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Autore: WaterfallFromTheSky    14/01/2016    1 recensioni
Haruko è solo una innocente ragazzina quando Lady Kagami irrompe nella sua vita, stravolgendogliela. Da quel momento, la giovane sarà costretta a fingere, a fare cose che logoreranno la sua anima, tutto per salvare se stessa e suo fratello. Riuscirà nel suo intento? Sarà capace, la ragazza, di mantenere intatti i suoi principi?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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-Ti ho detto che non avresti potuto contare su di me!-
-Ayame, per favore...-
-Te lo scordi, caro! Hai voluto portarla qui e te la vedrai interamente tu! Io non voglio saperne nulla di quell'impiastro!-
-Potresti starmi a sentire per un secondo?-
-Il secondo è già terminato! Lasciami in pace-. Ayame gli diede le spalle e riprese ad affilare il primo dei suoi spadini. Rikimaru sospirò silenziosamente per non irritarla più di quanto già non fosse e insistette, ragionevole:-Ayame, Lord Godha ci ha dato l'ordine di prendere la giusta decisione in merito a Masami. Non lo si può fare con un solo interrogatorio. Abbiamo bisogno di conoscerla-
-E allora conoscila-
-La missione è stata affidata a entrambi. Non puoi esimerti solo perchè quella ragazza non ti piace-. Ayame si voltò, minacciosa, e ribattè:-Io mi esimo perchè mi sembra eccessivo farla vivere con noi. E poi lei vuole morire! Forse dovremmo accontentarla-
-Vorrei che ti ascoltassi mentre dici certe cose-. Ayame sbuffò e gli diede ancora le spalle.
-Ayame-
-Sei proprio uno scocciatore!- sbottò lei, mollando gli spadini e alzandosi; uscì, quindi, di nuovo come un tornado, dirigendosi verso la stanza in cui avevano mollato Masami. Che poi era quella che apparteneva a Tatsumaru. La ragazzina scacciò quel pensiero e spalancò il fusuma, Rikimaru alle calcagna.
Masami, che era seduta per terra, polsi legati e bendata, si voltò di scattò verso l'entrata. Sebbene fosse una figura piuttosto penosa, Ayame non lasciò che la sua furia scemasse; la tirò su sgarbatamente e la spinse fuori dalla stanza mentre diceva:-Andiamo a darci una ripulita. Accidenti, se ne hai bisogno!-. Rikimaru sospirò nuovamente mentre osservava la piccola ninja strattonare la povera Masami verso il retro della casa.
"Forse stava meglio in prigione".
***
Quando Haruko cadde per l'ennesima volta di faccia nell'erba, Ayame comprese che fosse meglio toglierle la benda e magari anche slegarla. Del resto che male poteva mai fare così debole e disarmata?
-Era ora- borbottò Haruko, alzandosi.
-Sbrigati, non ho tutto il giorno!-. Haruko le inviò un'occhiata omicida, ma poi si incamminò verso dove lei le indicava. Sebbene non fosse del posto e non sapesse dove andare, Haruko sapeva bene per quale motivo Ayame le restava alle spalle e la indirizzasse a parole verso la loro meta. Essendo una nemica, non era prudente voltarle le spalle e toglierle gli occhi di dosso, anche se per poco. Un piede dietro l'altro, Haruko e Ayame arrivarono sul retro della casetta; Ayame riempì una tinozza d'acqua fino all'orlo e le gettò una saponetta che Haruko afferrò al volo. Sotto ordine di Ayame, Haruko si spogliò, mollando a terra i suoi vestiti, che erano poco più che stracci malridotti, e si infilò nella tinozza, trasalendo perchè l'acqua era fredda. Bè, perchè prendersi la briga di riscaldarle l'acqua? Già, certo, non ha tutto il giorno, lei.
-Vado a prenderti uno dei miei vestiti. Tu lavati-
-E mi lasci sola?-
-Perchè, potresti essere capace di fuggire tutta nuda?-. Ayame le lanciò un'occhiataccia e si allontanò. Haruko sospirò, irritata, e cercò di fare in fretta. Iniziò a sciogliersi velocemente tutte le treccine; una volta finito, si immerse completamente nell'acqua, facendone sicuramente fuoriuscire un bel pò dalla tinozza, e restò così: quel freddo su tutta la sua pelle sporca e provata era piacevole. Quando le mancò il fiato, tornò su, prendendo una profonda boccata d'aria. Aria profumata. Sapeva di verde, di alberi, di fresco. E solo in quel momento notò un rumore assordante: quello delle cicale. Frinivano continuamente; se ci si concentrava su di esse potevano divenire insopportabili.
Si lavò in fretta, prestando attenzione a non premere troppo sulle parti doloranti. L'acqua divenne presto scura.
Quando Ayame arrivò, lei aveva già finito. Si asciugò e indossò il vestito che la ragazza le porgeva. Fortunatamente non era rosso, bensì violetto, da ninja. Le calzava bene, tranne per il fatto che era un pò troppo corto, il che era ovvio, visto che Ayame era bassa. Doveva trovare qualcos'altro da mettere al più presto. La ragazzina si sporse oltre l'angolo e chiamò:-Rikimaru! Ha finito, ora veditela tu!-. Presto, il giovane apparve tra loro, e Ayame non perse tempo per dileguarsi. Haruko tirò più giù che potè i lembi del vestito, per quanto inutile fosse, facendo comunque finta di nulla. Rikimaru, invece, notò che senza treccine sembrava molto diversa: i capelli erano più lunghi e più folti, le arrivavano a metà schiena. O forse era perchè erano bagnati?
-E adesso?- chiese Haruko, brusca. Si sentiva decisamente meglio ora che era pulita, ma non le andava per nulla a genio quella trovata di averla portata lì.
-Adesso dovresti mangiare qualcosa-
-A che serve tutto questo?-
-A che serve?-
-Perchè mi hai portata qui? Che pensi di fare? Qual è lo scopo di tutto questo?-
-Ho una missione. Per completarla ho bisogno di tempo e di conoscere qualcosa in più su di te-
-Oh, certo. Speri che prima o poi mi fidi di te e ti racconti qualcosa? Stai perdendo tempo, Rikimaru. Impegna il tempo con missioni più proficue. Mi sembri un tipo valente: dovresti combattere, non perdere tempo a fare da balia a una criminale-
-Non decido io cosa dovrei fare, ma Lord Godha, che è il signore che servo. Ora vieni-
-Non ho intenzione di mangiare nulla-
-Lo vedremo. Seguimi e basta-. Contrariamente ad Ayame, Rikimaru le camminò di fronte. Forse la considerava completamente inoffensiva.
Haruko si ritrovò al sole: si fermò, investita da quel piacevole torpore. Chiuse gli occhi, godendo del calore sul viso e sul corpo. Li riaprì e osservò il cielo: era di un azzurro limpido, senza una sola nuvola in cielo. Accidenti, le sembrava un'eternità che non se ne stava così all'aperto, invece si trattava di pochi giorni. Si ritrovò a tirare una profonda boccata d'aria, e si stupì lei stessa. Poi si accorse che Rikimaru la guardava, silenzioso. Non disse nulla, le fece solo cenno di seguirla col capo; per tutta risposta, lei si sedette su una piccola roccia lì vicino alla casa. Il giovane se ne accorse -Haruko restò impressionata dalla sensibilità dei suoi sensi- e ripetè:-Seguimi-
-Non voglio mangiare, ho detto-. Il ninja restò semplicemente a fissarla, forse cercando un modo per convincerla. Lei fece finta di nulla e si prese una ciocca, quindi iniziò a farsi una treccina. Rikimaru si sedette accanto a lei, a gambe incrociate, senza dire una parola, lo sguardo fisso sul paesino sotto di loro. Dopo un pò le lanciò una breve occhiata, ma restò stupito di vedere che aveva realizzato già quattro treccine, perfette. E continuava. Li stava acconciando come prima. Era rapida, come se avesse svolto quell'operazione milioni di volte. Probabilmente era proprio così. Attese silenziosamente che lei terminasse, il che avvenne in poco più di venti minuti. Quando ebbe quindi la testa fitta di treccine, le disse:-Be, andiamo-
-Sei duro a capire-
-Non hai scelta, Masami. Devi fare quello che ti dico-
-Ah si? Perchè se no che fai? Mi uccidi? Fallo in fretta, su-
-Ho visto prima come ti godevi il sole. Se muori, perderai tutto, anche la possibilità di goderti piccole cose come quella-
-Purtroppo non bastano piccole cose per voler vivere-
-E' un inizio-
-Lascia stare. Uccidimi e concludi la tua missione. Così Ayame sarà pure più contenta-
-Ayame non gode della morte di qualcuno. Non lasciarti confondere dal suo caratterino-
-Poco importa-. Haruko si fissò sui fili d'erba attorno ai suoi piedi. Li osservò meticolosamente, finchè non scorse un piccolo insetto camminare su uno di essi. Si sporse per vederlo meglio. Era rotondo, nero, le zampette corte ma veloci.
-Ti piacciono i piccoli animali, vedo-. Haruko non rispose, come se nessuno avesse parlato.
-Devi anche venire a conoscere il Maestro-
-Non vuoi proprio lasciarmi in pace, vero?-
-Solo quando avrò sufficienti elementi per reputare conclusa la missione-
-Sei un pò troppo zelante-. Fu lui a non rispondere stavolta, ma non aveva l'espressione offesa. Bè, non aveva alcuna espressione.
Restarono lì per un bel pò, in silenzio, Haruko ad osservare il cielo, l'erba e il paesucolo, Rikimaru a fare altrettanto, mentre attendeva che lei sentisse il bisogno di muoversi.
Giunse ora di pranzo; Rikimaru iniziò ad avvertire un certo languorino, soprattutto quando soggiunsero alle sue narici i profumi di cibo più disparati. Ayame si stava dando da fare.
Poco dopo, arrivò il Maestro. Haruko lo ignorò completamente, mentre Rikimaru salutò educatamente e chinò il caso, rispettoso.
-E' pronto il pranzo-
-Io non mangio- asserì Haruko. Rikimaru lanciò uno sguardo incerto al Maestro: la missione si rivelava decisamente più difficile del previsto. Come poteva costringere qualcuno a mangiare? Qualcuno che non temeva di essere minacciato di morte?
-Dovresti mangiare. Sei piuttosto pallida e magrolina- tentò Shiunsai. Haruko lo ignorò.
-Almeno dovresti bere qualcosa. Senza cibo si resiste, ma senz'acqua...-. La ragazza continuò ostinatamente ad ignorarlo. Rikimaru si sentiva a disagio: non gli andava giù che qualcuno mancasse di rispetto al Maestro. Non si era nemmeno presentata.
-Maestro, lei comunque è...-
-So già chi è Rikimaru, tranquillo-. Ciò detto, zoppicò col bastone fino a ritrovarsi di fronte a lei. Anche allora, la ragazza non lo degnò di uno sguardo, tenendolo invece fisso su un insetto dalla forma allungata che se ne stava sulla corolla di un fiorellino giallo. Shiunsai seguì quello sguardo...e sollevò un piede, portandolo sull'insetto e sul fiorellino, rimanendo così sospeso con l'aiuto del fido bastone.
Ottenne così l'attenzione della ragazza, che gli stava indirizzando uno sguardo a metà tra lo stupito e lo spaventato. Rikimaru era invece solo interrogativo.
-Entra in casa e bevi un pò d'acqua. Solo un pò d'acqua-
-Ma...-
-Fallo o condannerai a morte sia questo insetto innocente che questo delicato fiore. Solo per un capriccio-. Il vecchio e la ragazza si fissarono per alcuni secondi, che a Rikimaru parvero ore. La trovò sfrontata, perfino più di Ayame, che mai aveva osato fissare così a lungo il loro maestro negli occhi, e per giunta con tanta evidente indignazione sul viso. Alla fine, Haruko cedette, sebbene parecchio riluttante; sentì di odiare tutti, a partire da quel vecchio impiccione. Si alzò dicendo, contrita:-E va bene. Solo dell'acqua- e Shiunsai riportò il piede a terra, pacato. Rikimaru provò ancora più stima per il suo maestro: fino a quel momento non era riuscito a convincere Masami a far nulla. A lui invece erano bastati pochi istanti per capire cosa fare.
Ayame, sul ciglio del fusuma, osservava la scena con un sorrisetto trionfante indirizzato al maestro.
***
Aveva bevuto più acqua di quanto avesse desiderato in principio. L'idea era quella di bere giusto due sorsi per far si che la lasciassero in pace almeno per un pò ma, quando aveva bevuto il primo sorso, non era stata capace di fermarsi. In men che non si dica aveva lo stomaco pieno d'acqua. E si era ritrovata affamata. Non c'era molto sulla tavola -riso bollito, pesce e verdure- ma non mangiava da qualche giorno e avrebbe potuto divorare tutto con gusto. Per questo, andò a chiudersi nella stanza di quel Tatsumaru in tutta fretta e si raggomitolò in un angolo, per terra. Maledetti ninja Azuma.
Se ne restò così per un pò, in preda ad una fame folle. Lo stomaco le doleva tanto che era possibile che si stesse autodemolendo. Aveva pensato di fuggire approfittando che i ninja stessero pranzando, ma non riusciva a muoversi per il dolore e la debolezza. Tentò di dormire per non dover sopportare quel dolore, ma le fu impossibile.
-E' permesso?-. Rikimaru. Possibile che fosse così educato con una prigioniera?
-Permesso cosa?! Apri!-. Questa era Ayame. Dannazione, ma perchè non la lasciavano in pace?
Udì i loro passi alle sue spalle.
-Non stai bene? Ehi?- fece Rikimaru, incerto.
-Ehi, diciamo a te! Potresti anche rispondere!-. Che voce fastidiosa quella Ayame.
-Lasciatemi in pace-
-Dovresti mangiare qualcosa-
-Andatevene-. Non udendo risposta, Haruko capì che i due non sapessero cosa fare.
-Se ci fosse stato Tatsumaru...- mormorò Ayame, cupa.
-Già. Cos'avrebbe fatto Tatsumaru?- si chiese invece Rikimaru.
-Che importa? Tanto non c'è. C'è solo questo impiastro capriccioso. Alzati, impiastro, o ti prendo a calci!-
-Ayame, sta calma-
-E' snervante! Dovremmo davvero ucciderla!-
-Che succede qui?-. Il dannato vecchio.
-Non vuole mangiare, ma ne ha bisogno!-
-Lasciatela stare per ora-. Saggia decisione. Haruko fu lieta di sentire che tutti la lasciavano sola. Prese una decisione: doveva riuscire a eludere la sorveglianza dei ninja Azuma e uccidersi quanto prima. Se fosse stata meglio, ci avrebbe pensato proprio quella notte.
***
Alla fine era riuscita ad assopirsi, ma quando si svegliò non stava molto meglio. Accidenti, avrebbe potuto mangiare qualunque cosa...
Si sollevò da terra con fatica e si voltò. Per poco non lanciò un urlo, ma riconobbe Rikimaru, seduto per terra contro al muro. Gli lanciò un'occhiataccia e si alzò in piedi per sgranchirsi un pò le ossa. Doveva essere primo pomeriggio, a giudicare dalla luce del sole.
-Mi stai sorvegliando?-
-Non lasci scelta-. Haruko sbuffò. Mosse un passo, ma il secondo dopo tutto divenne improvvisamente buio.
***
-Maledetta. Sei un impiastro veramente-. Quella voce ormai fastidiosamente nota e degli schiaffi energici in volto la fecero tornare in sè.
Un momento. Che ci faceva per terra?
Aprire gli occhi le costò tantissimo. Gli schiaffi si arrestarono all'istante e Haruko mise a fuoco il faccino di Ayame. Sollevato. E subito dopo truce.
-Si è ripresa- disse la ragazza. Haruko colse dei passi e trovò nel suo campo visivo anche i volti di Rikimaru e del vecchio Shiunsai. L'ultimo asserì:-Meno male-
-Cosa...è successo?-
-E' successo che ti stai indebolendo, cretina. Sei svenuta e hai avuto...una crisi, non so come altro definirla- spiegò Ayame, laconica e irritata.
-Se mi uccideste con le vostre mani, evitereste sofferenza a me e a voi stessi-
-Presto ci penserò io, tranquilla-
-Ayame- la redarguì Shiunsai. Aggiunse, perentorio:-Lasciateci soli-. I due giovani uscirono subito mentre lei si sollevava. Il vecchio si mise a sedere di fronte a lei, lentamente e storcendo leggermente il viso per via dei dolori articolari dovuti alla vecchiaia. Poggiò il bastone per terra e fissò su di lei i suoi occhi scuri e buoni. Haruko pensò che, in altre circostanze, il vecchio maestro le sarebbe piaciuto. In effetti, a pelle, le piaceva già.
-Perchè sei tanto decisa a porre fine alla tua vita?-
-Perchè dovrei dirtelo?-
-Non essere così ostile. Non ne hai motivo. Sei tra gente che vuole aiutarti. Diversamente, non saresti più in questo mondo o ti troveresti ancora in quella cella-
-Non ho chiesto l'aiuto di nessuno-
-Per favore, Masami. C'è già sufficiente morte e dolore in questo mondo. Se non è necessario aggiungerne, è bene non farlo. E, credimi, non è mai necessario-
-Che vuoi saperne? Sarai saggio quanto vuoi, Maestro Shiunsai, ma non mi puoi capire. Ed è una fortuna per te-
-Stai soffrendo molto, questo lo capisco fin troppo bene. Chi vuole morire solitamente non ha più nulla per cui lottare...altrimenti si aggrapperebbe con tutte le forze anche alla più piccola speranza di salvezza-. Haruko non rispose. Non poteva: un nodo alla gola le impediva di parlare. Se lo avesse fatto, sarebbe scoppiata in lacrime. E il vecchio maestro se ne accorse; si sporse e pose una mano rugosa sulle sue, dicendo con gentilezza:-Giovane Masami. Non so cosa tu abbia passato...ma ti assicuro che a tutto c'è una soluzione. Una soluzione che non è la morte. Ogni cosa brutta può essere affrontata, metabolizzata e superata. Noi ne siamo la prova. Abbiamo perso pochi giorni fa un membro importante del nostro clan. E' come se tutti avessimo perso una parte del nostro cuore-
-E' diverso- sussurrò Haruko, gli occhi fissi sul pavimento e la voce rotta.
-Non lo è, Masami. Il dolore è dolore. E, indipendentemente dalla sua intensità, lo si può combattere. Soprattutto se si è giovani, come te-
-Non è vero-. Una lacrima le rigò il volto; la ragazza girò il capo e ritrasse le mani da quella di Shiunsai, asciugandosi velocemente. Restò così, mentre il vecchio sospirava e subito dopo si alzava cautamente. Le disse, bonario:-Ascolta le parole di un vecchio. Non gettare la tua vita così. Accetta l'aiuto di persone che te lo offrono. Prenditi il tempo che vuoi. Le soluzioni estreme non sono mai quelle giuste, ragazza mia-. Il maestro le poggiò una mano sulla testa; quel gesto fece venire voglia ad Haruko di lasciarsi andare al pianto tra le sue braccia. Ma si trattenne, stringendo forte la mascella tanto da farle male. Quando uscì, però, le lacrime iniziarono a fuoriuscire copiose, e lei non potè proprio farci nulla.
***
Ostinata, restò in quella stanza per il resto della giornata. Non ingerì nulla: Rikimaru le portò della frutta nel pomeriggio, ma lei non la guardò nemmeno, nonostante i morsi della fame le corrodessero lo stomaco. Invece non fu proprio capace di non bere, e maledisse di nuovo quei ninja impiccioni. Fu quando il sole tramontò che iniziò a stare nuovamente male. Il buio conciliava i suoi pensieri più tetri e lei non riusciva a distrarsi, nemmeno se si concentrava sul suo disagio fisico. Ad un certo punto si assopì...ma non fu una fortuna. Il suo sonno fu agitato da un turbine incongruo di incubi; quando si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, ricordava solo frammenti confusi, ma tutti accomunati da morte, sangue, la minaccia di Lady Kagami, quella sua mostruosa katana...il senso di solitudine, di perdita, il dolore...
Si sentì impazzire. Il pensiero di sognare ancora quel pandemonio di sangue...
"Non ne posso più. Devo farla finita. Subito. Tanto, nessuno sentirà la mia mancanza. Anzi". Quella conclusione la incoraggiò.
Era sola, nessuno la sorvegliava. La cosa le parve strana, tuttavia non volle soffermarcisi. Dovette radunare tutte le forze per alzarsi, ma alla fine ci riuscì e si diresse al fusuma. La frutta che le aveva portato Rikimaru era ancora lì. In fretta, lottando contro la fame, uscì e se la lasciò alle spalle. La notte era tranquilla, fresca, il cielo limpido. Non c'era luna, ma le stelle erano perfettamente visibili. Bellissime. Prima trascorreva spesso la sera a guardarle. Con lui...
"Akahito". Una fitta al cuore le riportò le lacrime agli occhi e sentì l'urgente bisogno di far cessare quel dolore. Lasciò perdere le stelle e si allontanò dalla casetta degli Azuma. Entrò nel piccolo boschetto lì vicino; non sapeva dove si stava dirigendo, ma si guardava intorno per cercare qualunque cosa con cui poter porre fine alle sue sofferenze.
-Dove vai?-. Rikimaru. Non era affatto stupita. Si voltò in sua direzione, ma solo allora ricordò che aveva il viso inondato di lacrime amare. Le asciugò in fretta, ma lui ormai le aveva viste. Non seppe cosa dirle. Non seppe cosa fare. Rikimaru non era bravo con la gente: era gentile, educato, servizievole, ma il suo carattere riservato gli aveva sempre impedito di interagire normalmente con chiunque, in special modo con le ragazze. Ayame faceva eccezione, era quasi una sorella per lui. Si stava impegnando per capire e aiutare Masami, ma solo perchè gli era stato assegnato quel compito: in realtà la cosa lo metteva seriamente a disagio. Mai come in quel momento si era sentito tanto incapace. Avrebbe preferito mille volte tornare nel castello incendiato di Godha1.
-Non voglio fare del male a nessuno, tranquillo. Tornatene pure a dormire e lasciami stare-
-Stai piangendo-
-Sei un acuto osservatore-. Rikimaru ignorò il sarcasmo e si chiese cosa fare per farla sentire meglio. Il fatto che lei fosse così ostile e ritrosa a ricevere aiuto non lo aiutava per niente.
-Dove stavi andando?-. La ragazza lo fissò in silenzio, ma aveva gli occhi gonfi di pianto, le labbra strette perchè si sforzava di contenersi. Ma ogni tanto sussultava.
Haruko era disperata: adesso lui l'avrebbe portata di nuovo in quella casa, abbandonandola ai suoi incubi e al male che aveva dentro. Non voleva. Quei maledetti non la capivano. Il problema era quello. Forse, se avesse lasciato uscire almeno una parte del suo dolore...
Si inginocchiò e pianse in silenzio, nel buio, tra gli alberi. Rikimaru si sentì più in difficoltà di prima: che diavolo poteva fare di fronte ad una ragazza disperata e in lacrime? Perchè il Maestro Shiunsai non lo aveva mai preparato a qualcosa del genere? Gli sovvennero alla mente le parole di Tatsumaru, risalenti a diversi anni prima: erano ancora bambini e Tatsumaru aveva offeso Ayame perchè non le aveva fatto un complimento, che lei invece si aspettava. Rikimaru non capiva come ci si potesse arrabbiare per qualcosa di così futile...ma il giovane gli aveva detto a mezza voce:"Ah, le donne. Sono troppo complicate. Con loro sbagli sempre!". La consapevolezza che avrebbe quasi sicuramente sbagliato lo fece sentire in colpa ancor prima di fare qualunque cosa. Accidenti.
Haruko lo distolse dal suo disagio dicendo, tra le lacrime:-Io non ce la faccio. Per favore...se hai un pò di pietà...-
-No-
-Ma...!-
-Non posso ucciderti. Non è questa la mia missione-
-Se lo ritieni opportuno puoi farlo. Tu e Ayame avreste dovuto decidere. Per lei potrei già essere morta, quindi...-
-E' vero, ma non posso farlo. Non so niente di te. Come posso decidere se è il caso che tu muoia?-
-Sai che sto male. E sai che potresti uccidermi con un sol colpo e regalarmi una morte rapida e indolore-. Aveva puntato gli occhi su di lui. Lo aveva fatto apposta. Haruko aveva imparato da tempo a convincere un uomo con lo sguardo. Ci riusciva sempre con...
"Akahito....". Non dovette fingere, si sentiva davvero distrutta. Stava solo permettendo a Rikimaru di vederlo coi suoi stessi occhi. E lui lo vide benissimo. Sospirò tristemente. Avanzò verso di lei.
Haruko sperò che si fosse impietosito. Quando lo vide tirar fuori un kunai, non potè crederci. Lo vide fermarsi di fronte a lei, un'ombra nera, alta e minacciosa che stava per salvarla. Haruko chinò il capo e chiuse gli occhi, attendendo il colpo finale, attendendo di non sentire più nulla...
Si scoprì spaventata. Spaventata all'idea di morire. Ma, stoica, restò dov'era, immobile, in attesa, tanto sarebbe stato veloce. Con sua sorpresa, però, Rikimaru gettò quel kunai ai suoi piedi. Si voltò e disse:-Io non posso fare una cosa del genere. Non posso fare qualcosa che non mi è stato ordinato. Ma tu puoi fare della tua vita quello che ritieni più giusto. Fallo pure-. Ciò detto, si allontanò e, presto, sparì tra le ombre degli alberi.
Haruko afferrò il kunai, la mente alla frenetica ricerca di un modo meno doloroso possibile per farla finita. Optò per il dissanguamento. Avvicinò la lama alla parte interna del polso, dove sapeva ci fossero i vasi. Non li vedeva, ma un taglio netto in quel punto l'avrebbe condotta a morte certa. Prese un profondo respiro. Si accorse di essere piuttosto tesa. Spaventata. Più di prima.
-Avanti- si disse. Era l'unico modo per non pensare più, per non soffrire più, per raggiungere la pace. Eppure...in quel modo non avrebbe più sentito proprio nulla. Non avrebbe più avvertito l'odore degli alberi, che a lei era sempre piaciuto. Non avrebbe più udito le cicale. Non avrebbe più sentito sulla pelle la frescura piacevole della sera e il calore del sole di primo mattino. Non avrebbe più visto quelle meravigliose stelle. Non avrebbe più sentito la terra sotto i piedi, la consistenza dell'erba...
"Devi essere sempre forte, figlia mia. Ricordatelo. Sei una donna. Avrai sulle spalle mille fardelli, anche troppo pesanti...ma riuscirai a portarli sempre. Come fa la tua mamma". La sua mamma. Già, lei. Se l'avesse vista in quel momento, si sarebbe chiesta chi fosse quella bugiarda che si fingeva sua figlia.
"Mamma". Lottare. Lei era viva. Aveva la possibilità di farlo. Sua madre...è quello che le aveva sempre insegnato. Lei lo aveva sempre fatto fino a quel momento. Perchè smettere? Solo perchè si sentiva stanca?
"Sei stanca?! Che pelandrona! Riposati e poi continua, allora!" le aveva sempre detto suo padre quando badare all'orto e agli animali diventava troppo pesante. Già, riposati...
-Mamma... Papà... Oh, mamma e papà, mi sento così sola...- e scoppiò in lacrime come una bambina, le mani sugli occhi, il naso colante di moccio. Il kunai abbandonato per terra.
Lei non voleva morire. Voleva solo smettere di soffrire. E, per farlo, doveva lasciare che il dolore uscisse, uscisse, uscisse...
***
Non era andato via. Era rimasto lì ad osservarla, silenzioso come l'ombra che aveva imparato a diventare. Un albero celava la sua presenza.
L'aveva vista portare il kunai al polso, esitare. Riflettere. E piangere. Non aveva mai visto nessuno piangere tanto, nemmeno i bambini del villaggio. Nemmeno Ayame da bambina quella volta che, dopo aver esasperato Semimaru per un intero giorno, aveva ricevuto un morso da lui.
Non sembrava più intenzionata a suicidarsi, almeno per il momento. Ne fu lieto. Ma ora? Doveva lasciare semplicemente che si sfogasse da sola? Rikimaru pensò proprio di si. E pensò anche, piuttosto soddisfatto, che Tatsumaru quella volta aveva sbagliato: non sempre si sbaglia con le donne. Non se si segue il proprio istinto e si presta un pò di attenzione.
***
Mai aveva pianto tanto in tutta la sua vita. Si chiese come fosse possibile perdere tanta acqua senza morire disidratati. Quelli furono i suoi primi pensieri al mattino. Poi aprì gli occhi, incontrando decisamente troppa luce. E quegli uccelli, per la miseria, quanto baccano.
Era nel boschetto. Il pianto e quelle forti emozioni l'avevano talmente sfinita che, appena si era appoggiata sul terreno un attimo, si era addormentata. Profondamente, senza nemmeno un sogno o un incubo a pertubare il suo sonno.
L'aria era fresca e c'era silenzio, se non fosse stato per gli uccellini. La luce era poco intensa. Haruko intuì che fosse l'alba o poco più. Notò il kunai accanto a sè; lo prese, ma con l'intenzione di restituirlo a Rikimaru.
Non voleva morire, decisamente. Almeno non per ora.
Si voltò e fu sorpresa di trovare Rikimaru lì, seduto contro un albero, addormentato. Teneva le braccia incrociate e l'espressione del viso rilassata. Sembrava non respirasse. E non sembrava indifeso, come ci si aspetta da qualcuno che dorme.
Era rimasto lì con lei tutta la notte? Perchè?
La giovane si alzò, annusando l'aria e gonfiandosi i polmoni. Sebbene si sentisse fisicamente debole, psicologicamente stava meglio. Paradossalmente, il dolore che fino a quel momento le aveva prosciugato le forze, in quel momento la faceva sentire viva. Viva e vogliosa di stare meglio. I suoi genitori...avrebbero voluto proprio quello. Non poteva tradirli, ignorando ciò che le avevano insegnato. Fino a quel momento era andata avanti per proteggere suo fratello...ma, ora, doveva andare avanti solo per se stessa. Ne era capace.
Si spazzolò il vestito con la mano libera e mosse un passo; il secondo successivo, Rikimaru era in piedi, sveglio, la katana sguainata. Haruko alzò le mani dicendo:-Sono io! Stavo solo....-
-Scusami-. Il ragazzo abbassò l'arma e Haruko le mani. "Accidenti, che riflessi". Al suo confronto, lei era una tartaruga stordita.
Gli porse il kunai. Improvvisamente si sentì in forte imbarazzo. Lui l'aveva vista piangere, l'aveva supplicato di ucciderla...ed era quasi sicura che l'avesse anche vista dopo, quando si era lasciata andare al dolore. Haruko non era una ragazza che si lasciava andare facilmente, perfino i suoi cari l'avevano vista raramente piangere. Eppure quel ragazzo, che era praticamente uno sconosciuto...
Senza una parola, il ninja prese il kunai e si incamminò verso la casa. Haruko gli fu infinitamente grata di non sollevare l'argomento, come se nulla fosse accaduto. Avrebbe forse dovuto ringraziarlo per aver vegliato su di lei? E per averle permesso di scoprire, a suo modo, che la morte era la soluzione sbagliata?
Non riuscì a dire proprio nulla.
Uscirono dal boschetto e Haruko vide il sole che scivolava fuori dall'orizzonte, salendo sempre più. Solo quando il sole era ben alto nel cielo si accorse di essersi fermata e di aver osservato lo spettacolo quasi rapita. Rikimaru la aspettava. La ragazza abbassò lo sguardo come per scusarsi e lo seguì.
-Ti va di mangiare?-
-Io...si-. "Si, accidenti, si. Tra poco svengo se non lo faccio".
-Posso preparare qualcosa io? Per tutti? Così...mi sdebito almeno in parte per l'ospitalità-
-Fa pure-.
***
Quando Ayame e il Maestro Shiunsai giunsero per la colazione, non crederono ai loro occhi: Masami stava mangiando. Anzi, stava quasi per strozzarsi per la velocità con cui si abbuffava. Rikimaru faceva finta di nulla, mangiando composto. La ragazza li notò e si bloccò; ingollò ciò che aveva in bocca e fece, a disagio:-Scusate, non vi avevo sentiti...-
-Che mangiona! Ci svuoterà la dispensa!- esclamò Ayame; il vecchio maestro invece sorrise bonariamente e rispose:-Tranquilla. E' sempre un piacere veder mangiare un ospite con tanto appetito-
-Grazie-. Alla ragazza non sfuggì lo sguardo che intercorse tra lui e Rikimaru; il vecchio sembrava dirgli "Ben fatto". Lui, però, continuò a mangiare come se nulla fosse. E Shiunsai decretò:-Rikimaru, penso sia opportuno che tu faccia visitare il villaggio a Masami. Lo farei io ma, ahimè, non ho più le forze per camminare in lungo e in largo-
-Si, Maestro-
-Ayame, puoi andare anche tu naturalmente-
-Io ho di meglio da fare- replicò lei acidamente. Ad Haruko non dispiacque per niente quel rifiuto.  
Quando uscirono, udirono un abbaio; in men che non si dica, un cane di media taglia fu ai piedi di Rikimaru, felicissimo, scodinzolante.
-Semimaru! Dove sei stato finora?-. Sebbene non sapesse praticamente nulla di Rikimaru, Haruko si ritrovò stupita di sentire un tono allegro nella sua voce solitamente bassa e pacata. Osservò il cane e si ritrovò a sorridere, contagiata dalla sua allegria. Il cane la notò e smise di fare le feste a lui per annusarla, curioso; le fece il solletico sfiorandole gli stinchi col naso e lei ridacchiò.
-Ciao, piccolo. Come sei bello- gli disse, carezzandolo. Come se avesse capito, il cane scodinzolò allegramente.
-Ehi, sei tornato! Ciao, Semi-chan!- lo chiamò Ayame, sopraggiunta in quel momento. Il cane le corse incontro, riservandole la stessa gioia. Per Haruko fu una sorpresa anche vedere il viso della ragazzina distendersi in un sorriso; sembrò improvvisamente molto più giovane e carina di com'era realmente.
-Su, andiamo, Ayame gli darà da mangiare. Oppure vuoi restare?-
-No no, possiamo andare-. I due ninja si incamminarono. Haruko si sentì in imbarazzo in tutto quel silenzio: lei non era una gran chiacchierona, ma Rikimaru era peggio di lei. Chiese:-E' il vostro cane?-
-Si. Lo hai visto solo ora perchè è solito andarsene in giro per il villaggio. Ci sono giorni che sta via, altri che passa interamente con noi-
-Oh, capito-. Haruko si fermò all'improvviso: una grossa farfalla le aveva tagliato la strada. Era marrone, delicata, leggera. La osservò mentre le passava davanti con grazia, per poi posarsi su un fiore lì vicino. La trovò molto bella, ne restò incantata. Accidenti, da quanto tempo non restava a osservare una farfalla?
Si accorse di essersi fermata e che Rikimaru la attendeva in silenzio.
-Scusami, io...-
-Non scusarti-
-Sembra...mi sembra di esser nata ieri. O di mancare da questo mondo da moltissimo tempo-
-Forse, in un certo senso, è così-. Haruko non seppe cosa replicare, a disagio. Non amava parlare di sè, soprattutto con qualcuno con cui non aveva confidenza. Pensare a ciò che aveva passato fino al giorno prima la portò a riflettere su cosa fare ora. Non aveva più nulla, solo se stessa. Doveva andare, trovare un nuovo posto nel mondo...
-Vorrei cercarmi un lavoro. Uno qualsiasi. E una casa, anche modesta-
-Puoi stare da noi finchè non trovi ciò che fa al caso tuo-
-Lo so, e vi ringrazio, ma non intendo perdere tempo ed esser di peso per voi-
-Non sei di peso. Fino a prima che arrivassi tu eravamo comunque in quattro-. La voce di Rikimaru non aveva mai particolari inflessioni, tuttavia Haruko percepì una certa amarezza in quella frase. L'aveva forse immaginato?
-Mi dispiace. Per...il vostro amico, Tatsumaru. Io non volevo ucciderlo. Cioè, all'inizio si, ma...è complicato-. Prima che Rikimaru le chiedesse qualcos'altro, cambiò discorso:-Comunque, sono abituata ad essere indipendente-
-Possiamo cercare anche adesso, allora. Intendi restare al villaggio?-
-Si, almeno per ora. Non ho praticamente nulla...poi non so, magari decido di restare, o di andar via-
-Capisco. Cosa sai fare? A parte combattere-. Erano entrati nel villaggio. Era silenzioso e poca gente era in giro, dato che era mattino presto.
-Va bene tutto, anche quello che non so fare. Posso imparare-
-Bene-
-Non...non c'è bisogno che mi accompagni. So sbrigarmela da sola-
-Non importa-. Haruko si sentì subito sciocca: Rikimaru non lo faceva per gentilezza. Quante volte le aveva ripetuto che stava eseguendo una missione? L'avrebbe tenuta d'occhio finchè non fosse stato certo che lei non fosse una minaccia. Ciò comportava che lei non fosse mai sola. Capiva la sua posizione, difatti la cosa non la stupì nè la infastidì.
In quel mentre, tre bambini sghignazzanti corsero verso di loro e li sorpassarono: Haruko invidiò la loro spensieratezza.
Rikimaru si fermò e chiamò:-Mina!-. Una bimba magrolina coi capelli neri si fermò; sorrise al ninja, mostrando la mancanza di qualche dentino.
-Ciao, Rikimaru!-
-Ciao, piccola. Per caso la mamma è in casa?-
-Si si!-
-Molto bene. Ci vediamo-
-Ciao, Riki!-. Il giovane si incamminò e lei lo seguì in silenzio. Colse subito un odore di pane che le fece tornare l'appetito. Poco dopo videro infatti un forno. Rikimaru si diresse verso la casetta accanto al forno e bussò.
***
Era stata fortunata. La mamma della piccola Mina, Shizune, era la moglie del fornaio, ma era incinta e non poteva aiutare il marito; si limitava a restare al forno per vendere il pane. Haruko avrebbe lavorato col marito della signora. Non sapeva lavorare il pane, ma si era detta disposta ad imparare. Era un buon inizio. Avrebbe iniziato a lavorare il giorno dopo. Per la casa non andò altrettanto bene: ciò implicava che dovesse restare con gli Azuma per un pò, ma la cosa non le dispiacque. Aveva intenzione di impegnare ogni minuto possibile della sua giornata, per cui probabilmente sarebbe tornata da loro solo per dormire.
-Ti ringrazio- disse lei a Rikimaru, una volta usciti dalla casa.
-Non è nulla-
-Non è vero. E' tanto. Anche se lo fai perchè la consideri una missione. Ma mi è comunque d'aiuto-
-Masami...-. Il ragazzo le puntò addosso i suoi occhi scuri e profondi. Se era stupito o altro per ciò che lei aveva detto, non lo si vedeva: i suoi lineamenti erano sempre seri e imperscrutabili.
-Haruko-
-Cosa?-
-Haruko. Non Masami. Mi chiamo Haruko-. Il giovane restò ancora in silenzio, fissandola. Lei spiegò:-Masami è il nome col quale mi sono infiltrata al castello-
-Capisco-
-C'è qualcosa che io possa fare a casa da voi? Pulire, per esempio?-
-Non so-
-Posso occuparmene io. Tanto non ho nulla da fare per oggi-
-Come preferisci-. Rikimaru si diresse verso casa e Haruko lo seguì, impaziente di riempire il suo tempo.
 
 
 
 
1Incendio al castello di Godha: durante l'attacco al castello di Godha Matsunoshin da parte di Motohide e Toda, il castello viene incendiato e Rikimaru è costretto a vagare tra le fiamme alla ricerca del suo signore.
  
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