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Autore: ChiaraSerafin22    18/01/2016    0 recensioni
Elvin è uno straniero, un immigrato in un'Italia ostile. La sua vita è scandita tra la casa, la scuola, il lavoro che non si trova. E in tutto questo, la sua amica Alice rappresenta l'unico raggio di sole.
E' un racconto fatto di silenzi, di amicizia, di occasioni, di solitudine, di sorrisi rubati.
> 2° posto Premio Nazionale Leoncini 2010
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver passato ancora qualche tempo chiuso nei suoi pensieri, Elvin si era deciso a tornare a casa.
Era passata l’ora di cena e lui era riuscito a reggere senza toccare cibo per l’intero pomeriggio. Stranamente, non si sentiva affamato, soltanto nervoso.
Sapeva che avrebbe trovato suo padre ad attenderlo al varco. Infatti, appena mise piede nella piccola entrata, sentì il ronzio della televisione e borbottii provenire dal salotto. Samir stava guardando l’ennesima telecronaca sportiva. Essendo arrivato in Italia dopo che aveva superato i quarant’anni, riusciva ad afferrare solo mezze parole dei commentatori, e gli scocciava parecchio.
Elvin batté le nocche sulla parete della stanza per attirare la sua attenzione. Suo padre si voltò e azzerò il volume del televisore. Aspettò che fosse il figlio a parlare per primo.
“Ciao papà” lo salutò il ragazzo in albanese, la loro lingua schioccante e musicale, tanto diversa dall’italiano. Non abbassò gli occhi mentre gli parlava: “Non è andata bene” disse senza preamboli.
Samir non batté ciglio e ridonò la voce ai cronisti sportivi. “Non ti preoccupare, vai a dormire.”
Di fronte a quel netto congedo, Elvin fece come gli era stato detto, chinando la testa e affrontando il buio del corridoio, senza la forza di alzare il braccio per cercare l’interruttore della luce.
Passando davanti alla minuscola stanzetta dove dormiva sua sorella si fermò, indeciso. Alla fine entrò, aprendo piano la porta per evitare di svegliarla.
Il lettino aveva una semplice trapunta bianca, ma il cuscino era sicuro fosse quello coi gatti rossi che le aveva regalato lo scorso Natale. La piccola Erora dormiva già, i capelli bruni sparsi sopra il muso dei gattini e un dito infilato fra le labbra.
Il fratello abbozzò un sorriso pieno di tenerezza e si chinò a darle un bacio sulla fronte. Poi, delicatamente, le tolse il pollice dalla bocca. Se la mamma avesse saputo che succhiava ancora le dita si sarebbe arrabbiata sul serio.
La bambina mugugnò qualcosa di indistinto, ma non si svegliò. Doveva essere stata una giornata faticosa anche per lei.
Nel silenzio opprimente della sera, quando anche suo padre se n’era andato a dormire, Elvin se ne stette sveglio a occhi aperti. Lungo disteso sul letto, che stava proprio sotto l’ampia finestra, non veniva turbato nei pensieri nemmeno dal sonoro russare di Kodran.
Si accorse che aveva smesso di piovere. Adesso la città, vista dall’ultimo piano del condominio, appariva più pulita.
Elvin chiuse gli occhi. Quando li riaprì, chiunque avrebbe potuto rendersi conto che erano mutati: dentro era apparsa una saggia malinconia, che nelle sue pupille nere stonava, da quanto era inquietante. Come una chiazza di colore che si allargava, stava lentamente conquistando anche il suo cuore.
Il ragazzo si sentiva stanco, di una stanchezza che appesantiva l’animo. Perché la sua vita era una continua lotta contro i pregiudizi e le battute a doppio taglio. Perché quasi tutte le persone che lo circondavano o fingevano di capirlo o lo evitavano. In entrambi i casi, lo vedevano per ciò che non era.
Si passò le mani sul viso, tremando senza accorgersene. Nessun luogo sarebbe stato come casa sua. Poteva illudersi quanto voleva, ma il calore dell’Italia non l’avrebbe riscaldato allo stesso modo. Né quello del sole, né quello delle persone.
Si accorse che la tapparella era ancora alzata. La luce riflessa della luna lo investiva come un pallido pugnale. Mentre Elvin tirava giù quella schermaglia, come per proteggersi, si chiese se lo stesse facendo anche per lasciare il resto del Paese fuori della propria camera. Almeno di notte.
 
   
 
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