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Autore: Aleshia    19/01/2016    2 recensioni
Dopo un infortunio avvenuto in campo, Kageyama si reca a trovare Hinata in infermeria per accertarsi delle sue condizioni, visto che gli interscolastici sono alle porte e il piccolo centrale è un elemento di punta della squadra. Tuttavia, per la sorpresa di Kageyama, la situazione dà l'avvio ad un malinteso. Egli ritiene che ciò che irrita Hinata così tanto siano le sue pretese in campo...ma sarà davvero così o ci sarà sotto qualcosa di più?
Genere: Comico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Yachi Hitoka, Yuu Nishinoya
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ormai erano giorni che lui e Hinata si parlavano a monosillabi. Le loro conversazioni erano minime, e limitate al campo da gioco. L’ambiente era strano, diverso dal solito. Lui e Hinata solitamente erano…Kageyama non sapeva nemmeno bene come definire il loro rapporto. Amici? Compagni di squadra? Non sapeva proprio. Non ne avevano mai parlato. Era il duo della veloce stramba, questo sì. Tuttavia, era un’etichetta che gli era stata appioppata dagli altri, non un qualcosa di scelto e definito da loro stessi. Quel che era certo era che riuscivano a collaborare, perlomeno in campo. Per quanto a Kageyama risultasse strano, tra loro due c’era fiducia reciproca. Non si era mai soffermato molto a pensarci, ma il fatto che Hinata schiacciasse le sue alzate addirittura ad occhi chiusi era una prova innegabile della fiducia totale che riponeva in lui. E anche Kageyama, a dire il vero, non aveva mai dubitato che Hinata avrebbe portato a termine l’attacco, e ciò gli dava un’enorme sicurezza in campo. Per quanto gli pesasse ammetterlo, prima di incontrare Hinata era arrivato al punto in cui aveva addirittura paura ad alzare la palla. Temeva che lì, nel punto in cui l’aveva mandata…non ci sarebbe stato nessuno a colpirla. Temeva che avrebbe sentito il sordo suono della palla rimbalzare sul loro stesso campo, dietro di lui. Aveva paura che quando si sarebbe girato avrebbe visto che di nuovo i suoi vecchi compagni, volontariamente immobili nelle loro posizioni. Ma da quando aveva incontrato Hinata, tutto era cambiato. Adesso aveva qualcuno che sarebbe andato incontro alle palle che lui alzava. Qualcuno che gli gridava “Sono qui!” con una determinazione così forte nella voce che lui non poteva far altro che mandare la palla da lui. Per questo gli aveva detto che, finché ci sarebbe stato lui in campo, Hinata sarebbe stato invincibile. Perché lui sapeva che Hinata era lì ad attenderlo, sempre e comunque, e per questo suo atto di fiducia avrebbe compiuto la migliore alzata possibile. Cosa poteva fare affinché le cose tornassero ad essere come erano fino a poco tempo prima?
 
[…]
 
Stavolta lo avrebbe placcato. Si sarebbe messo davanti alla bici. Non l’avrebbe lasciato un’altra volta lì come un pesce lesso, e per di più senza una riposta. Così si diceva Kageyama, mentre si dirigeva al parcheggio delle bici dopo l’allenamento. Quando vi giunse, vide che però Hinata non era solo. Con lui c’era la ragazza del primo anno che faceva loro da manager, Yachi. 
 
“Ma sei proprio sicuro? Forse hai solo frainteso” - udì Kageyama dire a Yachi, in un evidente intento di tranquillizzare Hinata a proposito di qualcosa. 
 
“Per ben due volte di fila? Non penso proprio. È solo che quell’idiota proprio non ci riesce a vedere un palmo più in là del suo naso. Pensa solo alla squadra e ai nostri risultati. Non gli importa un fico secco di me, se anche schiattassi da un giorno all’altro l’unica cosa che gli dispiacerebbe sarebbe aver perso un buon attaccante”
 
“Hinata!!! Ma che dici?! Kageyama non la penserebbe mai così!”
 
Stavano parlando di lui? Ma a che proposito? Che razza di discorsi erano quelli?
 
“Finora ha dimostrato altro. Non mi interessa quello che dici. Continuerò a schiacciare le sue alzate, ovviamente, e lo farò con gratitudine, ma non pensare che cambierò idea su di lui. Finalmente ho capito di che pasta è fatto. Non ti preoccupare, mi passerà” - queste furono le ultime parole di Hinata, prima che montasse in sella e pedalasse via a tutta velocità.
 
“Hinata!” - gli urlò dietro Yachi, ma fu inutile: Hinata, come se non l’avesse nemmeno sentita, continuò imperterrito per la sua strada. 
 
Kageyama rimase lì, impietrito. Che significava tutto ciò? Cosa intendeva dire Hinata con quelle parole?  Basta, la situazione era diventata insostenibile. Era venuto il momento di agire. 
 
“Yachi!” - urlò a gran voce, per richiamare l’attenzione della ragazza.
 
“Kageyama!” – rispose l’altra, sorpresa ed evidentemente imbarazzata di scoprire la presenza proprio della persona di cui stavano parlando fino a un secondo prima.
 
“Si può sapere cosa è questa storia?!” - le chiese Kageyama, in un tono talmente agitato da sembrare adirato.
 
“Beh, ecco…” - iniziò titubante la ragazza, indecisa su cosa rivelare o meno- “Immagino che tu abbia notato che di recente Hinata…sì, beh, insomma…”
 
“Ce l’ha con me. Lo so, lo so, ma non riesco a comprendere per quale diamine di motivo! Lui non me lo vuole dire!”
 
“Ehm, è che…”
 
D’un tratto, Kageyama si decise. Ne aveva abbastanza di tutti quei litigi e misteri, era venuta l’ora di mettere la parola fine all’intera questione. Così pronunciò una richiesta che mai prima di allora si sarebbe aspettato da sé stesso: “Prestami la tua bici, Yachi!”
 
“Eh?!” - fu tutto quello che riuscì a dire lei, sbigottita com’era. 
 
“Prestami la tua bici, ho detto! Mi sono stancato, andrò da Hinata e vedrò di concludere questa faccenda, una volta per tutte!!”
 
“Ok, nessun problema Kageyama, è che credo che…sia un po’ piccola per te”
 
Effettivamente, la bicicletta di Yachi non era consona ad un maschio, data la sua graduazione di colori dal rosa al fucsia, e tantomeno ad un ragazzo di un metro e ottanta. Tuttavia, Kageyama non batté ciglio: montò in sella e si diresse a tutta velocità verso la strada che aveva imboccato poco prima Hinata. Sentì la voce di Yachi che, già lontana, gli faceva gli in bocca al lupo. Premeva, premeva, premeva sempre su più forte su quei pedali relativamente piccoli per i suoi piedi, deciso a raggiungere il compagno di squadra, prima che ne perdesse le tracce. La bici si lamentava sotto il suo peso, e Kageyama faticava a governarla, ma proseguì ostinatamente per la sua strada, accelerando più che poteva. Quando svoltò ad un angolo, rischiò seriamente di ribaltarsi, tanto andava forte. Finalmente, scorse in lontananza l’inconfondibile cespuglio di capelli color arancio. 
 
“Hinataaaaaa” - urlò con quanto fiato aveva nei polmoni, al che l’altro non poté fare a meno di girarsi, per poi imbattersi in un sasso che non poté vedere a causa della sua nuova angolazione visiva. Per la collisione, perse l’equilibrio dalla bici, e finì completamente a terra assieme ad essa. 
 
“Ma sei scemo?!” – urlò Hinata, ovviamente irritato per quella inattesa e non proprio gradita sorpresa. 
 
Nonostante odiasse che Hinata gli parlasse con un tono tanto arrogante, Kageyama comprese che effettivamente era stato lui a causare una caduta che avrebbe potuto rivelarsi ben più dannosa, e così pronunciò quelle famose due parole che fino ad allora, visto il suo innato orgoglio, aveva rivolto solo ai suoi genitori, ed esclusivamente in ben poche occasioni: “Mi dispiace”.
 
Difatti, Hinata si stupì molto di quella risposta, tanto insolita da parte del Kageyama che conosceva. Colto alla sprovvista, rispose istintivamente: “Non preoccuparti” – per poi aggiungere, una volta ricollegata la mente alla situazione di poco prima – “Comunque, cosa volevi?”. 
 
Kageyama, perse la baldoria e la spavalderia precedenti al sentirsi formulare la domanda in modo tanto diretto, rispose un po' balbettando: "Beh, ecco..." - riuscì a mugugnare mentre il suo sguardo andò calando da Hinata verso il pavimento - "Volevo...chiarire...e sapere perché ce l'hai con me recentemente" 
 
"Perché ce l'ho con te? Ma me lo stai chiedendo sul serio o ti stai prendendo gioco di me?!" - replicò seccamente Hinata. 
 
"Ti pare che se non avessi voluto chiedertelo seriamente ti avrei rincorso in quel modo, e per di più a bordo di una bici del genere?!" - disse, indicando l'esile mezzo di locomozione che aveva abbandonato dietro di sé. 
 
Al vedere quella bicicletta che sicuramente non apparteneva a Kageyama, ed ad immaginarsi lo stesso a bordo di essa, Hinata non poté trattenere le risate, dimenticando per qualche secondo il motivo per cui era tanto adirato. 
 
"Tu...pff...tu avresti...ma è quella di Yachi! Ahahahahah" - iniziò a ridere a crepapelle, e addirittura gli uscì qualche lacrimuccia dagli occhi. 
 
Kageyama rimase un secondo imbambolato a fissare le labbra di Hinata, che si distendevano a forma di semicerchio. Erano giorni che non lo vedeva sorridere, perlomeno quando era con lui. Proprio non era lo stesso Hinata senza quel costante sorriso stampato sul viso. Dopo un po’ Hinata finalmente si ricompose, e disse, assumendo un tono più serio: “Sinceramente, non me lo aspettavo da te, Kageyama. Mi cogli alla sprovvista”.
 
“E come potrei fare altrimenti? Sono giorni che praticamente non mi parli, e quasi arrivi addirittura ad evitarmi! Perché lo fai?!”
 
Al sentire queste parole, Hinata diventò visibilmente irritato, e disse, quasi scandendo le singole lettere: “Cosa?”
 
“Sì, insomma, perché diavolo ti comporti in questo modo?” – ma non appena ebbe pronunciato questa domanda, Kageyama deglutì. 
 
Hinata aveva assunto quella espressione che raramente gli vedeva addosso. I suoi lineamenti erano rigidi, e i suoi occhi fissavano davanti a sé senza che le palpebre sbattessero nemmeno una volta. Nelle sue pupille leggeva una risoluzione e una prontezza così ferme che sentì un brivido lungo la schiena. Il suo piccolo corpo emanava un’aura così intensa che chi vi ci scontrava non poteva fare a meno di sentirsene intimorito. Era la stessa espressione che gli aveva visto sul viso durante la loro prima partita, quando disse, come incitamento ai compagni di squadra, o forse semplicemente come esternazione della propria determinazione personale: “Non abbiamo ancora perso”. La stessa espressione che aveva assunto quando sfidò Ushiwaka della Shiratorizawa, dicendogli che lo avrebbero battuto e che sarebbero stati loro ad approdare ai nazionali. La prima volta Kageyama si era sentito eccitato di poter competere con un avversario tanto determinato, mentre la seconda aveva provato un senso di fierezza al pensare che quel ragazzo, che era arrivato a sfidare non solo il miglior giocatore della prefettura, ma addirittura uno dei migliori dell’intero Giappone, fosse suo compagno di squadra. Tuttavia, mai prima di allora quello sguardo era stato rivolto a lui. Stavolta, la sensazione era completamente diversa: Kageyama si sentì scuotere da capo a piedi da un sentimento di pura inquietudine, quasi timore, nonostante Hinata fosse molto più basso e debole fisicamente rispetto a lui. Mantenendo lo sguardo fisso davanti a sè, Hinata gli disse “Me lo stai seriamente chiedendo?” – e ripeté un’altra volta, a tono decisamente più alto – “Mi stai davvero chiedendo perché di recente ti evito? Perché non voglio parlarti? Perché vorrei non vederti tutti i santissimi giorni della mia vita, quando invece devo farlo?”
 
“Beh” – borbottò incerto Kageyama, sentendo una goccia di sudore scendergli all’altezza della tempia – “a dire il vero…sì”
 
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Hinata perse le staffe, e iniziò ad urlargli contro: “Tu ti preoccupi solo della tua fottuta pallavolo! Ecco perché! Non te ne importa un cazzo di me, tutto ciò che vuoi è qualcuno che sappia schiacciare le tue alzate e farti vincere! Vuoi solo vincere, vincere, vincere, ed egocentrico come sei sacrificheresti anche i tuoi stessi compagni di squadra, fosse necessario! Questo sei, solo un fottuto egoista di merda!” 
 
Kageyama sbiancò al sentirsi riversare addosso tanto odio. Non immaginava davvero che Hinata fosse adirato con lui a tal punto. Non gli aveva mai sentito usare un linguaggio del genere, e persino gli insulti che spesso si scambiavano, alla fin fine, non erano mai usciti dall’ambito della bonarietà. Kageyama si sentì come quella volta, quando l’intera squadra gli si rivoltò contro, ai tempi delle medie. No, anzi. Si sentì peggio. Perché ora si trattava di Hinata. In verità, con i compagni di squadra di scuola media non aveva mai avuto un legame molto speciale. I loro rapporti non uscivano fuori dal campo di gioco, a dirla tutta. Ma lui era Hinata. Avevano condiviso qualcosa di più di un semplice pallone. Avevano condiviso un obiettivo. Avevano condiviso un sogno. Non poteva permettere che l’aspetto della sua personalità che talvolta lo portava ad essere una sorta di re dispotico rovinasse tutto. Stavolta no. 
 
“Hai…hai ragione” – ammise a fatica – “Ho la tendenza ad essere così puntato verso la vittoria che talvolta non tengo conto delle esigenze dei miei compagni di squadra. Mi rendo conto che a volte quando sono in campo pretendo troppo. Farò in modo che non succeda più”.
 
Ma Hinata non si placò al sentire tale risposta, al contrario continuò, furibondo tanto quanto prima: “Non è questo il punto!!”
 
Kageyama, sbigottito al sentirsi dire così, replicò: “E allora quale sarebbe?!”
 
“Ma sei stupido o cosa?! Tutti, e dico tutti, se ne sono accorti. Sugawara, Nishinoya, Asahi, Daichi, Yachi. Perfino Tsukishima, che si fa sempre i fatti suoi. E tu mi stai dicendo che non capisci?!”
 
“No che non capisco!!!”
 
“Ma che razza di idiota sei?!” – e detto questo, Hinata fece una cosa che Kageyama non avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato, nemmeno tra un milione di anni. Gli prese il colletto della felpa, in modo da portare la sua faccia alla sua altezza, e gli diede un bacio. Un bacio sulle labbra. 
   
 
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