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Autore: Son of Jericho    17/01/2016    2 recensioni
"You don't know me".
Hai ragione, non ti conosco. Ma come potrei, se non conosco nemmeno me stesso?

Un presente che appare insostenibile, un futuro che rischia di diventare ogni giorno più difficile, e la paura di non farcela, porteranno Beck lontano da tutto ciò che credeva di amare.
Tempo e distanza, per sperare che le cose tra loro si sistemino.
Nuovi amici lo accompagneranno nella sua nuova strada, fino a quando arriverà il momento di chiedersi se davvero vale la pena tornare indietro e lottare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beck Oliver, Jade West, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XI - I can’t forget


 
Un sole particolarmente intenso e caldo filtrava dalle finestre dell’aula di teatro, dando il buongiorno agli attori impegnati nelle prove.
Tori e Madeline Dort avevano appena concluso il loro segmento, che si svolgeva in camera e che le vedeva affrontare lo spigoloso problema di quale vestito scegliere per un party a scuola.
I prossimi sarebbero stati Jade e Mark. Salirono sul palco e raggiunsero le loro posizioni, sotto lo sguardo attento di Sikowitz.
Avrebbero dovuto riproporre il momento in cui i genitori si ritrovavano in apprensione ad attendere il ritorno della figlia proprio da quella festa: una scena che fin dall’inizio aveva lasciato qualche perplessità nei professori, e soprattutto, la scena per la quale Jade si era infuriata con Mark.
Era un’opportunità che aveva il sapore di rivalsa per entrambi.
Mark si sedette al tavolo e annuì alla partner per confermare l’intesa.
Dopo alcuni secondi di concentrazione, l’espressione di Jade mutò, facendosi agitata e preoccupata. - Che ore sono, Tod? - esordì con lo sguardo basso.
Mark diede una rapida occhiata all’orologio da polso. - Le undici meno un quarto. -
Jade tirò su il capo, stupita dalla reattività del ragazzo, e lo fissò angosciata. - Dici che dovremmo provare a chiamarla? -
- Ci ho già provato cinque minuti fa, e ha risposto la segreteria telefonica. -
- Sono preoccupata. -
- Lo so, Evelyn, ed è normale. - stavolta le pause sceniche riuscirono alla perfezione. - Ma forse dobbiamo capire che la nostra Mary non è più una bambina. E’ una ragazza ormai, e… -
- Per me rimane ancora la nostra bambina. - sottolineò Jade con crescente sconforto.
Stavano viaggiando a tutto un altro ritmo rispetto alle volte precedenti, e se ne accorsero ancora più chiaramente quando Mark si alzò dalla sedia e le si avvicinò. - Lo sarà sempre anche per me, ma sta crescendo. - la consolò.
Poi si inginocchiò davanti a lei e le prese gentilmente la mano tra le sue. - Sei bellissima stasera, Evelyn… -
Nessuno avrebbe mai scoperto se il bacio che avrebbero dovuto scambiarsi da copione sarebbe avvenuto, perché la voce di Sikowitz intervenne puntualmente ad interromperli. - Stop! Ottima, bravi! - esclamò, facendo seguire poi un breve applauso.
- Buona interpretazione come al solito, Jade. - la ragazza fu la prima a lasciare il palco, mentre Mark fu fermato dal professore, che aveva altro da dirgli. - Davvero un buon lavoro, Mark, mi hai sorpreso. Hai affrontato la scena molto bene, e ho visto una crescita considerevole in te dall’ultima volta. Continua così, bravo. -
Mark annuì soddisfatto. - Grazie, professore. - prima di prendere la scalinata per scendere, il ragazzo si fermò a fissare Jade.
Lei lo notò e ricambiò lo sguardo. “Bravo” gli mimò con la bocca, alzando il pollice in cenno di approvazione.
Lui le rispose sorridendo.
“Finalmente ne ha fatta bene una”, pensò, mentre un sorrisetto perfido cercava di fingersi sincero.
 
 
*****
 
 
Si erano ritrovati di nuovo al pub “Seat Yards”, a poche centinaia di metri da casa loro.
Beck era appena uscito da lavoro, mentre Freddie aveva deciso di staccare un po’ dallo studio, in attesa che sua madre, puntualmente, lo richiamasse per cena.
Ormai quel locale dal vago ricordo britannico stava diventando una sorta di rifugio giornaliero, anche se, per il gestore, le loro bevute non erano mai abbastanza. Nessuno dei due era un gran bevitore, ma il posto si prestava benissimo alla tranquillità che entrambi cercavano.
Beck affondò la mano nella ciotola di noccioline e scrutò lo sguardo dell’amico. Non aveva dimenticato la sera prima, quando aveva scoperto che anche nella vita di un ragazzo serio e affidabile come Freddie, si nascondevano dei fantasmi.
- Che ne dici di riprendere il discorso di ieri sera? - lo invitò il canadese. - Almeno mentre aspettiamo che il cameriere ci porti qualcosa da bere. -
Non voleva mettergli un’eccessiva pressione addosso. D’altronde, lui non gli aveva mai fatto troppe domande sul perché se ne fosse andato da Los Angeles.
Aveva apprezzato la discrezione, ma adesso, vedendolo così scuro in volto e in difficoltà, aveva capito che a volte confidarsi non avrebbe fatto così male.
Inoltre, lui che del suo vecchio gruppo era considerato il più responsabile, si era sempre ritenuto un buon ascoltatore anche su argomenti privati e personali.
- Qual è la storia dietro quella busta, Freddie? -
L’amico appiattì la schiena sulla sedia e sorrise nostalgico. - E’ una storia lunga sei anni. -
Beck finse ironicamente di guardare l’orologio al polso. - Abbiamo tempo, prima che chiami tua madre. -
Freddie attese che arrivassero i drink che avevano ordinato, poi poggiò i gomiti sul tavolo e prese un bel respiro. - E’ iniziato tutto nell’appartamento di fronte al mio. -
- Ma posso sapere che cos’ha di così speciale? -
- Ci abitava Carly - Freddie sorrise di nuovo e si perse in uno sguardo malinconico, come se stesse rievocando un ricordo. - Più o meno otto anni fa, lei e Sam decisero di mettere in piedi questo web-show: iCarly. Ha avuto addirittura più successo di quanto ci potevamo mai aspettare, ed è nel suo appartamento che giravamo tutte le puntate. -
- Partecipavi anche tu con loro? -
- Io ero il cameraman, il ragazzo dietro la macchina, l’invisibile che gestiva gli effetti, il nessuno che faceva sì che quello show circolasse sul web. - si fermò, come se dovesse correggere sé stesso. - E’ stato uno spasso lavorare con loro, anche se, a dire il vero, all’inizio mi sono aggregato soltanto perché avevo una cotta per lei. -
- Per Sam? -
Freddie scosse il capo ridendo. - Per Carly. Siamo cresciuti insieme, e fin da piccolo lei è sempre stata il massimo per me. Carina, gentile, spiritosa, altruista. Insomma, il contrario di Sam. -
Beck afferrò il bicchiere. - E lei? - chiese, prima di bersi un sorso.
- No, lei non ha mai ricambiato. O meglio, penso che non l’abbia mai fatto. -
Beck assottigliò gli occhi e li puntò sull’amico. - E allora perché ho l’impressione che non sia stato questo gran problema per te? -
Freddie annuì sospirando. - Perché solo qualche tempo dopo ho scoperto che nella mia vita non esisteva solo Carly. Esisteva iCarly, ed esisteva anche Sam. -
- E’ lei il problema. -
- Devi capirmi: lei era la mia antitesi, l’opposto di quello che stavo cercando, a volte persino la mia peggior nemica. Però… è successo. Non sono mai riuscito nemmeno io a spiegarmi come, ma è successo. -
Beck aggrottò la fronte. - Cosa? -
- Una sera ho scoperto che le piacevo! Buffo, vero? Io, dopotutto, ero quello che lei aveva sempre picchiato, offeso, deriso e raramente considerato. Dio solo sa cos’era preso ad entrambi. Non so spiegartelo, Beck, ancora oggi la considero la cosa più complicata e impossibile del mondo. Ho capito che quell’odio che ci univa nascondeva del bene, sviluppatosi in chissà quale strano modo negli anni. Continuavo a pensare che ogni volta che mi aveva tirato un pugno lei intendesse davvero darmelo, ma adesso sapevo anche che c’era qualcosa di più sotto. E poi, una parte di me mi ha fatto accorgere che nemmeno lei mi era indifferente. -
- Eravate due opposti che si completavano. - commentò Beck.
- Eravamo due opposti che si sovrapponevano. - lo corresse. - Quando eravamo insieme, nessuno dei due riusciva a stare al proprio posto, o a lasciare all’altro i propri spazi. Era come se uno cercasse di conquistare la metà dell’altro. Eravamo troppo diversi, e in nessun modo avremmo potuto cambiare questo aspetto. -
- Come avete fatto a far funzionare le cose tra voi, allora? -
- Non l’abbiamo fatto, per quanto fossimo legati. I nostri lati che avrebbero dovuto, come hai detto tu, completarsi con quelli dell’altro, stavano invece provocando un gran caos. Abbiamo rotto neanche due settimane dopo. Rischiavamo solo di farci male a vicenda, e abbiamo realizzato che in fondo sarebbe stato meglio così. -
- Immagino che i vostri rapporti siano stati una difficoltà, da allora, per il vostro show. -
- A dire il vero lo show continuava a procedere alla grande, e i nostri rapporti erano addirittura dei migliori. -
Beck parve rimuginare su quest'ultima frase. - Perciò alla fine sei riuscito ad andare avanti? -
- Pensavo di averlo fatto. Ad essere sincero, però, credo di non essere mai riuscito a staccarmi mentalmente dal momento della nostra rottura, quando abbiamo promesso di riavvicinarci il giorno in cui lei sarebbe diventata meno pazza, o io un po' di più. Quello che c’era tra di noi, qualunque cosa fosse, era cambiato. Abbiamo ricominciato a lavorare insieme come due amici, come se nulla fosse accaduto, ma qualcosa doveva essere sicuramente rimasto dentro di me. Nascosto bene, mascherato dietro la mia eterna cotta per Carly, magari, ma comunque presente. E proprio Carly è stata la chiave di tutto. -
Beck lo squadrò. - Che vuoi dire? -
Freddie si bagnò le labbra e riprese fiato. - Poco più di due anni fa... - fece una pausa, come se stesse ripensando a quel lasso di tempo. - Carly ha lasciato Seattle per seguire suo padre in Italia. E' stato un duro colpo per tutti: iCarly è stato chiuso, e sapevamo che niente sarebbe stato più come prima. L'ultima sera che Carly ha trascorso qui, poi... - si interruppe di nuovo, sorridendo imbarazzato. - … mi ha baciato. -
Beck sollevò un sopracciglio stupefatto. - Sembra la fine perfetta. -
Freddie cambiò radicalmente espressione. - Beh, non lo è stata. -
 
 
*****
 
 
Stava per giungere al termine un’altra giornata di prove. Tori aveva già esaurito le sue scene, e si era ritrovata nel backstage insieme ad Andre e Robbie, mentre aspettava Trina per riaccompagnarla a casa. Jade, invece, ne avrebbe avuto almeno per un’altra ora.
- Sta andando alla grande, non è vero, ragazzi? - fece Andre agli altri due.
Robbie e Tori si scambiarono un’occhiata. - I lavori per il palco e per la scenografia sono conclusi, alla faccia della Hawkes! - esclamò il ragazzo. - Non ha mai avuto un briciolo di fiducia in noi, ma gliel’abbiamo fatto vedere, di cosa sono capaci i Cabbie! -
Andre alzò un sopracciglio con sufficienza. - I cosa, scusa? -
Robbie rise. - I “Cabbie”: Cat e Robbie. E’ stata davvero di grande aiuto, devo ammetterlo. Noi siamo a posto, adesso vedremo se anche gli attori saranno all’altezza… - scherzò voltandosi verso l’amica.
Tori scosse la testa fulminandolo con lo sguardo. - Molto simpatico, vorrei vedere te sul palco davanti a migliaia di persone che ti fissano! I nostri ruoli stanno funzionando, comunque. All’inizio anch’io avevo qualche dubbio su Mark, ma ultimamente è migliorato parecchio. Chissà cosa gli è successo: o si è messo in testa di studiare tutto il teatro dell’800 e del 900, o qualcuno gli ha impiantato un cervello nuovo! - si bloccò quando un pensiero le attraversò la mente. - Certo che se al posto suo ci fosse stato Beck… -
Un’aria di imbarazzo misto a malinconia li avvolse, finché Andre non decise che il nome del loro amico non poteva essere ignorato per sempre. - L’ho risentito l’altro giorno. -
- Davvero? - squillò alle sue spalle Cat, arrivata in compagnia di Trina.
Andre, colto di sorpresa, si voltò di scatto. - Cat, se continui a comparire così e con quella voce, finirai per farmi prendere un colpo! -
- Scusa… - si giustificò mortificata.
- Ad ogni modo sì, ci siamo parlati. Voleva sapere come stavate andando con lo spettacolo. -
- Che carino! -
- Meno male che nessuno sa la verità. - intervenne Tori. - E’ stata una buona idea dire che era dovuto tornare in Canada per alcuni motivi familiari. Sai che caos si sarebbe scatenato, se avessero saputo che era… - sembrava avesse paura a pronunciare la prossima parola. - … fuggito. -
Andre si girò verso Trina, puntandole contro uno sguardo inquisitorio. - Tu non sei andata a dirlo in giro, vero? -
- Assolutamente no! - gli rispose risentita. - Che cosa credi? Anch’io tengo a lui! -
Il ragazzo parve convinto. - Va bene. -
Tori si fece pensierosa. - Vi rendete conto che ancora non sappiamo perché Beck se ne sia andato? -
Andre si guardò intorno. - Ho provato a chiederglielo. -
- E? - lo incalzò lei, impaziente.
- Mi ha risposto… - iniziava a sentirsi a disagio. - Che l’ha fatto per Jade. -
Tori scambiò, a turno, un’occhiata con i suoi amici. - Era prevedibile. E credo che tutti noi, in fondo, abbiamo pensato a questa possibilità. -
- L’importante è non rivelarlo a lei, adesso. - prese la parola Robbie.
Andre annuì. - Sono d’accordo. -
La voce di Tori si agitò. - Ci sarà però qualcosa che possiamo fare! -
- Sì: niente. - dichiarò il ragazzo, scuro in volto. - Non metterci in mezzo, e lasciare che siano loro, una volta per tutte, a capire verso quale direzione intendono andare. -
Tori, contrariata dal consiglio dell’amico, invitò la sorella a seguirla. - Andiamo, si torna a casa. -
Non appena le due si furono allontanate, Robbie si avvicinò a Cat e le cinse le spalle col braccio. - Hai visto? - le sorrise. - Beck non ci ha abbandonato! E non pensare nemmeno per un secondo che sia per colpa tua se è partito. -
Il viso di Cat si illuminò, mentre lo fissava negli occhi celati dalle lenti. - Grazie! - gli disse, prima di abbracciarlo calorosamente.
La rossa si staccò dopo alcuni istanti che al ragazzo sembrarono troppo brevi. - Adesso devo andare! - si congedò correndo dietro le altre due ragazze.
Rimasti soli, Andre affiancò l’amico e gli diede una pacca sulla spalle. - Anche qui c’è qualcuno che dovrebbe parlare, e che dovrebbe decidere quale direzione prendere, dico bene? -
Robbie rise, ancora intento a seguire la schiena della ragazza allontanarsi. - Dammi fiducia, Andre: ho un piano. Gli anni di timido silenzio sono destinati a finire. -
 
 
*****
 
 
- Sembra la fine perfetta. -
- Beh, non lo è stata. Perché quella stessa sera... -
- … anche Sam se n'è andata. -
- Esatto, vedo che questa parte della storia la conosci. - la sua voce si era leggermente amareggiata. - Probabilmente, tra tutti noi, Sam è stata quella che ha accettato meno l’addio di Carly. E penso sia stato proprio a causa del suo rifiuto verso questa distanza tra noi di iCarly che, dopo quella maledetta notte, non ci siamo più sentiti per quasi un anno. -
- Nessuno dei due ha più cercato l’altro? -
- No, e non sono neanche sicuro che volessimo farlo. Sam aveva deciso di tagliare ogni ponte con il suo passato a Seattle, e io… non credo di averle mai perdonato il fatto di essere partita così, senza salutare nessuno, senza avvertire i suoi migliori amici, come se non contassimo niente per lei. Posso dire che ero anche arrabbiato con lei, oltre che deluso e dispiaciuto. -
- Cat però mi ha raccontato che alla fine sei venuto a Los Angeles. -
Freddie si fece ancora più pensieroso. - Cat… davvero strana, quella ragazza. Stavolta comunque ha ragione: mi ha attirato là con la scusa che Sam aveva avuto un incidente… ed è stato nel momento in cui ho risposto alla telefonata che ho capito di essermi sempre sbagliato. Non ero riuscito ad andare avanti come avevo sperato, e la distanza che si era messa tra di noi aveva soltanto affievolito e sepolto quello che ancora sentivo per lei. Avrei dovuto accorgermi molto prima, che Sam ormai non era più soltanto un’amica per me. Il bacio di Carly poi aveva incasinato tutto un’altra volta. Immagino che, per tutto questo tempo, la mente inseguisse il nome di Carly, mentre il cuore urlasse quello di Sam. -
Freddie si fermò di nuovo e terminò il suo drink, mentre sembrava riflettere sulle sue stesse parole. - Sono convinto che sia questa la ragione per cui non sono mai voluto andare in Italia a trovare Carly, o restare a Los Angeles con Sam. Non sapevo quale strada prendere, e nemmeno se ne dovessi prendere per forza una. Erano due amori impossibili, che non sarebbero più appartenuti alla mia vita. -
Anche Beck svuotò il bicchiere, colpito dalla storia. - Adesso comprendo perché non volevi che mettessi piede in quell’appartamento. Troppi ricordi sarebbero stati infangati. -
- Non solo. Dopo la partenza delle ragazze, erano rimasti solo Spencer, il fratello di Carly, che viveva con lei proprio in quella casa, e il mio amico Gibby. Circa tre mesi dopo, tuttavia, anche loro hanno abbandonato Seattle. Gibby si è progressivamente allontanato da me, finché non si è iscritto ad un club di esploratori, ed è partito per una serie di viaggi in giro per il mondo. Spencer, invece, sembra che sia riuscito finalmente a coronare il suo sogno. Ha vinto una specie di borsa di studio in Svezia, dove ancora oggi sta proseguendo, con discreto successo, la sua carriera di scultore. -
Freddie si prese l’ultimo intervallo. - Sono contentissimo per loro, non fraintendermi. E’ solo che mi ha fatto capire una volta per tutte che le nostre vite stavano cambiando e andando avanti, e che il passato, pur restando sempre presente, non ci appartiene più come prima. E vale per tutti noi.
Per questo ho reagito così quando l’altro giorno ho visto la busta da parte di Sam; è stato come se quel passato mi avesse rincorso per mesi, e mi avesse finalmente raggiunto. Il problema, Beck, è che io non sono sicuro di voler essere trovato. -
Guardò l’ora sul cellulare e, per evitare di dover sopportare la chiamata della madre, decide di salutare l’amico e incamminarsi verso casa.
Beck lo osservò sparire dietro la vetrata della porta, poi, con lo sguardo fisso sul tavolo, iniziò a giocherellare col bicchiere vuoto, facendolo roteare tra le mani.
Era chiaro che le parole di Freddie avrebbero dovuto farlo riflettere.
Una decina di minuti dopo, trascorsi ripensando a quella storia che suonava così folle ma così vera, il telefono gli vibrò in tasca.
Lo estrasse e il nome sul display lo trascinò via a forza da ogni riflessione. - Pronto? -
- Ciao Beck, sono Sonja. Ti ricordi di me? - la voce era divertita.
Un sorriso si allargò spontaneamente sul volto del canadese. Un altro ricordo che gli era rimasto impresso dalla sera precedente. - Certo, Sonja. Come stai? -
- Tutto bene, ti ringrazio. Ti ho chiamato perché volevo sapere… ecco, visto che non ho impegni per stasera, ti va se ci rivediamo? -
Lo sguardo di Beck ricadde sul bicchiere vuoto di fronte a sé. - Devo sentire anche Freddie se… -
- No, intendevo solo io e te. -
Beck si ritrovò all’improvviso con lo sguardo vitreo e un treno di pensieri che gli viaggiava a velocità estrema nella mente.
Un istante, in cui tornarono a galla le parole di Freddie sui sentimenti che non appartenevano più alla sua vita, e si sentì pronto a rispondere. - Ci sto. Mandami l’indirizzo, passo a prenderti alle 9. -
 
 
*****
 
 
Aveva ceduto di nuovo all’invito di Mark. Si era fatta portare in un locale vicino all’istituto per un drink, senza neanche provare a rifiutare o ad opporsi.
Quel ragazzo, pensò varcando la soglia mentre lui le teneva la porta aperta, aveva una testa bella dura.
Lo aveva capito fin da subito, quando aveva provato a tenerlo a bada col suo sguardo scaccia-persone, senza alcun effetto.
Doveva avere davvero una brutta cotta per lei, si disse sorridendo tra sé e sé.
Mark la fece accomodare sulla panca sistemata contro la parete, e prese posto di fronte a lei.
Jade richiamò l’attenzione di un ragazzo col grembiule bianco e gli ordinò tutto quello che le veniva in mente dal menù.
Mark scoppiò a ridere, divertito dalla fatica che stava facendo il cameriere per starle dietro. Lei lo fulminò all’istante con un’occhiataccia, convinta che la stesse prendendo in giro, ma in risposta ottenne solo un occhiolino. - Per me lo stesso. - indicò poi Mark al ragazzo, prima di rimandarlo in cucina.
Un gesto come quell’occhiolino, fino a poche ore prima, l’avrebbe sicuramente innervosita.
Quel giorno, invece, Jade si accorse che l’odio e la voglia di prenderlo a schiaffi che provava nei confronti di Mark si erano oltremodo affievoliti. Adesso riusciva persino a sopportare di stare allo stesso tavolo con lui.
La spiegazione, tuttavia, era più vicina e chiara di quanto si potesse pensare. Non ci mise molto a capire che il tutto era riconducibile alle prove che avevano appena concluso, dove lui era riuscito a sorprenderla. I frutti del suo intento si stavano vedendo, e questo avrebbe favorito entrambi, in vista del grande spettacolo di fine anno.
- Mi sei piaciuto, oggi. - ammise, pentendosene quasi subito.
Lui inclinò il capo. - Perché di solito non ti piaccio? -
Jade comprese il doppio riferimento, e marcò maggiormente le parole. - Te lo dico e te lo ripeto chiaro e tondo, Mark: oggi è la prima volta che mi sei piaciuto. -
I loro sguardi si incrociarono. - Tu invece sei sempre una forza. -
D’un tratto Jade sentì come se gli zaffiri negli occhi di Mark si tuffassero dentro il mare dei suoi, e per un breve attimo si ritrovò stordita.
Doveva ammettere, per quanto si rifiutasse di farlo, che c’era qualcosa nelle parole e nei gesti di Mark che la stavano colpendo. Stava conoscendo un altro ragazzo rispetto all’idea che si era fatta all’inizio, sul quale forse si era sbagliata.
Era una sensazione che non provava più da tempo, da quando…
Scosse la testa per scrollarsi di dosso quel pensiero, afferrò con veemenza la bottiglia d’acqua e buttò giù un bicchiere intero.
Apprezzava tutte quelle attenzioni, non poteva negarlo, ma questo non significava certo che sarebbe finita come lui sperava.
Mark poteva non essere completamente idiota come lo aveva giudicato, ma c’erano tante cose di lei che ancora non conosceva.
 
 
*****
 
 
Non era mai stato nervoso con le ragazze. La fiducia in sé stesso, unita al bell’aspetto, gli avevano sempre permesso di tenere le redini dall’inizio alla fine di ogni appuntamento.
L’unica eccezione era stata rappresentata da Jade.
E forse era questo, insieme alle parole di Freddie e al desiderio di proseguire il percorso che aveva intrapreso da quando era atterrato a Seattle, che lo faceva sentire strano.
Solo in auto ad aspettare, con la mano sul volante, si scoprì nuovamente teso. Un po’ di eccitazione, di fermento, e anche un po’ di insicurezza.
Cercò di distrarsi concentrandosi sulla strada, immobile davanti a sé, e sulla macchina. Aveva investito i primi soldi della paga, più alcuni di quelli che aveva da parte, in una Buick del ’98 color verde bottiglia. Non era il massimo, ma vivere a Seattle senza un mezzo di trasporto sarebbe stata una vera e propria utopia.
La breve vibrazione nella sua tasca lo riportò al presente. Estrasse il telefono e aprì il nuovo messaggio appena arrivato.
“Sto scendendo.”
Beck sorrise e le rispose con un rapido “ok”. Nell’attesa, si voltò ad osservare la casa all’indirizzo che Sonja gli aveva scritto. Era elegante, e denotava senza dubbio un certo valore sociale. Oltre il cancello di bronzo, si stagliava un vialetto composto da larghe mattonelle di marmo che, circondato da un giardino privato, ampio e ben curato, conduceva all’ingresso. Qui si trovava una sorta di patio, dove due colonne bianche e degli scalini lo facevano quasi assomigliare all’entrata di un tempio.
Beck si lasciò andare indietro sullo schienale, sospirò e chiuse gli occhi.
Era contento di rivedere Sonja. Non che avesse ripensato a lei, dopo il loro primo incontro al Seat Yards della sera prima, ma la sua telefonata gli aveva fatto davvero piacere.
Le aveva lasciato il numero quasi senza pensare alle conseguenze, e non si spettava certo di risentirla così presto.
Si ritrovò a sorridere, ripensando alla serata precedente. L’amica di Sonja, Jessica, era sembrata sinceramente interessata a Freddie, ma lui, con la testa da chissà quale altra parte, era riuscito nell’impresa di non cogliere neanche un segnale.
Aveva persino finito per perdere il biglietto con l’indirizzo e-mail che lei si era tanto premurata di lasciargli.
Beck invece aveva trascorso delle ore molto piacevoli. Era stato ad ascoltare a lungo quella ragazza dai grandi occhi verde smeraldo e il sorriso sempre in volto, e ci aveva trovato subito una buona intesa. Si vedeva che adorava parlare delle sue passioni, che dipingeva con trasporto, e i suoi racconti avevano il talento di trascinarci dentro chiunque le fosse intorno.
Aveva scoperto che Sonja era appassionata di danza classica, e che suo padre lavorava in una scuola di Seattle. Lei non aveva mai potuto ballare, per via di una piccola malformazione alla caviglia sinistra causata da un incidente avvenuto quando lei era ancora una bambina, e così negli ultimi tempi si era concentrata sullo scovare e aiutare nuovi talenti.
Beck, invece, si era guardato bene dal rivelarle troppi dettagli sulla sua vita. Le aveva raccontato delle sue origini e di aver frequentato un istituto per diventare attore, senza però aggiungere troppi dettagli sul dove o sul come, e tantomeno sul perché da Hollywood fosse finito a Seattle.
Un’importante domanda gli balenò in mente: avrebbe potuto scappare dal suo passato per sempre?
Non avrebbe trovato una risposta quella sera, perché a ridestarlo furono un paio di colpetti delicati al finestrino.
Beck riaprì gli occhi e, al di là del vetro dal lato del passeggero, incontrò di nuovo i profondi occhi di Sonja che lo fissavano.
- Posso? - sorrise.
Lui si precipitò fuori dall’auto e, con galanteria, le aprì lo sportello e la fece accomodare. Seguendola con lo sguardo dentro l’abitacolo, notò come Sonja sembrasse quasi brillare, in quell’auto vecchia e malandata.
Indossava un cappottino porpora che le arrivava fino alle ginocchia, sotto al quale si intravedevano un paio di jeans blu scuro e un maglioncino bianco.
Beck rifece il giro e tornò al posto di guida.
- Scusa il ritardo. - gli fece lei, con lieve imbarazzo.
- Non ti preoccupare, sono io che… - si ritrovò incredibilmente senza parole per concludere, così decise di recuperare in altro modo. - Allora, dove vuoi andare? -
Lei si sistemò un ciuffo di capelli. - Lo conosci il “Sea Horse”? -
Beck scosse il capo.
- E’ un locale sulla Quindicesima, molto carino e col piano bar. -
Beck approvò l’idea. - D’accordo. -
Mentre lui cercava le chiavi nelle tasche del giubbotto, sentì Sonja frugare tra i cd nel portaoggetti. - Posso mettere un po’ di musica? -
- Certo. - Uno dei pochi punti a favore di quella macchina era proprio l’autoradio. Era stata fatta installare dal precedente proprietario, e funzionava ancora. Aveva poi trovato qualche disco che il signor Fonder aveva lasciato nel suo appartamento, e li aveva caricati sulla Buick.
- Anche a te piacciono Eric Clapton e Billy Joel? - gli chiese Sonja, tirando su due custodie.
Beck sorrise e annuì. - Già. - In realtà, non avendo mai guardato cosa ci fosse, era in completa balìa dei gusti del signor Fonder.
Trovò finalmente la chiave e la inserì. Prima di mettere in moto, tuttavia, la voce di Sonja lo bloccò. - Che cos’è questo? -
Quando si girò verso di lei, un pugno lo colpì idealmente in pieno stomaco. Sonja gli stava mostrando un cofanetto blu notte, con una grossa scritta rossa al centro.
“Hollywood Bright Stars”.
In quell’istante, Beck si maledì per non essere stato più attento. Aveva semplicemente arraffato i cd che stavano sulla libreria e li aveva portati in macchina, e quello che gli aveva spedito Tori doveva esserci finito in mezzo.
Lo sguardo rimbalzava tra la copertina e gli occhi di Sonja che, ignara di tutto, stava sorridendo curiosa.
Ecco di nuovo quella domanda.
Con un gesto gentile ma risoluto, Beck le portò via il cd dalle mani e lo lanciò in fondo al vano portaoggetti.
- Niente. - mormorò, mentre dava gas e sperava con tutto il cuore che quelle dannate stelle di Hollywood non avessero appena rovinato la serata.
 
 
 

 
   
 
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