Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: AirJinKa    13/01/2016    0 recensioni
Astell, una nobile maga, un tempo membro della corte reale, assapora il sole del pomeriggio nel più importante parco al centro della città. Cerca ancora conforto da una vecchia ferita che non cessa di sanguinare.
Grazie ai suoi gatti, Frusta e Miracolo, trova una bambina abbandonata e ferita in un capanno nascosto tra gli alberi del giardino. Vuole che viva con lei, vuole aiutarla, allevarla come se fosse sua figlia. Ma la ragazzina non sa parlare e forse non capisce neanche il linguaggio degli uomini: solo con i gatti ha uno strano legame, e come tale si comporta.
Questa è la storia di Konè, vittima di un'antica magia e legata a un misterioso spirito, bella e selvaggia, che troverà uomini buoni pronti ad aiutarla e uomini cattivi desiderosi di farla soffrire.
Questa è la storia di Konè, Ombra di Tigre.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Konè, Ombra della Tigre

Capitolo 3

Allevando un gatto randagio

   «Miamma!»
   Fu questa la prima parola che la bambina imparò. Ci impiegò solo qualche settimana, dopodiché non si rivolse mai più ad Astell in altro modo. Sorrideva ogni volta che usava quell’appellativo: “miamma”, adorabile nonostante il piccolo difetto di pronuncia.
   In pochi mesi riuscì a capire molte parole e frasi, anche complesse, e dopo un anno fu capace di esprimersi ottimamente. Le uniche imperfezioni erano miagolii soffocati, parole alterate da un “miao” involontario, ma Astell le ripeteva con convinzione che non doveva sentirsi abbattuta.
   «Avere qualcosa di diverso dagli altri non è sempre una cosa negativa. Penso che ascoltarti sia molto piacevole, e questo accento ti dà anche un’aria esotica e misteriosa. Quindi non preoccupartene più micetta, d’accordo?»
   Bastava chiamarla “micetta” o “gattina”, accompagnando a quei nomignoli dei grattini sulla testa, per far spuntare sorrisi radiosi come arcobaleni.
   La fanciulla camminava con grazia, tenendo un eccellente portamento. Mangiava lentamente, senza sporcarsi, ed era molto obbediente. La contessa aveva curato la sua educazione fin nei minimi dettagli, trattando la ragazza con attenzione e tanto amore. Si comportò con lei come se fosse la figlia che aveva perduto tanti anni prima.
   Per molti mesi Astell indagò invano, cercando di far emergere il vero nome della bambina dai suoi ricordi confusi e frammentari. Purtroppo però lei non lo ricordava più. La donna pensava, o forse sperava, che un giorno quel nome sarebbe ritornato alla luce, riemergendo dalle tenebre che lo avevano seppellito. Perciò evitò di affibbiare alla ragazzina un nome che non fosse il suo.
   La chiamò “tesoro” o “piccina” fino a quando compì dodici anni, dopodiché  usò quasi esclusivamente appellativi più formali come “signorina” e “mia cara”. Voleva farle capire cosa significasse crescere, prima che trovasse il suo posto nella società. Sicuramente era un concetto importante, ma difficilmente comprensibile per una ragazza alla quale non era permesso uscire di casa durante il giorno.
   Di certo i nobili vicini al re avevano scoperto in breve tempo che la contessa Writegland offriva ospitalità a una ragazzina umile di origini sconosciute e si sarebbero mossi per allontanarla da Engble il prima possibile. Perciò per evitare di indisporre oltremodo i più iracondi membri della Corte dei Saggi, Astell aveva deciso di impedire alla sua protetta di giocare fuori, tanto più di allontanarsi dalla tenuta. Si premurava di non farle mancare nulla, tuttavia riteneva che quella precauzione fosse indispensabile.
   Quando la sera e il tardo pomeriggio i maghi si ritiravano nelle loro calde e accoglienti dimore, la bambina usciva in giardino sotto l’attenta sorveglianza di Phenste, ogni volta in compagnia di Frusta e Miracolo. I due gatti furono i suoi unici amici per molto tempo. Soltanto con loro poteva mostrare quel lato dominante della sua personalità che non avrebbe mai abbandonato.
   Riusciva a farsi capire con semplici miagolii, per lei molto più naturali del linguaggio degli uomini. Rotolava nell’erba e si sporcava fino a diventare quasi irriconoscibile. Con il passare degli anni riuscì a nascondere sempre meglio la sua indole selvaggia, importante frammento del misterioso mosaico che la circondava, ma essa non accennava a scomparire. Forse proprio questo esercitava una continua attrazione per i gatti di Astell, che avevano dimostrato il desiderio di proteggere la fanciulla sin da quando l’avevano trovata.
   La nobildonna era preoccupata, non sapendosi spiegare da quale magia avesse origine la strana aura di empatia selvatica che emanava la ragazza. Pensò di dover essere ancora più severa, eppure quando la guardava giocare serena e spensierata si tranquillizzava, convincendosi che stava facendo la cosa giusta.
   La sua felicità durò fino a quando tutti i maghi nobili che invitava a casa, per conversare o anche solo per godere di una diversa compagnia, la aggredivano chiedendo per quanto tempo ancora avesse intenzione di giocare a fare da madre per la mocciosa che aveva trovato. Nonostante la tenesse in casa, il suo disinteresse per le leggi di Engble nonché per la levatura sociale dei suoi abitanti era degna di grande biasimo. Lei rimaneva attonita, perché quelle accuse provenivano da persone che aveva sempre considerato amiche.
   Qualche volta le discussioni degeneravano in veri e propri litigi, con urla e pesanti insulti. Anche con la testa sotto il cuscino e la porta della camera chiusa, la bambina non riusciva a tenere lontano l’odio che proveniva dal piano di sotto, e che si diffuse nella casa come una malattia. Provò a chiedere cosa stesse succedendo alla sua “miamma” ma lei rimaneva sempre sul vago, oppure cambiava conversazione più o meno bruscamente a seconda di quanto fosse giù di morale.
   Allora Astell scelse di isolarsi, tenendo per sé i suoi problemi. Purtroppo non poté fare nulla per evitare di incontrare il re quando si presentò di persona. Nella stessa stanza dove tanti anni prima aveva mostrato clemenza e generosità era tornato per far valere la sua autorità, rannicchiato su se stesso, ancora più ingobbito dal peso dell’età.
   «Le voci in città non si placano da mesi, contessa. I nobili non vogliono che questa ragazzina di umili origini continui a vivere a Engble.»
   «Capisco, mio re. Costoro devono essere davvero intolleranti per odiare una fanciulla che ho nascosto per più giorni di quanti ne riesca a ricordare.»
   «Non fare del sarcasmo» rispose il sovrano con aria severa: «Tuo figlio sta servendo bene il mio, e io non ho che da gioire per il tuo ritrovato benessere. Tuttavia l’insoddisfazione generale è stata portata alla mia attenzione, pertanto capisci perché mi trovo qui».
   «Sono stata felice troppo a lungo?»
   Il volto della donna si dipinse di malinconica rassegnazione. Pur sapendo che quel giorno sarebbe arrivato non era ancora pronta a restare di nuovo sola. Stanca, si lasciò cadere sulla sedia più vicina.
   «Non la manderò via» disse infine, con un filo di voce.
   «Mi dispiace Astell, ma non hai scelta. Sono venuto fin qui per darti un ordine, non un suggerimento. Dovrai riportarla a Rhuddem e scegliere un’altra famiglia alla quale affidarla.»
   La donna scosse la testa, ripetendo: «No. Non lo farò!».
   Dietro la porta socchiusa, la ragazza dai capelli dorati trattenne un singhiozzo. Era la prima volta che origliava una conversazione e per questo provava un profondo senso di colpa. Eppure il suo gesto derivava da un desiderio spontaneo, ossia capire cosa stesse succedendo alla sua tranquilla quotidianità.
   Dopo il secondo rifiuto di Astell la casa fu scossa da una tremenda vibrazione.
   «Il vostro sovrano ha parlato, contessa.»
   Seguì il silenzio. Il re di Engble aveva dimostrato che la sua autorità non era riposta solo nella corona che portava. Nonostante la vecchiaia gli avesse sottratto molte energie era ancora estremamente potente, tanto da dover essere rispettato e temuto.
   «Non avete neanche dato un nome a quella bambina» continuò, con tono stranamente calmo: «Come potete pretendere di convincermi se voi per prima non siete ancora sicura di amarla?».
   Nel corridoio Phenste si muoveva con passo felpato, come al solito. Nascosto nella discrezione del silenzio si era spesso trovato dietro le porte giuste, ma era abbastanza esperto da tenere le orecchie aperte e la bocca chiusa. Quando vide la fanciulla raggomitolata a terra le si avvicinò, porgendole la mano per invitarla a seguirlo, ad allontanarsi da lì.
   «Perché sono tutti arrabbiati con la miamma?» domandò lei: «È colpa miao?».
   «Sì, signorina» rispose il maggiordomo. Non fu sincero perché credeva che la ragazzina avesse bisogno di sentire la verità. Fu semplicemente un atto egoistico e meschino. D’altronde è così che sono le persone: invidiano chi ha qualcosa in più e disprezzano chi non ha nulla. Phenste non era diverso dai tanti servitori che riescono a nutrire solo invidia e odio verso chi ha avuto più fortuna.
   A capo chino, la bambina chiese un’ultima cosa mentre si incamminava verso la sua stanza: «Starebbe mieglio se io me ne andassi?».
   «Indubbiamente soffrirebbe per la vostra mancanza, signorina, ma certamente i nobili della città smetterebbero di tormentarla.»
   Il rumore dei passi scandiva il battito del cuore di lei, che rimuginava in silenzio su cosa avrebbe dovuto fare. Era arrabbiata con se stessa, per i problemi che aveva causato involontariamente alla donna che le aveva costruito una nuova vita dal nulla. Avrebbe fatto ogni cosa per dimostrare quanto le fosse grata, persino rinunciare a tutto ciò che aveva ricevuto.
   «Buonanotte, signorina» disse il maggiordomo, lasciando socchiusa la porta della camera che solitamente chiudeva senza interesse.
   Lei non rispose, forse perché istintivamente percepiva l’ipocrisia dell’uomo.
   L’incontro di Astell con il re di Engble durò molte ore, fino a quando lui non fu troppo stanco e decise di andarsene. Sebbene non avessero raggiunto un compromesso, il sovrano le fece capire che presto avrebbe obbedito anche contro la sua volontà. Quella notte, sola nel letto largo, la contessa si rannicchiò sotto le coperte e pianse fino ad addormentarsi.
   La mattina fu svegliata da Frusta e Miracolo, che raspavano contro la porta della sua camera miagolando rumorosamente. Affatto sollevata dai suoi grattacapi dopo la lunga notte corse ad aprire ai due animali, che scattarono veloci fino alla camera della ragazza.
   Astell li seguì, ancora assonnata e intorpidita, trasalendo dopo aver spalancato la porta semiaperta: il letto era vuoto.
   Sul cuscino era appoggiata una lettera.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: AirJinKa