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Autore: PeaceS    14/01/2016    1 recensioni
Sequel di 3.00am
Lord Voldemort sembra scomparso: nascosto nell'ombra e in attesa di recuperare le sue forze, ricorda ai suoi avversari sporadicamente la sua presenza. Sono passati due anni e le premesse di Angelique si sono avverate: lui non è nel pieno delle sue forze e Albus Potter viaggia ininterrottamente per trovare un modo - un piano - che possa salvarli tutti. Nel mentre, Chrysanta Nott ritorna, ma il suo cuore appartiene già a qualcuno.
Il tempo passa e la verità sta per venire a galla: la vera identità di Scorpius sta lottando per uscire e lei, nonostante cerchi di cancellare ciò che è stato, sa che non sarà così facile.
Jackie Alaia e Joanne Smith giocano con i morti e Dalton Zabini con un libretto che, due anni prima, aveva reso Lily un mostro senz'anima.
Alice Paciock è passata al lato oscuro e si dice che suo fratello, ora, sia in giro per Londra... a dissanguare innocenti - e cercare di evitare l'unica donna che avesse mai amato, Roxanne Weasley.
Lucy Weasley, invece, è sempre più vicina al suo destino. E tra Mangiamorte, Demoni e Angeli, sente il fuoco dell'inferno cercare di bruciarla da dentro.
Lucifero è dentro lei.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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v.

 

 

 

 

 

“Sta bene” la voce di Joe era serena e calma e Scorpius poté tirare finalmente un sospiro di sollievo, ringraziando tutti i protettori di Hogwarts e i Santi in paradiso. Si alzò dalla sedia d'acciaio nella Sala d'aspetto dov'era stato costretto ad aspettare per ben due ore e guardò l'amica di vecchia data in attesa di risposte.
“Non devi preoccuparti” ora la voce della donna era bassa e concitata e gli occhi neri determinati. Portava i capelli raccolti in una coda, ma le mani leggermente in tremito e le occhiaie indicavano che aveva appena passato le ore più brutte nella Sala Operatoria.
“Sai bene che appena finita Hogwarts i miei studi si sono concentrati su come guarire tutto, anche la magia oscura e sai anche che i miei insegnati sono stati molto, ma molto bravi” cominciò e Scorpius lo sapeva bene.
Se Angelique era sparita nel nulla, lasciando il vuoto dietro sé, Lily aveva stabilito qualche contatto con la cricca di demoni che avevano conosciuto tempo addietro. Ed era stato proprio uno di quei demoni ad insegnare a Joe alcuni dei trucchetti che conosceva ora.
“Gli organi interni non sono stati toccati e nemmeno la sua anima – che adesso è quella che ci preoccupa di più, dato i suoi precedenti” continuò la Smith, aggiustandosi con un sorrisetto il cartellino con il suo nome.
“Allora?” la incalzò Scorpius, asciugandosi il sudore tra le mani sui pantaloni della tuta che si era infilato di fretta e furia quando lei si era aggrappato a Potter Senior per quella spedizione improvvisa.
“Allora congratulazioni, signor Malfoy. Suo figlio ha la stessa vena suicida dei genitori: ce l'ha messa tutto se stesso per proteggere sua madre e ci è riuscito alla grande, direi” rise Joe, con gli occhi che le brillavano di felicità.
Oh. Santissimo. Merlino.
Oh Morgana beata.
Oh Signore Gesù Cristo.
Guardò Joe, sbatté un paio di volte le palpebre, aprì la bocca, la richiuse. Boccheggiò e... proprio come il signor Potter il giorno prima, stramazzò al suolo bianco come un lenzuolo e con un sorriso beota sulle labbra sottili.
“Oh, andiamo!” sbuffò Joe, inginocchiandosi al suo fianco e ridacchiando – anche se visto le condizioni di Scorpius, avrebbe dovuto proprio trattenersi. Ma era troppo divertente vederlo lì, sul pavimento, mezzo svenuto come una femminuccia per la notizia più bella che il suo cervello avesse mai potuto ricevere. “Ehi, paparino... ti riprendi?” disse, schiaffeggiandolo con polso fermo e alzando gli occhi al cielo per tutta quella manfrina. Da lontano sentì un gemito.
“Non sarà mica successo qualcosa a Lily?” Ginevra Molly Weasley, nonostante l'età e qualche filo grigio nei capelli, arrivò a passo di carica dall'ascensore a fine del corridoio, raggiungendoli avvolta da un pullover beige e jeans chiari, mentre il viso era così cereo che per un attimo, Joe, temette potesse svenire anche lei.
“Oh no, certo che no. Ma sembra che il signorino qui non digerisca bene le belle notizie” rise Joe, usando ora l'innerva.
Ginny la guardò in modo interrogativo e solo mentre Scorpius si riprendeva, con ancora quel sorriso sulla bocca, che cominciò a comprendere. E capire. E sul suo volto le rughe, il dolore della vita che aveva dovuto patire e tutto il resto, sembrarono sparire per magia.
“Non ci credo” sussurrò, portandosi una mano al cuore e guardando suo genero commossa dall'emozione. Scorpius aprì definitivamente gli occhi grigi, fissandoli in quelli di Joe. “Allora... vuoi andare o no a festeggiare con la futura madre di tuo figlio?” domandò e questa volta il ragazzo non se lo fece ripetere due volte: si alzò di scatto e si catapultò al lato opposto del corridoio, dove la porta di Lily era ben chiusa.
Dopo un minuto, sentirono un urlo di gioia repressa.
“Santissimo Merlino” sospirò Ginny, sedendosi su una delle sedie d'acciaio e sentendo il cuore batterle nel petto.
Un nipotino. E chi l'avrebbe mai detto, il primo dei suoi figli che l'avrebbe resa nonna era l'ultimo da cui lei se lo sarebbe mai aspettato. Lily. La sua piccola guerriera. Già, non principessa, ma guerriera.
Represse un singhiozzo.
In quegli anni, tra tutte le cose che erano successe, quella era ciò che sarebbe servito per riavvicinarli tutti quanti. Avevano bisogno di un po' di gioia in famiglia, un po' di vita – quella che a tutti loro era stata tolta troppo presto – e chi avrebbe potuto farlo meglio di un bambino in arrivo?
“Harry è svenuto giù, nel parcheggio. Si stava fumando una canna con quel beota di Malfoy, adducendo la scusa tipo a « sono troppo stressato, non attaccarti alle palle come un gatto, Sir! » quando mi è accidentalmente scappato di bocca che Lily sta benissimo grazie al figlio di Malfoy, ma non Scorpius, bensì quello che porta in grembo” cinguettò Sirius, raggiungendole tutto pimpante nemmeno avesse appena vinto alla Lotteria.
Ginny lo guardò, torva e lui gli sorrise malandrino, passandosi una mano tra i capelli neri. Bello come il peccato, non c'era che dire. Ma con quel carattere da bambino pestifero, le donne lo avrebbero evitato come la peste.
Dopo averlo picchiato a sangue, chiaro.
“Avete quarant'anni ciascuno e vi comportate ancora come dei diciassettenni stupidi” sibilò, intenta ad alzarsi e raggiungere suo marito... quando fu lui a raggiungere lei. Con i capelli sparati da tutte le parti, pallido come un lenzuolo, con gli occhi rossi di un tossico e l'espressione omicida in volto – li visualizzò nemmeno fossero brocche d'acqua nel deserto.
“DOV'È?” urlò, sul piede di guerra, mentre Joe sibilava un « Shhh! » tutto incazzoso.
“Un corno! Dov'è quel bastardo di un Malfoy?” strillò ancora Harry, mentre Draco, alle sue spalle, sogghignava a tutto spiano.
“Dietro di te” rispose Sirius. Harry si girò e puntò Malfoy Senior con quei fanali bordeaux. Strinse gli occhi così tanto che a qualcuno sarebbe parso cieco e puntò un dito contro il suo nemico di sempre.
“Tu verrai per ultimo, ma ora provvederò a quel porco infame di tuo figlio” sbraitò, ancora convinto che sua figlia fosse pura e preziosa come l'aveva fatta mamma. O almeno ne era convinto fino a pochi minuti fa, quando Sirius aveva sganciato la bomba.
Si affrettò a passo di carica verso il lato opposto del corridoio, prima, naturalmente, che sua moglie gli si parasse davanti. E tutti, tutti sapevano che con Ginny Weasley non si scherzava – se non volevi beccarti una bella fattura.
“Dove credi di andare?” la sua voce era stucchevole, fastidiosamente stucchevole. Velenosamente stucchevole. E sembrava sul punto di scoppiare.
Harry si ritrasse. “Ad uccidere Malfoy” borbottò e sua moglie lo afferrò per le orecchie, strappandogli un ululato così forte che parecchie teste, nelle varie porte lungo il corridoio, cominciarono ad affacciarsi.
“Ci hanno appena dato la notizia più bella del mondo e tu pensi a rovinare questo momento con le tue sciocchezze?” ora la voce di Ginny era velenosa e basta e i suoi occhi bruni, tanto uguali a quelli della sua bellissima e piccolissima Lily, mandavano lampi e tuoni, pronti ad uccidere.
“Ma...” iniziò, venendo interrotto da quello che sembrava un barrito d'elefante.
“Ancora a discutere?”
Urlo di una Banshee. Gemiti addolorati. L'ennesima strizzata di orecchie ed Harry si calmò, finalmente, mettendo un muso lungo fino ai piedi.
“Tu ora vai nella camera di tua figlia, ti congratuli con lei e il suo futuro marito – no, non voglio sentire ma! - e ritorni qui. Dai gli auguri anche a Draco e poi infine ad Hermione, che ora è sua moglie, e la prossima volta che ti becco a voler fare lo scalpo a Scorpius, giuro che sarà l'ultima che farai” snocciolò lentamente, molto lentamente, scandendo sillaba dopo sillaba, 'manco fosse scemo.
Con un gesto della testa gli indicò la fine del corridoio ed Harry sapeva perfettamente che era in grado di ucciderlo se non avesse fatto quello che gli diceva. O metterlo a stecchetto. O torturarlo... o, peggio ancora, astinenza a vita.
Si avviò con passi strascicati verso la camera di sua figlia, piagnucolando sul suo destino crudele.
Avrebbe accettato sicuramente Lily e il suo bambino... ma lui, il figlio di Malfoy Senior, non ce lo voleva. Come non voleva nemmeno suo padre, cazzo!

 

✞ ✞ ✞

 

 

Albus Potter sorrise, scuotendo il capo e passandosi una mano tra la zazzera scomposta di capelli neri. Crollò seduto sulla poltroncina sgangherata al centro della camera da letto di quello squallido Motel, portandosi la sigaretta a miele tra le labbra e aspirandone il fumo con un sogghigno divertito.
“Sai, io non sarei così divertito se fossi in te”
Angelique sorrise, con gli occhi rossi che brillavano sotto la luce al neon della stanza. Avvolta da un trench bordeaux e un paio di stivali di pelle nera che le arrivavano al ginocchio con tacco centoventi, era ancora la donna più bella che avesse mai conosciuto in vita sua... e Albus ne aveva conosciute di donne, in quegli ultimi anni.
Vampire, umane, donne lupo e anche demoni...ma nessuno, nessuno poteva essere paragonata alla sua bellissima Madonna. Oh sì, Albus la considerava ancora una magnifica Madonna come al loro primo incontro, con quei riccioli bruni e quella pelle diafana. Con quelle labbra rosse e le ciglia lunghe, simili a ventagli di pizzo. Con quel corpo piccolo, perfetto, suo.
“Ah, no?” domandò retoricamente, ciccando le posacenere di cristallo sul bracciolo della poltrona nera dov'era seduto. Lei scosse il capo e divaricò le gambe, mentre lui inghiottiva a vuoto – fissandola.
Alcune volte proprio non riusciva a capacitarsi di possedere qualcosa di così bello. Lei non aveva un singolo difetto e lui s'assoggettava quando la guardava – beandosi di lei, bevendo la sua immagine, rimanendone sempre di più innamorato e ossessionato.
“Non mi è piaciuto proprio per niente come ti guardava Margarita” e il tono di Angeique si abbassò di qualche ottava. Ora il suo volto era scuro e Albus ricordò il volto della vampira con cui – negli ultimi tempi – aveva avuto molto a che fare.
Margarita non era normale nemmeno per la sua specie, per il dono che portava con sé, ed era stato proprio quel suo essere speciale ad averlo ammaliato. “A lei non è permesso avventurarsi fuori da casa sua, Angelica” rispose, pronunciando il suo nome in versione Italiana, dove entrambi avevano vissuto negli ultimi mesi.
Diceva che era un ossimoro. Lei, un demone, dal sangue nero come la pece e poteri così vicini al diavolo... con un nome che richiamava la purezza, gli Angeli, la pace. “A lei non è nemmeno permesso di avvicinarsi a te, Albus” rispose Angelique, sbottonando i bottoni del trench uno dopo l'altro con lentezza, sapendo di avere i suoi occhi su di sé.
Lei lo sapeva, aveva sentito bene la piccola Margarita Coronado. Come quest'ultima aveva sentito bene lei, nascosta nelle vicinanze.
Sapeva perfettamente che Albus era suo e questo sembrava averla incuriosita ancora di più... spingendola a snocciolare ciò che volevano sapere, per potere poi ritrovarsi in prima fila durante lo spettacolo.
“Io, uhm, ecco... devo dirti una cosa”
Angelique si bloccò di scatto, puntando i suoi occhi infernali su di lui e Al inghiottì a vuoto – pronto alla tempesta che stava per scatenare con la sua compagna.
“Cosa?” sibilò lei, mentre le iridi si tingevano lentamente di nero.
Albus spense la sigaretta nel posacenere e prese un profondo sospiro prima di aprire bocca. In modo molto lento e calibrato o quella volta sarebbe finito veramente in cenere.
“Ho aiutato Margarita a scappare... lei era molto abbattuta ed era stanca di stare rinchiusa lì, come se avesse commesso uno dei delitti più infami per qualsiasi essere vivente” bisbigliò, con una vocina piccola e dolce – che però non intenerì la sua metà.
“TU HAI FATTO COSA?” urlò Angelique, quasi superando i decibel consentiti per un normale essere umano. Albus rimpicciolì, rannicchiandosi quasi su se stesso.
“Maledizione, Potter!” strillò ancora, passandosi una mano tra i riccioli, incredula.
Quel... quel... quell'idiota! Aveva fatto la cosa peggiore che potesse fare, immischiandosi in affari che non lo riguardavano nemmeno da lontano!
“Ma dai, non sarai mica davvero gelosa di lei?” gemette, quasi terrorizzato da quell'incazzatura mondiale. Cosa che capitava spesso, ma quella volta sembrava davvero pronta a farsi spuntare corna e coda.
“Coglione, fottuto coglione del cazzo!” strepitò, facendo uso del suo coloratissimo linguaggio. L'Italia le aveva condito la parlantina e il vocabolario, non c'era che dire.
“Sai perché Coronado stava rinchiusa in quel fottuto castello senza poter mettere piede fuori nemmeno per sbaglio?”sbottò Angelique, ora fuori di sé nel vero senso della parola.
Solcava il pavimento con i tacchi e strinse le labbra quando una figura prese forma proprio davanti a lei – eterea, impalpabile, magnifica. Margarita era sempre stata bella, ma in un modo che quasi metteva i brividi per essere un vampiro.
Quella razza era stata creata apposta con due facce, con due volti opposti. Uno per attirare la propria vittima, per fare in modo che questa restasse ammaliata dall'aspetto del suo carnefice. E l'altra, che rivelava la loro natura malvagia, quella che usavano per nutrirsi. Quello che in realtà erano. La loro anima. La loro essenza. Ma lei no. Lei aveva liquefatto entrambe le facce ed ora era tutt'uno con entrambe.
“Perché io sento e vedo tutto” rispose al suo posto, avvolta in un costosissimo abito bianco di seta, che le fasciava il busto sottilissimo e le gambe affusolate.
Ricamato con inserti dorati – che richiamavano i grandi orecchini a cerchio e la collana che ricadeva tra la valle dei seni piccoli e sodi, scoperti appena dallo scollo a V.
“Perché sei maledetta!” la corresse Angelique, con un sorriso sulla bocca carnosa. Margarita scosse il capo, fissandola ora seria.
“Queste sono leggende stupide. Io sono solo nata con un potere superiore rispetto alla mia razza” soffiò, quasi stanca di ripetere quella solfa.
« Marìa Margarita era la regina più buona e bella che i vampiri Spagnoli avessero mai avuto. Con i suoi bellissimi capelli neri e gli occhi sorprendentemente bruni come quelli di un Demone al culmine della rabbia, era riuscita ad incantare chiunque. Anche i ribelli. Anche i più reticenti.
Anche i loro nemici naturali, come i lupi.
E fu proprio in una notte di preludio di luna nuova che Lucifero la scelse. Fu proprio in una notte di cambiamenti che Lucifero decise che voleva discendenti diretti e scelse proprio lei – così bella. Così pura, nonostante la propria natura.
Nove mesi dopo, in una notte di luna rossa, nacque la principessa. Lei, con i suoi capelli argentei. Lei, con i suoi occhi belli e splendenti come rubini... dove Lucifero, per farle un regalo – per marchiare il territorio e far capire di chi fosse figlia – posò le sue mani.
E fu così che Margarita, bianca e perfetta come le margherite che sua madre tanto amava, crebbe. Con le mani del diavolo posati sugli occhi e sulla testa, che gli permettevano di vedere, sentire.
Marìa morì invece tra atroci sofferenze, urlando il nome di chi stava mettendo al mondo... e di chi l'aveva aiutata a farlo » recitò Angelique, che oramai conosceva quella leggenda a memoria.
Tutti la conoscevano. Margarita era un vampiro, ma era in grado di vedere il futuro e il passato, di sentire l'inferno e il paradiso e non era benvoluta tra di loro... Lucifero incuteva timore anche ad esseri mostruosi qual'erano. Anche ad esseri che erano stati creati proprio dalla sua carne. Dal suo sangue.
La ragazza dinnanzi a lei rimase immobile, quasi come una regina. I lisci capelli argentei le ricadevano sulle spalle fragili, mentre gli occhi rossi erano grandi e impassibili.
“Noi abbiamo una missione da portare a termine e tu non puoi immischiarti” sibilò Angie, ora con i nervi a pezzi.
Era vero. Vampiri e demoni non potevano immischiarsi nelle beghe dei maghi, era una legge vecchia come il mondo... ma con Lord Voldemort con sangue demone nelle vene e le fazioni già formate, tutto era stato capovolto. Tutto era stato prestabilito e ormai la stirpe non contava: babbano, mago, demone, vampiro o chicchessia, agli occhi di Lucifero e degli Angeli non avrebbe avuto importanza.
Il Diavolo voleva la sua Signora e l'avrebbe avuta, a costo di distruggere la terra. E il cielo. E chiunque cercasse di ostacolarlo.
“So più cose di quanto tu possa immaginare, mì novia” sussurrò con la sua voce bassa, appena udibile e Albus guardò le due donne che si fronteggiavano, mordendosi le labbra.
“Lei ci serve, Angie” bisbigliò Potter, anche per aiutare la sua nuova amica.
Margarita gli sorrise dolcemente e Angelique lo fulminò con uno sguardo, gelandolo sul posto. E lui sapeva perfettamente cosa significasse: ormai la conosceva così bene da percepire le sue emozioni, sensazioni, parole, anche senza aprir bocca.
“Bene. Perfetto. Se è questo che vuoi, questo avrai.
Buon ritorno a casa, signor Potter” sogghignò infine, dandogli la mazzata finale. Gli mandò un bacio volante e sparì così com'era arrivata – lasciando il suo profumo nell'aria, un vuoto dentro e lui e la sensazione che non fosse mai, mai esistita.
Sospirò. Non riusciva mai a capire perché la strada da lui stesso designata fosse così difficile, intricata e dolorosa. Non riusciva mai a capire perché dovesse sempre cacciarsi in situazioni che poi lo ferivano profondamente.
“Tornerà” mormorò Margarita, guardandolo con una certa malinconia nello sguardo. Albus la osservò attraverso le lunga ciglia nere, arrossendo appena sulle guance.
Così puro. Così poco umano.
“Perdonala. Angelique, nonostante la sua natura, è molto possessiva” si giustificò, temendo che la sua compagna l'avesse – in qualche modo, con quella leggenda – ferita.
Margarita respirò a pieni polmoni, socchiudendo gli occhi rossi come la brace: sentiva qualcosa. Qualcosa...sì, qualcosa si stava muovendo. Qualcuno stava parlando. Qualcuno fremeva nell'ombra.
“Oh!” sussurrò, quasi deliziata. Mai, mai nella sua esistenza aveva sentito così tanti sentimenti saturare l'aria. Gli ultraterreni, come li chiamava suo padre, erano solitamente tipi assai noiosi... e statici. Ma negli ultimi anni erano in così tanta trepidazione, ansia, aspettativa, da riempirla come se quei sentimenti fossero suoi e provenissero dalla sua anima.
“Cosa?” domandò Albus, ora sospetto, chiedendosi se non avesse sentito qualcos'altro d'importante. Margarita si strinse in un abbraccio, con sguardo quasi trasognato.
“Gli ultraterreni sono interessati al bambino di tua sorella, Al” mormorò, continuando ad ascoltare, in estasi.
Eccitazione, rabbia, gelosia, felicità... tutto racchiuso nella sua testa, con un'intensità tale da toglierle quasi il fiato.
“Bambino? Lily è incinta?” annaspò Albus, spalancando la bocca in una perfetta o e aggrappandosi ai braccioli della poltrona dov'era seduto.
Lily. La sua Lily. La sua sorellina, dispotica, tiranna, dolce e amorevole sorellina... aspettava un bambino. Da Malfoy, sicuro come la morte.
Arricciò le labbra.
“Oh, ma no! No, lui non è ancora pronto, perché va così di fretta?” mormorò Margarita, ora con gli occhi vitrei e preoccupati.
Albus la guardò: di cosa stava parlando? Chi non era pronto? E chi, soprattutto, stava andando di fretta?
“Margarita, tutto bene?” domandò, mentre questa ricambiava il suo sguardo.
“Dobbiamo andare da tua sorella. È in un ospedale, dobbiamo portare via lei e il suo angelo biondo o l'equilibrio delle cose verrà stravolto!” disse, frettolosa, afferrandolo per le mani e stringendosele al petto come in preghiera.
Sembrava davvero in pensiero e Al non se lo fece ripetere due volte: fece mente locale e dalle informazioni che aveva avuto da Angelique nei suoi anni d'assenza, calcolò più o meno in quale ospedale poteva essere stata portata Lily.
Dove... dove potevano essere? Dove potevano averla portata? Di chi si fidavano ciecamente?
“Joe. All'ospedale di Joe!” disse, prima di materializzarsi ancora con le mani di Margarita strette a sé. Ignorò il risucchio, la sensazione di sentire lo stomaco sottosopra e le mille luci psichedeliche che gli scoppiarono dinnanzi agli occhi, rimanendo perfettamente ritto quando atterrò ai piedi del St. Smith – un villone di sette piani dalle ampie vetrate e luci che sembravano poter illuminare tutta la campagna circostante.
“Sono al terzo piano” sussurrò Margarita, con una smorfia sulla bella bocca per le molteplici voci che sembravano volerle fracassare il cranio.
Albus – senza nemmeno pensare agli anni di lontananza, all'odio che la sua famiglia poteva provare nei suoi confronti o la reticenza altrui – entrò nell'atrio come una furia, facendosi guardare strani da infermieri e addetti.
“Cerca qualcuno?” una donna dai corti capelli biondi quasi gli sbarrò la strada, con i pantaloni e il camice bianco dell'ospedale, ma Albus la raggirò, senza fermarsi davanti a nessuno.
“Sì. Mia sorella” disse, mentre la donna correva velocemente dall'altro capo del banco e componeva velocemente un numero.
“Più in fretta” lo esortò Margarita, quasi sopraffatta da quella presenza che si avvicinava sempre più. E Albus mise le ali al piede.
Tic Tac. Un passo dopo l'altro. Il tacchettio delle sue scarpe di vernice quasi rimbombavano contro le pareti di marmo chiaro.
“È così vicino...” gemette Margarita, premendosi una mano sulla fronte e barcollando, nonostante lui la tenesse ancora per mano e la stesse trascinando per le scale come un sacco.
Gli ultraterreni le facevano sempre quell'effetto, quasi risucchiandole l'energia dal corpo e dall'anima, impedendole di stare anche solo a pochi metri da loro.
“Albus!” un uomo dai capelli neri li guardò con gli occhi spalancati, quasi senza fiato per quell'improvvisata.
Al si fermò, fissando suo nonno Sirius con una muta preghiera nello sguardo.
Sembrava urlare « Dopo, ti prego. Dopo. » e senza dire una parola, Black annuì – leggendogli dentro.
“Al?!” una voce alla sua destra tremò e Albus sentì la terra mancargli sotto i piedi. Suo padre lo fissava inerme, quasi come se lo avesse appena pugnalato al cuore. Pallido. Bello. Sicuro. Papà.
“Dovete materializzare Lily lontana da quì” disse, spingendo Margarita verso la stanza che suo padre copriva con la schiena, ora ricurva.
“Che succede?” disse una terza voce, che scoprì poi appartenere a Joe.
“Sta per arrivare una persona... che né Lily e né Scorpius devono affrontare. Dovete portarla lontano di qui, ora!” disse con tono più urgente, mentre attorno a loro si affollava quella che sembrava tutta la famiglia.
Ma il più sbrigativo, come sempre – come quasi mai – fu James. “La porto da Dominique” disse, entrando velocemente nella stanza.
“Porta Margarita con te... lei sarà in grado di proteggervi!” urlò per farsi sentire, mentre la sua amica spariva davanti ai suoi occhi, promettendogli di farsi valere.
Con Margarita nei paraggi, per l'ultraterreno sarebbe stato difficile individuare quei due: i loro poteri, solitamente, annullavano quelli dei maghi e Albus non sapeva perché... ma chiunque cercava Lily, il bambino o Scorpius, a detta di Margarita doveva stare lontano da loro. O avrebbero creato una catena di disastri a non finire.

 

✞ ✞ ✞

 

 

La vecchia casa dei Zabini era sempre sfarzosa e magnifica come i tempi in cui entrambi i coniugi vi ci abitavano: le ampie vetrate, il magnifico marmo e i drappi di velluto – con oro in ogni dove – era sempre il maniero di ben tre piani che aveva ospitato attori, cantanti, miliardari e persone che vantavano un certo conto alla Gringott che avrebbe fatto impallidire persino i Malfoy.
Sontuosa, sfarzosa, fine... come quella madre che aveva perso con uno schiocco di dita. Bella, buia, morta. Come la sua Asia. Come la sua bellissima Asia.
Dalton entrò, fissando lo scalone di marmo proprio di fronte a lui: le tende erano tirate e i camini accesi. Suo padre era tornato da uno dei suoi viaggi e a lui non importava un cazzo. Come sempre.
“Padroncino! Oh, padroncino!” cinguettò una vocina verso il basso e Dalton si accorse di avere un elfo domestico attaccato alla gamba.
Due occhioni verdi, un calzino attaccato alle orecchie lunghe e un vestitino rosa che faceva apparire la vecchia Wendy ancora più stramba di quel che era.
“Sono felicissima del Vostro ritorno!” disse ancora, afferrando entusiasta il suo cappotto e quasi facendogli le fusa con la voce. Dalton le dedicò un piccolo sorriso, accarezzandole la testa con dolcezza. E questa volta Wendy fece davvero le fusa.
“Il Padrone è ai piani superiori” lo informò, sparendo dalla sua vista.
Me ne sbatto le palle, rispose mentalmente Zabini, avanzando nel salone e bloccandosi alla vista di qualcuno che – lentamente – come una sirena, scendeva le scale. Scalino dopo scalino. Passo dopo passo.
Dalton sentì il cuore bloccarsi nel petto e quasi cadde in ginocchio dinnanzi a lei, straziato. Furioso. Angosciato. Dilaniato.
I capelli bruni le accarezzavano le spalle regali, ritte, in delicati boccoli – scendendo oltre la schiena nuda. Gli occhi blu erano appena stati truccati da un leggero ombretto champagne, mentre le ciglia erano sempre lunghe, come il pizzo nero del vestito attillato che indossava.
Il seno abbondante appena scoperto da una profonda scollatura, le gambe atletiche, lunghe, completamente nude. E i tacchi alti che la rendevano più simile ad una visione che a qualcuno, qualcosa di concreto.
Lei, come quasi tutte le donne della sua vita, gli aveva spezzato il cuore.
Lei, come quasi tutte le donne della sua vita, lo aveva abbandonato quando aveva più bisogno della sua presenza.
“Chrysanta...” sussurrò, assaporando tra le labbra il suono di quel nome che quasi aveva dimenticato come si pronunciasse.
Lei era diventato il loro tabù. Nessuno doveva nominarla. Nessuno.
Lei era stata il loro tormento. Dov'era stata? Come aveva potuto tradirli? Era stato davvero così facile?
Dalton si massaggiò il petto, dolorante e Chrys finalmente lo raggiunse.
Silenziosa, d'effetto, magnifica.
La maledizione delle Greengrass.
“Come sei cresciuto...” mormorò, accarezzandogli con dolcezza prima una tempia, poi la guancia e fermandosi sul mento – usando quel tono dolce e infantile che Dalton aveva sempre adorato.
Sua madre. Sua sorella. Sua amante. Chrys era stato tutto per lui e lei gli aveva voltato le spalle senza provare il minimo rimorso. Il minimo dolore.
L'aveva spezzato, come sua madre. Lo aveva piegato, come il tradimento di Joe.
“Sei sempre più bello” disse, senza soffocare una risata.
“A tutti si da una seconda possibilità”
La voce baritonale di suo padre lo raggiunse dalla cima delle scale. Si appoggiava al solito bastone, possente come sempre. Magnetico e impossibile da non guardare. Lo fissò, cercando risposte. Magari la forza di perdonare... quando in realtà lo aveva già fatto.
“Tutti facciamo scelte sbagliate nella vita” disse ancora, raggiungendoli pian piano – con le rughe che il tempo e il dolore della perdita di Asia gli avevano portato sul volto sempre bello.
“Per i traditori c'è un girone esatto dell'inferno” disse, socchiudendo gli occhi chiari e cercando di ricacciare indietro i sentimenti che lei gli aveva scatenato dentro.
Chrysanta sorrise, mostrando una schiera di denti perfettamente bianchi.
“Per tutti quelli come noi c'è un girone all'inferno, Dalton” sussurrò, ad un solo metro di distanza dal suo corpo.
Madre. Sorella. Amante.
Traditrice. Ancora. Assassina. Salvezza.
“Dove sei stata?” domandò, riaprendo gli occhi solo per fissarla e cercare tracce di menzogne... come se ne fosse capace. Era stata un intero a mentirgli e non se n'era mai accorto, come pretendeva di poterlo fare in quell'esatto momento?
“In quel girone esatto dell'inferno” disse, sporgendosi contro il suo viso e lasciandogli respirare il suo profumo. Quello che sapeva di casa. Quello che sapeva di famiglia.
La maledizione delle Greengrass.
“Hai abbandonato tuo fratello. E Scorpius. E me” sbottò, digrignando i denti.
Alla parola « fratello » la vide barcollare all'indietro e massaggiarsi lo sterno, come se le procurasse dolore.
“Come penserai di spiegargli il tuo ritorno, hm?” continuò, ora perfido, ora Serpeverde.
E Chrysanta urlò. Urlò così forte da far tappare le orecchie agli antenati raffigurati nei quadri appesi per la stanza, quasi raggomitolandosi su se stessa. 
“E credi che per me sia stato facile? Credi che per me sia facile ora doverlo guardare negli occhi e dirgli che, maledizione, sono stata davvero all'inferno per quello che ho fatto?!
Credi che per me sia facile ora dirgli che nonostante tutto, nonostante tutti, lui mi è davvero mancato?”
Aveva prima urlato e poi sussurrato le ultime parole, guardandolo con una muta disperazione nello sguardo.
“Tom non la prenderà bene” mormorò Dalton, scuotendo il capo e lasciando che alcune ciocche gli coprissero gli occhi lucidi.
“Cosa non prenderò bene?” la voce di Tom li raggiunse da appena dietro la porta d'ingresso e tutti e tre s'immobilizzarono sul posto.
Merda. Merda. Merda.
Si era tolto il cappotto dalla figura atletica e slanciata e ora posò gli occhi blu proprio su di loro, fossilizzandosi sul posto appena visualizzò... sua sorella.
Il tempo si cristallizzò, come il suo cuore e Tom barcollò sulle sue stesse gambe, tremando.
Era tornata. Sua sorella era tornata e l'unica cosa che riusciva a pensare era il modo migliore per ucciderla.

   
 
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