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Autore: Marty_199    22/01/2016    2 recensioni
L’amore..dicono sia il sentimento più bello e più sincero che una persona può provare. Ma due ragazzi rimasti soli, senza mai aver avuto una vera dimostrazione d'amore dalle famiglie possono crederci? Riescono a provarlo senza averne paura?.
Eulalia è una ragazza di diciotto anni cresciuta in orfanotrofio, nella vita ha dovuto superare difficoltà che l’hanno portata a chiudere i suoi sentimenti e ad avere paura di provare amore verso qualcuno, perché la sua vita gira intorno alla convinzione che prima o poi tutti se ne vanno.
Duncan è un ragazzo di vent’anni, molto attraente e all'apparenza superficiale. Nessuno sa del suo passato tormentato che torna ogni giorno nel suo presente. La sua vita naviga nella rabbia, mentre vive nella proiezione di una felicità che non sente davvero sua, cercata tra le cose più banali: nelle donne, nella rissa e molte volte nell'alcool.
Ma può davvero l'amore non comparire mai nella vita di una persona? Tra vari incontri e amicizie i due ragazzi all'apparenza diversi si ritroveranno a provare l'uno per l'altra il sentimento tanto temuto, potrebbe essere l'inizio di qualcosa per entrambi..che li porterà su vie del tutto inaspettate.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                              PESANTI RESPONSABILITA' CHE TORNANO

Kevin aveva passato l’intera vigilia di natale a casa della nonna e ormai era pronto a tornare da quel rompipalle del suo coinquilino, presto avrebbe ripreso la scuola.
<< Hai preso i soldi che ti ho dato?>> Kevin sbuffò col sorriso, annuendo.
<< Sì, ora devo proprio andare, ci si rivede presto>> il ragazzo sorrise e la donna lo stesso, Kevin aveva sempre voluto particolarmente bene alla nonna, ma non se l’era sentita di scaricare su di lei il peso della sua presenza in casa, d’altronde lui voleva essere autonomo.
Non appena fu fuori casa sospirò affondo, il natale era una buona occasione per riunire tutta la sua famiglia, nonostante facesse ancora fatica a sopportare i propri genitori.
Kevin aspettò l’arrivo della metro per cinque minuti, sbuffando contrariato a ogni minuto che passava.

Si sentì spingere in avanti da qualcuno, era già pronto a girarsi e urlare contro chiunque fosse, quando vide una semplice ragazzetta bassetta e mora.
Gli occhi scuri e grandi, da bambina, proprio come la frangetta scompigliata sulla fronte.
<< Scusa sono inciampata>> Kevin sorrise appena, osservando come in modo impacciato la ragazza tentasse di sistemarsi la frangetta.
<< No, tutto apposto.>>
<< Sembravi pronto a sbraitarmi contro e volevo evitare.>>
Kevin ridacchiò, sotto lo sguardo curioso e divertito della ragazza.
<< No, nono.>>

Lei sorrise e annuì per un motivo non apparente, i capelli biondo platino di Kevin si mossero per il vento creato dall’arrivo della metro.
Cosa avrebbe fatto Duncan? Quella ragazzetta per un qualche motivo lo interessava. Così appena le porte scorrevoli del vagone si aprirono fece in modo di entrare e finire accanto alla ragazzetta sconosciuta.
<< Davvero avevo la faccia di uno che stava per sbraitare?>>
“Idiota, potevi inventare qualcosa di meglio!”
Si rimproverò Kevin da solo, riscuotendosi dubito, nel vedere gli occhi color cioccolato della ragazza posarsi su di lui, sembravano sorridere.
<< Sì, ma si vedeva anche che non lo avresti fatto davvero.>>
<< Cioè?>> chiese confuso lui, aggrottando le sopracciglia bionde.
<< Mi sembri il classico tipo che se ne sarebbe uscito con un “Diamine sta attento!”>>
<< E come lo sai? Avrei potuto urlare di brutto.>>
Lei rise, un suono allegro, che rimbombò per il vagone.
<< Sembri troppo calmo.>>
<< I più calmi possono essere i pazzi più pericolosi, se ne escono improvvisamente con un raptus di follia.>>
<< Io recepisco che sei una persona calma, calma e folle.>>

Questa volta fu Kevin a ridere, quella ragazza gli piaceva, da quel poco che lo conosceva.
<< Piacere Kevin, detto anche il calmo folle>> lui allungò la mano verso di lei, che fece per stringergliela.
<< Piacere Anne, detta anche folle allegra.>>
<< Abbiamo già qualcosa in comune vedi, il nostro incontro non è casuale.>>
Kevin riuscì a farla ridere di nuovo, era strano per lui voler conoscere così d’improvviso una ragazza, l’ultima con cui era successo era Eulalia. Gli risultava particolare e per un qualche motivo, forse pure per semplice noia, aveva cominciato a parlarci.
Kevin ridacchiò nel pensare a come Duncan la guardava, il suo coinquilino poteva pure fingere di essere indifferente, ma si vedeva che era interessato a lei, Kevin lo aveva capito da subito. Solo una cosa aspettava, che Duncan se ne accorgesse a tal punto da venirglielo a dire personalmente.
<< Cosa abbiamo in comune?>>
Kevin tornò al presente, strappato ai suoi pensieri dalla voce dolce della ragazza, di Anne.
<< La follia, due persone folli si capiscono al volo, infatti eccoci qui che parliamo.>>
<< Ancora per poco, io scendo alla prossima fermata.>>
Kevin osservò le fermate, si rammaricò nel pensare che presto quella piccola chiacchierata sarebbe finita.
Proprio mentre la metro si fermava, Kevin fece un respiro profondo e con tutto il fiato tirò fuori la frase che gli premeva in gola, sperando di non passare per un maniaco o per uno stalker.
<< Anne non è facile trovare persone folli, se scendi dovrò ritrovarti, con chi condividerò la mia follia?>> la voce allegra e spensierata che usò non lo avrebbero mai potuto far passare per un ragazzo con cattive intensioni, tutto di Kevin non lasciava trasparire niente di quello.
<< E’ per caso un tentativo di dirmi che dobbiamo rivederci?>>
Nel vedere le porte della metro aprirsi, Kevin si affrettò a rispondere.
<< Sì.>>

Lei sorrise, avvicinandosi alle porte scorrevoli.
<< Non ti darò il mio numero, ma un appuntamento>> gli urlò il luogo, il giorno e l’ora nel quale si sarebbero dovuti vedere, poi le porte si chiusero, chiudendola fuori dal vagone.
Kevin nonostante non fosse riuscito ad avere il numero sorrise, era riuscito a ricavare un appuntamento, era solo da vedere se lei si sarebbe presentata.

 

 

Eulalia sedeva sul divano di Duncan e guardava un programma decisamente poco interessante, un documentario su un qualche animale presente in africa.
Aveva acceso la tv nella speranza di riuscire a non pensare, ma era decisamente inutile, la sua mente tornava al momento nel quale si era lasciata andare, al solo pensarci arrossiva.
Come aveva fatto a farsi togliere i vestiti in modo così repentino? Solo il giorno prima l’idea la spaventava, ma in quel momento, dopo aver realizzato che Duncan aveva resistito quando avrebbe potuto approfittarne, qualcosa in lei si era allentato.
E tutto aveva provato, tante emozioni insieme che non riusciva a spiegarsi, ma nessuna comprendeva paura, solo insicurezza, ma d’altronde, era il primo ragazzo che la vedeva così, mezza nuda, non riusciva a crederci.
Davvero sarebbe stato Duncan il ragazzo col quale avrebbe fatto un tale passo? Duncan era il suo ragazzo?.
Una parte della mente le diceva che sì, in tali circostanze Duncan non poteva che essere il suo ragazzo, ma l’altra parte della sua mente le urlava e ricordava che nessuno dei due aveva chiarito esplicitamente quel punto.
“Sono anche io che lo freno”

Ammise lei dentro di sé, tornando a sbuffare per l’ennesima volta.
La porta della camera di Duncan che si apriva la distrasse dai suoi pensieri. Le apparve vicino un Duncan assonnato, con i capelli bicolore scompigliati quasi ad arte e il fisico statuario del busto, lasciato come sempre allo scoperto.
Eulalia sorrise, chiedendosi se Duncan intraprendesse per un qualche motivo ciò che era quasi successo il giorno prima, l’arrivo del suo ciclo in quel preciso istante sembrava essere uno scherzo, in parte quasi una cosa utile.
Li aveva fermati in un qualcosa che avrebbe solo portato confusione.
<< Ciao>> esordì lei, ricevendo come risposta uno sbadiglio seguito da un grugnito basso.
<< Oggi devo lavorare.>>

La frase alleggiò tra loro, quasi sembrava una sostituzione al vero argomento che entrambi avrebbero voluto intraprendere.
<< Io vado da Catarina>> visto lo sguardo infastidito e il borbottio basso di lui, lei si sbrigò ad aggiungere: << Devo o la farò impazzire, e poi non è così male, sei tu che l’hai vista in un momento particolare, non che il tuo intervento sia stato d’aiuto poi.>>
Un ennesimo brontolio basso le arrivò come risposta. Eulalia fece un respiro profondo, pronta a dirgli ciò che voleva.
<< Duncan a che ora finisci di lavorare?>>
<< Suppongo per le sei.>>
<< Dopo vorrei parlarti, non prenderla male, molta gente va in paranoia per questa frase.>>
Duncan posò gli occhi neri e penetranti su di lei, annuendo con un leggero sorrisetto e con nessun segno di preoccupazione.
<< Va bene, ma ora devo andare.>>
Appena entrambi ebbero finito di prepararsi uscirono di casa e percorsero un pezzo di strada insieme. Sembravano davvero una coppia.
<< Okay, io vado a destra tu a sinistra.>>
Eulalia puntò gli occhi azzurri nei suoi, non sapendo bene cosa fare per salutarlo. Ma a levarle i dubbi ci pensò lui, che circondandole la vita col braccio, le lascò sulle labbra un semplice e morbido bacio, per poi lasciarla e sorridere, il classico sorriso alla Duncan e lei lo osservò mentre si allontanava correndo.
Non appena Eulalia fu arrivata davanti l’orfanotrofio entrò, puntando dritta all’ufficio di Catarina. Non fece in tempo ad entrare che se la ritrovò di fronte, la sua cara “nonna” la strinse in un abbraccio che le levò il respiro.
<< Eulalia! Ma dose sei finita? Perché non sei tornata?!>>
Eulalia si maledì mentalmente, prima o poi avrebbe fatto prendere un infarto a quella povera donna.
<< Ero a casa di Duncan, sto bene Catarina non c’è bisogno di allarmarsi.>>
<< Che hai fatto a casa sua?! Quel ragazzo non mi piace! Sembra un teppista.>>
Eulalia sospirò, l’iper proiettività di Catarina le era sempre piaciuta, ma tal volta sembrava soffocarla, non gli avrebbe mai rivelato delle sera prima, non c’era motivo di farla uscire fuori dai ghingheri più di quanto non lo fosse già.
<< Niente siamo stati a casa insieme è... b’è è una mezza storia Catarina, io e lui stiamo insieme, non c’è bisogno che fai queste scenate>> il tono di Eulalia era dolce mentre parlava.
<< D’altronde prima o poi anche io dovevo incontrare un ragazzo per il quale perdere la testa no?>>
<< E’ che quel ragazzo non mi piace>> la ragazza riconobbe subito quel tono, il classico da nonna angosciata per la propria nipote, le rughe sul viso della donna si contrassero leggermente, creandone altre di più piccole sulla fronte.
<< A te non piace in generale che io abbia un ragazzo.>>
<< Non è vero Eulalia! Solo che lui non mi sembra una buona amicizia>> visto lo sguardo eloquente e di rimprovero che gli scagliò Eulalia alla parola amicizia, la suora fece per correggersi.
<< E va bene per quel che è non mi sembra adeguato.>> 
<< Catarina ti prego non farmi i discorsi sulla scelta delle persone da frequentare o su chi possa essere una buona compagnia o meno, prova a farti piacere un poco Duncan, fallo per me, potrebbe essere la prima volta che un ragazzo riesce davvero a farmi tremare.>> Nonostante il loro legame profondo, Eulalia era sempre stata molto riservata su certi argomenti, poteva dare la colpa solo al suo carattere, ma questa volta avrebbe reso Catarina più partecipe nella sua vicenda, perché per lei che aveva sempre avuto una vita monotona e solitaria, avere una relazione incasinata con un bellissimo ragazzo era quasi paragonabile ad un'avventura.
“L’importante è che stai attenta a non farti male.”

Le sussurrò una parte del suo inconscio, la parte razionale e attenta di se stessa.

 

 

Duncan si trovava nell’officina in cui lavorava, era intento nel sistemare una moto, con sulle mani enormi guanti grigi e spessi, macchiati di nero e unti di qualcosa di cui non voleva approfondire l’appartenenza.
Una semplice canotta bianca e i pantaloni da lavoro, e via, non gli serviva l’intera tuta, quando lavorava sudava il doppio e di conseguenza sentiva doppiamente caldo.
Mentre era intento nel prendere una chiave inglese, alzò gli occhi neri sull’entrata, ritrovando una ragazza bassa dalla folta chioma rossa che gli sorrideva, ci volle meno di un secondo per riconoscerla.
<< Ohè ciao>> Duncan sorrise appena, leggermente sorpreso della visita ma per nulla dispiaciuto.

Cominciò a smontare la gomma della moto, consapevole degli occhi azzurri di lei che lo fissavano.
<< Ti da fastidio se resto un po’ qui?>>
<< No>> rispose lui senza guardarla, prendendo la ruota smontata con un braccio e posandola di lato, per poi prendere quella nuova e montarla nuovamente, nel lasso di tempo nel quale lavorava nessuno dei due disse niente, lei per non rischiare di disturbarlo, lui per aspettare una qualche parola da lei.
<< Deve essere faticoso>> esordì lei improvvisamente.
<< Neanche tanto, oh ciao bello>> Duncan si avvicinò al ragazzone che era appena entrato nell’officina, il proprietario della moto, che guardandola come fosse il suo unico vero amore sorrise soddisfatto.
<< Grazie bello sei un fenomeno>> Duncan ghignò appena ringraziando e ridandogli le chiavi della moto ormai pronta a tornare sulla strada.
Dopo che il ragazzo fu andato via, Duncan fece per stiracchiarsi e stendere i muscoli tesi, notando di sottecchi lo sguardo che Eulalia gli lanciava da sotto le sopracciglia.
Duncan non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma adorava riuscire a farla sempre incantare, era sempre stato sicuro con le donne e con lei di certo non cambiava.
Proprio nel momento in cui stava per sedersi accanto a lei, una donna entrò nell’officina, Duncan la riconobbe subito.
<< Ciao Duncan!>> quella donna riusciva sempre a mettersi in mostra, nonostante non fosse più una ragazzetta, la gonna stretta valorizzava i fianchi e le gambe, mentre la camicetta metteva in risalto il resto, il tutto però non risultava volgare mentre i capelli biondi erano legati in un basso chignon.
<< Ciao Mary, se aspetti un po’ ti ridanno tra poco la macchina>> Duncan indicò la macchina della donna e il ragazzo che vi ci stava lavorando.
<< Oh, non vorrei essere indiscreta, ma non potresti pensarci tu? Sei un meccanico esperto ormai.>>
Duncan fece spallucce, avviandosi verso la macchina appartenente alla donna e facendo spostare il ragazzo biondo su un altro lavoro, per poi mettersi lui stesso a riparare la macchina. Poteva anche sembrare una richiesta semplice, eppure Duncan sperava ci volesse davvero poco, per lavarsi di torno quel lavoro e quella donna.
Mentre Duncan davanti la macchina col cofano aperto ispezionava a fondo il motore, leggermente chinato in avanti, la signora dietro non faceva altro che guardarlo con una nota di piacere e interesse, Duncan ne era consapevole, non era di certo la prima volta, come non era la prima volta che ogni volta che quel motore si guastava, lei tornava puntualmente nella stessa officina.
<< Quanti anni hai Duncan?>> il ragazzo girò appena il capo verso la donna, che si era silenziosamente avvicinata a lui.
<< Ventuno.>>
<< Sei un bel giovane è, già, aimè che darei per sentirmi ancora una volta giovane.>> Duncan la guardo con sufficienza, trovando quella frase inutile, una donna sui trent’anni perfettamente in forma aveva bisogno di sentirsi ancora giovane?.
<< Ma davvero?>> chiese semplicemente lui, tornando a lavorare.
<< E’ già, senti, passiamo ai fatti che dici?>>
Duncan per poco non diede una craniata al cofano alzato, allungò lo sguardo verso Eulalia, che li fissava seria, sembrava infastidita, ma anche un qualcosa che Duncan non riusciva a leggere bene dalla sua espressione.
<< Fatti? Quali fatti? Io devo solo ripararti la macchina.>>
<< Andiamo tesoro>> la donna, Mary, gli si spiaccicò addosso, premendogli contro la schiena il suo petto. Duncan ignorò il tutto, concentrandosi sul lavoro.
<< Ho due airbag che vorrei farti vedere>> sussurrò lei provocante al suo orecchio, Duncan non riuscì a reprimere un sorrisino, fosse stato un altro momento, avrebbe accettato la velata proposta sconcia della signora.
Eppure ora nella mente solo un nome rimbombava e riusciva a tenerlo lontano da quella tentazione.
“Eulalia.”
Bastava quello per far si che quella stupida tentazione passasse, anzi, in quel momento non gli era nemmeno passata per la mente.
<< Non credo che siano dello stesso tipo su cui lavoro.>>
<< Duncan mi sale l’istinto omicida>> la voce di Eulalia gli giunse piena di fastidio e tesa, quasi temesse ciò che stava accadendo.
<< Stai buona>> rispose semplicemente lui, facendo si di sbrigarsi a finire il lavoro, con accanto la continua presenza della donna, che per la prima volta lo infastidiva davvero.
<< Fatto Mary.>>
<< Oh ma grazie!>> Mary si avvicinò a lui sorridente, tirò fuori i soldi che era solita dargli, e con una mano gli allargò i pantaloni davanti per poi metterci i soldi, nello stesso identico modo che avrebbe potuto usare per dare i sodi a uno spogliarellista.
Duncan sorrise noncurante di tutto, mentre Mary usciva dall’officina con la sua macchina.
<< Ma che gli faccio alle donne>> sarebbe potuta sembrare una domanda, ma in realtà era una fiera e ferma affermazione.
<< Me lo chiedo anche io.>>
Duncan alzò appena un sopracciglio nero, guardandola con un leggero broncio.
<< Ohè che vorresti dire?>>

Lei scosse la testa.
<< Niente.>>
Duncan gli lanciò uno sguardo infastidito e risentito, che fu colto dalla ragazza.
<< Che è quella faccia?>>
<< Sono un figo della madonna! Le strego tutte con questo>> Duncan si indicò coi pollici tutto il corpo, col sorrisetto provocante sulle labbra.

<< Ecco cosa gli faccio>> Duncan prese un panno poggiato li vicino per pulirsi alla meglio peggio le mani.
<< Insomma sei modesto>> nonostante la voce di Eulalia fosse leggermente sfumata di ironia, sembrava anche essere nervosa, eppure Duncan non ne vedeva il motivo, stavano solo parlando.
Il ragazzo gli si posizionò davanti guardandola negli occhi, si alzò appena la canottiera bianca per passarsi distrattamente la mano sugli addominali, risultato di anni e anni di allenamento.
<< Vorresti dire che non è vero?>>
<< Non ho detto questo.>>
<< Ecco>> Duncan fletté le ginocchia e poggiò le braccia sulle gambe di Eulalia, la vide finalmente sorridere.
<< Sempre con quel sorrisetto stai.>>
<< Ovvio, è compreso nel pacchetto>> Duncan si indicò nuovamente. Eulalia rise appena, un suono dolce, che ormai Duncan sapeva di amare.
<< Senti, ti andrebbe di parlare con Catarina?>>
Duncan mutò la sua espressione, da sorridente a serio in pochi secondi, si alzò tornando a rovistare tra gli attrezzi da lavoro.
<< Non è che muoio dalla voglia di parlarci, non mi piacciono le suore e mi pare molto ovvio ciò che pensa di me.>>
<< Io ci sono cresciuta con le suore e si, Catarina tende a essere iperprotettiva, ma lo fa solo per me.>>
Duncan sospirò appena, finendo di rovistare tra gli attrezzi in cerca di qualcosa, sapeva che doveva parlarci, ma sperava di riuscire a rimandare il momento. Per prima cosa voleva parlare con Eulalia, ciò che era successo la sera prima, ma per lui era normale, aspettava solo che Eulalia intraprendesse il discorso.
<< Allora ci parlerai?>>
<< Oddio ma davvero?>> Duncan buttò la testa all’indietro la testa frustrato.

<< E va bene cazzo! Tanto si sa che brucerò all’inferno, che mi costa.>>
Eulalia sorrise nuovamente, in modo più dolce questa volta.
<< Puoi ancora salvarti dall’inferno.>>
<< Io non credo>> sussurrò appena lui con amarezza, per poi smettere finalmente di rovistare a caso tra gli attrezzi, per allontanarsi e chiudersi nella stanzetta dell’officina nella quale poteva cambiarsi.
<< Dove si va?>> Chiese Eulalia appena lo vide uscire.
<< Dove vuoi andare? A casa ovviamente>> a tutti e due sfuggi quel plurale, un qualcosa per il quale si sarebbero dovuti allarmare, ma che ormai suonava quasi involontario e scontato, cosa che se possibile, avrebbe dovuto allarmarli ancor di più.
<< Ah okay, a me non va molto, vado un po’ in giro poi ti raggiungo.>>
<< Non scherziamo dai>> Duncan la prese per il polso, camminando verso l’uscita.
<< Infatti chi scherzava.>>
<< Ma io sono stanco.>>
<< Allora vai a casa, io mi vado a fare un giro.>>
<< No, andiamo a casa>> Duncan le mise la mani sui fianchi, facendoli ondeggiare lentamente a destra e sinistra, non si accorse nuovamente del plurale usato.
<< Va bene>> Eulalia sorrise, tradendo da sola l’espressione finta scocciata e fece per prendergli la mano, che Duncan strinse appena. Non appena furono fuori il freddo li colpì, quel pomeriggio era particolarmente freddo e al ragazzo non sfuggì il leggero tremolio di Eulalia.
<< Che hai freddo?>>
<< Sì abbastanza.>>

Duncan si sfilò il giacchetto che indossava, era ben coperto anche sotto e in ogni caso non l’avrebbe mai fatta morire di freddo. Glielo passò poggiandoglielo sulle spalle, ricevendo in compenso un leggero sorriso.
<< Grazie.>>
<< Niente>> Eulalia puntò lo sguardo davanti a sé, Duncan imparava sempre di più a riconoscere le sue espressioni e ora ne vedeva la preoccupazione e se non sbagliava, anche una leggera agitazione.
<< Duncan>> lui si girò verso di lei, guardandola con i suoi profondi occhi neri.
<< Hai per caso sentito se da queste parti c’è una nuova famiglia che fa di cognome Di Carli?>>
Duncan ci pensò su, ricordava un certo cognome per un qualche motivo, ma non gli diceva niente in particolare.
<< Mi dice qualcosa, ma nessuno che conosco, perché?>>

Lei fece spallucce, guardando sempre avanti a sé.
<< No così, è una famiglia che tempo fa mi aveva preso con sé.>>
Duncan osservandola con la coda dell’occhio la vide portarsi distrattamente la mano sul braccio, sull’identico punto nel quale lui aveva visto la cicatrice.
Non le chiese nulla, riusciva già a capire dai gesti e dalla sua espressione che era un argomento delicato, ed era già giunto alle sue conclusioni, quella famiglia doveva averla segnata in un qualche modo, e Duncan era quasi certo ora, a causa del gesto involontario di Eulalia, che quella cicatrice ne fosse il segno.
Duncan fece scivolare lentamente il braccio intorno alle spalle di lei, avvicinandosela e sorprendendosi ancora una volta del bisogno che aveva del sentirla vicino.
<< Volevo anche parlare, dell’altra sera insomma...>>

Duncan percepì chiaramente lo stress nella sua voce e in quel momento non aveva la minima intenzione di intraprendere un discorso complicato. Alzando lo sguardo vide attaccato a un lampione un rametto di vischio, le decorazioni natalizie decoravano ancora la città e quel rametto ne era la prova, senza dirle niente la trascinò sotto e le interruppe il flusso di parole che non stava per niente ascoltando, baciandola con passione, la stessa che ormai guidava ogni loro bacio.
Sul momento lei parve sorpresa, ma si lasciò andare facilmente, Duncan le strinse la vita, mentre le loro lingue si intrecciavano quasi come fosse una perfetta danza.
Duncan poteva percepire lo sguardo di alcuni passanti, ma non gliene fregava molto.
Lei si staccò appena dal bacio e con le labbra a un soffio da quelle di lui, sorrise alzando anche lei gli occhi e notando il vischio sopra di loro.
<< La tua leggera barbetta mi fa il solletico sai.>>

Duncan rise appena, alzando gli occhi, dietro di loro vide un signore poco lontano che li guardava, riconobbe il volto e per poco non restò impietrito sul momento. Tornò con gli occhi su di lei e mentre riprendeva possesso delle sue labbra, alzò la mano mostrando il dito medio a colui che li fissava.

Dopo poche ore era di nuovo fuori casa, aveva lasciato Eulalia addormentata sul divano con la tv accesa ed era uscito.

Aveva stampato nella mente il viso di quell’uomo, era chiaro che avrebbe dovuto vederlo, non c’era da chiederlo, lui era sicuramente lì dove lo aveva lasciato. Non appena arrivò sotto lo stesso lampione in cui poco prima aveva baciato Eulalia, scorse lo stesso uomo dai capelli grigi e con lo stesso cappotto nero, seduto ai tavolini fuori di un bar vicino.
Duncan si avvicinò, col passo sicuro e con l’espressione di ghiaccio.
<< Alan, cosa ci fai qui?>> chiese non appena gli fu di fronte, l’uomo sorrise, estendendo le rughe presenti sul viso, mentre gli occhi marroni e furbi lo scrutavano da dietro le lenti degli occhiali neri.
<< Come va Duncan? Ti sei fatto la ragazza è?>> chiese l’uomo svogliatamente, beccandosi un’occhiataccia al cianuro da parte del ragazzo.
<< Salta i convenevoli Alan e dimmi cosa cazzo ci fai qui?>> sputò Duncan con voce roca e tenebrosa, proprio come la sua espressione.
<< E’ il momento di parlare ragazzo mio e di prendere le tue responsabilità.>>
Stringendo la mascella e indurendo lo sguardo, Duncan spostò la sedia di fronte a sé, sedendosi, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quel momento, affrontarlo per davvero e forse quel maledetto momento era arrivato.
“Il momento di prendere le mie pesanti responsabilità, il peso della mia famiglia e dei suoi sbagli.”

   
 
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