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Autore: NeroNoctis    18/01/2016    5 recensioni
All'apparenza Daniel è un normale ragazzo di 20 anni, amante delle più svariate cose e con uno spiccato sarcasmo. Ma nasconde semplicemente la sua vera identità, quella di un soldato dell'organizzazione Sephiroth.
Organizzazione che caccia "Loro", creature assetate di sangue che vagano per il mondo, che a prima vista non sembrano avere un obbiettivo, ma che tramano qualcosa da dietro le quinte, perseguendo un oscuro obbiettivo. E proprio "Loro" hanno sterminato la famiglia di Dan anni prima.
In un mondo dove "Loro" si nutrono di umani, Dan dovrà viaggiare per trovare la sua sorellina scomparsa e vendicarsi delle creature che han cambiato per sempre la sua vita.
Sullo sfondo paranormale popolato dai Wendigo, prenderanno vita numerosi personaggi il cui destino di andrà ad incrociarsi con quello di Daniel e della sua partner Lexi, per svelare un segreto rimasto sepolto per anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sephiroth'
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I due partner erano rientrati alla base romana dei Sephiroth, denominata base Tiferet. Più che una base, a dire il vero, si trattava di un vero e proprio maestoso palazzo segreto, celato sotto le vie urbane della città eterna. Era ormai notte fonda, e i passi dei due richeggiavano nel salone d'ingresso. Era illuminato da un mastodontico lampadario interamente d'oro, con rifiniture rosso cremisi. La luce che emanava illuminava la sala, dando nuova linfa ai ritratti di diversi artisti che decoravano i muri di marmo. Il pavimento, anch'esso di marmo, scuro, era decorato con una raffigurazione dell'albero della vita, dogma principale dell'organizzazione.
La base Tiferet di Roma era infatti quella che ricalcava la bellezza, la dimora per chi voleva concedersi un riposo e assistere al contempo alla magnificenza che l'uomo aveva creato. Ritratti di Leonardo da Vinci, Giotto, Van Gogh e chi più ne ha più ne metta. Una biblioteca con i migliori romanzi contemporanei e non, e persino una sala cinema e un teatro. Un misto di vecchio e nuovo, da sculture greche ad arte neorealista. Da spettacoli romani a film appena usciti. 
La base del divertimento e della bellezza.
Dan aveva affidato a Lexi il compito di portare il cuore del Wendigo al laboratorio, mentre lui salì le scale della struttura dirigendosi agli alloggi. La ragazza non capiva cosa gli avesse preso, dopotutto l'aveva lasciato in buone condizioni, ma quando uscì dall'abitazione era diverso. Troppo taciturno, con uno sguardo perso tra i suoi pensieri. Lei lo sapeva, Dan odiava parlare di se, ma in genere non cambiava umore così repentinamente... e lei non poteva non preoccuparsi di questo. Forse aveva visto qualcosa dentro? Chissà, non voleva chiederlo ne saperlo. Rispettava semplicemente gli spazi dell'amico, l'aveva sempre fatto... quasi sempre.
Lexi attraversò l'ampio corridoio arredato con diverse armature e armi medievali, passando le stanze dei ragazzi che studiavano per diventare ricercatori. Quandò si unì ai Sephiroth credeva che fossero tutti addestrati al combattimento, credeva che era una super organizzazione di persone speciali, quasi supereroi che combattevano il male, ma si sbagliava. Era un organizzazione che abbracciava tutti i campi del mondo, dalla ricerca, alla religione, alla cultura. Certo, era specializzata nella questione Wendigo, ma non disdegnava di mettere mani un pò ovunque. Il centro dove venivano formati gli agenti sul campo era solo uno, e non tutti riuscivano a superare gli addestramenti. A conti fatti, i combattenti erano meno di 100.
Scrollò le spalle, e sbuffò. Non voleva farsi venire un mal di testa con tutti quei pensieri, e di certo non voleva dare l'impressione di essere distratta al momento del rapporto. Arrivò di fronte alla doppia porta del laboratorio, armeggiò con il tastierino alfanumerico e finalmente entrò.

Daniel si trovava al secondo piano, quella adibita a dormitorio. Quella struttura ospitava il triplo delle stanze rispetto al personale vero e proprio, e il ragazzo si era sempre chiesto il perchè di quella scelta. Sapeva che non sarebbero mai state occupate tutte insieme, ma a quanto pare il "grande misterioso capo" (lo chiamava sempre così, ma era leggermente pericoloso dare nomignoli al Reale, ecco perchè lo faceva solo in compagnia di Lexi) aveva molto a cuore l'esagerazione.
Mentre attraversava le varie stanze, alcuni ragazzi gli passarono accanto, salutandolo, ma lui non ricambiò affatto il saluto. Ne aveva avuto abbastanza quella giornata di persone, e voleva solo richiudersi in se stesso. Odiava ripensare a quella sera... ma quando uno di Loro prendeva di mira gemelli o fratelli, era troppo anche per lui. E poi... l'aveva rivisto.
Non gli succedeva spesso, ma non era la prima volta che quella figura glaciale gli si manifestava dopo una lotta con Loro. Non ne aveva mai parlato con nessuno, non sarebbe stato creduto.
Aprì la sua stanza, accese la luce e si guardò intorno. 
– Il vantaggio di essere un Nezakh... stanze private.
Si tolse la maglietta e la gettò sul letto. Andò vicino alla scrivania e bevve un sorso d'acqua. Non aveva idea da quanto tempo fosse là, ma sentiva la bocca tremendamente secca.
Controllò l'orario, quasi mattino, ma c'era sempre una penna sul comodino, e lui sentiva il bisogno di scrivere.

Il rosso del tramonto illuminava le strade di Chicago. Simon stava camminando chitarra in spalla, come sempre. Sapeva di essere in ritardo, ma l'ennesimo litigio con suo madre non gli dava minimamente la forza e la voglia di correre da Tessa. La situazione a casa stava diventando insostenibile. Ripeteva sempre a sua madre che doveva lasciar andare via quella sottospecie di uomo, che passava le giornate ad ubriacarsi e a drogarsi, per poi sparire per giorni se non mesi, ma lei continuava a dire "è tuo padre, perdonalo"
Perdonarlo, certo... sistemò la chitarrà, e continuò a camminare, arrivando finalmente al luogo di incontro prefissato poco prima.
–  Ehy... –  sospirò lui a bassa voce, mentre lei gli stampò un bacio sulle labbra con fare dolce. Non era minimamente arrabbiata, sapeva che la famiglia di Simon era incasinata, ma questo non le creava il minimo problema.
–  Litigato ancora? –  chiese lei, sistemandogli il berretto che gli nascondeva i capelli castani, che misto a quegli occhioni verde acqua che aveva, beh, lo rendevano bello.
–  Come sempre. Ero chiuso in stanza, e sento quello là che rientra. Era in condizioni pessime, magro, pieno di lividi. E lei che fa? Lo riaccoglie dentro! –  tirò un calcio ad una pietra, esasperato. Come poteva sua madre volerlo ancora? Come...? 
–  Ho preso la mia chitarra, e le ho detto che non mi importava niente di lei e che avrei preferito fosse morta se era questo quello che ci aspettava. E sono andato via.
Tessa abbassò lo sguardo, specchiandosi in una pozzanghera lì vicino. I suoi capelli biondo cenere venivano spostati leggermente dal vento. Notò di avere le labbra screpolate dal freddo, nonostante il tramonto era piacevole. Si voltò verso il ragazzo, prendendogli le mani.
–  E' tua madre, Simon. 
–  Lo so... –  rispose lui, distogliendo lo sguardo dagli occhi di lei. Verde su verde, ma stavolta il verde di lei sembrava inghiottirlo. Sapeva di aver sbagliato, sapeva di essere l'unico appiglio per quella donna, sapeva che era l'unico su cui poteva contare. E Tessa era l'unica ragazza che sapeva farlo ragionare, e farlo sentire più in colpa di quanto non si sentisse già.
–  Va da lei, ok?
Simon annuì. –  Sta attenta.
Tessa sorrise. –  Il mio fidanzato adesso però deve correre a casa! Vai!
Il ragazzo fece quanto detto, e si incamminò verso casa, conscio del fatto che era la cosa giusta da fare, e ringraziava il cielo di aver trovato qualcuno come Tessa. Lei non era la ragazza più fortunata del mondo, in quanto fu abbandonata dalla famiglia da bambina, ma aveva la forza di un leone. E forse, era proprio quella mancanza di una figura materna che la faceva agire così, spingendolo a chiarire con la madre.
E pensare che suo padre non era sempre stato così violento e inutile. Ricordava che da piccolo era amorevole, portava la famiglia fuori, aveva un lavoro. Ma quando fu licenziato per sospette molestie sessuali su minori cambiò improvvisamente. Nessuno lo voleva più assumere, e la sua reputazione crollò per strada. Continuava a ripetere che erano calunnie infondate, e Simon gli credeva, ma la società no. Dopotutto se qualcuno viene accusato di pedofilia è normale che viene trattato come feccia, ed è così che deve essere. E' qualcosa di inconcepibile. Ma se qualcuno è innocente, è giusto rovinargli la vita così? Era solo un bimbo ai tempi, e per un bimbo non è semplice vedere il proprio eroe cadere in rovina per una bugia.
Passarono un paio di anni, e quell'uomo che tanto era un eroe amato, rivelò la sua vera natura. Iniziò ad assumere droghe, a tornare a casa ubriaco. Picchiava sua moglie, mentre lei diceva al figlio di non uscire mai di camera durante queste "discussioni familiari". Lui ubbidiva, ma sapeva cosa accadeva. E quell'amore per l'uomo che lo portava a pesca la domenica, iniziò a tramutarsi in odio viscerale, odio che ti cresce dentro e ti divora.
Durante uno dei suoi rientri, sempre ubriaco, ammise che quella accusa di molestia era vera, e questo distrusse del tutto il pensiero di Simon. 
Non era un eroe, era un mostro.
Uno di quei mostri che non avrebbe nemmeno immaginato Lovecraft, e Simon avrebbe preferito esser figlio di Cthulhu piuttosto che di quello là. Violento, alcolizzato, drogato e anche mentalmente deviato. 
Immerso nei suoi pensieri, non si rese conto di essere già di fronte il luogo dove si svolgevano tutti quegli eventi. Sospirò, per lui non era facile chiedere scusa, ma sapeva di doverlo fare, sapeva di aver esagerato e di aver detto cose che non pensava. Aveva sempre avuto un bel rapporto con sua madre, tranne quando lui tornava e lei non aveva la forza di cacciarlo, lì tutto cambiava. Lei subiva, Simon si arrabbiava, sapendo che sua madre meritava di meglio.
Arrivò a casa, aprì la porta, e la chitarra gli cadde dalla spalla.
La casa era distrutta, mobili sottosopra, specchi rotti. Andò in cucina, dove trovò la stessa confusione. Il suo respiro si fece pesante, il cuore batteva all'impazzata. Urlò "mamma" troppe volte, ma nessuna risposta. L'unica cosa che trovò in camera da letto era lo specchio sporco di sangue.
Cadde a terra, piangendo. Non sapeva cos'era successo, ma sua madre non c'era più...
Sapeva che prima o poi le minacce di suo padre si sarebbero avverate, quelle minacce di morte verso la famiglia. E adesso aveva esagerato, tutto distrutto, lo specchio insanguinato... e la cosa peggiore era quello che Simon aveva detto prima di uscire di casa.
"Non importa niente di te, vorrei che fossi morta invece di vederti insieme a quello lì."
In quel caso chi era il mostro? Suo padre, o un figlio che aveva spezzato il cuore della madre? Forse quelle erano le ultime parole che sua madre avrebbe mai sentito... e si, Simon si sentì un mostro per averlo fatto.
   
 
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