Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Orphee    25/01/2016    2 recensioni
Dal testo:
"Aveva tempo e pazienza, amava Jean da una vita, poteva aspettare ancora un poco si disse.
Bastava essere più forti di quel dolore."
A volte amare provoca grandi dispiaceri, grandi sofferenze. Ci sono cose contro le quali è difficile lottare, fantasmi che sembrano avere sempre la meglio. La testardaggine e l'amore di Armin sono enormi, altrettanto lo sono il dolore -e l'amore- di Jean. Peccato che il destinatario non sia lo stesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Snow


La neve cadeva da ormai tre giorni, il manto pallido che si era accumulato sulle strade rendeva il paesaggio sempre uguale a se stesso, sempre monotono ai suoi occhi.
Jean oltrepassò il cancello del cimitero per tornarsene a casa. Sostò sulla soglia guardando prima a destra e poi a sinistra, quasi avesse l’impressione di essere seguito, poi imboccò la via del ritorno.
Marco era morto proprio in quel periodo, quasi due anni prima. Il giorno dell’incidente aveva iniziato a nevicare e il paesaggio era identico a quello di quel giorno.
Jean sapeva che ogni anno, da quando era nato, in quel periodo nevicava sempre ma pareva avere dimenticato quel particolare, un po’ come se tutto fosse finito e fosse incominciato –il dolore, la meccanicità dei suoi gesti, le giornate opache- quando Marco era morto.
Jean ricordava che il giorno in cui Marco era morto nevicava, ricordava anche che da quel giorno e ogni anno il destino sembrava volerlo prendere in giro ricreando un ambiente identico a quello di due anni prima, con la neve che scendeva dal cielo, le strade ghiacciate, il candore che copriva ogni cosa.
Tutto si era congelato nel giro di un paio d’ore, il tempo di sapere che il suo ragazzo aveva avuto un incidente e morisse in una stanza d’ospedale con le pareti immacolate e l’odore pungente delle medicine.
Jean avrebbe giurato che la sua vita si fosse fermata assieme al cuore di Marco.
Era esploso solo il dolore, un dolore lancinante ed insopportabile, una ferita perennemente aperta sul cuore ed incapace di rimarginarsi ed invece in grado di infettarsi e di infettare ogni cosa che la sfiorasse.
Poi, quel dolore era diventato il solito compagno di tante giornate a venire e col tempo si era intorpidito ma –e Jean lo sapeva bene- bastava poco a risvegliarlo, come un drago nel pieno delle forze.
Era lì, al centro del petto, dormiente eppure vivo.
Negazione, rabbia, contrattazione, depressione e alla fine accettazione. Le aveva attraversate tutte, quelle fasi che dicono si attraversino nell’elaborazione di un lutto. Lui nemmeno se ne era accorto e non era nemmeno certo di averle passate tutte.
Si infilò le mani nelle tasche. Stesso paesaggio, stessi ricordi, stesso dolore.
Arrivò a casa dopo una decina di minuti, si richiuse la porta del proprio appartamento alle spalle e si era appena tolto il giubbotto quando il campanello suonò. Fu un suono breve, quasi che chi aveva suonato temesse di disturbare. Bè, se così era poteva pensarci prima.
-Sono Armin- sentì dal citofono quando vide chi era.
Poco dopo la porta di casa era già aperta, Armin non trovò nessuno ad attenderlo sulla soglia ma entrò ugualmente, come faceva sempre, e si diresse in cucina dove trovò il proprietario dell’appartamento intento a preparare due tazze di tè.
-Ciao, Jean- Armin si tolse il giubbotto e fece un mezzo sorriso- come...- si bloccò. Aveva smesso da tempo di chiedere come andasse- come nevica, eh?- abbozzò indicando la finestra.
Ed in realtà non era neppure sicuro che quell’uscita andasse bene. Jean non aveva un carattere facile, in quel periodo poi peggiorava.
Ovviamente.
Armin lo pensò con un moto di stizza e si sentì in colpa praticamente subito.
Intanto l’altro aveva annuito alle sue parole:- Ho deciso che rimarrò chiuso in casa finchè non smette infatti.
Lo stava informando che, praticamente, non sarebbero usciti. Nessun appuntamento, niente cinema il fine settimana, niente pizza la domenica con gli altri. Stava usando il tempo come scusa ma alla fine entrambi sapevano quale fosse il vero motivo.
Armin forzò una mezza risata:- In effetti questo tempo non è per niente incoraggiante. Potremmo guardare un film in casa, che dici?
Jean lo guardò un secondo ed Armin temette un rifiuto ma poi sospirò sollevato quando l’altro disse di sì.
Era complicato. Era complicato stare con Jean e combattere col fantasma di Marco.
-Mia madre manda i biscotti, chiede se la settimana prossima pranziamo da lei.
Jean lo guardò quasi allarmato:- Perché? Sa…
-No- sbuffò Armin, cercando poi di calmarsi, di non sembrare ferito e arrabbiato come in effetti era- non sa di noi ma ci conosciamo da ragazzini e siamo amici. Penso che ci saranno anche Eren e Mikasa.
-Ah. Scusami.
Armin si chiese se poteva credere a quelle scuse. Jean gli era sembrato davvero dispiaciuto ma l’ombra di quel dispiacere gli parve essersi subito dissolta, veloce come era arrivata. Il ragazzo accese la tv fermandosi su un programma musicale senza però che il volume fosse troppo alto da impedire loro di parlare.
Armin avrebbe voluto chiederglielo: “sarebbe così terribile se mia madre sapesse di noi? Non è un mistero da che sponda stiamo.”
Ma poi…esisteva “noi”?
Armin ci pensò a lungo osservando imbambolato la superficie fumante del tè, si faceva spesso quelle domande. Quando pensava a Jean i suoi pensieri erano più o meno gli stessi, tutti dubbiosi e insicuri. Tutti consapevoli della verità dimostrata dai fatti anche se poi finiva sempre per negare tutto quanto.
E no, la verità era che “noi”, come lo avrebbe desiderato Armin almeno, non esisteva affatto ma che il ragazzo fingeva di sì, che tutto andasse bene.
-Che hai fatto oggi?- domandò all’improvviso.
Vide Jean fare spallucce:- Niente di che, sono stato tutta la mattinata in biblioteca, mi servivano delle cose per un esame.
-E basta?- la domanda gli sorse spontanea. Jean lo guardò stupito, aprì la bocca come a voler chiedere “perché me lo chiedi?”
Armin si morse la lingua, lo aveva seguito –e non era neppure la prima volta- e quasi ebbe paura che Jean lo avesse scoperto. Se anche l’altro ora ne aveva il sospetto non disse comunque nulla. Semplicemente mentì.
-E basta. Tu invece?
-Ho aiutato Eren a spalare la neve.
Jean iniziava ad andare al cimitero ogni giorno al comparire della prima neve. Come se tre volte a settimana non fossero più sufficienti.
Armin si sentiva egoista ad arrabbiarsi in quel modo, per il dolore di Jean. Si faceva ribrezzo per quella rabbia e per quella gelosia.
Armin aveva fatto sì che un po’ di vita si scongelasse. A piccoli passi, con una lentezza esasperante. Non sapeva perché il biondo gli fosse stato così vicino ma Jean alla fine aveva finito per aggrapparsi alla sua presenza.
Non avrebbe saputo spiegarsi perché erano finiti assieme, come coppia di amanti –più o meno fidanzati benchè non in maniera ufficiale- e non di amici.
In realtà Jean lo sapeva che Armin era un sostegno, la presenza che, volente o nolente, lo spingeva ad uscire dal proprio guscio e ad approcciarsi al mondo, che rendeva le sue giornate meno opache, che lo distraeva aiutandolo a tenere addormentato quel dolore perpetuo.
Jean non gli aveva mai detto ti amo, non gli aveva mai promesso nulla e sperava che Armin non gli chiedesse mai nulla.
Era egoista Jean, opportunista ma la cosa neppure gli importava ed Armin non pareva lamentarsi di quella situazione. Che gli andasse bene o meno, Jean non lo vedeva o fingeva di non farlo.
Solo a Marco aveva detto ti amo, solo Marco amava ed avrebbe amato.
Non si era accordo che Armin gli si era avvicinato, abbracciandolo. Sentì il suo respiro contro l’orecchio e per un attimo sobbalzò ottenendo dall’altro uno sguardo interrogativo e poi una risata.
-Stavo pensando…- lo sentì dire, una nota di timidezza nella voce mentre compiva uno sforzo per lui enorme- potremmo passare i prossimi giorni tra le coperte, al calduccio.
Jean schiuse le labbra dando ad Armin l’occasione di dargli un bacio che l’altro ricambiò, spiazzato, pensando ad altro.
-Nel senso- iniziò l’altro quando le loro bocche furono lontane- vorresti passare i prossimi giorni…insieme?
Armin si allontanò, meno sicuro di se stesso di quanto già non fosse. Comunque annuì:- Potrei dormire qui, se per te non è un problema- e la voce fu un sussurro fiacco e tremante.
-N..no- Jean quasi boccheggiò, non sapeva esattamente che dire- ma ho anche delle cose da fare. Devo…
-Devi andare al cimitero!- lo interruppe Armin, rosso in viso. Si tappò subito la bocca con le mani, Jean si fermò con la tazza a mezz’aria osservandolo –stupito e…tradito.
-Io…- Armin sentì gli occhi pizzicare, allungò un braccio verso l’altro ragazzo che tuttavia si alzò in piedi, allontanandosi verso il lavello- scusami, Jean. Io non volevo, io…-
-Mi hai seguito?- e fu un sibilo.
-Sì- un sospiro che fece sentire il biondo libero da un peso. Dall’altro lato vi fu solo il silenzio.
Jean non sapeva che dire. Non sapeva neppure come si sentiva in quel momento. Come qualcuno che era stato scoperto, sicuro. Ma poi? Arrabbiato? Dispiaciuto? Dispiaciuto per se stesso, per Armin, per chi? Arrabbiato con chi?
Rimase in silenzio, poi:- Io…magari è meglio se ci sentiamo…più tardi- articolò le parole lentamente, inciampando, insicuro, confuso.
Si stavano agitando per una sciocchezza forse.
Armin avrebbe davvero voluto chiudere un occhio come faceva di solito –da un anno a quella parte più o meno- ma quel giorno ne sembrava incapace, preso da una necessità di sapere –di rassegnarsi?- e di dissipare ogni dubbio che covava da tempo.
-Fammi restare.- fu un sussurro- ne potremmo parlare…
-Di cosa? Non dobbiamo parlare proprio di niente, Armin.
-Dobbiamo parlare di te. Di noi.
Perché non ci arrivava? Perché si negava in quel modo?
Armin deglutì, si sentiva un po’ sull’orlo di un precipizio, sarebbe morto, se lo sentiva: -Io ti amo- soffiò.
Sentì Jean sospirare, le mani afferrare i bordi della cucina contro cui si era appoggiato. Silenzio, lungo, pesante, teso silenzio.
Verità o menzogna.
-Armin- la sua voce fu quasi una supplica- non chiedermi di più.
-Jean…- e Jean sentì la voce del proprio ragazzo rotta, alzò gli occhi su di lui e vide i suoi rossi di pianto mal trattenuto.
-Non dirmelo mai più- fu secco, impietoso. Poi si avvicinò a lui sospirando dispiaciuto, gli accarezzò le guance con delicatezza sollevandogli il viso.
-Chiudi gli occhi- mormorò. Armin fece come gli era stato chiesto- ti prego, calmati- pregò quieto. Gli asciugò le lacrime con i pollici, gli diede un bacio a fior di labbra, Armin le schiuse in attesa di qualcosa di più, segni di pace –illusori, ma certo.
Jean accArezzò le labbra dell’altro, mordicchiò quello inferiore, lo baciò con lentezza, con una dolcezza inusuale, con calma, come se per la prima volta stesse godendo di quel contatto. Come se per la prima volta gli stesse dando una parte di sé e fosse uscito da quella bolla in cui si era rinchiuso.
-Armin…- Jean mormorò il suo nome e quando Armin  riaprì gli occhi si ritrovò quelli castani dell’ altro che lo osservavano mortalmente seri. Vide le palpebre del ragazzo chiudersi stanche, sentì la sua fronte contro la propria, un sospiro uscire dalle labbra dischiuse, poi:- non posso amarti, non…non ci riesco, perdonami. Non posso fare più di così.
Armin boccheggiò e quasi giurò di sentirsi mancare l’aria nei polmoni. Il cuore ebbe l’impressione che fosse a pezzi. Mise le proprie mani su quelle di Jean, fece un passo indietro, poi sentì solo il rumore dei propri singhiozzi, le spalle scosse da tremiti sempre più forti.
-Va bene, va bene così- affermò stringendo forte, così forte, le mani di Jean che gli coprivano le guance.
Prima o poi lo avrebbe amato, prima o poi quel dolore sarebbe passato, lui lo avrebbe fatto passare, lo avrebbe fatto sparire, lo avrebbe lavato via finchè non ne sarebbe rimasta traccia.
Aveva tempo e pazienza, amava Jean da una vita, poteva aspettare ancora un poco si disse.
Bastava essere più forti di quel dolore.
Sarebbe stato più forte dell’amore di Jean –per Marco?
Jean lo guardò con una nota di tristezza e compassione eppure non riuscì a dire nulla.




DISCLAIMER: L'attacco dei Giganti e i suoi personaggi non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro
   
 
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