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Autore: hotaru    14/03/2009    5 recensioni
Con questo tempo, in questa bufera,
mai avrei fatto uscire i bambini
Li hanno portati fuori
Io non riuscii a dir nulla

- Aniki! – chiamò un bambino dal colorito estremamente pallido, quasi bluastro, cercando con gli occhi il fratello – Aniki, aspettami!
Fra i tronchi e le fronde degli alberi migliaia di ombre avrebbero potuto essere la sua, qualunque crepitio del sottobosco avrebbe potuto essere stato provocato da un suo passo. Il bambino si fermò, non sapendo più da che parte voltarsi. Preferendo quindi aspettarlo.
E non dovette attendere molto, perché una mano giunse subito a stringere la sua.
- Ogni volta la stessa storia, otouto –
Terza classificata al contest "Kindertotenlieder" indetto da Sasori e Deidara
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga, Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Der Geist des Sturmes- Il fantasma della bufera

Allora… La storia è idealmente ambientata in un punto imprecisato della Germania di fine Ottocento.
Nonostante tutto, dal mio punto di vista Neji e Sasuke sono abbastanza IC: innanzitutto perché, come abbiamo visto in qualche flashback, da bambini erano molto diversi, e poi per altri motivi. Ad esempio, Neji si comporta come un bambino “normale” perché non è un ninja e non ha alcun motivo di risentimento verso il resto della famiglia, dato che qui il problema della divisione delle casate non c’è.
Ciò non toglie che ciascuno di noi abbia, alla fine, la propria visione di un dato personaggio, specialmente per quel che riguarda il “non detto”: io li interpreto così, qualcun altro potrebbe farlo in maniera diversa.
Detto questo, vi lascio alla lettura e vi invito a commentare.

Der Geist des Sturmes- Il fantasma della bufera

Der Geist des Sturmes


Con questo tempo, in questa bufera,
mai avrei fatto uscire i bambini
Li hanno portati fuori
Io non riuscii a dir nulla

-         Eccolo di nuovo – mormorò il mugnaio mentre si accingeva a chiudere per bene le finestre del suo mulino. Il vento stava aumentando, sospingendo nuvole scure, cariche di pioggia, che si facevano ogni momento più vicine.
-         Papà – chiamò timidamente una bambina dai corti capelli neri e gli occhi chiarissimi, il respiro un po’ trafelato per la corsa – La mamma mi ha mandato a chiederti se puoi venire a casa, dice che è preoccupata…
-         E ha ragione – disse l’uomo, chiudendo bene ogni fessura per evitare che l’acqua entrasse e bagnasse la preziosa farina – Riprenderò domani, è comunque tardi…
Impegnato a sistemare ogni cosa, l’uomo non si era accorto che la figlioletta, una bambina di sette anni, si era voltata verso la foresta poco distante senza più dire una parola. Gli occhi assenti, sembrava quasi in uno stato di trance, attentissima a percepire qualcosa che le era parso molto strano…

-         Hinata! – la scrollò il padre, con fare severo – Che stai facendo?
La bambina sussultò, lo sguardo quasi colpevole di chi sta facendo qualcosa che non dovrebbe.

-         Io… - mormorò, per poi sbattere nuovamente le palpebre e farsi ancora più attenta – Papà… non senti qualcosa anche tu?
-         Certo – fece l’uomo, stringendo gli occhi circospetto – Il vento. Si sta facendo sempre più forte.
In qualunque altra circostanza la piccola si sarebbe ben guardata dal contraddire apertamente il padre, ma un ulteriore soffio di vento la rese più sicura, e disse piano:

-         Non è il vento. Non lo senti… c’è qualcuno… qualcuno che sta cantando…
Hiashi Hyuuga afferrò la mano della figlia e la trascinò deciso verso casa. Qualunque altra bambina avrebbe protestato vivacemente, invece Hinata si sentì subito in colpa, anche se non aveva capito che cosa avesse detto di sbagliato per far arrabbiare così il padre. Non sapendo come rimediare, non trovò niente di meglio da fare che starsene zitta e buona fino a casa.

 
-        
Aniki! – chiamò un bambino dal colorito estremamente pallido, quasi bluastro, cercando con gli occhi il fratello – Aniki, aspettami!
Fra i tronchi e le fronde degli alberi migliaia di ombre avrebbero potuto essere la sua, qualunque crepitio del sottobosco avrebbe potuto essere stato provocato da un suo passo. Il bambino si fermò, non sapendo più da che parte voltarsi. Preferendo quindi aspettarlo.
E non dovette attendere molto, perché una mano giunse subito a stringere la sua.
-    Ogni volta la stessa storia, otouto – gli rispose una voce che avrebbe voluto essere di rimprovero, ma che suonò piuttosto come uno sbuffo rassegnato – Adesso vedi di muovere quelle gambette corte che ti ritrovi, d’accordo?
In un’altra circostanza il bambino avrebbe gonfiato le guance e messo il broncio per quel commento rivolto alle sue “gambette corte”, ma in quel momento annuì vigorosamente.

-         Questa volta ce la faremo, non è vero aniki? – chiese fiducioso.
-         Sì, questa volta ce la faremo – ripeté il più grande, in tono tutt’altro che ottimista – Ce la faremo, otouto. 

Con questo tempo, in questo nubifragio,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei temuto che si ammalassero.
Ma questi ora sono solo pensieri inutili. 

-         Siamo a casa – annunciò Hiashi non appena rientrarono, giusto in tempo prima che violenti scrosci d’acqua iniziassero ad abbattersi contro la casa.
-         Oh, grazie al cielo! – fece la moglie, distogliendo gli occhi dal latte che bolliva e recuperando una Hanabi di due anni che stava pericolosamente cercando di arrampicarsi su una sedia un po’ traballante – Scusami se ho mandato Hinata a chiamarti, ma quando ci sono questi temporali…
-         Non devi preoccuparti, sarebbe stato comunque impossibile lavorare, visti il vento e la pioggia…
-         Sei strana, cos’hai?
-         Se ti dico una cosa, prometti di non rivelarla a mio padre?
-         Manterrò il segreto, tranquilla.
-         Non senti la canzone del vento?
-         … cosa?
-         Ehi, voi due, cosa state confabulando? – chiese Hiashi con voce fintamente severa alla figlia e al nipote, per poi aggrottare le sopracciglia quando notò gli sguardi colpevoli che i bambini gli avevano rivolto – Hinata, cosa stavi dicendo a tuo cugino?
-         Ecco, io… - cominciò la piccola, in evidente difficoltà.
-         Non mi stava raccontando niente di importante – le venne in aiuto l’altro, di un anno più grande – Solo che non aveva mai visto un temporale così, e ha un po’ di paura.
L’uomo lo guardò, distendendo la fronte.

-         Menti bene quasi quanto tuo padre, Neji. Ma con me non funziona, i suoi trucchi li conoscevo tutti.
Il bambino abbassò la testa, non sapendo che dire, come ogni volta che qualcuno menzionava per caso suo padre. Nonostante fosse morto da qualche anno, parlare di lui lo stordiva ancora un po’, come i primi tempi in cui non c’era più.
Hinata se ne accorse, e questo le diede un po’ di coraggio.

-         Mamma, io l’ho sentita – disse, quasi supplichevole, all’indirizzo della madre – Qualcuno stava cantando, riuscivo a sentire anche qualche parola…
La donna non sembrò considerare neppure per un momento che quella potesse essere l’innocente fantasia di un bambino, e domandò subito guardinga:

-         Chi cantava, Hinata?
-         Era la voce di una donna – continuò la bambina – Una voce molto dolce, ma tristissima. Sembrava quasi che stesse piangendo, ma ho sentito qualche parola come “bufera” e “bambini”…
Hinata si bloccò subito, spaventata dall’espressione di paura che era improvvisamente comparsa sul volto della madre.

-         Mamma… cosa…? – non fece in tempo a chiedere, che la donna le prese il viso tra le mani, guardandola fisso negli occhi.
-         Non devi ascoltarla, Hinata, hai capito? – disse, cercando di contenere l’agitazione nella voce, ma ottenendo solo di spaventare ancor più la bambina – Quella voce… non è niente di buono, d’accordo?
La piccola annuì, gli occhi sbarrati, sgomenta per il comportamento della madre.

-         Adesso calmati – fece la voce profonda di suo padre, poggiando una mano sulla spalla della donna – Non è successo niente. Sono in casa, al sicuro.
La donna assentì, lasciando andare la piccola con un sospiro.
Fu la voce di Neji a rompere il silenzio che si era venuto a creare:

-         Perché non dovremmo essere al sicuro? – chiese, non riuscendo a reprimere la curiosità.
Per un istante temette di aver osato davvero troppo, vista l’occhiata penetrante che lo zio gli lanciò, ma tirò mentalmente un sospiro di sollievo quando quest’ultimo si voltò verso la moglie.

-         È giusto – disse – Meglio che lo sappiano, una volta per tutte.
La donna annuì, prendendo fra le braccia la piccola Hanabi, lo sguardo vagamente assente.
Quindi Hiashi si voltò verso gli altri due, facendo loro cenno di seguirlo e cominciando a salire la scala a chiocciola che portava al piano superiore, in realtà poco più di un sottotetto in cui si trovavano, tutti assieme, i vari letti.

-         Sedetevi qui – fece, sistemandosi sul letto matrimoniale che condividevano lui e la moglie. I bambini, ammutoliti per la gravità della sua voce, non se lo fecero ripetere due volte.
-         E adesso ascoltatemi bene. Quella che sto per raccontare non è una storia inventata per spaventarvi. È successa davvero.

 
-        
Aniki, la sento! – esclamò il bambino più piccolo, sorridendo. Il fratello notò come quel sorriso luminoso contrastasse in modo terribile con il colorito delle guance, in una combinazione decisamente macabra. Tuttavia cercò di non darlo a vedere, mentre il piccolo si  dondolava felice, abbarbicato a lui.
-         Sì, la sento anch’io – rispose senza scomporsi.
-         Ma non sei contento? – insistette l’altro, incredulo che il fratello maggiore ostentasse tanta freddezza.
-         Certo che lo sono. Però… otouto, non credi che fermarsi qui a ripetermi la tua felicità serva a gran poco? Non dovremmo continuare a camminare?
Il bambino si bloccò, colpito dall’assoluta verità di quelle parole. Non avevano un minuto da perdere e rischiavano di non farcela, per colpa sua.

-         Allora mettiamoci a correre – propose, supplichevole – Così recupereremo il tempo perduto e arriveremo prima.
-         Non c’è alcuna fretta, otouto – rispose il fratello prendendolo nuovamente per mano e ricominciando a camminare – Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.
-         Davvero? – chiese il piccolo, speranzoso. Allora non rischiavano di far tardi per colpa sua?
-         Tutto il tempo del mondo… - mormorò di nuovo il ragazzo più grande, in un sussurro che dalle sue labbra blu andò ad aggiungersi al fischio del vento, e al canto che stavano seguendo. 


Con questo tempo, un tempo spaventoso,
mai avrei lasciato uscire i bambini: 
avrei detto: Potrebbero morire!
Ma non vale più darsi pena per questo.

-         Ma è terribile – mormorò Hinata con le lacrime agli occhi, visibilmente scossa – E perché li avevano lasciati andare fuori?
-         Sembra che il padre volesse a tutti i costi terminare il lavoro e sistemare l’ultimo carico d’orzo al sicuro nel granaio, così portò con sé i due figli perché lo aiutassero a trasportarlo. Tuttavia il ponte non tenne…
-         Perché no? – saltò fuori Neji, che fino a quel momento non aveva detto una parola.
-         Era molto vecchio, e tutta la pioggia caduta in quei giorni aveva fatto marcire ancor di più il legno – rispose Hiashi - Oltretutto il carico era decisamente pesante, e sommato al peso di tre persone- anche se due erano solo un ragazzo e un bambino- dovette essere la goccia che fece traboccare il vaso. Il ponte non resse e crollò, trascinando via con sé padre e figli.
-         Ma prima hai detto che l’uomo si salvò… - ricordò Neji.
-         Sì, lui riuscì a salvarsi – annuì lo zio – Ma gli altri due furono trascinati via dalla corrente del fiume in piena, e non ci fu più nulla da fare. Vennero ritrovati soltanto qualche giorno dopo, ma era troppo tardi.
-         Erano annegati? – chiese ancora il bambino.
-         Esatto – fece Hiashi, per poi fermarsi un istante. Si chiese se fosse stata effettivamente una buona idea quella di raccontare ad entrambi quella storia, vista la natura impressionabile di Hinata e quella fin troppo propensa al macabro di Neji… ma ormai la frittata era fatta, tanto valeva concludere.
-         Il padre riuscì a tornare a casa, sano e salvo, e dopo qualche tempo riprese il proprio lavoro. Ma la moglie impazzì, incapace di accettare la morte dei suoi figli. Tanto che alla fine…
-         Morì di dolore? – chiese Hinata, ormai prossima ai singhiozzi.
Hiashi stava per dire che si suicidò, ma forse due bambini di sette e otto anni non avrebbero dovuto sentire la realtà di certe cose fino in fondo, e decise di modificare un po’ la verità.

-         Sì, morì di dolore. Ma si dice che qualche giorno prima avesse composto una canzone, una canzone che raccoglieva tutto il suo dolore. La cantava notte e giorno, sicura che i suoi bambini sarebbero riusciti a sentirla al di sopra del vento e, guidati da essa, sarebbero tornati a casa. Continuò a cantarla fino al momento della morte.
-         Quindi… la voce che Hinata ha sentito era la sua, mentre cantava la sua canzone! – esclamò Neji su di giri, per poi raccogliersi meditabondo e voltarsi verso la cugina: - … ma perché l’hai sentita solo tu?
Non sapendo che rispondere, Hinata guardò interrogativa il padre.

-         Si dice che solo i bambini possano udirla, durante le tempeste più violente – riprese quest’ultimo.
I due cugini pendevano dalle sue labbra.

-         Ed è appunto per questo che tua madre- tua zia - puntualizzò, rivolto a Neji -  ha tanta paura: a Blattburg (*) si dice che tale canto abbia il potere di attirare i bambini, facendo loro perdere ogni orientamento, fino a portarli lontani da casa. Finché…
-         … muoiono – concluse trionfante Neji.
-         Esatto, quando il canto finisce. Si ha paura che sia proprio quello che è capitato al piccolo Konohamaru, il nipote del mastro…
-         Non l’hanno più trovato? – pigolò Hinata.
-         No – concluse il padre, per poi alzarsi e dirigersi verso le scale – E adesso voi rimanete qui, mentre vado a vedere come sta tua madre, Hinata.
Neji annuì, ma la piccola non rispose. Il cugino si voltò interrogativo verso di lei, e la trovò intenta ad osservare distrattamente la coperta, guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra, dove infuriava la tempesta.

-         Che cos’hai? – domandò, dato che sembrava immersa in chissà quali pensieri.
La bambina lo guardò, gli occhi liberi dalle lacrime e resi ancora più chiari da chissà quale nuova consapevolezza.

-         Secondo me lo spirito della madre dei due fratelli annegati non ha ancora trovato la pace – disse limpidamente – Ma forse potremmo aiutarla noi.


-        
Sai aniki, mi sembra un secolo che non vediamo la mamma – disse piano il bambino, senza smettere di camminare o lasciare la mano del fratello – Faccio quasi fatica a ricordarne il viso… ma quanto manca ancora?
-        
Non molto – tagliò corto il più grande – Piuttosto, cosa stavi dicendo a proposito della mamma?
-         
Che mi ricordo sempre meno di lei – ripeté il piccolo con un tono talmente mortificato che il fratello quasi si pentì di averglielo chiesto – Cioè, lo so che ha i capelli e gli occhi neri come te e me… e che sorride spesso, ha gli occhi gentili e un buon profumo…
Nel dire questo, il bambino aveva inconsciamente chiuso gli occhi, respirando a fondo come se potesse sentire di nuovo la fragranza materna.

-        
… ma i suoi lineamenti si fanno sempre più confusi, sempre di più…
-        
Otouto… - cominciò il più grande, subito interrotto dal fratellino.
-         Ma non devo preoccuparmi, giusto? Perché fra poco la rivedremo, finalmente!

Stavolta il ragazzo prese impercettibilmente fiato, prima di rispondere con un fil di voce:

-         Sì. Fra poco la rivedremo…


Con questo tempo, in questa bufera,
essi riposano a casa, come dalla mamma:
più nessuna tempesta li atterrisce,
e la mano di Dio li protegge.

 
Se Hiashi pensava che suo nipote avesse uno strano senso del macabro, si sarebbe stupito non poco nell’udire l’ingegnoso quanto ingenuo piano della figlia, che aveva coinvolto anche il cugino nel proprio progetto.
-         Secondo me la tua idea non ha né capo né coda – aveva inizialmente commentato Neji.
-         Perché? – gli aveva candidamente chiesto la bambina.
-         Innanzitutto perché ci hanno espressamente vietato di uscire, e poi come puoi sperare di placare uno spirito in pena con dei fiori e una preghiera?
-         Potrebbero darle la pace – rispose Hinata - Scommetto che nessuno è mai stato gentile con lei, e poi a catechismo non ci dicono sempre che qualunque anima troverà conforto in Dio?
Neji, che ascoltava altrettanto diligentemente le lezioni domenicali, annuì.

-         Beh, effettivamente hai ragione… - esitò, per poi esclamare: – La sai una cosa? Mi hai convinto!
Il vento seguitava ad ululare con impeto, gli scrosci di pioggia erano sempre più forti e qualche imposta aveva iniziato a sbattere violentemente. Con un tale baccano, per i due cugini fu uno scherzo sgattaiolare fuori di casa senza che nessuno se ne accorgesse, mentre i genitori e la sorellina di Hinata erano impegnati in cucina: Hiashi intento a controllare il conto dei vari clienti, appurando quanti non l’avessero ancora saldato; la moglie a bollire delle patate per la cena.
Forse convinti che i bambini stessero giocando di sopra, o che si fossero addormentati, non si erano nemmeno presi la briga di chiamarli dabbasso. Cosa di cui si sarebbero pentiti per tutta la vita.
Fu abbastanza difficoltoso per i due bambini preparare un dignitoso mazzo di fiori, scegliendoli tra quelli di campo sferzati dalla tempesta, e dirigersi verso il limitare della foresta.
Quando arrivarono, riparandosi sotto il primo albero frondoso che trovarono, erano bagnati fradici.

-         Perché qui? – chiese Hinata al cugino, che dopo un primo momento di scetticismo aveva addirittura scelto il luogo in cui avrebbero dovuto compiere la loro missione.
-         Perché siamo a metà tra i campi coltivati e la foresta, tra ciò che conosciamo e quello che invece ci viene sempre proibito. Mio padre mi raccontava che è in questi “posti a metà” che si trovano gli spiriti… – a questo punto Neji fece una pausa a effetto – … perché loro sono proprio a metà tra la vita e la morte.
Hinata lo guardò ammirata, convintissima che avesse ragione.

-         Allora cominciamo? – chiese.
Il cugino annuì. Poi entrambi assunsero un’ espressione di raccoglimento e iniziarono a recitare quella che secondo Hinata era la preghiera più adatta al fantasma di una mamma che aveva amato moltissimo i propri bambini:

-         Gegrüßet seist du, Maria, voll der Gnade, der Herr ist mit dir… (**)

 
Gli occhi color pece del bambino si spalancarono per un istante, sorpresi.
-         Aniki, hai sentito? – esclamò.
-         Che cosa? Il vento? – chiese l’altro.
-         No, ascolta… è la stessa preghiera che ci faceva recitare la mamma prima di andare a dormire!
Il ragazzo più grande aggrottò le sopracciglia, in ascolto. Per il momento il canto sembrava essersi quietato, ed effettivamente nel fischio del vento gli sembrava di udire alcune parole…

 -         Du bist gebenedeit unter den Frauen, und gebenedeit ist die Frucht deines Leibes, Jesus...

Il minore dei due si staccò dalla mano del fratello e iniziò a correre.
L’altro rimase a guardarlo per un momento, serio, per poi seguirlo con calma.    

-         Le preghiere della sera… - commentò tra sé, quasi divertito – Come se ormai servissero a qualcosa…

 
Neji e Hinata avevano preso molto sul serio quel loro compito, enunciando ogni parola con tutta la devozione di cui erano capaci, arrivando finalmente all’ultima frase:
-         Heilige Maria, Mutter Gottes, bitte für uns Sünder jetzt und in der Stunde… unseres Todes. (***)
Tuttavia non fecero in tempo a pronunciare l’ “Amen” finale, perchè una voce sconosciuta giunse inaspettata ad interromperli:

-         E voi chi siete? – chiese, in un misto d’incredulità e sospetto.
I due cugini alzarono gli occhi, stupefatti, per ritrovarsi davanti un bambino altrettanto sconosciuto e non meno bizzarro. Erano sicuri che non fosse del paese, non l’avevano mai visto prima d’ora. Oltretutto se lo sarebbero ricordato: quella zazzera spettinata non doveva passare inosservata, e ancor meno quel colorito così strano. Anche loro avevano la pelle chiara, ma il viso di quel bambino andava oltre qualunque definizione di “pallore”… sembrava assumere perfino una nota bluastra, quasi inquietante. Oltretutto la pelle della faccia e delle braccia aveva un’aria flaccida, molliccia… come una spugna troppo imbevuta d’acqua.
Per tutta risposta alla domanda posta dal bambino, Neji lo squadrò diffidente, mentre Hinata, dopo un primo momento di sorpresa e timidezza, ricordò le buone maniere:

-         Ecco… io mi chiamo Hinata, e lui Neji. Viviamo qui vicino…
-         Siete fratelli? – chiese inaspettatamente l’altro.
Stavolta fu Neji a rispondere:

-         No, cugini. Ti sembriamo fratelli?
-         Beh, vi somigliate parecchio – fece il bambino a mo’ di scusa – Io invece ho un fratello, vero ani… - si guardò intorno, un po’ disorientato – Aniki, dove sei?
-         Qui – rispose una voce un po’ più matura, spuntando dal sottobosco – Se scappi via come un forsennato come puoi pretendere che sia sempre nei paraggi, otouto?
-         Scusa, è solo che…
-         E tu chi sei? – saltò fuori Neji, per nulla contento che fosse spuntato un altro estraneo, oltretutto più grande di loro.
-         Suo fratello, mi sembra te l’abbia appena detto – tagliò corto il ragazzo.
-         E lui chi è? – fece di nuovo il bambino dai grandi occhi chiari, per nulla intenzionato a mollare.
-         Io mi chiamo… - cominciò l’interpellato, quando un’ulteriore folata di vento portò con sé alcune note che immobilizzarono tutti i presenti.
-         È lei… - mormorò Hinata, contemporaneamente all’altro bambino che si aggrappò al braccio del fratello, scrollandolo fuori di sé. E gridando:
-         Hai sentito, aniki? Hai sentito?
Anche Neji era in ascolto, completamente concentrato su quella voce, cercando di percepirne le parole confuse nel vento:

-         Con questo tempo… in questa bufera…
Era una voce dolcissima, Hinata aveva ragione, ma che gli faceva anche correre i brividi lungo la schiena. Tuttavia non poteva fare a meno di ascoltarla, il respiro leggero che fuoriusciva dalla bocca semiaperta…
A quel punto qualcosa lo distolse dallo stato di trance in cui stava cadendo. Un pensiero strano, che l’aveva colpito come una stilettata. Si era concentrato un momento sul proprio respiro, e un dubbio orribile si era fatto strada in un attimo.
Molto lentamente, corrugando la fronte, si voltò verso i due fratelli sconosciuti. Il più grande aveva detto che il suo “otouto” era scappato via come un forsennato, eppure quando era arrivato da loro non aveva la minima traccia di fiatone…
Ora li osservò attentamente, mentre erano tutti assorti nel guardare un punto imprecisato dell’orizzonte, nella direzione da cui proveniva il vento. Li guardò bene, scrutandone il naso, la bocca e il torace, e quello che vide- o meglio, che non vide- lo terrorizzò.
- … essi riposano a casa…
Non si muovevano.
Né la bocca, né le narici, né il torace. Non prendevano aria.
Prima che il terrore glaciale che sentiva serpeggiare lungo la spina dorsale lo bloccasse del tutto, allungò la mano alla cieca, incontrando il polso di Hinata.
La bambina si voltò, sorpresa, chiedendogli con gli occhi quale fosse il problema.

-         … come dalla mamma…
Un lampo d’intuizione attraversò la mente di Neji. Cercò di far capire alla cugina che dovevano andarsene all’istante, quando il bambino dai capelli neri saltò fuori all’improvviso, senza più riuscire a contenersi:
-         Sapete, questa è la voce della nostra mamma! È da un sacco di tempo che non la vediamo, ma oggi finalmente ci riusciremo!
Lo sguardo che gli rivolse Hinata rivelò a Neji che la cugina aveva appena compreso tutto, e che ogni spiegazione sarebbe stata inutile.

-         La vostra mamma… - mormorò, sconvolta.
-         Più nessuna tempesta…
La bufera si fece d’un tratto più violenta, il vento più impetuoso.
Il ragazzo più grande li guardò, negli occhi scuri un guizzo divertito.

-         Tutto bene? Non ditemi che avete paura di un po’ di pioggia…
-         ... li atterrisce…                 
Neji strinse più forte il polso della cugina, strattonandola.

-         Andiamo via – disse, col cuore in gola – La canzone non è finita, siamo ancora in tempo!
L’altro bambino scelse proprio quel momento per voltarsi verso di loro, allungando la mano:

-         Ah, scusate, non vi ho ancora detto il mio nome. Io mi chiamo Sasuke, e ho sette anni.
-        
E la mano di Dio…
E Hinata, forse stordita dal fischio della tempesta, fradicia dalla testa ai piedi, con Neji al proprio fianco, mormorò lentamente:
-         Anch’io ho sette anni…
-        
… li protegge.

*  *  *

 
-   Non l’hai ancora chiamato? Che cosa aspetti? – gridò furibonda una donna dall’aria minacciosa al marito appena rientrato.

-         Dai, Yoshino, cerca di capire – cercò di giustificarsi quest’ultimo – Lo sai che quando è col suo amico Choji perde la cognizione del tempo… sono sicuro che arriverà da un momento all’altro…
-         Vado a cercarlo – fece risoluta la donna, aprendo l’armadio in cerca del mantello.
-         Ma tesoro…
-         Sono a casa – annunciò una voce annoiata, anche se inequivocabilmente infantile.
-         Shikamaru! – esclamò la donna, precipitandosi ad abbracciare il figlio.
Il bambino rimase dapprima stupefatto, poi cercò di respingerla:

-         Mamma… così mi soffochi… - si lamentò.
-         Ah, scusa tesoro… – fece gentilmente la donna, per poi riprendere il solito piglio e scrollare il figlio per le spalle – Si può sapere dov’eri finito? Quante volte te lo devo ripetere che quando il cielo si rannuvola in questo modo devi tornare a casa di corsa, qualunque cosa tu stia facendo?
L’aria indifferente del bambino la portò sull’orlo di una crisi di nervi:

-         È pericoloso, Shikamaru! – gridò – Te lo ricordi cos’è successo al nipote del mastro e ai due cugini Hyuuga, vero? Vuoi fare la stessa fine?
Per un fugace istante il piccolo Nara ponderò che l’essere portato via dal fantasma di una tempesta potesse rappresentare una via allettante per sfuggire a quella madre isterica, ma quando vide gli occhi della donna riempirsi di lacrime si vergognò profondamente di quello che aveva appena pensato.

-         Andiamo, cara, non c’è motivo di prenderla così – intervenne il padre, cercando di salvare il figlio dalla morsa dell’abbraccio materno – Shikamaru è qui a casa, non devi preoccuparti.
Ancora singhiozzante, Yoshino riuscì a dire soltanto:

-         Sì, ma quelle povere madri… i loro bambini…
Shikaku la prese gentilmente per le spalle e la fece alzare, conducendola in cucina.

-         Shikamaru – chiamò, voltandosi verso il figlio – Vieni…
Ancora un po’ scosso, il bambino li seguì.
Fuori, un nubifragio spaventoso seguitava ad abbattersi sul paese, sui campi e sulla foresta.

    

(*) In tedesco “Blatt” significa “foglia”
(**) Sono le parole dell’Ave Maria in tedesco
(***) E nell’ora… della nostra morte.




   
 
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