fretta.
Implicitamente l’avevo rifiutata, più e più volte, per farla desistere dall’amarmi.
Nonostante tutto, lei non aveva mai perso la speranza, neanche alla sua partenza. Lei ce l’aveva messa tutta per fermi capire cosa provava, e io invece…ma che imbecille ero stato a volermi a tutti costi convincere di non essere l’uomo giusto per lei e tutte quelle cazzate?
Sì non me la meritavo quella ragazza, emanon perché era un drago, bensì perché ero un coglione che non capiva un cazzo di donne.
E da coglione come ero solo ora capivo che nonostante tutto andavo benissimo così.
Dovevo sbrigarmi, sbrigarmi, sbrigarmi a trovarla!
 
Dopo qualche ora, dopo parecchi passanti fermati, parecchi chilometri camminati invano, dopo aver scioccato parecchia altra gente che mi aveva visto annusare muri e strade alla ricerca di una pista, come un cane da fiuto, arrivai a una stamperia che, se tanto mi dava tanto, era quella di cui Levy mi aveva parlato. Stamperia Fairy Tales.
Già dal nome mi pareva un posto dove trovare Levy non sarebbe stato poi così inverosimile. Pareva inoltre da avvisi sparsi tutt’attorno che lì stessero cercando personale.
 
“Levy!” mi misi a urlare totalmente a caso.
Speravo che la porta si spalancasse e Levy mi piombasse tra le braccia a mezzo tra il sorriso e il pianto. Al terzo urlo la porta effettivamente si aprì e mi trovai davanti un individuo di fatto paragonabile in altezza a Levy, ma per il resto più simile a Makarov.
 
Il vecchietto sembrava piuttosto stizzito: “Signore si può sapere chi cerca urlando davanti alla mia porta? Qua dentro c’è gente che lavora e necessita concentrazione!”
“Sì, buon uomo, mi scusi…ma avete assunto qualcuno di recente?”
Il signore mi squadrò, evidentemente considerandomi strano.
“Ah guarda se arrivi per il posto, mi dispiace, ma lo abbiamo assegnato proprio mezz’oretta fa circa. Un tipino proprio a modo, ci sta già dando dentro….Però a vederti non mi sembri proprio un topo di biblioteca…” disse indicando il libro che avevo in mano. Era il libro di Levy, che per tutto quel tempo non avevo mai posato.
 
Tipino a modo? Che già si sta impegnando? Doveva proprio essere Levy!
“No, infatti, non sono qui per il posto, niente mal convive come me e i libri…- risposi- tuttavia ho ragione di credere che io stia cercando proprio la persona che avete assunto…potrei…avere un momento per parlare con lei?”
“Sì certo non vedo problemi…anche se mi chiedo quali affari potreste avere in comune…”
Nessun apparente affare in comune? Doveva sicuramente essere Levy. Ne ero persuaso.
 
Quando la porta si riaprì la mia delusione fu perciò enorme.
Avevo davanti effettivamente un tipino; questo sembrava pure abbastanza effeminato a dirla tutta; ma di certo non era la mia Levy. Niente capelli azzurri, niente fascia nei capelli. Solo brufoli e un enorme paio di occhialoni. E soprattutto era un lui.
“E’ lei che mi cerca?” chiese con vocetta stridula. Per un secondo mi resi conto di quanto dovessi ringraziare il cielo che la mia Levy, pure indiscutibilmente un topo di biblioteca, fosse lontana anni luce da una visione così poco…celestiale.
 
“No. Mi sono sbagliato” mi limitai a ribattere, desideroso di andarmene il prima possibile e levarmi dall’imbarazzo. Avevo sbagliato pista. Come segugio facevo schifo.
“Signore –mi sentii chiamare dal brufol…frugoletto-se sta cercando una ragazza non tanto alta, coi capelli azzurri, che era arrivata con un carro, effettivamente è stata qui. Si era presentata come me per le selezioni per il posto, ma poi non avevamo neanche iniziato che è arrivato un tale con un cappotto nero e incappucciato che si è messo a parlare con lei; non so cosa si siano detti, ma la ragazza è venuta da me a dirmi che aveva deciso di non concorrere per il posto e dopo aver caricato questo tale sul carretto se ne sono andati”
 
“Che diavolo…?”
Avrei sputato fuoco in quel momento, ma dovevo razionalizzare.
Utile in frugoletto, dovevo riconoscerlo.
Peccato che le sue notizie non portassero nulla di buono.
Uno: Levy se ne era andata e stavolta davvero non sapevo dove.
Due: se ne era andata via con uno…e non sapevo chi.
Era un 50:50 su quale delle due cose mi facesse imbestialire di più. Il fatto che il tale con cui se ne era andata fosse però, appunto, UN tale forse vinceva di qualche punto.
Chi era ‘sto tizio adesso?
 
“E dimmi, sai anche indicarmi dove sono andati?”
“Non so esattamente dove fossero diretti…non sono stato ad ascoltare i loro discorsi perché non volevo farmi gli affari altrui, ma posso dirti che con il carro sono andati per di là” disse puntando il dito in direzione Est.
Perfetto. In direzione del bivio per le prossime due vicine città. Altro bel 50:50.
 
“Be’ se non c’è altro noi rientreremmo, signore” disse il vecchietto e lui e il ragazzino fecero per entrare.
Li ringraziai e salutai con un cenno.
Al bivio ero io e senza neanche essere già arrivato alla diramazione  per Ibis e Rosengarden.
Era stato un incontro fortuito, quello con il tipo vestito di nero. Il ragazzino mi aveva fatto capire che Levy intendeva veramente provare a trovarsi quel posto alla stamperia prima di quell’incontro.
Era stato quel tale invece a convincerla a fare altro.
Dove viavolaccio potevano essersi diretti?
 
Mi misi ad annusare l’aria attorno a me. C’era un odore che riconoscevo, un odore che immaginavo fosse di quel lui di cui stavo cercando di accertare l’identità. Del resto, dubitavo che Levy si facesse trascinare chissà dove da chicchessia.
Almeno da cosciente.
Ma di chi era quest’odore…?
Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare.
Un uomo…
Vestito di nero e incappucciato…
Non c’era speranza di cavare fuori alcunchè da quelle poche informazioni…
Strinsi il libro che Levy mi aveva dato e che per tutto quel tempo non avevo mai posato.
Nell’altra mano la barretta di ferro.
 
Avevo il suo libro. Il suo solid script.
Lei però l’avevo lasciata andare.
Levy l’avevo persa, stavolta per davvero.
 
I am insensitive, I have a tendency

To pay more attention to the things that I need.
Sometimes I drink too much, sometimes I test your trust,
Sometimes I don't know why you stay with me.

I'm hard to love, hard to love,
No, I don't make it easy,
I couldn't do it if I stood where you stood.
I'm hard to love, hard to love,
You say that you need me,
I don't deserve it but I love that you love me, good.

I am a short fuse, I am a wrecking ball
Crashing into your heart like I do
You're like a Sunday morning, full of grace and full of Jesus
I wish that I could be more like you.

I'm hard to love, hard to love,
No, I don't make it easy,
I couldn't do it if I stood where you stood,
I'm hard to love, hard to love,
You say that you need me,
I don't deserve it but I love that you love me, good.
Love me, good.

Girl, you've given me a million second chances
And I don't ever wanna take you for granted,
I'm just a man, I'm just a man

Hard to love, hard to love,
Oh, I don't make it easy
And I couldn't do it if I stood where you stood.
I'm hard to love, hard to love
And you say that you need me,
I don't deserve it but I love that you love me, good,
You love me, good.

You love me, good.


Lee brice -Hard to Love

------------------------author's corner--------------------
Sì mi piace farvi penare, ma mi paiceva l'idea di farvi vaedere la storia procedere un pochino stavolta nuovamente dal punto di vista di Gajeel.
Ecco quindi questo micro-capitoletto con le paturnie di Gajeel.
Galeotto furono le barrette, insomma, mi pare di poter dire.  E così finalmente anche quel tardone di Gajeel ce l'ha fatta a capire che deve smetterla di rifiutare Levy.
Ora bisogna capire se e come e quando la incontrerà.
Vi dico solo "concilio". 
E con ciò spero di spingervi a leggere il prossimo capitolo...ne vedremo delle belle...roba che Mashima non è stato cos' gentile da spiegarci.
Che aggiungere...alla prossima :D
  
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