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Autore: Mel_deluxe    20/01/2016    1 recensioni
Le avventure della Ragazza dai capelli rossi... egocentrica, invidiosa, insolente, capricciosa e anche un po' stupida. La sua vita è costernata da varie disgrazie: degli orribili capelli pazzi e incontrollabili, un accento irlandese incomprensibile, una scarsa voglia di crescere, e soprattutto i suoi odiosi, fastidiosi e incorreggibili sette fratelli...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Ragazza dai capelli rossi'
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ANGOLO AUTRICE che questa volta è all'inizio perchè sì.
Vorrei innanzitutto scusarmi con voi per tutti questi mesi di assenza. Penso che tutti sappiate capire la struggente vita di una studentessa di liceo classico, che non può permettersi un computer decente su cui scrivere. Chiedo apertamente scusa a tutti voi, se vi ho fatto aspettare così tanto. In effetti lo voglio dire, anche se è un po’ triste: mi sono un po’ stancata di questa storia. Nel senso che così com’è ora non mi piace per niente, ma non ho il tempo di riscriverla tutta da capo. Ma questo non significa che non debba concluderla.
La buona notizia però è che ho finito definitivamente di scriverla, quindi gli ultimi due capitoli arriveranno a breve (e con breve intendo nel giro di una settimana.).
Nel frattempo, spero non rimaniate delusi da questo capitolo, che purtroppo ho ricontrollato un po’ in fretta.
A presto!
Mel.
 
 
 
Apro gli occhi lentamente, svegliata dall’odioso frastuono della sveglia. La testa mi gira e ho uno strano senso di vomito.
Guardo l’orologio nella penombra: le otto e mezza.
Sospiro portandomi una mano al viso.
Oggi è il 21 giugno, il famigerato giorno.
Il mio compleanno.
Cercando di non urlare mi rigiro nel letto. Dopo lunghi, atroci secondi, mi alzo finalmente, a gran fatica.
Coraggio, Lea. Ce la puoi fare. E magari ci crederei anche, se non odiassi così tanto questo giorno.
Scendo in cucina a fare colazione, ancora in pigiama e nel mio basilare aspetto da ragazza-zombie.
Solo i miei genitori si sono degnati di svegliarsi presto, mentre i miei fratelli dormono ancora beatamente nei loro lettini. Non sanno quanto li invidio.
Mio padre, appena mi vede arrivare, sebbene abbia l’aspetto di un reduce di guerra, mi sorride ed esclama:
«Ecco la star del giorno!»
Mi da velocemente un bacio sulla guancia, mentre mia madre mi mette i pancake nel piatto e mi guarda sorridente.
Non potrebbe esserci giornata peggiore di questa per compiere gli anni: tra meno di un’ora dovrò essere a scuola a sostenere il mio fatidico esame orale, questo pomeriggio poi, mi aspettano delle bellissime ore in compagnia del cane di Liza. Per non parlare del fatto che i Richardson se ne vanno oggi.
Esatto, con tutto il casino che è successo qualche settimana fa, Larry e Jenny hanno pensato di tornare in anticipo a Bristol. Non rivedrò più le loro facce sorridenti e, sebbene siano insopportabili, devo dire che mi ci ero affezionata dopotutto.
E non rivedrò più Marc.
Sono triste per questo, certo, ma credo di esserlo meno di quanto dovrei. Marc non si presenta quasi mai a scuola, e noi due parliamo nettamente di meno, dopo la fatidica rivelazione dell’altra volta. Quindi non so, mi mancherà di certo, ma forse è meglio così. Almeno non vederlo più mi lascerà la testa libera dai pensieri.
«Dunque…» inizia mia madre, sedendosi con noi a tavola. «So che dovremmo aspettare a stasera, ma io e tuo padre non riusciamo ad aspettare a dartelo.»
Lentamente tira fuori un piccolo pacchetto, incartato con una carta con su delle piccole renne, avanzata da questo Natale, da sotto il tavolo.
Io, sorpresa, mando velocemente giù il boccone di pancake che avevo in bocca e li ringrazio. Entrambi mi guardano impazienti mentre scarto con calma il regalo.
Infine, tolta la carta natalizia, mi si rileva davanti il regalo. Lo afferro e lo alzo verso la luce per vederlo meglio.
Sorrido felice.
«Grazie!» dico, sinceramente. «È bellissimo.»
È un vestito celeste a maniche corte, molto semplice, ma molto carino.
«È del colore dei tuoi occhi.» m’informa mia madre entusiasta.
«E trovo che sia molto nel tuo stile.» conclude mio padre.
Lo osservo meglio. È vero, è proprio nel mio stile: non è esagerato, ma comunque elegante.
«Sapete, siete sempre indaffarati e a volte mi ignorate palesemente, e ogni volta pretendete che io curi i miei fratelli mentre voi ve la spassate in giro…» dico, senza togliere lo sguardo dal mio nuovo vestito. «Ma non avrei mai desiderato dei genitori migliori di voi.»
I miei si scambiano sguardi, senza sapere se essere stupiti o lusingati.
Senza dire nient’altro, do un bacio ad entrambi, estremamente riconoscente, poi corro su in camera mia per provare il nuovo vestito.
Qualche minuto dopo sto scendendo le scale con un nuovissimo vestito celeste addosso, i capelli legati in una coda alta e delle scarpe da tennis bianche, pronta per affrontare, una volta per tutte, il mio esame orale.
 
 
Attraverso di nuovo il corridoio, al limite dell’ansia. Ormai sto andando avanti così da mezz’ora circa, cioè da quando Aileen Magaston è entrata in aula per il suo esame.
Dopo Magaston viene McEwitch.
Non ce la posso fare.
Sebbene abbia studiato per questo esame praticamente per un mese intero, non riesco a stare ferma un secondo.
La mia routine continua così per circa dieci minuti: avanti e indietro per il corridoio, avanti e indietro per il corridoio, avanti e indietro per…
Mi blocco all’improvviso. A qualche metro di distanza c’è Julia, vestita in modo stranamente sobrio che chiacchiera allegramente con un gruppo di persone, senza nemmeno avermi notata.
Giusto, dimenticavo che Julia Miller viene appena dopo Lea McEwitch.
Continuo a osservarla, con una punta di nostalgia. Non parlo con lei da circa tre mesi, e anche se non sono molti, è cambiata notoriamente: il suo look dark è sparito quasi del tutto, ad eccezione dei capelli, che sono ancora neri.
Mi avvicino lentamente, cercando di non dare nell’occhio. Mi accorgo, con grande stupore, di essermi sbagliata: quando pensavo che Julia stesse chiacchierando pacificamente con un gruppo di persone, in realtà si trattava di una conversazione ben poco pacifica. Solo ora mi rendo conto che in realtà Julia è veramente infuriata, e sta litigando con qualcuno di fronte a sé che non riesco a scorgere.
Mi avvicino sempre di più.
«Non ci posso credere!» urla Julia, al limite della rabbia. «Non ti voglio più vedere!»
Julia si volta e noto con stupore che il suo viso è arrossato dal pianto. Lei corre velocemente verso il bagno, senza notarmi. La mia attenzione però è rivolta a qualcun altro: mi accorgo che la persona con cui Julia stava litigando è Sam.
Oh, Sam. Sono mesi che non gli rivolgo la parola. Probabilmente si sarà dimenticato anche della mia esistenza.
«Sam!» lo chiamo e mi avvicino a lui. Per fortuna mi nota e rivolge lo sguardo verso di me. «Cosa è successo?»
Sam mi guarda per un secondo. Poi, constatato che non sono morta in qualche incidente stradale un mese fa, mi risponde:
«Non lo so!» dice alzando le spalle. «Ero venuto per il suo esame orale e all’improvviso si è messa a urlare contro di me, dicendo che non tenevo a lei e cose del genere. Ha iniziato ad arrabbiarsi e a dire che preferivo…»
Sam si blocca a fissarmi.
«Me?» chiedo sconvolta.
Lui annuisce.
Sospiro e mi volto a guardare verso il bagno dove Julia è appena entrata.
Sì, Lea. È il momento.
«Senti, Sam.» gli dico, non appena ho attirato la sua attenzione. «Ci penso io, tu resta qui. Riuscirò a sistemare tutto.»
«Ma sei sicura?» mi richiama, mentre mi sto dirigendo verso il bagno.
Io mi volto e gli sorrido con sicurezza.
«Mai stata più sicura.» E mi richiudo la porta del bagno dietro.
Nel bagno regna una calma indecente. Passo da tutte le porte, alla ricerca di Julia, ma mi sembrano tutti vuoti al momento. Così prendo coraggio e la chiamo, a bassa voce.
«Juls?»
«Vattene via!»
Beh, almeno ha risposto.
Mi avvicino alla porta del bagno dalla quale proviene la sua voce, ma mi accorgo che è chiusa a chiave.
«Dai, Juls, almeno fammi entrare!»
Nessuna risposta.
«Guarda che se sei ancora arrabbiata con me possiamo parlarne!»
Ancora nessuna risposta. Ormai mi sono rassegnata. Julia non mi farà entrare, ma ciò non mi impedisce di chiederle comunque scusa.
«Senti… mi dispiace per tutte le cose che ho detto a te e Veronica! Io non le pensavo veramente, ero solo arrabbiata per tutto quello che mi era successo con Liza! E se questo non ti convince allora non so davvero cosa fare per…»
A questo punto la porta del bagno di fianco a me si apre e ne esce Julia, che mi fissa intensamente.
«Perché stai parlando a quella porta?»
Mi allontano immediatamente. Accidenti, porta sbagliata!
Julia fa comunque finta che io non ci sia, e si avvicina al lavandino. Mentre Julia si lava la faccia io la osservo accigliata.
«Ne vuoi parlare?» chiedo indecisa. «Sono molto brava a consolare le persone, sai.»
Julia chiude improvvisamente l’acqua del lavandino con rabbia, e si volta verso di me, minacciosa.
«Perché devi sempre fare così?» mi domanda con tono aggressivo.
Non capisco a che cosa si stia riferendo.
«Io non…» rispondo confusa.
«Perché devi sempre fingere di criticarti mentre in realtà non perdi un attimo a ricordare al mondo quanto sei perfetta e magnifica?»
Rimango bloccata e senza parole. Ancora non riesco a trovare un significato nelle sue parole.
«Io…» finalmente apro bocca, anche se non ho idea di cosa dire. «Non lo so… Non credo di farlo apposta.»
Julia, che sembra essersi calmata, riapre l’acqua del rubinetto, solo che stavolta, invece di utilizzarla, la fissa senza vitalità.
«Sono così gelosa di te, lo sai…» sussurra all’improvviso. Io rimango sorpresa, ma non oso interromperla. «Tu sei piena di difetti, eppure riesci ad avere tutto: bellezza, amici, una famiglia perfetta e un ragazzo che ti ama. Mentre io non ho nulla di tutto ciò, nonostante mi impegni.»
«Piano.» la interrompo, portando lo sguardo da lei al mio riflesso nello specchio. «La bellezza e gli amici puoi anche toglierli dalla lista. “Famiglia perfetta” poi, credo che sia una questione di punti di vista…»
Mi blocco un secondo, sospirando nel frattempo.
«… e non ho più neanche il ragazzo.»
Julia mi fissa sorpresa. Posso capire che sia dispiaciuta per me, sebbene la sua pietà duri solo un secondo.
«Beh,» riprendo subito dopo. «non siamo poi così diverse dopotutto.»
Julia abbassa lo sguardo non appena rivolgo il mio viso verso di lei. Noto comunque che ha abbozzato un sorriso. Ah se solo avessi avuto questa conversazione con lei tre mesi fa…
«Avevo paura che Sam fosse ancora innamorato di te.» confessa infine.
Io scoppio a ridere.
«No, non lo è, te lo giuro!» dico, appoggiandomi a uno dei lavandini. «Anche io in realtà non ci credevo quando me l’ha detto. Ma ti posso assicurare, Julia, che quel ragazzo è totalmente cotto di te… e sono quasi del tutto convinta che anche tu lo sei.»
Julia fa un sorriso timido. Finalmente alza lo sguardo e mi guarda sorridente. Non sono mai stata così felice di vederla sorridere come in questo istante.
«Sai, avevo dimenticato che fossi un’amica straordinaria.» Le sorrido sinceramente. «Buon compleanno, comunque.»
Con uno sguardo ci intendiamo e ci abbracciamo immediatamente. Entrambe poi scoppiamo a ridere. Non credo mi sia mai sentita meglio in tutta la mia vita.
«Lea?»
Una voce proveniente dalla porta principale richiama la mia attenzione. Mi stacco dall’abbraccio di Julia
Aileen Magaston è davanti a me, che mi guarda impaziente.
Dannazione! L’esame orale!
«Lea, se non ti sbrighi, quelli ti mettono quattro direttamente…»
«No, no!» urlo, scappando fuori dal bagno. «Sono pronta, prontissima!»
Mi dirigo velocemente verso l’aula dove i professori attendono impazienti.
Coraggio, Lea, è giunto il momento. Ora fai vedere a quei maledetti insegnanti con che cervellona hanno a che fare!
 
La professoressa Annette è china sulla sua cattedra, e scrive imperterrita su un foglio davanti a sé.
Io busso timidamente.
All’improvviso tutti gli sguardi dei professori si rivolgono unicamente a me.
«Oh, McEwitch!» dice l’Annette, contenta di vedermi finalmente. «Entra pure.»
Io mi dirigo tremando dentro l’aula, dove al centro c’è una sedia che mi aspetta, molto stile condannato a morte, cioè come mi sto sentendo in questo momento.
«Bene, McEwitch.» continua l’Annette sfogliando alcuni fogli. Io intanto mi sistemo sulla sedia. «Vedo che i tuoi voti e le altre prove d’esame sono assai soddisfacenti. Ora, puoi dirci su che argomento sarà la tesina del tuo esame orale?»
«Sull’Irlanda.» rispondo immediatamente.
«Argomento originale.» l’Annette pare positivamente sorpresa. «E posso chiederti il perché di questa scelta?»
«Beh, signora…» rispondo con un sorriso. «Perché io amo l’Irlanda.»
 
 
È fatta! Se ci fosse una classifica dei migliori esami orali fatti nell’intera storia questo occuperebbe di certo il primo posto!
«Sei stata fantastica!» si congratula Julia, che è rimasta a guardare per tutta la durata del mio esame. «Davvero, non sapevo fossi così intelligente, Lea!»
Non so se considerarlo un complimento o no. Comunque, per come stanno andando le cose fino adesso, credo di poter considerare questo giorno il miglior compleanno della mia vita.
«Senti, Lea.» Sam appare alle spalle di Julia, anche lui al limite dell’entusiasmo. «Io, Julia e altri amici andiamo a festeggiare al bar qua di fronte. Vuoi venire?»
«Mi piacerebbe molto, ragazzi.» rispondo con malinconia. «Ma purtroppo ho da fare.»
Loro rimangono delusi, ma comunque rassegnati. Li saluto, e poco prima che se ne vadano faccio un occhiolino a Julia, che si dirige fianco a fianco insieme a Sam.
Nel giardino della scuola non rimane nessun altro oltre a me.
La suoneria del mio telefono squilla all’improvviso, rompendo il silenzio generale del moemento.
«Pronto?» rispondo immediatamente.
«Mi dicono che il tuo esame è finito.» sento la voce di Liza provenire dal telefono. Non capisco davvero come faccia a sapere tutto subito. Dove le mette tutte quelle microspie?
«Già.» ribatto freddamente.
«Quindi ora si inizia. Hai tutto l’occorrente?»
Liza si riferisce al fatto che ieri ci siamo scambiate le nostre chiavi di casa, per fare in modo che le nostre sfide iniziassero tutte due allo stesso momento. Non ci siamo però scambiate consigli o indicazioni su dove si trovassero le cose occorrenti. Niente di niente: siamo lasciate alla pura sopravvivenza da questo momento in poi.
«Sì.»
«Allora è come abbiamo deciso: chi resiste prima in casa dell’altro fino alle quattro vince. Il vincitore, ricordiamo, avrà la predominanza del bagno delle ragazze al primo piano per tutto l’anno seguente.»
«E le caramelle all’anguria.» le ricordo.
«Sì, e le caramelle all’anguria.»
«Che vinca il migliore.»
«Che vinca il migliore.»
«Buona fortuna, Liza.»
Liza mette giù il telefono senza dire nient’altro.
 
 
«Dai, Principessa, mangia i croccantini, su!» È incredibile quanto sia stupido questo cane. «Mamma si arrabbierà se scoprirà che non hai mangiato i croccantini!»
Principessa, il carlino di Liza, osserva la sua ciotola ripiena di cibo, senza però osare avvicinarsi. Fa un piccolo passo, ma subito dopo si ritira.
«Oh, ti prego, mangiali! Non voglio avere la vita di un cane morto di fame sulla mia coscienza!»
Finalmente Principessa sembra ascoltarmi: si avvicina pian piano alla sua ciotola. Annusa i croccantini, li guarda attentamente e… Fantastico. Se n’è andata.
A quel punto mi butto a terra, cercando di non imprecare contro quel maledetto cane. Io, che l’unico cane con cui ho avuto a che fare in sedici anni è Ammasso di Pulci, il fastidioso cane del quartiere che mangia solo carne avariata, non avrei mai creduto che curarne uno fosse così arduo.
Principessa poi è un vero demonio, mi domando se Liza l’abbia scelto apposta perché rispecchiava a pieno la sua personalità. Sono qui da qualche ora circa, e quel cane ha rischiato di distruggere la casa più volte di quanto facciano i miei fratelli durante i sabati sera. Chi lo sa quanti vasi preziosi e cuscini io abbia salvato durante questo pomeriggio.
L’unica cosa che mi tira su di morale è il pensiero che Liza, molto probabilmente, se la sta passando peggio di me. Già me la vedo, a urlare contro i miei fratelli di non buttarsi dalle scale e a pregarli piangendo di mangiare il loro pranzo.
Ah, non sa quanto darei per vederla in questo momento.
Ma le regole sono chiare: non possiamo chiamare l’altra al telefono, perché una di noi due, per pietà o stupidità. potrebbe rivelare informazioni riguardanti la nostra sopravvivenza, e ciò non può accadere: dobbiamo essere lasciate puramente a noi stesse.
Certo, in questo modo io e Liza potremmo filarcela in qualsiasi momento, ma non ho altra scelta che fidarmi.
Dopotutto Liza sarà anche una pessima persona, ma so che mantiene sempre le promesse.
All’improvviso sento la porta principale aprirsi.
Cosa? Impossibile! I genitori di Liza dovrebbero essere fuori fino a stasera, me l’ha assicurato. Corro velocemente verso la porta e la trovo socchiusa.
Mi guardo intorno. Non vedo segni di un ladro.
Vado tranquillamente verso la porta e la spalanco. Proprio come sospettavo, è solo Principessa che ha deciso di uscire. Tutto sarebbe normale, se quel cane non fosse in mezzo al prato e alle aiuole, in posizione accovacciata, a fare ciò che non dovrebbe. Temo subito il peggio.
«No, no, no, no!» sussurro tra me e me, correndo verso Principessa in mezzo al panico.
La cagnetta si alza e fila via dal luogo dove era seduta un attimo prima. Al suo posto ha lasciato i suoi piccoli ricordini.
Fantastico! Non solo ho dovuto curare il cane della persona che odio di più al mondo, ora dovrò ripulire il suo bel giardinetto dagli escrementi che quella specie di topo gigante ha lasciato!
«Stupido cane!» urlo voltandomi verso Principessa, che è seduta davanti alla porta con la lingua di fuori, a guastarsi sadicamente il momento.
Senza dire nulla, ma comunque seccata, rientro in casa e prendo un sacchetto di plastica. Per fortuna riesco a cavarmela in appena venti minuti e risolvo quel disgustoso incidente.
Mentre sto ritornando dal cassonetto della spazzatura, sento sbattere la porta. Mi volto allarmata.
Noto con puro orrore che Principessa è sparita, evidentemente rientrata in casa. Nel farlo però mi ha chiusa fuori casa.
Corro velocemente verso la porta, cercando di non entrare nel panico. Provo ad abbassare la maniglia. Niente. É bloccata.
Provo due, tre volte, ma ancora niente.
Sono bloccata fuori.
E tutto per colpa di uno stupido carlino.
Sbatto ripetutamente i pugni contro la porta, sperando in chissà cosa. Poi mi sposto verso la finestra. Provo ad aprirla, ma è chiusa dall’interno. Dall’altra parte del vetro sbuca fuori Principessa che mi fissa.
Odio quel cane.
Non c’è niente da fare, sono bloccata qui. Devo restare calma.
Molto bene, ora le opzioni sono tre:
1: torno a casa mia, abbandonando qui per sempre Principessa. In questo caso, però, perderei la sfida con Liza.
2: aspetto qui fuori in giardino fino alle quattro, senza cibo, acqua, cellulare, e soprattutto senza aria condizionata.
Oppure trovo un modo per rientrare in casa. Questa mi sembra decisamente l’opzione migliore. Non lascerò che Liza mi batta solo perché il suo cane è più intelligente di me. Questo mai.
Mi guardo intorno. Deve pur esserci un modo per entrare. Forse potrei staccare un pezzo della staccionata e forzare la porta… Oppure potrei rompere il vetro della finestra ed entrare da lì. Mi rendo conto, però che entrambe le opzioni comporterebbero costi aggiuntivi che non posso permettermi. No, devo trovare un'altra idea.
All’improvviso sposto il mio sguardo in basso. L’occhio mi cade proprio sulla porticina per cani installata nella porta, per consentire a Principessa di uscire ed entrare.
In testa, all’improvviso, mi si insinua una malsanissima e allo stesso tempo geniale idea.
So a cosa stai pensando, Lea. NON. FARLO.
Lo so, è pura follia. Ma non vedo altra scelta.
Mi abbasso in ginocchio e prendo approssimante le misure per vedere se ci potrei passare. Forse sono un po’ troppo larga, ma spingendo un po’ sono sicura che potrei passarci.
Così mi avvio. Infilo le braccia e poi la testa nella piccola apertura e ci passo tranquillamente.
Una volta che mi sono tolta i capelli dal viso, spunta davanti a me la visione del salotto di Liza. Mi spingo ancora di più attraverso la porticina, e anche il mio busto riesce a passare. Bene, sono già dentro per metà.
Quando sono ormai convinta di essere riuscita ad entrare, il mio bacino si blocca in mezzo alla porticina. Provo a spingere in tutti i modi, usando tutte le mie forze, ma niente: non riesco ad andare più avanti di così.
«Oh, ma andiamo!» urlo spazientita.
Non può essere. Devo passarci, devo assolutamente! O l’altra metà del mio corpo rimarrà per sempre fuori da questa casa.
Provo ancora qualche volta, ma non riesco comunque a passare.
Cerco allora di tornare indietro in giardino, in modo da trovare un altro modo per rientrare.
Ma anche quando cerco di uscire fuori, i miei sforzi risultano inutili, e rimango comunque immobile. Spingo con tutte le mie forze, provo a rigirarmi in vari modi, ad aggrapparmi a qualcosa per tirarmi fuori. Non succede niente.
Il mio bacino è definitivamente bloccato tra i lati della porticina.
Proprio mentre sto per gettare un urlo disperato, spunta Principessa davanti a me. Mi corre incontro, e poiché ora sono alla sua altezza, inizia a rimpinzarmi la faccia di disgustose leccate.
Odio questo cane.
 
 
Se qualche anno fa mi avessero detto che il giorno del mio sedicesimo compleanno sarei rimasta incastrata mentre cercavo di entrare in casa di Liza da una porticina per cani, non penso che gli avrei mai creduto.
Ho ormai perso la concezione del tempo. Non so se sono qui da un minuto, un ora o un anno. Chissà se mi tireranno mai fuori da questo posto. Forse dovrò arrangiarmi e vivere qui per sempre. Divisa in due da una porta. Che brutta fine.
Inizio a urlare e ad agitare le braccia qua e là. Non ce la faccio più! Ho provato di tutto, ma non riesco a liberarmi! Le mie gambe stanno collassando sotto il sole là fuori, mentre Principessa sta trasformando la mia faccia nell’Oceano Pacifico.
Se solo trovassi un modo per uscire di qui…
Sento improvvisamente dei passi provenire da fuori. Forse una speranza ancora c’è.
«Ehm… tutto bene?» chiede una voce maschile gentile, sebbene molto confusa, proveniente dal giardino.
Sebbene non riesca a vedere il mio interlocutore, che si trova al di là della porta, la sua voce mi sembra quasi familiare.
«Sì!» rispondo, al limite della felicità per quell’incontro. «Cioè… no! No, non va affatto bene! Sono bloccata in una porticina per cani!»
«Beh, questo l’avevo capito. E come saresti finita in questa situazione?»
«È una lunga storia.»
«Non stavi cercando di rubare, vero?»
«Credi davvero che se avessi voluto rubare sarei entrata da una cavolo di porticina per cani?!»
Non sento risposta. La persona fuori dalla porta si zittisce un secondo.
«Aspetta…» lo sento dire. «Ma io ti conosco!»
Alzo gli occhi al cielo.
«Se magari mi dicessi chi sei, allora forse potrei darti una risposta!» rispondo spazientita.
«Lea?» dice improvvisamente. «Sono io, Brad!»
Rimango sorpresa per un secondo.
Brad? Spero non si tratti di quel Brad che mi dava ripetizioni all’inizio dell’anno, che odiava i miei capelli e che è stato il mio ragazzo per circa due minuti e mezzo.
«Brad? Vuoi dire Brad Callaghan?» chiedo.
«Sì!»
Ok, questa è in assoluto la situazione più assurda e imbarazzante di tutta la mia vita. Ma sebbene io sia al limite della vergogna, lui sembra contentissimo di incontrarmi.
«È da così tanto tempo che non ci vediamo!» esclama al limite della gioia. «Devo raccontarti un sacco di cose! A proposito, come sono andati gli esami? Sai, anche io quest’anno li avevo… Lo so, sono terribili, soprattutto quelli del terzo anno, poi…»
«Brad!» lo interrompo. «Sono contenta anche io di incontrarti, ma potremmo, per logica priorità, tirarmi fuori da questa porticina e poi parlare dei fatti nostri?!»
«Oh, giusto. Me n’ero quasi dimenticato.»
«Allora: o entro in casa definitivamente, oppure esco. Cosa ti sembra più logico?»
«Forse potrei prenderti per le gambe e provare a tirarti fuori.»
«Ottima idea, se solo il mio bacino non fosse incastrato e io non riesca a muovermi di un centimetro!»
«Aspetta.» Lo sento abbassarsi vicino a me. «Ce la fai a girarti di lato?»
Provo a fare come dice. Non succede niente.
«Forza, un po’ più di sforzo.» mi incita ancora Brad.
Ci provo ancora, e ancora, finché dopo qualche minuto, riesco a girarmi leggermente.
«Ora lascia fare a me.» dice Brad e subito io mi spavento.
Sento che le sue mani afferrano entrambe le mie gambe.
«Ok, se dovessi staccarmi le gambe, sappi che non esiterò a denunciarti!» strillo allarmata.
Brad dà uno strattone alle gambe e io urlo sorpresa. Continua a tirarmele, e dopo un po’ iniziano a farmi male. Non mi sono ancora liberata. Sebbene i miei insulti e le mie proteste, Brad non si ferma, e continua a provare a tirarmi fuori di lì.
Decido di aiutarlo: appoggio le mie mani a terra e cerco di spingermi dall’altra parte. Entrambi tiriamo con tutte le nostre forze.
Dopo un po’ di sforzi vari, finalmente il mio bacino si libera e riesco ad uscire da quella scomoda situazione.
Libera finalmente! Oh, quanto mi mancavano la luce del sole e i canti degli uccellini! Ormai avevo dimenticato quanto fossero belli!
Appena riesco a uscire e a spostarmi i capelli indietro, vedo finalmente Brad con i miei occhi. Non è molto cambiato dall’ultima volta che l’ho visto: mi sembra solo leggermente più alto, e la sua ispida barba ora è stata sostituita da una ben più folta.
Entrambi siamo a terra e affanniamo dopo questa incredibile impresa.
«Grazie.» riesco a dirgli tra i sospiri. «Non ce l’avrei mai fatta senza di te.»
«Di nulla.» risponde lui, sorridendomi.
«Senti, sai dirmi che ore sono?»
Brad alza il braccio e guarda di sfuggita l’orologio.
«Le quattro e dieci.» risponde.
Bene.
Un momento! Le quattro e dieci? Ma questo significa che è finita! La sfida è finita, ho vinto! Ora posso andarmene, finalmente posso tornare a casa mia! Posso festeggiare il mio compleanno in santa pace!
Mi alzo di scatto, come se avessi riacquistato d’un tratto tutte le mie forze. Brad mi guarda incredulo.
«Scusa, ora devo proprio scappare.» gli dico velocemente.
Senza che lui possa dirmi niente, mi dirigo velocemente verso il cancello. Quando sono sul punto di uscire, mi ricordo di una cosa che ho da chiedergli:
«Un’ultima cosa: come mai passavi di qui?»
Brad ridacchia divertito.
«Io?» dice, guardandomi. «Abito qui a fianco, avevo solo sentito delle urla ed ero venuto a controllare.»
«Aspetta…» faccio, incredula. «Vuoi dire che tu e Liza siete vicini di casa?»
«Beh, sì.»
Lo guardo senza dire niente. Un’altra idea è appena apparsa nella mia testa.
«Non è che sei inglese, per caso?»
Brad mi lancia un’occhiata confusa.
«No. Perché?» mi risponde.
«No, niente.» Finalmente chiudo il cancello dietro di me. «Ci vediamo, Brad!»
Scappo e corro velocemente lungo il marciapiede deserto. Sorrido tra me e me.
Non sono mai stata così felice.

 
  
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