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Autore: Nori Namow    21/01/2016    4 recensioni
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle Bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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 L’anima è piena di stelle cadenti. - Victor Hugo




Familie



«Lou, qual è stata la prima allucinazione del Castello delle Bugie?»
Osservai dal mio posto il ragazzo che guidava tranquillamente per le strade di Tadley, pronto a tornare a casa sua. Sarei andata con lui, avrei preso la mia auto che era rimasta lì, a casa Tomlinson, e poi sarei entrata in quel maledetto posto che aveva tentato inutilmente di spaventarmi.
Louis si morse il labbro, come a chiedersi se valesse la pena ricordare.
«La… La mia prima allucinazione è avvenuta tre giorni dopo la morte dei miei genitori. Vedevo il sangue scorrere dalle pareti della mia camera, ma quando lo toccavo per osservarlo meglio sui miei polpastrelli, non c’era nulla. Avevo una paura fottuta, vedevo cose strane, a volte normali ed altre volte no, e per assicurarmi che fossero solo allucinazioni, ci andavo incontro. Non ero tranquillo finché non ero sicuro che quella cosa non potesse farmi del male. Ricordo che iniziarono quando mia nonna mi disse che mi sarei dovuto trasferire da lei, abbandonando casa mia.» sussurrò debolmente, mentre la mia testa creava una scena dove un bambino di dieci anni, spaventato e senza genitori, osservava del sangue scorrere sulle pareti. Io avrei pianto fino alla morte, e sarei impazzita dopo pochi giorni.
«Il Castello quindi ti regala allucinazioni in stile film horror, non è vero? Come hai fatto a sopravvivere, a non impazzire del tutto?»
Louis mi osservò solo per un istante, perché la strada richiedeva nuovamente tutta la sua completa attenzione. Sorrise tristemente, stringendo poi appena le mani sul volante.
«Finché c’è uno scambio equo, sei disposto a sopportare di tutto. E poi chi te lo dice, che non sono matto da legare?»
Mi fece un occhiolino per apparire più spensierato di quanto non fosse. In realtà aveva paura, terrore.
Terrore che scoprissi cosa fosse quello “scambio equo”.
 



Quando entrai per la terza volta all’interno del Castello delle Bugie, mi ero preparata a tutto: al sangue sulle pareti, a mostri ululanti, alla nonna dagli occhi rossi, ai cani con la rabbia. Mi ero preparata a tutto, ma non a quello.
Non al nulla.
Corrugai la fronte, guardandomi intorno indispettita. «Lou, perché è tutto così tranquillo?»
Lui sembrò rimanere leggermente spiazzato dal nomignolo, ma finse di non notarlo e, soprattutto, di non sorridere. Aveva appena trovato un’amica, una persona che conosceva il suo segreto e aveva accettato di affrontarlo e condividerlo con lui.
«Non saprei, a dire la verità. Ammetto che è molto strana questa tranquillità, visto che di solito sono sempre in ottima compagnia.» Louis fece una smorfia che lo rese buffo, e per un attimo mi sembrò di rivedere il bambino con il gelato fra le mani sporche del cioccolato sciolto, che era scorso per tutto il cono a causa del caldo. Non doveva essere così male, in fondo.
«Dài, facciamo un gioco stupido.» esclamai dopo aver osservato il suo viso per un secondo di troppo. Il fatto era che quel ragazzo m'incuriosiva, era così misterioso e poco conosciuto da tutti, e a Tadley era raro o impossibile non conoscere qualcuno. Mi guardai intorno, cercando qualcosa da fare o, meglio precisare, un'allucinazione. Vedere la casa improvvisamente calma mi spaventava ancor di più. Si comportava come un gatto acquattato nell'ombra, prima di gettarsi velocemente sulla preda e tramortirla.
Mi sembrò di vedere una lampadina accendersi sulla mia testa. Un gioco stupido che facevo spesso da bambina mi balzò nella testa come diapositive di un vecchio film.
«Stendiamoci a terra, al centro del salotto, e ci facciamo delle domande per conoscerci meglio.» trillai, senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare che già l'avevo preso per una manica e trascinato al centro del grande soggiorno, facendolo cadere poco delicatamente accanto a me. Mi stesi a pancia in su, proprio come facevo in passato, osservando il soffitto circolare. Louis mi imitò, un po' titubante. Cominciò a tamburellare le dita sottili sul suo ventre piatto, quasi come a domandarsi fra i due chi avrebbe dovuto essere il pazzo.
«Bene» dissi agitandomi appena nella mia posizione «dimmi qual è stata la tua prima cotta.»
Ovviamente, anni fa le domande erano ben diverse. Arrossii leggermente di fronte alla mia sfrontatezza.
«Ehm... Ma questa cosa è proprio necessaria?»
Roteai gli occhi al cielo. «No, ma noi la faremo lo stesso quindi sbrigati. La tua prima cotta?»
«Quarta elementare, Mary Fox. La tua?»
«Terza elementare, Zayn Malik. Fortuna che diventando amici mi è passata. Non riuscirei mai ad amare un tipo che si osserva in ogni superficie riflettente.» risi di me stessa, ricordando tutti i guai combinati assieme al mio migliore amico.
«Bene. A che età il primo bacio?» chiesi allora, mentre osservavo Louis con la coda dell'occhio diventare color porpora.
«Sedici anni, ad una tipa in discoteca.»
L'osservai con occhi strabuzzati e bocca spalancata. «Tu sei andato in discoteca?!» domandai scettica, ottenendo in cambio un'occhiataccia.
«A volte ci sono andato. Prendevo l'auto e arrivavo a Londra, passavo la serata a bere e qualche volta con delle ragazze, beh, sai... Hey, fino a prova contraria anche io sono un ragazzo, e ho le mie esigenze! » aggiunse in tono offeso, probabilmente imbarazzato dalla mia occhiata eloquente. «Sì, certo. Esigenze.» sibilai con voce talmente bassa da risultare inudibile.
Scoppiai a ridere. «Io non ho detto proprio nulla. E chi se lo immaginava, Louis Tomlinson andare in discoteca e divertirsi.»
«Ero solo, Deike. L’unica persona che potevo definire “amico” era il barman, Harry Styles. Alla fine non è che mi divertissi, o ballassi. Semplicemente prendevo qualcosa da bere e osservavo la vita e il divertimento scatenarsi attorno a me. Io non ho mai fatto parte, di quell’idillio.»
Provai a mettermi nei suoi panni, immaginando me stessa in una famosa discoteca londinese, piena di gente di ogni tipo. Immaginai che, invece di ballare, ero fra quelli che restavano seduti nell’angolino perché erano soli, perché gli mancava il coraggio di cambiare quella situazione.
No, non doveva essere divertente.
«Quindi la tua prima volta…» arrossii un po’ anche io, non ero abituata a fare discorsi seri sul sesso con un ragazzo. Louis deglutì rumorosamente.
«Io ero ubriaco, lei anche. Fine della storia.» Mi guardò con la coda dell’occhio, e il mio volto stava probabilmente rappresentando lo shock più puro, perché aggiunse ridacchiando: «No, non è stata l’unica volta. Finché non dovevo comunicare troppo con loro, andava bene. Wow Deike, Mister Strambo conquistava le ragazze. Che cosa strana per un disadattato, vero?» Annuii appena, mentre i miei miti crollavano.
«Sono un emarginato, disadattato, strano, pazzo, bullizzato. Ma solo qui a Tadley, Deike. Fuori da qui sono uno stronzo qualunque.» E pensandoci, capii che aveva ragione. Il suo disagio nella società aveva fine nel momento in cui si circondava di persone sconosciute. Così resistere era un po’ più facile. Teoricamente dovrebbe rallegrarci il pensiero di avere un posto in cui ci sentiamo a casa, accolti, riconosciuti. Per Louis, invece, il vero sollievo era diventare uno qualunque.
Mi morsi il labbro, imbarazzatissima, e riportai il mio sguardo al soffitto. Cercai di concentrarmi e di aguzzare la vista, perché ad un tratto il soffitto non era più color panna e perfetto, ma stava cambiando qualcosa. Vidi un puntino lucente, poi successivamente un altro, e altri ancora, fin quando la parete non diventò blu come la notte. Un cielo stellato, il Castello ci stava facendo vedere un cielo notturno e pieno di bellissime stelle.
Eppure sapevo che quello era solo un trucco, perché ad un tratto sentii la stanza girare come se fossimo stati all’interno di una lavatrice.
Io ero ferma, ma tutto intorno a me girava, comprese le migliaia di stelle sopra di me. Mi sembrava di essere sotto l’effetto di qualche sostanza, e per essere sicura di essere ancora nel mondo reale, respirai forte e presi la mano di Louis. Le orecchie mi fischiavano, sentivo solo il battito accelerato del mio cuore e il mio respiro affaticato. Incantata ancora da quell’allucinazione, intravidi alcuni puntini luminosi che diventavano sempre più grandi, e vicini. Altri si unirono, e in un attimo mi sembrò di trovarmi sotto una pioggia di meteoriti, tutti diretti contro di me. Alcuni esplodevano ed i loro detriti continuavano il loro percorso guidato dalla forza di gravità, mi sembrava di sentirli cadere attorno a me, producendo piccole scosse di terremoto. Continuarono a crescere in dimensioni finché uno di essi, una palla infuocata che emetteva una scia rossa, non divenne tanto grande da occupare tutta la grandezza del soffitto.
A quel punto urlai, alzando solo il busto. Il giramento di testa pian piano scomparve, così come i meteoriti, il cielo notturno, il rumore del fuoco che ardeva tutt’intorno a me. Avevo il respiro affannoso, e per di più stavo quasi stritolando la mano di Louis il quale, preoccupato dalla mia reazione, mi stava osservando il viso.
«Deike va tutto bene, non era vero, guardami.» disse accarezzandomi una guancia con pollice e indice. Come una medicina, sentii i nervi stendersi pian piano e il respiro tornare regolare.
«Sembrava ci fosse davvero una pioggia di meteoriti… Io… Io ho paura della morte, Lou, è una mia fobia. E vederla in faccia non è una delle cose migliori che possa capitarmi.»
Anche se dall’esterno potevo sembrare rude, arrogante e coraggiosa, la mia più grande paura era la morte. O meglio, la consapevolezza di stare per morire, e non poter far nulla per fermare quel processo naturale che da sempre colpisce questo mondo. Non avendo la possibilità di vivere in eterno, mi sarei accontentata di una morte veloce, indolore, soprattutto incosciente. Magari morire nel sonno, quando poche ore prima mi ero ripromessa di andare a fare una passeggiata al mattino, appena sveglia. Trovarmi di fronte ad una pioggia di meteoriti, dove la morte era certa e mi sorrideva, mi aveva spaventata come mai mi era capitato. Mi ero sentita come un dinosauro, solo più intelligente, che osserva l’Inferno sopra di sé capendo che per lui non c’era più scampo. Il Castello aveva sfruttato bene le sue carte e ora avrebbe messo il dito nella piaga, pur di allontanarmi.
Sì, erano solo allucinazioni, ma nel momento in cui le vivevi ti sembravano più reali che mai. E se le allucinazioni che causavano terrore erano così belle seppur terribili, non osavo immaginare cosa avrebbe potuto offrire di così prezioso, introvabile. Un premio per tutte le cose orribili viste.
Scrutai il viso di Louis, il quale sembrava prender coscienza del fatto che lo stavo deliberatamente studiando. Sembrava capire che cercavo il motivo che lo spingeva a vivere lì, lo scambio equo del quale mi parlava.
«Le allucinazioni del Castello, sono sempre terribili? O c’è dell’altro?»
Louis sembrò boccheggiare in difficoltà, voltando lo sguardo impaurito come se temesse di essere letto come un libro aperto. I miei occhi non lo mollavano un attimo, io volevo sapere la verità, meritavo di conoscerla perché desideravo aiutarlo. Ma se lui per primo preferiva il baratro senza fine ad una luce tenue e sicura, non potevo farci più nulla. Louis si alzò di scatto, andando verso il portone come se io non fossi mai stata lì, come se non mi dovesse una risposta. Lo seguii senza dire una parola, perché dovevo capire se era fuggito per non rispondermi o perché non poteva farlo all’interno del Castello delle Bugie, che sembrava avere occhi ed orecchie.
Facemmo una ventina di passi, una volta usciti da casa Tomlinson. Camminammo sulla ghiaia umida a causa della pioggerella di pochi minuti prima, e nessuno dei due proferì parola. Lui si fermò così all’improvviso, che gli sbattei contro. Si voltò di scatto, guardandomi negli occhi e soppesando, nella sua mente, le parole giuste da dirmi.
«Se per tutto questo tempo ho sopportato la tortura psicologica di casa mia, è perché mi dà qualcosa che desidero da tempo.»
«Cioè?»
I suoi occhi furono attraversati da una scintilla, o forse era solo una lacrima tenuta sotto controllo.
«La mia famiglia.»




ciauz gente!
che bello fare l'esame di zoologia. Però parliamo del capitolo dài.
E insomma ecco cosa nasconde Louis. Scambio equo, gggente.
Poi Louis che fuori da Tadley fa il idontgiveashit boy.
Era scontato farlo scemo e disadattato, ci volevo mettere la
doppia personalità, se così si può dire. 
Boh, credo vi lascerò con questa bella gif.
kizz, @ecdisopixie (ho cambiato nome anche su twitter, sono irrecuperabile)

   
 
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