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Autore: TimeFlies    20/01/2016    5 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 18




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18. Adam

Gli alberi si stagliavano maestosi contro il cielo lasciando che solo pochi raggi di un sole morente, sul punto di tramontare, riuscissero a superare il fitto intrico di rami. Non c’era neanche una nuvola, era una giornata limpida e fresca.
L’odore della resina e del muschio era incredibilmente rilassante, tanto che arrivai a chiedermi perché né mia nonna né mia mamma volessero vivere nel bosco: che aveva la città in più, a parte tanto traffico e tanto rumore? La foresta era molto più tranquilla, aiutava a pensare e riduceva notevolmente i livelli di stress, cosa di cui avevo piuttosto bisogno.
Quel giorno Michael aveva quasi avuto una crisi isterica e mi ci era voluta un'ora buona per calmarlo e convincerlo ad uscire dal bagno in cui si era chiuso. La causa scatenante era stata Julia: l’aveva lasciato quello mattina dicendo che aveva aspettato per troppo tempo una risposta che lui sembrava aver trascurato.
La capivo, soprattutto perché era vero che Michael aveva fatto di tutto pur di evitare di parlare di quello che era successo alla festa di Selena. L’unico problema era che il mio migliore amico sembrava aver dato completamente di matto ed era toccato a me provare a farlo rinsavire. Non c’ero riuscito molto bene, ma almeno avevo cominciato e sembrava che, almeno per il momento, il peggio fosse passato. 
A dirla tutta, però, avrei dovuto studiare chimica per il test, che sarebbe stato tra un paio di giorni, invece che perdere tempo cercando di risolvere una situazione così ingarbugliata come quella in cui si trovava Michael. Ero partito con dei buoni propositi, come andare nella casa nel bosco per poter ripassare senza nessuno che mi disturbasse. C’ero già stato il giorno prima con Scarlett per le ripetizioni e avevo realizzato che era un posto che facilitava la concentrazione. Il problema era che ero finito per uscire sul portico a prendere un po’ d’aria e non mi ero ancora deciso a tornare dentro.
Ormai era praticamente notte, rimaneva solo qualche ultimo sprazzo di luce nel cielo, e io sarei dovuto andare a casa. La cena ormai l’avevo persa, ma avevo avvertito mia madre quel pomeriggio dicendole di non aspettarmi. Nonostante questo, dovevo smetterla di fissare gli alberi come in cerca di chissà quale ispirazione, dovevo farlo e basta. Ma la città, con tutto quel ruomore, non mi era mai sembrata così poco accogliente.
Sospirai e mi morsi il labbro: di solito riuscivo ad essere responsabile, però in quel momento proprio no. Forse non avevo neanche voglia di provarci seriamente, forse volevo solo prendermi un attimo di respiro e magari anche provare ad elaborare un piano per aiutare Michael.
Un movimento confuso al limitare della radura dove si trovava la casa mi distolse dai miei pensieri. Era come se il vento stesse smuovendo qualche cespuglio. O magari era un animale. Qualunque cosa fosse, si stava avvicinando e, nel farlo, spezzava rametti e calpestava il sottobosco senza curarsi di essere silenziosa.
Rischiai seriamente un infarto quando vidi una ragazza spuntare dal fitto degli alberi. E quando la riconobbi fui felice di essere appoggiato alla ringhiera del portico: Scarlett era appena entrata nello spiazzo vicino al cottage e sembrava decisamente sconvolta, stralunata.
Non ricordavo di averlo deciso, ma mi ritrovai comunque a scendere le scale e ad andarle incontro. Lei si guardò attorno per un attimo prima di notarmi. I suoi occhi marroni erano accesi da una sfumatura dorata più intensa del solito; aveva le labbra schiuse e il respiro affannoso oltre che diversi rametti tra i capelli. Indossava dei jeans scoloriti che sembravano aver visto tempi migliori, una maglietta grigia e una vecchia felpa blu.
«Scarlett.» Mi sentii dire.
Per un secondo, il suo sguardo fu sorpreso, poi quasi rassicurato, ed infine completamente sconvolto. «Adam.» Mormorò con un fil di voce. Si prese la testa tra le mani affondando le dita tra i capelli. «No, no, no… Oddio, ma perché?»
Feci un passo verso di lei. «Ehi, va tutto bene? Sembri un po’… stravolta.»
«Tutto sbagliato, è tutto sbagliato… Non doveva andare così… No, no, no…» Borbottò a mezza voce senza dare segno di avermi sentito.
«Scarlett, ehi, che c’è che non va?» Tentai di nuovo.
Lei, però, continuava a bofonchiare parole senza senso mentre camminava su e giù davanti a me. Dopo qualche secondo, non riuscii a sopportare oltre: mi misi davanti a lei, costringendola a fermarsi, e l’afferrai per le braccia. A quel punto, però, non aveva idea di cosa dire né di cosa fare. Mi guardò con quei suoi occhi da cerbiatto: sembrava sul punto di mettersi a piangere, non l'avevo mai vista così fragile, disorientata.
«N-non volevo venire qui…» Sussurrò con un fil di voce.
«Okay, ma perché sei nel bosco? Di nuovo?» Domandai continuando ad osservarla.
Abbassò lentamente lo sguardo. «Perché c’è la luna piena.»
Feci per dire qualcosa, ma ci rinunciai: quel pomeriggio, al bar, aveva detto che durante il plenilunio perdeva il controllo, completamente, che in lei si risvegliavano gli istinti primitivi come quelli dei lupi veri. E queste non erano notizie rassicuranti. «Intendi stanotte?»
Annuì prima di stringere le labbra. «Sì. Volevo fare come tutti i mesi, trovarmi un posto tranquillo e passarci la notte, ma, non so come, mi sono ritrovata qui.»
Lanciò un’occhiata nervosa al cielo e la vidi stringere i pugni tanto che le nocche le diventarono bianche. Seguii la direzione del suo sguardo prima di tornare a guardarla. «Senti, fa’ un respiro profondo adesso, mmh?»
Sorprendentemente, fece come le avevo detto. E non si spostò, rimase lì davanti a me, come se nulla fosse. «Okay, va un pochino meglio.»
«Bene.» Commentai. «Che ne dici se entri un attimo e prendi un bicchiere d’acqua? Magari può aiutare.»
Continuava a fissare qualcosa all’altezza della mia gola con aria assorta, ma annuì comunque. «D’accordo.»
Non mi sembrava molto lucida, quasi fosse stata troppo presa dai suoi pensieri per prestare veramente attenzione a quello che le succedeva intorno. Forse la luna piena aveva gli stessi effetti di una droga, creava allucinazioni e inibiva la razionalità.   Mi seguì comunque quando, dopo averla lasciata, mi incamminai verso la casa. La feci entrare per prima e chiusi la porta mentre lei si guardava distrattamente intorno stringendosi le braccia al petto.
«Ti prendo un po’ d’acqua, okay?» Chiesi passandole davanti e avvicinandomi alla cucina.
«No.» La freddezza della sua voce mi fece scendere un brivido lungo la schiena.
Mi voltai verso di lei: aveva di nuovo le mani strette a pungo e le spalle rigide e teneva la testa china. I capelli le ricadevano sul viso nascondendolo.
Feci un passo verso di lei, cauto. «Scarlett, qual è il problema?»
Sollevò la testa di scatto rivelando l’oro che le colorava le iridi. Non era come le altre volte che l’avevo visto, appena accennato, in quel momento aveva cancellato completamente il marrone. Mi bloccai cercando di capire cosa fare, cosa dire, ma mi sembrava di avere la mente vuota, come se, di colpo, l’istinto di sopravvivenza fosse scomparso insieme alla logica.
Scarlett continuava a tenere lo sguardo fisso su di me, il petto che si alzava e si abbassava velocemente. Oltre questo, però, sembrava avere il controllo di se stessa, almeno per il momento.
«Devo andarmene. O ti farò male.» Disse a denti stretti. «Ti ricordi che ti ho detto riguardo alla luna piena, no?»
Deglutii nervosamente. «Che risveglia i vostri istinti primitivi e che non riuscite a fermarli.»
Sembrò che la mia risposta la rassicurasse almeno un po’. «Esatto. Quindi adesso io me ne vado. E non provare a fermarmi, chiaro? Non voglio farti male.» Aggiunse cominciando ad indietreggiare.
Lanciai un’occhiata alla finestra: anche l’ultimo raggio di sole era sparito, adesso era notte, buia e fredda. E la luna splendeva, maestosa e inesorabile, sulla foresta.
«Che… che hai intenzione di fare?» Chiesi notando troppo tardi quanto fosse insicura la mia voce.
«Andrò nel bosco e farò quello che faccio tutti i pleniluni: lascerò campo libero al lupo che c’è in me. Non ti conviene essere nei paraggi quando succederà.» Spiegò riuscendo a mantenere un tono relativamente calmo.
Dietro tutto l’oro bruciante dei suoi occhi, riuscii a vedere un’ombra, come un qualcosa che la turbava. Paura. La spaventava essere da sola a fare i conti con qualcosa che faceva parte di lei ma che, nello stesso tempo, le era estraneo.
Si voltò e mise una mano sulla maniglia. In quel momento, sentii qualcosa scattare dento di me, qualcosa che non credevo di avere, e mi ritrovai subito dietro di lei. Le afferrai il polso facendola girare verso di me. Il suo sguardo si intrecciò automaticamente al mio. Sembrò disorientata, sorpresa da quella mossa improvvisa persino per me.
«Adam, che stai facendo? Lasciami.» Voleva essere determinata, ma suonò esitante, come se non fosse stata sicura di quali parole usare.
«Non posso.» Lo ammisi con lei e con me stesso: non potevo lasciarla sola a far fronte alla luna piena, non potevo e basta.
La sua espressione si fece sorpresa e quasi implorante. «Non ricominciare, ti prego. Io… Questo è molto pericoloso, okay? Troppo pericoloso perché io ti permetta di farmi restare. Devi lasciarmi andare, adesso.»                                                                      
Scossi la testa e, senza ricordare di averlo deciso in precedenza, strinsi le dita intorno all'altro polso, quello che teneva ancora sulla maniglia. Adesso era di fronte a me, la schiena contro la porta e lo sguardo bruciante di frustrazione mista a paura. La distanza tra noi era decisamente troppo poca considerando che entrambi eravamo impegnati in una relazione, ma in quel momento l'essere un buon fidanzato era l'ultimo dei miei problemi.   
«Non lo so controllare, dannazione!» Sbottò Scarlett, la voce che tradiva una nota di disperazione. «Lasciami se non vuoi morire per colpa mia.»
«Mi stai chiedendo di lasciarti ad affrontare tutto questo da sola?» Domandai pur conoscendo già la risposta.
«Sì! L’ho fatto milioni di volte, so come funziona. Tu no, e non voglio fartelo scoprire.» Insistette guardandomi.
Non potei fare a meno di sentire una stretta al cuore quando mi resi conto di quante altre volte di era sentita così, privata del controllo del suo stesso corpo, costretta ad isolarsi per evitare di fare del male a qualcuno. Voleva proteggere chi le stava intorno, ma chi pensava a proteggere lei?
«Voglio aiutarti, okay? Lo so che tu non vuoi, ma non mi farai cambiare idea.» Dichiarai sperando di sembrare sicuro di me.
Lei fece per rispondere, ma si bloccò all’improvviso. Serrò gli occhi di colpo e strattonò le mani per liberarle. La lasciai subito, sorpreso, mentre lei tornava a infilarsi le dita tra i capelli. Si piegò su se stessa lasciandosi sfuggire un ringhio sommesso che suonò quasi sofferente, come quello di un animale ferito. Ansimò cercando di riprendere fiato e sollevò la testa di scatto. I suoi occhi dorati avevano un fascino pericoloso, tanto magnetico che mi riusciva difficile distogliere lo sguardo.
Si mosse così velocemente che riuscii a malapena a seguire il suo scatto. In effetti, realizzai cosa stava succedendo solo quando il suo corpo urtò il mio facendoci finire entrambi a terra.
Ci si rende conto di quanto sia duro il pavimento solo quando ci si sbatte contro. Con un licantropo in preda agli istinti primitivi addosso. L’impatto mi tolse il fiato per un attimo, ma dovetti riprendermi in fretta: sopra di me, Scarlett ringhiava e sembrava piuttosto arrabbiata. Sentii le sue mani scorrere brusche sulle mie braccia finché non raggiunsero i polsi, che afferrarono con prepotenza e bloccarono a terra all’altezza della mia testa. Una vocina nella mia mente mi disse che me lo meritavo, in fondo ero stato io ad insistere perché lei restasse.
«Tra tutte le cose che potevi fare questa è la più stupida.» Borbottò Scarlett scrutandomi con aria critica.
I suoi capelli mi sfioravano il viso, le sue ginocchia mi premevano contro i fianchi, la sua stretta era ferrea, sentivo il calore della sua pelle anche attraverso i vestiti che ci separavano. In effetti, mi sembrava che fosse un po’ troppo calda, come se avesse avuto la febbre.
«Sei stata tu a saltarmi addosso.» Mormorai ricambiando l’occhiata.
«Mi riferivo al tuo essere così dannatamente insistente.» Replicò lei aumentando appena la stretta sui miei polsi.
«Deve essere un difetto di famiglia.» Commentai chiedendomi, nello stesso tempo, che diavolo stavo facendo.
La sua espressione si fece sorpresa per un attimo prima di tornare cupa. «Ti rendi conto del guaio in cui ti sei cacciato? Stavo per ucciderti un secondo fa. E anche adesso sto prendendo seriamente in considerazione l’idea di farlo.»
«Lo immaginavo.» Ammisi. «Solo, dammi una possibilità. Una sola. Se non dovesse funzionare…»
«Se non dovesse funzionare? Lo sai cosa vorrebbe dire? Che tu saresti morto.» Sbottò interrompendomi. «Niente possibilità.»
Per qualche strano motivo, mi ricordai che avevo sentito parlare della psicologia inversa non molto tempo prima durante una lezione a scuola. «D’accordo. Allora perché non te ne vai? Mi hai fatto capire chi comanda e che sei pericolosa: non proverò a fermarti.»
Un’espressione sorpresa le attraversò il viso. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra come se stesse valutando la mia proposta. Approfittai di quel secondo di distrazione per ribaltare la situazione e darmi un po’ di vantaggio: mi liberai dalla sua stretta e, con una spinta, la feci finire sdraiata sotto di me. Le afferrai i polsi e li portai all’altezza della sua testa, come lei aveva fatto con me.
Si lasciò sfuggire un ringhio rabbioso e mi fulminò con un’occhiataccia. «Oddio, ma che hai al posto del cervello? Segatura?» Esclamò con evidente frustrazione. «Mi sembrava di averti detto che è pericoloso, dannazione!»
Provò a divincolarsi, ma riuscii a tenere duro, in qualche modo. E avrei continuato a farlo: non mi sarei mai perdonato se l’avessi lasciata da sola contro qualcosa di così… imprevedibile e potenzialmente letale. Anche se lei ci aveva già avuto a che fare, anche se probabilmente voleva uccidermi, anche se non ne avevo motivo. 
«Senti, lo so che adesso mi odi, cioè, più di prima, ma non riesco neanche a pensare di farti affrontare tutto questo da sola.» Confessai lasciando che i suoi occhi dorati bruciassero nei miei. «Per favore, Scarlett, lascia che ti aiuti. Magari non funzionerà, magari faremo solo danni, ma almeno sapremo che non è la strategia giusta.»
«Non voglio farti del male, chiaro? E questo…» La sua risposta si interruppe bruscamente quando chiuse gli occhi di scatto e inarcò la schiena, come in preda ad uno spasmo.
La vidi stringere i denti, insolitamente lunghi e affilati. Una parte di me avrebbe voluto scappare da tutto quel pericolo, da tutto quel… soprannaturale: in fondo, mi era così sconosciuto e sembrava decisamente una pazzia fare quello che avevo in mente di fare. Ma, nello stesso tempo, la mia determinazione nel voler rimanere con lei per aiutarla si rafforzò.
Scarlett si lasciò ricadere sul pavimento con un tonfo sordo e un sospiro che assomigliava di più ad un respiro strozzato. Mormorò qualcosa a voce così bassa che non riuscii a capirlo, ma suonò piuttosto simile ad un'imprecazione.
“Fa’ qualcosa”, mi rimproverò una vocina nella mia mente. In effetti, non potevamo starcene lì distesi sul pavimento tutta la notte. Cercai di mettere in ordine le idee mentre Scarlett faceva dei respiri profondi per riprendere aria.
«Mia mamma soffriva di attacchi di panico qualche anno fa.» Dissi evitando di guardarla negli occhi.
Per una qualche strana ragione, il mio sguardo si soffermò sulle sue labbra, screpolate e rosee.
«Cosa?» Chiese evidentemente confusa.
Ripresi fiato per un attimo prima di continuare: «Il medico le disse che, quando sentiva che stava per avere una crisi, doveva concentrarsi su qualcosa, qualunque cosa. Il rumore della pioggia, della televisione, anche il suo stesso respiro. L’importante era che la distraesse, così non avrebbe avuto paura di avere paura e si sarebbe calmata.»
Lei mi guardava, come in attesa che continuassi, e questo mi sorprese: parlare di qualcosa di così personale era un azzardo che poteva costarmi parecchio, invece lei sembrava sinceramente interessata. Era un argomento delicato di cui persino Michael sapeva poco o nulla. Evitavo di tirarlo fuori quasi senza rendermene conto, eppure adesso lo stavo raccontando alla migliore amica della mia ragazza, che era un licantropo indisposto e lunatico che avevo addirittura baciato. 
«Ecco, ho pensato che magari poteva funzionare anche con te. Insomma, il panico è un’emozione forte, no? E credo sia più o meno come quello che senti tu adesso.» Spiegai prima di mordermi il labbro.
La sfumatura d’oro nei suoi occhi si intensificava e si indeboliva continuamente, come una fiamma in balia del vento. «Mmh. Va’ avanti.»
Esitai per un attimo prima di schiarirmi la gola. Le sollevai una mano e me la portai sul petto, all’altezza del cuore. «Cosa senti?»
Lei allargò le dita facendo aderire il palmo alla mia maglietta. «Vuoi la risposta umana o quella animale? Quella umana è il tuo cuore. E, credimi, non è calmo come pensi tu. Quella animale è sangue fresco che scorre veloce.»
Premetti la mano sulla sua, più per avere qualcosa da fare che per necessità: quella storia degli istinti animali non era un'esagerazione. «Uhm… Concentriamoci su quella umana per ora.»
«Ottima scelta.» Borbottò.
Trassi un respiro profondo: dovevo calmarmi io per primo se volevo aiutarla davvero. Avevo bisogno di riprendere il controllo della situazione. «Okay, ora dovresti concentrarti sul mio battito cardiaco e cercare di rilassare i muscoli. Quando sarai più calma sarà tutto più facile.»
Un minuscolo accenno di sorriso le incurvò le labbra. «D’accordo, posso provare. Ma non ti prometto nulla.»
Annuii piano. «Bene.»
Si sistemò un po’ meglio sul pavimento, per quanto fosse possibile, e spostò lo sguardo sul soffitto. «Forse dovrei ringraziarti per… tutto questo. Se non volessi strozzarti per essere così dannatamente insistente. Comunque… come ti è venuta in mente una cosa del genere? Voglio dire, attacchi di panico e plenilunio sono piuttosto diversi.»
Ad essere sincero avrei preferito evitare di parlarne ancora, più che altro perché temevo di perdere la calma che ero riuscito a ripristinare. E a quel punto avrei esaurito le idee.
Mi mordicchiai il labbro, titubante. «Sinceramente non lo so. Credo di averci pensato perché… uhm, il medico ci fece imparare un paio di tecniche di rilassamento. Erano più che altro per mia madre, ma il dottore voleva che le sapessimo anche noi, sai, per precauzione. Non è stato un bel periodo.»
I suoi occhi da cerbiatto si fecero preoccupati, cosa che strideva un po’ con la strana situazione in cui ci eravamo cacciati. «Non devi parlarne se non vuoi. Davvero, non ce n’è bisogno.»
Scossi appena la testa. «No… Voglio dire, adesso è okay, è finito. Sono anni che mia mamma non ha crisi.»
Mantenne lo sguardo intrecciato al mio. «Beh, mi fa piacere, credo.»
«Già, anche a me.» Mormorai rompendo per primo quel contatto visivo.
Avevo detto anche troppo e, se volevo davvero aiutarla a riprendere il controllo, dovevo essere calmo e razionale. E parlare di mia madre e di tutto quello che era successo anni prima non mi avrebbe aiutato a farlo.
L’oro negli occhi di Scarlett sembrava essersi stabilizzato, almeno per il momento, e decisi di prenderlo come un buon segno: magari voleva dire che stava cominciando a trovare una qualche specie di equilibrio. Oppure era solo la quiete prima della tempesta, non ne avevo idea.
Trassi un respiro profondo e cercai qualcosa da dire, qualcosa che alleggerisse la tensione e aiutasse entrambi a calmarsi. Invece mi ritrovai a guardarla, ad osservare i piccoli dettagli che da quella distata decisamente troppo scarsa era impossibile non notare.
Scarlett aveva un piccolo neo appena sotto la mascella, in un punto che normalmente rimaneva nascosto, a meno che lei non avesse girato la testa dalla parte opposta. Le sue labbra non erano né carnose né sottili, di un rosa chiaro che risaltava poco sulla sua pelle lievemente colorita. La linea del collo era morbida e ben delineata. Il ciondolo a forma di foglia che le avevo già visto addosso era scivolato fino a fermarsi sulla clavicola destra.
Si schiarì la gola facendomi quasi trasalire. «Uhm, senti, dobbiamo restare sul pavimento tutta la notte? No, perché non è che sia poi così comodo.»
«Ehm… No. Credo che possiamo… uh, spostarci.» Esitai per un attimo. «Come ti senti? Intendo, pensi che potresti…»
«Saltarti alla gola appena mi lasci? No, niente del genere. E comunque, se avessi avvertito l’istinto omicida tu saresti già morto.» Fece un cenno col mento verso il mio petto. «Insomma, mi hai praticamente messo in mano la tua vita, in senso piuttosto letterale: ti ricordo che non ho solo le zanne.» E, come a voler supportare la sua affermazione, fece allungare gli artigli della mano che teneva sul mio cuore.
«Sì, in effetti hai ragione… Avrei dovuto pensarci.» Ammisi lasciandomi sfuggire una smorfia. «Beh, mi sembri abbastanza controllata, quindi…»
Le lasciai entrambi i polsi e mi alzai in piedi. Lei si stiracchiò prima di tendermi una mano. Di fronte alla mia espressione interrogativa, sbatté le palpebre con aria innocente. Sospirai e le afferrai la mano per poi aiutarla a tirarsi su. La sua collana scivolò al suo posto, nell’incavo del collo.
«Come va?» Chiesi lanciandone un’occhiata di sottecchi.
Scrollò le spalle. «Non malissimo. Cioè, ho il mal di testa fisso, però… Potrebbe andare peggio.»
«Mal di testa?» Ripetei osservandola.
«Già.» Borbottò con un sospiro. Guardò qualcosa alle mie spalle e inclinò appena la testa di lato. «Possiamo…?»
Seguii la direzione del suo sguardo: sembrava puntare al divano. Sentii un accenno di sorriso farsi strada sulle mie labbra. «Sì, certo.»
La sua espressione si fece riconoscente, ed era un qualcosa che non avrei mai pensato che potesse provare per me. Mi feci da parte per farla passare e, quando lei si lasciò cadere sul divano, mi sedetti al suo fianco.
«Come mai il mal di testa?» Domandai incuriosito, mio malgrado. «Cioè, è legato al plenilunio?»
Si strofinò le mani sui jeans. «Sì. È come se dentro di me ci fossero due personalità: una è quella… normale, umana; l’altra è quella animale. E sono in lotta tra loro, come se una delle due volesse predominare sull’altra.»
«Bipolare.» Sussurrai, più per me che per lei.
Arricciò il naso. «Quello che è.» Si sistemò meglio contro lo schienale. «È frustrante perché non so mai cosa succederà dopo. Adesso va tutto bene, sono calma, ma è come se fossi sempre sul punto di trasformarmi e perdere completamente il controllo. Potrebbe succedere ora, o tra un’ora, o tra un minuto, non lo so. Ed è questo che rende tutto più difficile.»
Mi resi conto solo in quel momento che eravamo spalla contro spalla, e nessuno dei due sembrava farci troppo caso. E stavamo parlando sul serio, senza remore: io le avevo confessato di mia madre, lei mi stava descrivendo gli effetti della luna piena. «Quindi una parte di te rimane razionale anche quando l’istinto animale prevale?»
Annuì fissando un punto nel vuoto. «La maggior parte delle volte sì. Quando succede mi sembra quasi che sia qualcun altro a muovere il mio corpo: vedo e sento quello che faccio, ma riesco a fare poco per impedirlo.»
Feci per replicare, ma mi bloccai: che potevo dirle? Che sarebbe finito tutto in poco tempo? Avrei voluto darle un aiuto più concreto, però non riuscivo a trovare le parole giuste. Aveva appena confessato di sentirsi come intrappolata nel proprio corpo, probabilmente non esisteva niente di rassicurante da dire.
Mi riscossi improvvisamente dai miei pensieri quando la sentii irrigidirsi. La guardai, preoccupato: aveva serrato gli occhi, la sua mascella era contratta, tutto il suo corpo esprimeva tensione, teneva i pugni stretti così forte che le erano diventate le nocche bianche. E quella piccola macchia rossa risaltava parecchio su quel pallore.
Per poco non mi prese un colpo quando realizzai che era sangue. Senza pensare a quello che facevo, le presi le mani tra le mie e provai a schiuderle le dita. Quando si era ferita? Fino a qualche momento prima stava bene, che diavolo stava succedendo?
Provò a protestare, ma senza troppa convinzione. Riuscii ad aprirle i pugni e a rivelare le piccole mezzelune, rese scarlatte dal sangue, che si era incisa nei palmi. Sembravano un po’ troppo profonde per essere state fatte da semplici unghie umane.
«Ehi, che stai facendo?» Mormorai con voce più dolce del previsto.
Continuava a tenere gli occhi chiusi, come se avesse avuto paura di cosa si sarebbe trovata davanti aprendoli. «Il dolore mi aiuta a non perdere il controllo.» Spiegò a denti stretti. «Non devi preoccuparti, so cosa faccio.»
«Ci sono altri modi. Devono esserci.» Replicai osservando distrattamente i piccoli tagli che guarivano proprio mentre parlavamo. «Non permetterò che tu ti faccia del male.»
I suoi occhi da cerbiatto finirono nei miei, l’oro che bruciava come una fiamma. «Ah no?» Nel suo tono c’era una nota di sfida.
«No.» Dichiarai. «Troveremo un’altra soluzione.»
«Stai dando il meglio di te stasera, eh?» Commentò. «Senti, anche se non ti piace questo è un buon modo per non farmi prendere dall’istinto omicida.»
«Beh, tu non macchierai il divano di mia madre.» Borbottai.
Alzò gli occhi al cielo e fece per dire qualcosa, ma si bloccò all’improvviso quando le feci scivolare un braccio intorno alle spalle. Intrecciai le dita di entrambe le mani alle sue e la tirai un po’ di più verso di me.
Il suo respiro si fece spezzato, tutto i suoi muscoli erano tesi. «Uhm… Non è così che pensavo di passare la notte.» La sua voce era incerta e la vidi deglutire nella penombra. 
«Neanche io.» Concordai con un sospiro.
Era rigida contro di me, come se fosse stata in attesa di un qualche tipo di attacco, forse proprio da parte mia. «Non dovremmo stare così vicini, sia in senso letterale che figurato.»
«Per via di Elisabeth?» Chiesi cauto.
«Sì. Lei è la tua ragazza e…» Cominciò.
«Questo non vuol dire che devi far riferimento a lei per ogni cosa.» La interruppi.
Si girò verso di me in modo da guardarmi in faccia. «Cosa? C-che intendi?»
«Tutte le volte che parliamo salta fuori lei. So che le vuoi bene, ma la tua vita non dipende da lei. Non posso parlarti perché c’è Elisabeth. Non puoi accettare il mio aiuto perché c’è Elisabeth. Non puoi continuare così, Scarlett. Ti senti in colpa perché non puoi dirle la verità, ma non per questo devi…»
«Ehi.» Questa volta fu lei ad interrompermi. Si voltò incastrando la spalla contro la mia. «Lo so che è sbagliato, che non dovrei e tutto il resto. Ma è la mia migliore amica e non è che ci sia tanta normalità nella mia vita. Lei invece lo è, normale intendo: le piacciono i vestiti e le gonne, si trucca troppo, è sempre a caccia di ragazzi e quando si innamora lo fa con tutta se stessa, senza risparmiarsi. È anche orgogliosa e testarda, e le piace avere ragione. Ma mi vuole bene, e io ne voglio a lei. E… sì, mi sento in colpa perché devo mentirle quasi ogni giorno. Credo sia solo un modo per… farmi perdonare, in qualche modo.»
Abbassai lo sguardo. «Io… Scusa, non avrei dovuto essere così duro… Insomma, non sapevo tutta la storia e anche se l’avessi fatto non avevo il diritto di giudicarti.»
«È okay, tranquillo.» Mormorò lei.
Strinsi le labbra mentre lei tornava ad appoggiare la schiena per metà contro il divano e per metà contro di me. Contrariamente alle mie aspettative, non aveva sfilato le mani dalle mie, anzi, si era sistemata in modo da far stare comodi entrambi. Mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse piccola e magra: sentivo il suo corpo ossuto premere contro di me, come se fosse stata spigolosa. Ed era una cosa che strideva con il lupo che si nascondeva dentro di lei, una bestia forte, pericolosa, potente.
E io le stavo così vicino… in tutti i sensi. Forse ero impazzito e non me n’ero neanche accorto. Forse avevo smesso di provare paura per un qualche strano motivo. Forse non c’era niente da temere in lei.
Scarlett si inarcò contro di me. «Oddio…»
Aveva chiuso gli occhi e le sue dita stringevano le mie con una forza che non credevo avesse. Un ringhio soffocato le risalì dalla gola e lo sentii vibrare nel suo petto.
Quasi inconsapevolmente, aumentai la stretta su di lei, come a volerla rassicurare. «Ehi, va tutto bene. Cioè… andrà tutto bene.»
La sua risposta fu un altro ringhio. Sì, in effetti il mio non era stato un granché come incoraggiamento.
«Ho bisogno di alzarmi.» Disse tra i denti.
La lasciai subito sciogliendo quello strano abbraccio, e lei si mise in piedi barcollando appena. Si allontanò di un paio di passi dal divano e si prese la testa tra le mani. Era scossa da tremiti violenti. Sembrava in preda ad un dolore lancinante. È come se dentro di me ci fossero due personalità. E sono in lotta tra loro.
«Scarlett?» Mormorai cauto.
Lei tese un braccio verso di me, come ad intimarmi di restare dov’ero. Esitai, combattuto: continuare a darle contro, sfidarla apertamente ignorando ciò che diceva non mi sembrava una grande idea. Ma neanche rimanere lì a guardarla combattere contro se stessa suonava tanto bene.
Crollò improvvisamente a terra ringhiando. Scattai in piedi e mi inginocchiai di fronte a lei.
«Scarlett. Ehi, guardami.» Tentai mentre cercavo di incrociare il suo sguardo.
Lei mi ignorò, o forse non mi sentì visto che continuava a ringhiare sommessamente. Era frustrante non sapere che fare, non sapere cosa sarebbe successo. Avrei voluto aiutarla, eppure l’unica cosa che riuscivo a fare era stare lì a guardarla soffrire.
Piano piano, Scarlett smise di tremare. Abbassò le mani e si scostò una ciocca di capelli dal viso. L’oro nei suoi occhi ardeva di nuovo con intensità. Evidentemente quella di prima era stata davvero solo quiete temporanea.
«Va… va tutto bene.» Balbettò cercando di riprendere fiato.
«No che non va bene.» Sbottai guardandola preoccupato.
Un debole sorriso le incurvò le labbra. «Sì, hai ragione. È tutto un casino.»
Era stupido ed inappropriato, eppure mi ritrovai a sorridere con lei mentre l’aiutavo ad alzarsi.

Il resto della notte si trascinò lento in un alternarsi di ringhi, momenti di crisi e altri di lucidità, occhi ardenti e conversazioni non proprio sensate. Scarlett faceva del suo meglio per nascondermi il dolore che provava, ma era impossibile non lasciarlo trapelare.
Ogni volta che si aggrappava a me per rimettersi in piedi, ogni volta che le sue dita finivano intorno al mio polso per cercare di ritrovare un po’ di controllo attraverso il battito del mio cuore -troppo spesso accelerato-, sentivo quanto era tesa e rigida. E io tornavo a sentirmi impotente. Che potevo fare contro qualcosa che faceva parte di lei?
Dopo l’ennesima crisi, Scarlett sembrava tremendamente esausta. Era di nuovo in ginocchio sul pavimento, la testa china, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Io ero al suo fianco e le tenevo la mano, esitante. Cercavo di darle un po’ di sostegno con quel piccolo gesto che però sembrava inutile persino a me.
Si passò le dita tra i capelli e sospirò. «Dio… Credevo di aver toccato il fondo ore fa. Mi sbagliavo.»
Abbassai lo sguardo sperando in un’illuminazione che mi dicesse come aiutarla sul serio. E proprio mentre guardavo il pavimento notai una cosa che fino a quel momento non c’era stata: le nostre ombre.
Mi voltai di scatto verso la finestra: gli alberi erano rischiarati da una luce morbida e soffusa, il cielo che si riusciva a vedere tra l’intrico dei rami era tinto di rosa, giallo, oro. Era l’alba.
«È finita.» Mormorai.
Scarlett seguì la direzione del mio sguardo e un sorriso fiacco le illuminò il viso quando capì a cosa mi riferivo. Per un attimo sembrò che tutta la stanchezza fosse sparita dal suo viso, che fosse tornata forte e piena di energia.
Mi alzai e l’aiutai a fare lo stesso. Non ero mai stato così sollevato nel vedere il sole sorgere. Avevo ancora gli occhi fissi sulla finestra, così sussultai quando Scarlett mi abbracciò facendo scivolare le braccia intorno alla mia vita. Dopo un attimo di titubanza, ricambiai la stretta. Sentii le sue mani risalirmi la schiena e fermarsi appena sotto le scapole.
«Grazie.» Mormorò contro la mia spalla.
La sua voce era un sussurro appena udibile reso roco da tutte le volte che aveva ringhiato. Non trovai niente da dire, se non un banale “di niente”, quindi mi limitai a stringerla un pochino di più, ed ero così sollevato da non fermarmi a pensare alla stranezza di quel gesto. Si scostò da me e fece un passo indietro.
«Sono esausta.» Borbottò prima di scrutarmi con aria critica. «E anche tu non hai una bella cera.»
«Davvero? Mi sembrava di aver letto da qualche parte che rimanere svegli tutta la notte in compagnia di un licantropo indisposto rendesse energici e vitali.» Replicai ricambiando l’occhiata.
Alzò gli occhi al cielo. «Questa potevi anche risparmiartela, sai?»
Sentii un sorriso sghembo farsi strada sulle mie labbra. «Ti ho sopportato per tutta la notte, potresti essere più indulgente.»
Incrociò le braccia al petto. «No. Non con te.»
Sospirai passandomi una mano tra i capelli. «Buono a sapersi.»
Lei spostò lo sguardo su qualcosa dietro di me. Non avevo bisogno di voltarmi a controllare cosa fosse: di nuovo il divano. Probabilmente fatica a reggersi in piedi dopo tutto quello che aveva passato quella notte.
«Senti, su ci sono due camere da letto.» Dissi guardando il pavimento.
«Sul serio?» Chiese con voce speranzosa.
«Sì.» Confermai. «E, un’altra cosa, andare a scuola non mi sembra fattibile, quindi…»
I suoi occhi si illuminarono. «Vuoi dire che mi perderò cinque ore di meravigliosa cultura? Oh, che peccato.»
Sorrisi scuotendo la testa. «Già, immagino quanto tu sia dispiaciuta.» Feci un cenno verso le scale. «Andiamo? Sto morendo di sonno anch’io.»
Mentre mi passava accanto, mi rifilò una gomitata nelle costole. Mi lasciai sfuggire una smorfia che la fece sorridere.
Ci fermammo l’uno di fronte all’altra davanti alla porta di una delle camere. Lei mi guardava in attesa, aspettando che le dicessi cosa fare.
«Se hai bisogno di qualcosa, qualunque cosa, chiamami pure, okay? E, se ti fa freddo, ci sono altre coperte nell’armadio.» Spiegai improvvisando sul momento.
L'oro nei suoi occhi si era affievolito, adesso ne rimaneva solo una lieve sfumatura. «Okay.»
«Allora… Buonanotte.» Mormorai.
«’Notte.» Rispose con un sorriso incerto.
Si voltò, aprì la porta della camera e si infilò dentro prima di richiudersela alle spalle. Sospirai ed entrai nella stanza accanto. Solo quando mi sdraiai sul letto, ancora vestito, mi resi conto di quando fossi dolorante e terribilmente stanco.
Il sole fuori dalla finestra continuava a salire in cielo, rischiarando il bosco e tingendo tutto di una luce soffusa e dorata. Come gli occhi di Scarlett.



SPAZIO AUTRICE: Ehilà :3
Il piano originario era quello di aggiornare giovedì, ma domani dovrò darmi allo studio pazzo -cosa che dovrei fare anche oggi- quindi eccovi il capitolo con un giorno d'anticipo!
E' un po' più lungo degli altri, dovrebbe essere intorno alle 5400 parole, ma spero vi sia piaciuto lo stesso. Finalmente, infatti, scopriamo qualcosa in più sul passato di Adam, quello che fino ad ora era sembrato il più "puro" diciamo, quello con meno scheletri nell'armadio. Invece anche lui ha delle ombre di cui non parla volentieri, un po' come Scarlett con il divorzio dei suoi genitori.
Che pensate che succederà adesso che gli Adamett hanno trascorso la notte -di luna piena poi- insieme? Sarà cambiato qualcosa tra loro? O rimarranno ancora diffidenti l'uno nei confronti dell'altra? E per quanto riguarda Michael, invece? Cosa pensate che farà?
Ah, un'altra cosa, ho aggiunto l'avvertimento Slash nelle note della storia perché più avanti  potrebbe esserci qualche scena del genere. Ma non vi dico altro.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto *-* A me non convince molto, ma mi auguro che sia meglio di come mi appare.
A presto **

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