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Autore: Selene3_9_97    15/01/2016    0 recensioni
"Ti prego Hanna, asciuga le tue lacrime. Il destino che ti è appena stato imposto e che tu non senti come tuo è solo l'inizio di qualcosa di più grande, scritto nella storia del mondo prima ancora della tua nascita."
La ragazza alzò la testa lentamente, spaventata e attratta allo stesso tempo da quella voce che sembrava provenire da una dimensione ultraterrena. Si guardò intorno confusa, cercando di scoprire da dove provenisse, poi capì. A parlare non era stata una persona, o semplicemente qualcosa che fosse frutto della sua immaginazione, ma l'albero.
Quel salice le aveva appena parlato.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo7: La morte della Terra
L'intero drappello di cavalieri rimase ammutolito di fronte all'agghiacciante spettacolo che la marmorea Perial offrì ai loro sguardi. L'intera città era stata rasa al suolo con la violenza delle catapulte e la furia delle spade, lasciandola avvolta da un'impenetrabile coltre di fumo, in un silenzio assordante. 
Il capitano della milizia Sir Stephen di Eldoran, allora appena venticinquenne, fece un rapido cenno col braccio, ordinando ai suoi di proseguire fin dentro le porte di pesante legno massiccio della città che, a giudicare dai segni lasciati, dovevano essere state sfondate a colpi d'ariete. Il rumore degli zoccoli prodotto dai cavalli echeggiava pesante e lugubre, in quell'atmosfera di silenzio mortale. Varcarono l'ingresso, fra le possenti mura ormai quasi interamente ridotte in grandi cumuli di macerie, senza che nessuno di loro osasse immaginare ciò che avrebbero trovato all'interno. Qualcosa di infinitamente più raccapricciante.
Non appena gli uomini misero piede all'interno di Perial, iniziò a soffiare un vento freddo, non impetuoso ma abbastanza forte da poter diradare la coltre di fumo, che fino a quel momento aveva oscurato persino il sole nel cielo, rivelando così i risultati della battaglia.
Dinnanzi a loro si estendeva il lungo viale ciottolato che conduceva alla piazza principale, fiancheggiato ai lati da ciò che un tempo era una schiera di abitazioni a più piani, che durante l'assalto erano state saccheggiate e messe a ferro e fuoco. Molte di esse, perciò, erano ora ridotte a un mucchio di ceneri fumanti, mentre di altre erano rimasti i muri principali, avvolti dalle fiamme che stavano finendo il loro lavoro indisturbate. L'intera città era pervasa da un intenso odore dolciastro, talmente penetrante e nauseabondo che alcuni uomini furono costretti a procedere tappandosi il naso con il fazzoletto che portavano legato intorno al collo.
I cavalieri continuarono a procedere in quel paesaggio di morte e desolazione, superando il viale fino a raggiungere la grande piazza circolare con al centro la sua singolare fontana esagonale. Ad ogni vertice vi era posta una realistica tartatuga scolpita nella pietra e dalla bocca di ciascun rettile vi fuoriusciva un getto zampillante di acqua cristallina, o almeno un tempo era così. L'immagine della piazza brulicante di gente ormai apparteneva al passato. Adesso vi si poteva solo vedere un vasto spazio, pieno di corpi di soldati esanimi, riversi a terra sul lastricato imbrattato di sangue. Si trattava di soldati appartenenti alla guardia cittadina, di civili non ne avevano visto ancora nessuno, probabilmente si erano dati alla fuga o si erano barricati in rifugi di fortuna, aspettando e sperando che quel massacro finisse al più presto. Uno di quegli sventurati, cadendo, doveva aver sbattuto la testa sulla pietra della fontana restandoci secco e a quel punto il sangue aveva cominciato a fuoriuscire dalla ferita, macchiando l'acqua di rosso.
-Da qui in poi ci divideremo.- ordinò Sir Stephen voltandosi verso i suoi uomini - Teodir, tu e il gruppo alla mia destra dirigetevi nella zona del mercato coperto. Lorian e il gruppo alla mia sinistra perlustreranno la biblioteca, il tempio e gli altri edifici pubblici, mentre Sir Ghant prenderà sette uomini e resterà di guardia insieme ad essi, se la notizia dell'attacco si è già diffusa arriveranno presto briganti e banditi fuorilegge a ripulire ciò che è rimasto. Tutto chiaro?
-Si signore!- risposero i cavalieri in coro.
-Bene, andate ora. Voi altri con me!
Mentre gli altri erano intenti ad eseguire gli ordini, il loro capitano si era lanciato al galoppo insieme ai compagni restanti, verso il palazzo di Dejanira Forte Quercia, contessa di Perial fino a qualche giorno fa. Sir Stephen sapeva bene che dopo aver aperto la breccia, assediato la città, razziato e massacrato senza pietà soldati e civili, il loro nemico aveva spostato la sua attenzione verso la nobile residenza, poichè essa custodiva il cuore del loro obiettivo. Poteva solo immaginare con quanta determinazione e disperato coraggio, Dejanira aveva tentato di difendere la sua terra e la sua gente, fino a quando non fu costretta alla resa. A quel punto la città poteva considerarsi perduta e la sua signora venne trascinata in catene, ormai prigioniera di guerra. Il giovane si augurò che non avesse subìto alcuna violenza, anche se nutriva dei dubbi al riguardo.
"La guerra non conosce rispetto, nè pietà."
Il gruppo di cavalieri si fermò nel grande cortile circolare di pietra, incorniciato da un austero porticato di colonne annerite dal fumo. Li lasciarono i cavalli, procedendo con il passo spedito, le orecchie tese e la spada sguainata, pronti ad un'eventuale "sorpresa". Dal portone ridotto in pezzi, entrarono nella sala principale, un tempo arredata da candelieri d'argento, tende pregiate e drappi ricamati, animata dai rumori dei gesti e delle mansioni quotidiane.
Sir Stephen si guardò attorno aggrottando la fronte. Altri corpi riversi a terra, altro sangue, ancora il silenzio mortale. Il fondo della sala era costituito da una grande scalinata di marmo, che si diramava alla fine in due direzioni. Con tono secco e diretto, il capitano ordinò a cinque dei suoi di perlustrare gli appartamenti dei piani superiori, mentre lui con altri tre sarebbe proseguito per la sala sulla sinistra.
Procedette, entrando in quella che doveva essere la sala della musica, con il suo soffitto affrescato, gli alti finestroni che circondavano le pareti e una serie di innumerevoli strumenti, la maggior parte di essi distrutti dalla furia bellica.
-Da lì dovremmo poter accedere al giardino interno.- dichiarò Sir Stephen indicando una piccola apertura sorretta da un'architrave.
Fece un cenno e insieme ai suoi uomini scese la stretta scala a chiocciola, raggiungendo senza ostacoli il punto previsto. Se tutto ciò che aveva visto fin'ora gli aveva riempito il cuore di rabbia ed orrore, lo scenario che gli si presentò alla vista riuscì a togliergli persino la ferrea calma di cui era sempre stato dotato.
Il giardino della contessa Dejanira era conosciuto come uno dei più belli di tutto il regno: circondato da siepi di esotico gelsomino, disseminato di statue di ninfe, fontane zampillanti, stagni, arbusti di more e lamponi, rose selvatiche, delicati gigli e ricoperto da un tenero prato, fiorito in primavera, verde brillante d'estate, caldo di colori in autunno e innevato d'inverno era l'orgoglio della città.
Ora, però, di quel piccolo angolo di paradiso donato da Madre Natura non restava altro che un arido lembo di terra sofferente e bruciata.
A quella vista Sir Stephen lanciò un grido che squarciò il silenzio sotto quel cielo grigio e corse in un'unica, precisa direzione, sperando che il suo più grande timore non si fosse avverato. Corse veloce come un lupo di montagna, ignorando la stanchezza della missione e il sudore che iniziava ad imperlargli la fronte, corse sotto la pesante armatura di lucente acciaio che lo rivestiva, fin quando non si fermò di scatto, la spada che gli cadde dalle mani e gli occhi sbarrati da sotto l'elmo.
Di fronte a lui c'era l'obiettivo della sua missione, il centro del giardino, uno dei quattro pilastri che regolavano l'Equilibrio del mondo, il primogenito di Madre Natura: Gehus, lo splendido tiglio dall'elegante tronco, i bianchi fiori e le foglie carnose e lucenti, lo Spirito dell'elemento Terra...
-...morto.- mormorò il giovane vagando con lo sguardo sulla pianta esanime, le foglie ridotte in cenere, i rami anneriti, il tronco ferito dal quale sgorgava ancora la linfa, le radici che sporgevano dal terreno agonizzanti, torturato e distrutto dalla furia del fuoco.
Sir Stephen cadde in ginocchio, la spada scivolò dalla sua presa tremante, il sangue prese a pulsargli con violenza nelle tempie, mentre le mani affondavano disperatamente nella terra, come se in quel momento il giovane credesse nell'illusione di poterlo riportare in vita con il semplice tocco.
Nel frattempo gli altri cavalieri erano accorsi al grido del loro comandante e di fronte all'albero distrutto non poterono far altro che riporre le armi e inginocchiarsi in segno di lutto.
-Signore...- disse l'unico uomo rimasto in piedi, avvicinandosi rispettosamente a Sir Stephen.
-Ci sono riusciti, Lorian. L'hanno ucciso ed hanno aperto la strada verso la rottura del sigillo. Dobbiamo avvertire subito il Gran Maestro.
-Signore, abbiamo trovato un superstite.
-Cosa?
-Un superstite, Signore. Abbiamo trovato un bambino.
   
 
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