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Autore: Zomi    24/01/2016    7 recensioni
Arrivò sul terrazzo del condomino affannato.
Aveva corso per le scale di tutti e quindici i piani, senza mai fermarsi e arrancando sugli ultimi scalini che lo avevano condotto sul tetto dritto e cementificato dell’edificio.
Richiuse dietro di sé la porta arrugginita che gli aveva dato accesso, sordo al cigolio secco che produsse il portone dietro le sue spalle.
Con una mano in tasca e l’altra a reggere la bottiglia vuota, si avvicinò al parapetto in ferro, sporgendosi con il busto.
Il vento notturno soffiava con forza nei brevi tratti che riusciva a raggiungere la cima del condominio, e Zoro lo riceveva in faccia ben volentieri, sentendosi un po’ più sveglio e la pelle del volto asciutta dal sudore che l’aveva imperlata nella sua scarpinata per le scale.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VENTO


 
Arrivò sul terrazzo del condomino affannato.
Aveva corso per le scale di tutti e quindici i piani, senza mai fermarsi e arrancando sugli ultimi scalini che lo avevano condotto sul tetto dritto e cementificato dell’edificio.
Richiuse dietro di sé la porta arrugginita che gli aveva dato accesso, sordo al cigolio secco che produsse il portone dietro le sue spalle.
Con una mano in tasca e l’altra a reggere la bottiglia vuota, si avvicinò al parapetto in ferro, sporgendosi con il busto.
Il vento notturno soffiava con forza nei brevi tratti che riusciva a raggiungere la cima del condominio, e Zoro lo riceveva in faccia ben volentieri, sentendosi un po’ più sveglio e la pelle del volto asciutta dal sudore che l’aveva imperlata nella sua scarpinata per le scale.
Con sguardo sbieco tese il braccio che reggeva la bottiglia oltre la recinzione, fissando il vetro luccicare lievemente per lo spicchio di luna che brillava nel cielo.
Lo fissò per un lungo istante prima di lasciare la presa e abbandonare la bottiglia al vuoto che l’accolse senza proteste. Non la sentì infrangersi, ma era certo che non fossero che rimasti che cocci di quella bottiglia da litro di liquore che si era scolato senza paura e con estremo egoismo.
Respirò dal naso, il braccio ancora teso mentre il vento riusciva a spazzolargli la zazzera verde, non riscendo però a smuoverlo dai suoi pensieri.
Fu lei a riuscirci, camminando con quei suoi ticchettanti tacchi dietro di lui.
-Sei in ritardo- l’ammonì severo, ripiegando al fianco il braccio.
La sentì sbuffare e di certo aveva ruotato i suoi occhi di caramello al cielo prima di mollargli uno scappellotto sulla nuca.
-Sono una donna- incrociò le braccia sotto i prosperosi seni, coperti da una giacca di pelle un po’ troppo grande per lei, mentre si addossava con la schiena al parapetto in ferro –Posso essere in ritardo quanto voglio!-
Zoro storse le labbra, massaggiandosi la nuca dolente e rivolgendole un’occhiataccia con l’unico occhio sano che gli era rimasto.
Avrebbe voluto risponderle a tono, ma una folata di vento mosse quei suoi lunghi e profumati capelli rossi, zittendolo e lasciandolo ammutolito ad osservarla.
Erano passati cinque mesi.
Cinque mesi che non la vedeva, cinque mesi che non abitavano più assieme in quel condominio, cinque mesi che…
-Ti vedo bene- sorrise Nami, aggrappandosi con le mani a due aste della recinzione, piegando il viso verso di lui e attirando la sua attenzione.
Zoro soffiò dal naso riportando lo sguardo davanti a sé, a quel vuoto in cui era caduta la bottiglia, ma Nami aveva tutta la sua attenzione.
-Mangi?- sussurrò piano, in sincrono col vento, quasi che volesse che il fruscio del soffio nascondesse la sua sciocca domanda.
Zoro ghignò, piegando il capo.
-Si, mamma- scosse il capo –E mi sono anche lavato dietro le orecchie-
Questa volta il pugno della rossa lo colpì sul gomito facendolo sghignazzare roco.
-Scemo- lo ammonì stizzita riportando le mani ad infossarsi sotto i seni, mentre i piedi strusciavano sul cemento del terrazzo, per il freddo forse o per l’imbarazzo.
Il ragazzo tornò a guardarla.
I suoi capelli rossi e mossi, lunghi fino a metà schiena e morbidi come la sua pelle chiara.
Gli occhi nocciola e le labbra carnose, grosse e succose.
Le mancava.
Le mancava da morire.
Le mancava da cinque mesi.
Cinque mesi.
-Stai davvero bene?- chiese ancora Nami, non sollevando gli occhi dalla cerniera dorata del suo giubbotto in pelle, che dondolava pigra sulla minigonna scozzese.
Era vestita come quel giorno.
Il giubbotto in pelle di Zoro indossato come capriccio perché “… mi piace avere il tuo profumo addosso”, la minigonna assolutamente inadatta per un giro in modo, i capelli sciolti che si sarebbero di certo elettrizzati per colpa del casco.
Era uguale a quel giorno.
-Zoro…-
-Si- rispose in automatico, ritrovandosi a specchiarsi negli occhi di lei.
-No- rettificò, per poi passarsi due dita sugli occhi, uno cieco fisicamente, l’altro ancor di più.
-Non lo so…- scosse il capo voltandosi con il busto di tre quarti verso di lei.
L’occhio cieco, ancora cucito con i punti sterili, bruciava come non mai in quella notte.
Forse un po’ di polvere si era infilata sotto la palpebra chiusa, forse era stata la bottiglia bevuta tutta d’un fiato.
Forse un ricordo si era infilato là sotto, posandosi sull’iride ormai vuota e l’aveva irritata con il suo peso.
Premette i polpastrelli sulle palpebre chiuse, cercando di non perdere l’equilibrio sulle gambe improvvisamente instabili.
-Io…- sbottò a voce spezzata -… è difficile-
Storse le labbra sentendola parlare, premendosi con maggior forza le dita sugli occhi.
Non voleva vederla, faceva troppo male.
-Lo so- continuò Nami, stringendo le spalle contro la recinzione -È difficile andare avanti, non veder…-
-No!- urlò, sbattendo le mani sulla recinzione –Non lo dire…-
Sentiva i polmoni riempirsi e svuotarsi d’aria, il vento sferzargli il viso, gli occhi aprirsi e chiudersi in un lancinante dolore che partiva dal centro del petto.
-Non lo dire- ripeté ansante, stringendo nei palmi il ferro freddo e duro a cui poggiava –Non lo dire-
Non voleva sentirselo dire ancora.
Non da lei.
Poteva ignorare Sanji, Rufy, Usopp… poteva fingere di non sentire nessuna delle loro voci, ma la sua, così morbida e acuta, non avrebbe mai potuto evitare di sfuggirle.
La sentiva ancora dopotutto, dopo cinque mesi, e non sapeva se era un bene o un male.
-… mi dispiace…- deglutì le lacrime Nami, cercando di non piangere.
-Mi dispiace…-
-No- ringhiò.
-… mi dispiace per il tuo occhio- tirò su con il naso, permettendo agli occhi di inumidirsi.
Una sola lacrima le sfuggì, scivolando lenta sulla guancia e venendo asciugata dal vento, che se la portò via nel vuoto, come il più prezioso dei tesori.
-Mi dispiace amore mio- singhiozzò –Il tuo occhio…- respirava a fatica, e il vento sembrava spezzarle le parole in bocca -… io… se io…-
-No!-
Si passò una mano tra i capelli Zoro, cercando di sorridere nonostante le lacrime.
-Non dire che ti dispiace- scosse il capo, ridendo, ma era l’alcol non lui a ridere.
-Non guidavi tu la moto, non eri tu che impennava con quella stupida motocicletta solo per farti urlare di paura- chiuse le palpebre e gli sembrò di rivederli quei lunghi attimi di cinque mesi prima.
Loro due insieme, che convivevano in quel medesimo condominio.
La domenica di sole, la voglia di un giro in moto.
La sua giacca di pelle, enorme per lei, ma che la rendeva così buffa se la indossava.
La moto accesa, i caschi, le impennate e le braccia di Nami che si stringevano alla vita di Zoro con sempre maggior forza.
La stessa forza con cui lei urlava e strepitava contro di lui e i suoi scherzi cretini.
Il semaforo rosso.
La frenata, il bacio dato con la visiera del casco sollevata.
E la macchina che non rispettava la luce rossa e cozzava contro di loro, rendendo rosso l’asfalto.
-…non è stata colpa tua- strinse le mani a pugno.
Riaprì gli occhi, ma ciò che vide non fu la sua Nami piangente ma quella riversa al suolo su un asfalto cremisi di cinque mesi prima.
La sognava ancora di notte, con i capelli sparsi sulle spalle sfuggiti al casco, le gambe piegate con un’eleganza innaturale, un braccio sotto il peso del corpo immobile e l’altro teso verso di lui, steso a poche decine di centimetri da lei, con un occhio cieco per il sangue che perdeva e riverso a terra e con il peso della moto sulle gambe.
Le punte delle loro dita erano riuscite a sfiorarsi fino a quando non era arrivato l’ululante sirena dell’ambulanza.
Solo allora, lo sapeva Zoro, lei lo aveva lasciato andare allentando la presa delle dita.
Lo sapeva.
Lo aveva lasciato andare, e lo aveva lasciato per sempre.
-Se io…- ringhiò, portandosi la mano all’occhio cieco -… se io… dannazione!-
Non riusciva a ragionare, le immagini continuavano ad affiorargli davanti agli occhi, torturandolo e ricordandogli cosa fosse successo, perché, come, e che ora, dopo cinque mesi Nami non era più sua.
Perché Nami…
-Fa male?-
L’esile mano di lei si era posata sulla sua sopra l’occhio cucito, accarezzandolo e cercando di portarvi sollievo, ma il suo tocco fu leggero come il soffio di vento che le mosse i capelli e non portò alcun sollievo al ragazzo.
-Deve far molto male…- lo accarezzò nuovamente, piegando il capo -… vorrei poterti alleviare di più-
-Torna da me allora…- sussurrò Zoro –Torna!-
Nami sorrise, gli occhi ancora lucidi di lacrime.
-Non posso- singhiozzò –Vorrei ma non posso. Lo sai- mandò giù l’orribile nodo che le stringeva la gola, lasciando che quelle maledette parole uscissero da sole dalla sua bocca.
-Lo sai- sussurrò ancora –Sono…-
-Non lo dire-
-Zoro, sono…-
-Ti prego-
-… morta-
Le mani di Zoro scattarono su di lei, afferrandole le spalle e attirandosela al petto, stringendola con tutta la forza che gli era rimasta.
Le lacrime iniziarono a scendere senza consenso, e i lamenti a ululare sotto la luna, più simile a una lacrima che a una luce tra le stelle.
Nami era morta cinque mesi prima, e Zoro non aveva perso solo un occhio ma tutto ciò che lo teneva in vita.
Il lavoro, la casa, gli amici, l’alcol: non sentiva più nulla, e non ricordava più come vivere.
Con il volto immerso nei capelli della sua amata cercò un’ancora a cui aggrapparsi, una pallida e vanescente speranza che lei fosse realmente lì, con lui, e che non fosse tutto frutto della sua fantasia ubriaca di alcol e dolore.
-Mi dispiace- continuava a ripetergli nell’orecchio Nami, accarezzandogli il capo e stringendolo con quanta forza potesse avere un sogno –Mi dispiace amore mio-
-Mi manchi- Zoro serrò maggiormente la presa su di lei e non l’allentò finché non la sentì sollevare il viso dalla sua spalla per poterlo guardare in volto.
Posò le mani ai lati del suo viso, incorniciandolo in una fredda carezza mentre gli sorrideva con gli occhi di cacao bagnati.
-Mi manchi anche tu- le sue mani fredde che lo accarezzavano –Ma devi andare avanti… ok? Va oltre-
Zoro la fissò senza replicare, cercando di sostituire i ricordi dell’incidente con il suo bel volto diafano, con qualche ciuffo rossastro che le svolazzava davanti gli occhi.
-Ok Zoro?- lo scosse lievemente –Va oltre… fallo per me-
Il ragazzo annuì e con un sorriso la rossa indietreggiò di un passo da lui, facendo scivolare le mani via dal suo viso.
-Devo andare- boccheggiò –Ma tu… tu riguardati-
Zoro ghignò, infossando le mani nei pantaloni mentre le dava le spalle.
Non avrebbe sopporto di vederla scomparire dalla sua vista una seconda volta.
Con passo lento e ondeggiante si avviò verso il portoncino di ferro arrugginito del terrazzo, fermandosi davanti ad esso quando una folata di vento risuonò ancora contro di lui.
Si fermò, fissando la porta arrugginita e aspettando che il vento smettesse di soffiare.
Portava una voce quel vento, una voce che scivolò contro il suo orecchio facendo tintinnare i tre pendagli che lo ornavano, e che lo baciò piano sussurrandogli una frase ormai dimenticata.
-Ti amo buzzurro-
Non si voltò, ma seppe con certezza che se n’era andata.
Per sempre questa volta.
Nami non era più lì.
Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro, e sfoggiò il suo miglior ghignò nel voltarsi verso la ringhiera.
Il vuoto era ancora là, oltre il parapetto di ferro battuto e corroso dal tempo, ed era ricolmo di promesse.
Il ghigno si ampliò sul viso di Zoro, mentre si piegava sulle gambe e scattava in avanti, prendendo un’ultima boccata d’aria e gonfiando il giubbotto in pelle che indossava, e che ancora mostrava alcune chiazze scure, rosse fino a pochi mesi prime.
Ghignò e scattò.
Era ora di andare oltre.
Le gambe corsero veloci, balzando al momento giusto quando la mano si posò con scaltrezza col palmo sul dorso della ringhiera, facendo da leva e aiutando il corpo a superarla in un leggero salto.
Il corpo di Zoro si abbandonò al vuoto che divideva terra e cielo, scivolando sullo sfondo che disegnava il condominio immerso nel sonno.
Il tonfo che il corpo produsse infrangendosi al suolo non lo sentì nessuno se non il vento, che come ultimo pegno si portò via un’altra voce e un’altra frase.
-Ti amo anch’io mocciosa… arrivo-
 
 







 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Dico, vuoi scrivere? Una One Shot magari, qualcosa di semplice… bene fallo! Ma scrivi una  FF felice, allegra, rossa se proprio proprio vuoi, o magari quella storia in stand by da settembre. Scrivi ma non questo!
In una sola storia ho ucciso sia lei che lui, alla faccia di Sparks (o come si scrive) e mentre scrivevo dicevo pure “Ma no dai, davvero la faccio andare avanti così?”
Tutto questo per dire che, la prossima volta che mi vedete scrivere una OS fermatemi! Fermatemi assolutamente!
*sospiro* spero di non avervi depresso troppo e i fazzolettini comunque sono in fondo a destra.
Zomi
 
   
 
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