Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    24/01/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~ “Ti ho vista molto... Intima, con Orsini.” disse piano Girolamo, mentre prendeva in braccio il piccolo Galeazzo Maria.
 Caterina preferì non dire nulla. Non era la prima volta che suo marito ritornava con la mente alla cena con il Duca di Calabria e ogni volta le insinuazioni che faceva erano dello stesso tenore.
 Ormai erano in Dicembre. Dalla cena erano passati mesi, eppure quell'evento non la smetteva di tormentare la mente ferita di Girolamo.
 Prima l'acqua e poi la neve cadute dal cielo aveva spazzato via del tutto la peste da Forlì e dalle su campagne e l'accortezza di Caterina Sforza nell'aver accumulato abbastanza grano e altri beni di prima necessità venne ripagata con un'inaspettato momento di favore nei confronti dei Conti.
 Potendosi permettere di non alzare troppo i prezzi e dimostrando ai Forlivesi che le scorte alimentari non erano scarse come si era temuto, gli ultimmi mesi del 1486 stavano trascorrendo abbastanza tranquilli. Almeno fuori dalle porte del palazzo dei Riario.
 Potendo distogliere l'attenzione dalla paura di un imminente attentato, Girolamo si era concentrato di più sui comportamenti della moglie e sulle ombre che solo lui vedeva. La sua gelosia era semplicemente ridicola e infastidiva Caterina in modo indicibile, però aveva capito che era meglio non provare a contraddirlo o a farlo sentire sciocco, perchè in entrambi i casi quell'uomo reagiva in modo violento ed eccessivo.
 “Di cosa dovevate parlare?” chiese Girolamo, attirando anche lo sguardo perplesso delle balie.
 Caterina aveva cominciato a volerle sempre presenti ogni volta che restava in una stanza assieme al marito. Temeva che nemmeno la presenza dei figli sarebbe bastata per placarlo, nel caso di un eccesso d'ira. Almeno davanti a quelle donne, che lui conosceva molto poco e di cui aveva una strana soggezione, avrebbe evitato certi comportamenti.
 “Di niente.” rispose lentamente Caterina, mentre davanti a lei Ottaviano, ormai grandicello e Cesare fingevano di duellare con delle spade di legno.
 “Parlavate male di me.” fece Girolamo, come se sapesse per certo che era stato quello l'argomento della discussione.
 Caterina scosse il capo, mentre correggeva con qualche gesto la postura di Cesare, che mimava un affondo centrale con un'espressione serissima e concentratissima. Sarebbe stato buffo e forse Caterina ne avrebbe riso con affetto, se solo non fosse stata tanto infastidita dal marito.
 “Andatevene.” disse a un certo punto Girolamo, parlando alle balie.
 Queste si guardarono un momento, indecise se eseguire o meno l'ordine. Erano alle dipendenza dirette del Conte o della Contessa? Nessuna di loro l'aveva mai capito davvero...
 “Lasciateci soli. Portate con voi i bambini.” fece Girolamo, lasciando il piccolo Galeazzo Maria tra le braccia di una delle serve: “Io e mia moglie dobbiamo discutere in privato.”
 Caterina aprì la bocca, per dare il contrordine, ma la voce di Girolamo bloccò ogni suo tentativo: “Vi ho detto di uscire!”
 Una delle balie quasi scoppiò in lacrime, spaventata dal tono perentorio dell'uomo, mentre un'altra reagì con un certo ardire: “Noi rispondiamo alla Contessa!”
 La mano di Girolamo guizzò nell'aria e colpì la balia in pieno volto, facendola cadere in terra.
 Questa, tenendosi la guancia, si alzò subito, fissandolo negli occhi con rabbia: “Come osate...!”
 “Andatevene da questa stanza, se non volete perdere il lavoro!” la redarguì Girolamo: “O la vita...!” minacciò, toccandosi la cintura a cui stava appeso un piccolo pugnale.
 Sempre guardandolo con rancore, la balia prese per mano Cesare e Ottaviano, che osservavano atterriti il padre. Poi fece segno alle altre balie di seguirla e in men che non si dica nella stanza rimasero solo i Conti Riario.
 “Ma che stai facendo?!” disse Caterina, che non aveva avuto la prontezza di intervenire prima.
 Girolamo non le rispose, limitandosi a bloccarla prima che lei potesse uscire.
 L'incubo si stava ripetendo una volta di più e Caterina non aveva le forze per opporsi di nuovo a quell'uomo che la ossessionava.
 Girolamo non si accorse nemmeno che la moglie aveva rinunciato a ogni forma di difesa, acciecato com'era dal fuoco che sentiva bruciare dentro di sé e così, incurante del disprezzo che vedeva negli occhi di Caterina e già dimentico delle percosse inferte alla serva, quella notte ritornò a reclamare la compagnia della donna che il destino aveva messo sulla sua strada quasi qindici anni addietro.

 “Pensateci attentamente, mio signore...” disse Matteo Manghi, allargando le mani sul tavolone: “Non potete rifiutare l'invito...” soggiunse, con un mezzo sorriso: “Ormai mancano pochi giorni e dobbiamo decidere il da farsi...”
 Girolamo deglutì. Aveva ignorato quella questione troppo a lungo, forse... Annibale Bentivoglio stava per sposare la figlia di Ercole d'Este, a Bologna e tutti i principi e i signori d'Italia erano stati invitati e da tutti loro ci si aspettava uno sfoggio notevole di sfarzo e ricchezza. Sfoggio che i Riario non potevano permettersi, nel modo più assoluto...
 Che poi, si era detto, che idea balzana sposarsi d'inverno, in Gennaio, con le nevicate di quel tempo! Perchè non avevano aspettato la primavera? Sarebbe stato tutto più semplice e un eventuale viaggio per partecipare sarebbe stato più rapido e agevole... E meno dispendioso.
 “Ma se dovessimo accettare... Come rientreremo dalle spese?” domandò Girolamo, con cautela.
 “Alzeremo le tasse. Una glabella in più o una in meno non verrà notata molto...” disse Zaccheo, con una scrollata di spalle.
 “Chiedete a mia moglie.” concluse Girolamo, arrendendosi.
 Caterina, che aveva ascoltato il tutto dal suo angolo, si schiarì la voce: “Saremmo in grado di ricomprare o almeno affittare i miei gioielli? Immagino di no, vero?”
 Girolamo non osò guardarla. Etrambi conoscevano la risposta, Caterina più ancora del marito, visto che ormai i conti della città li controllava solo lei. Eppure aveva voluto fare quella domanda per sondare il terreno.
 Le sue aspettative non vennero deluse, infatti quasi all'istante Menghi si affrettò a dire: “Certo, mia signora... Ci basterà aumentare il prezzo del macinato!”
 “Non faremo nulla di tutto ciò.” concluse la Contessa, alzandosi dal suo scranno: “Mandate una rappresentanza a Bologna. Ci scuseremo della nostra assenza e manderemo agli sposi dei doni appropriati, ma dal prezzo contenuto.”
 Girolamo annuì, mentre Menghi e Zaccheo la fissavano con malcelato disappunto.
 “Grazie per il parere...” cominciò a dire Girolamo, ma prima che potesse finire la frase, Caterina se n'era già andata.
 Aveva deciso di non parlargli più, almeno quando poteva evitarlo. Se non aveva la forza di sfuggirgli di notte, avrebbe almeno evitato di averci troppo a che fare di giorno.
 Le era costato parecchio, dover rinunciare alle nozze di Bologna. Non gliene importava nulla degli Este e di Bentivoglio. Sarebbe solo stato bello potersene andare per un po', vedere gente diversa dal solito e poter visitare un'altra città.
 Quando si trovò sola, andò nello studiolo del marito e prese carta e inchiostro. Voleva scrivere di nuovo a suo zio Ludovico, chiedendogli una volta per tutte di accettarla a Milano, anche solo per qualche tempo.
 Da qualche giorno non si sentiva troppo bene, era debole e aveva spesso la nausea e si era convinta che quel malessere fosse legato alla presenza del marito. Si rifiutava di credere che il motivo di quella spossatezza potesse essere un altro.

 Roma luccicava nel gelido sole di quel febbraio. Un'aria di festa riempiva le strade, perchè quel matrimonio significava l'avvicinarsi della pace.
 Lo sposo era irrequieto e accigliato, davanti all'altare. Indossava abiti sfarzosissimi e i gioielli con cui l'avevano addobbato sarebbero stati degni di un re.
 Francesco Cybo, figlio di Innocenzo VIII, detto Franceschetto, aveva circa trentasette anni, era molto basso e di certo non bello. La sua postura era scomposta, persino mentre attendeva l'arrivo della sposa e i suoi occhi erano cerchiati da pesanti occhiaie, che raccontavano storie di notti insonni passate nei quartieri più malfamati della città a bere e intrattenersi con compagnie poco raccomandabili.
 Nel modo in cui inclinava le labbra si poteva ancora intuire quanto poco fosse contento di quelle nozze. A poco era servito spiegargli che i Medici, quando lo avevano ospitato in Firenze, gli avevano riservato il trattamento che spettava a un familiare. Lui avrebbe preferito assagiare lo sfarzo e gli ozi di cui godevano gli ospiti illustri. La vita sotto sotto semplice e casalinga dei Medici non gli era piaciuta affatto.
 Lorenzo Medici, poi, non gli era piaciuto nemmeno un po'. Aveva uno sguardo rapace che si posava su di lui con incredulità ogni volta che si incrociavano. La delusione del signore di Firenze nel conoscere il futuro genero era tanto palpabile che tutti quanti se n'erano di certo accorti. Essere tanto mal sopportato aveva contribuito all'odio che Franceschetto aveva cominciato fin da subito a nutrire per la futura moglie e per i Medici in generale.
 Maddalena Medici entrò nella chiesa accolta dai bisbigli curiosi e dagli sguardi ammirati di tutti i presenti. Era meravigliosa, nel suo abito costosissimo e impreziosito da pietre di ogni tipo.
 I suoi quattordici anni si contavano negli occhi grandi e impressionati dalla maestosità del luogo, nella pelle sottile e fresca del volto e nelle mani, strette al petto, a mo' di preghiera, che tremavano appena.
 Quando arrivò accanto al suo sposo, mentre tutti pensavano che quell'unione avrebbe portato con sé una tregua delle guerra in centro Italia e un periodo di serenità, Maddalena pensava solamente che avrebbe voluto scappare da quell'uomo rozzo e orrendo, più basso di lei, che non aveva fatto altro che prenderla in giro per tutto il tempo che aveva trascorso a Firenze.
 Franceschetto Cybo, invece, altro non pensava se non che quella cerimonia sarebbe stata troppo lunga e che sarebbe arrivato al banchetto tanto stanco da far anche fatica a ubriacarsi.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas