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Autore: sissi149    26/01/2016    6 recensioni
Nel Principato di Yomiuri Land, a prima vista, tutto scorre tranquillamente, senza grossi problemi. In realtà il Principe Legittimo è partito da più di un anno per un viaggio senza meta, seguendo uno strano individuo che un giorno si era presentato al castello. Il compito di governare è affidato al fratello e al fedele Sovrintendente, ma il primo è da qualche tempo colpito da misteriosi malori.
Nella foresta, invece, si sta formando un gruppo agguerrito di Ribelli, deciso a porre fine ad alcune crudeli decisioni dell'ultimo periodo prese dalla casa reale.
Tra gli schieramenti trovano posto anche la serva del Signore del Caos e la devota alla Dea dell'Armonia. In più, un tradimento è dietro l'angolo...
[I personaggi sono più di quelli indicati nello specchietto, dove il massimo è 5]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Koshi Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Poemi di Yomiuri Land'
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Al portone principale della Cittadella una lunga fila di persone era in attesa di ottenere il permesso per entrare con la propria merce: era giorno di mercato e buona parte produttori dei dintorni confluivano nel centro abitato. Data la grande quantità di gente, c'era molto da fare, soprattutto per evitare l'ingresso nel centro abitato di armi che avrebbero potuto causare guai.

Le due Guardie della Porta, avvolte nei loro mantelli viola, stavano terminando di ispezionare un carro di lana.

“Lady Matsumoto, prego, potete passare. E' tutto a posto. Quest'anno vedo che avete più lana del solito.”

La donna, tenendo le redini nelle mani guantate, sorrise alla guardia:

“Sì, Sir Tachibana. La Dea è stata generosa e ha permesso a tutte le mie pecore di superare l'inverno senza difficoltà, spero solo che non ricambi con una carestia estiva.” Rabbrividì al solo pensiero: una carestia le avrebbe fatto perdere parecchi capi e parecchi guadagni prima della tosatura autunnale. Con un colpo di frusta fece ripartire il carro, lasciando libero il passaggio.

“Masao, Kazuo, come procede il lavoro?”

Al suono di quella voce i due fratelli si inginocchiarono all'istante davanti al magnifico cavallo bianco del Principe.

“Altezza! Non vi avevamo visto!”

“Vi avremmo fatto passare subito!”

“Non era necessario, poi in questo modo ho potuto verificare di persona l'efficienza dei controlli in ingresso.”

Cordiale come sempre, il Principe salutò con un gesto della mano e uscì dalle mura, seguito dal fedele Attendente.

Era un bell'uomo, tutte le ragazze di buona famiglia facevano la fila per essergli presentate, sperando di poter un giorno essere scelte come sua sposa. Aveva i capelli castani e due profondi occhi nocciola, a cui non sfuggiva nulla. Purtroppo però il suo volto era molto pallido e leggermente scavato per appartenere ad un uomo in salute. Molti cominciavano a mormorare che lo svenimento durante l'ultima udienza popolare fosse qualcosa di serio e non semplice stanchezza, come era stato loro spiegato. Quel giorno indossava delle semplici vesti da caccia, senza stemmi o blasoni che lo identificassero.

Usciti dalle mura, i due si mantennero per un po’ sulla strada principale, scorgendo di tanto in tanto qualche abitazione di contadini sparsa in mezzo ai campi. Incrociarono anche un gruppo di bambini che si rincorreva ridendo e urlando, pieni di allegria e vita.

Quando furono sufficientemente lontani dalla Cittadella, il Principe fermò il proprio cavallo e prese dei profondi respiri.

“Maestà, siete stanco? Forse è meglio rientrare.” Chiese l’Attendente, preoccupato per quella sosta.

“Tutt’altro, Sanada. Stavo solo decidendo dove andare.”

Diede un rapido colpo al cavallo e lo fece ripartire al galoppo, abbandonando la strada e attraversando i prati, su cui spuntavano i primi fiori. L’aria gli colpiva il viso e gli scompigliava i capelli, il mantello si sollevava seguendo l’andatura del cavallo. L’animale era ben addestrato e reagiva al minimo movimento delle redini del padrone. Jun finalmente si sentiva vivo e godeva appieno di quella libertà che gli era impedita all’interno del castello, anche a causa della sua salute precaria.

Cavalcò e cavalcò senza mai fermarsi, fino al limite della Foresta Meiwa. Avrebbe voluto proseguire fino all’infinito, ma sapeva che i suoi doveri lo richiamavano alla Cittadella: doveva parlare col Sovrintendente per indire una nuova udienza, poi controllare i granai reali e un mucchio di altre faccende. Quanto avrebbe voluto avere la spensieratezza del fratello in certi momenti.

Sanada lo raggiunse, trafelato: il suo destriero non era all’altezza di quello del Principe ed aveva perso rapidamente terreno.

“Altezza, non dovreste allontanarvi così. Potrebbe essere pericoloso.”

“Suvvia, immagino che anche da lontano non mi avrai perso di vista un secondo.”

“E’ vero, ma il Sovrintendente dice che…”

Con un gesto il Principe lo zittì.

“Credi che sia così sciocco da far sapere a Kanda tutto quello che faccio? Sarà anche l'uomo di fiducia di mio fratello, ma non il mio. Almeno fuori dalle mura lasciatemi respirare, c'è già il Priore che si preoccupa anche troppo. – Constatò amaramente – Vieni, qui vicino nella foresta dovrebbe esserci un fiume. Faremo abbeverare i cavalli, poi rientreremo.”

L'Attendente si inquietò:

“Altezza, volete davvero entrare là dentro? Si dice che il profondo della foresta sia il covo dei ribelli.”

“Sanada, hai paura?” Chiese con una punta di cattiveria.

“Certo che no, mio signore.”

Rispose, ma l’idea di entrare in quel bosco lo inquietava non poco. Tuttavia era suo dovere proteggere il Principe, quindi ovunque fosse andato, lui l’avrebbe seguito.

Si inoltrarono al passo tra gli alberi, stando attenti a non impigliare i mantelli nei rami e nelle fronde più basse. Su un vecchio abete degli uccelli cantavano, in lontananza si udiva lo scorrere lento del fiume.

Giunti sulla riva si fermarono e scesero dagli animali, lasciandoli liberi di brucare nella piccola radura. Jun tolse un guanto e immerse una mano nell'acqua, perso nei suoi pensieri. Era fredda, probabilmente i ghiacciai sui monti si erano sciolti da poco. Nonostante la temperatura quel tocco era piacevole, riusciva a fargli dimenticare la sua condizione: era sempre stato servito in tutto e viziato fin quasi a restarne oppresso, soprattutto da sua madre, che sembrava aver sviluppato una predilezione per lui piuttosto che per Tsubasa. Quando questo era partito aveva pensato di poter finalmente dimostrare il suo reale valore, rimasto un po' nell'ombra del fratello, invece era cominciata quella storia. All'inizio erano state solo piccole crisi sporadiche, che non gli impedivano di svolgere le sue attività ed era riuscito a nasconderle quasi a tutti. Col tempo erano diventate sempre più forti e debilitanti, non passava giorno senza ricevere una visita del Priore. Invece di avere maggiore libertà si era trovato sempre più chiuso in una gabbia.

A un certo punto alzò la testa:

“Sanada, senti niente di strano?”

“Veramente, non sento nulla, altezza.”

“Appunto, c'è troppo silenzio. Non è normale.”

Ora che gli veniva fatto notare, Sanada si accorse che gli uccelli tacevano e sui rami degli alberi le foglie erano completamente immobili, troppo immobili. Lentamente i due uomini si avvicinarono uno all'altro e sfoderarono le spade, mettendosi in guardia. Gli occhi di Jun saettavano ovunque, studiando il più velocemente possibile il posto, cercando di individuare da dove sarebbe arrivata la minaccia. Certo, il fiume alle loro spalle gli tagliava una possibile via di fuga, ma era improbabile che il pericolo giungesse da lì.

Trascorso qualche istante, da un cespuglio uscì un uomo alto e abbronzato, che indossava una vecchia casacca con le maniche arrotolate e sporche, ed era armato con una vecchia spada. I suoi occhi erano scuri e carichi di rancore. In faccia aveva uno strano ghigno, pareva compiaciuto da ciò che vedeva:

“Bene, bene, due nobili che vagano allegramente per la foresta. Direi che potremmo ricavare un ricco bottino!”

“Potremmo?” Pensò Jun e subito ottenne risposta alla sua domanda inespressa: altri uomini stavano raggiungendo la radura e in poco li circondarono. Erano undici contro due, non ne sarebbero usciti facilmente.

“Sanada – bisbigliò – la nostra unica possibilità è aprirci una via di fuga per raggiungere i cavalli. Pronto al mio segnale.”

L'uomo abbronzato, probabilmente il capo, avanzò verso di loro.

“Allora signori, dateci tutto quello che avete, a cominciare dalle vostre armi e vi lasceremo uscire dalla foresta. Noi trattiamo bene i finanziatori della nostra causa.”

Una risata fragorosa scoppiò nel gruppo dei banditi, mentre il capo allungava una mano per afferrare la spada del Principe.

L'Attendente si mosse fulmineo, come da addestramento, frapponendosi fra il suo signore e il Ribelle.

“Tieni le tue luride mani lontane da sua Maestà!”

“Sanada!” Imprecò Jun, si erano probabilmente appena giocati l'unica occasione di uscirne illesi.

“Maestà? Abbiamo preso il Principe? Questo cambia tutto! Scordatevi di andarvene!”

Sputò ai piedi dei due, con profondo disprezzo.

Dal gruppo intervenne un uomo alto e allampanato, i cui lunghi capelli neri scendevano oltre le spalle. Il suo abbigliamento era l'ideale per muoversi furtivo tra gli alberi senza essere visto: non aveva un colore definito, era un insieme di verdi e marroni che sembravano cambiare disposizione ad ogni sua mossa. Jun non aveva mai visto nulla di simile.

“Kojiro, cosa hai in mente?”

“Beh Ken, visto che il nostro caro Principino ci ha fatto il piacere di venirci a trovare, sarebbe scortese da parte nostra mandarlo via su due piedi. Sarà il benvenuto al Toho.”

“Dici sul serio?” Domandò dubbioso Ken.

“Certo, dopo aver provato la nostra 'ospitalità' sono sicuro che sarà molto più propenso ad ascoltare le nostre ragioni. In caso contrario credo che dalla Fortezza qualcuno ascolterà, se vorrà rivedere sua Altezza vivo.”

Sputò nuovamente a terra, mentre un mormorio di assenso si diffondeva tra i seguaci che, lentamente, stringevano il cerchio.

Jun li osservò meglio: a parte Kojiro, Ken e un piccolo ragazzo che avevano vere armi, gli altri erano tutti equipaggiati con bastoni, grossi rami, sassi e fionde, uno aveva un'accetta. Non dovevano essere molto abili nel duellare, forse avevano ancora una possibilità di cavarsela.

“Dimentichi un particolare – disse – noi non abbiamo intenzione di seguirvi, preferiamo declinare l'invito. Sanada, ora!”

Fu un movimento rapidissimo, con uno scatto il Principe scartò di lato e si liberò facilmente di uno degli uomini vicino a lui, facendogli perdere l'equilibrio. Un compagno gli sferrò una bastonata, ma Jun evitò agilmente, preparandosi a metterlo fuori gioco.

Kojiro, riavutosi dallo stupore, sbraitò a tutti:

“Lasciate il Principe a me! Voi potete divertirvi pure con l'altro.”

Subito i suoi uomini obbedirono e Jun e Kojiro incrociarono le spade: la grossa, sporca e vecchia lama del Ribelle, contro la sottile, lucida e perfetta lama del Principe. Questi era un perfetto schermidore, fino a due anni prima era il campione dei più prestigiosi tornei, ed aveva sconfitto anche i campioni dei regni confinanti. Dall'altro lato la tecnica di Kojiro era spesso rozza e imperfetta, ma i suoi colpi erano molto potenti e destabilizzanti.

Sanada, invece, era uno spadaccino nella norma e riuscì a difendersi tranquillamente da tutti, ma contro Ken trovò un avversario complicato.

Jun parava e rispondeva ai violenti colpi di Kojiro, guadagnava qualche metro. Il bandito allora ringhiava e con un fendente più potente riportava l'equilibrio, spingendolo a volte sul bordo estremo del fiume, un solo passo in più e sarebbe caduto in acqua.

A un certo punto, allontanatosi a sufficienza dal fiume e messo l'avversario alle strette con dei rapidi affondi in sequenza, sembrò che Jun potesse avere la meglio.

Una forte fitta di dolore gli attraversò il petto, all'altezza del cuore, impedendogli di mettere a segno il suo colpo e lasciando un fianco scoperto all'avversario. Fortunatamente per lui, il colpo di Kojiro finì sul fodero della spada, distruggendolo, raggiungendo la carne quando ormai era completamente attutito.

“Non adesso, Dea, ti prego, non adesso. Non posso avere una attacco di cuore adesso, ho bisogno di tutta la forza possibile per tirarmi fuori da qui.” Pregò silenziosamente, anche se ultimamente la Dea sembrava si facesse beffa dei suoi appelli.

La fitta al petto si ripeté, più dolorosa, e fu seguita da altre. I suoi colpi divennero sempre meno precisi, mentre quelli di Kojiro si facevano più potenti, o forse erano solo le sue risposte che diventavano meno efficaci e sicure. Cadde in ginocchio, ma continuò a menare colpi. Ormai la sua spada andava quasi sempre a vuoto, finché un fendente di Kojiro non gliela fece cadere di mano.

“Altezza!” Urlò Sanada, cercando di accorrere in suo soccorso, ma Ken lo aveva quasi disarmato.

Con la forza della disperazione, il Principe afferrò un sasso e lo lanciò verso l'uomo alto, costringendolo a mollare la presa sul suo Attendente.

“Sanada, corri a palazzo e avvisa Wakab... - Rantolò – E' un ordine.” Disse con tutto il fiato che gli restava.

Kojiro torreggiava su di lui, la sua ombra ormai lo copriva. Le fitte al petto erano sempre più martellanti. Riuscì a vedere con la coda dell'occhio Sanada saltare sul cavallo e sparire nella foresta.

Il dolore lo assaliva, gli tagliava il fiato, poi tutto divenne freddo e buio.

 

 

 

 

Quando Kojiro vide il suo avversario stramazzare al suolo ghignò soddisfatto:

“Tutto qui Principe?”

“Capo! Dobbiamo inseguire l'altro?”

“No, lasciate che dia la notizia. Così si accorgeranno che con noi è meglio non scherzare. Takeshi prendi il cavallo di sua Altezza e conducilo al Toho per l'accesso secondario! Voi due, svegliate il bell'imbusto, poi legatelo e bendatelo, che non veda la strada.”

Date le istruzioni, si spostò per valutare le condizioni dei suoi uomini: nonostante la netta maggioranza numerica molti di loro avevano contusioni ed escoriazioni, come se non avessero combattuto solo contro due avversari.

“Kojiro, non si può svegliare, è caduto perché sta male!”

Il Ribelle si girò di scatto, ringhiando:

“Yayoi! Cosa ci fai fuori dal villaggio da sola?”

“Avevo bisogno di provviste di erbe e tua moglie non poteva accompagnarmi. Chi vuoi che aggredisca una donna.” Rispose questa con semplicità e un'alzata di spalle.

Kojiro avrebbe voluto ribattere che aveva molte idee su chi potesse avere intenzioni non proprio nobili nei confronti di una come lei: figura esile, pelle chiara, occhi grandi e lunghi capelli rossi fino quasi al sedere, se poi avessero conosciuto il suo piccolo segreto.

Lei non gli diede il tempo di dirle tutto questo:

“Lascia che gli dia un'occhiata, non vuoi che arrivi morto al villaggio, vero?”

Lo superò e si inginocchiò accanto al prigioniero, mentre l'uomo annuiva contro voglia e ribatteva:

“Comunque, Maki non è mia moglie, non ci siamo mai sposati in un tempio.”

“Dettaglio irrilevante.”

Kojiro sbuffò irritato: la odiava, anzi, la detestava, per questa sua capacità di zittire chiunque con una frase e per la sua eterna calma, eppure non poteva dimenticare che se almeno metà di loro godevano di ottima salute dovevano ringraziare lei.

Yayoi voltò il Principe in posizione supina, poi gli sfilò il guanto dalla mano che ne era ancora avvolta.

“E' gelata, cattiva circolazione.”

Gli mise una mano sulla fronte.

“Gelata anche questa e il respiro è molto debole e faticoso.”

Prese il piccolo pugnale che portava alla cintura e lo usò per strappargli la casacca, per aiutarlo a respirare.

“Ahia!”

“Cosa c'è?” Domandò Kojiro, cominciando a preoccuparsi.

“Il petto brucia come se fosse in fiamme! Non ha senso!” Lo toccò ancora con la mano destra e la fece scorrere fino alla sua sinistra:

“Oh mia Dea e signora Machiko! Il cuore è troppo, troppo veloce! Non reggerà ancora per molto, gli scoppierà se continua così!”

Kojiro, per la prima volta, vide Yayoi perdere parte della sua famosa calma e frugare velocemente nella borsa per estrarne un mortaio con pestello e delle strane foglie.

“Puoi fare qualcosa?”

“Spero di essere in tempo. Senza dubbio questa è opera di una Strega Nera, non mi spiego come possa essere altrimenti. Per fortuna ho appena raccolto delle foglie di Machiko.”

Mentre parlava, schiacciava le foglie col pestello, poi aggiunse una strana polvere e infine si raccolse in preghiera:

“Divina Machiko, dammi la forza per compiere la mia magia.”

Stese le mani sopra il mortaio e per qualche istante apparve una luce chiarissima. Terminato l'incantesimo, dove prima c'erano solo foglie pressate ora c'era un impasto omogeneo e cremoso. A grandi manate lo spalmò sul petto del Principe, abbondando nella zona del cuore: la cosa più urgente era quella, fermare la sua corsa impazzita.

“A questo punto non ci resta che attendere e pregare. Ci vorrà del tempo.” Aggiunse, pulendosi le mani nel grembiule.

“Non possiamo restare qui. Dobbiamo tornare al villaggio. - intervenne Ken – Siamo rimasti allo scoperto troppo a lungo.”

“Già – aggiunse Kojiro – se il piccoletto è andato a chiamare rinforzi, prima ci muoviamo, meglio è.”

“E vuoi lasciarlo qui da solo, svenuto? Non ce la farà mai, ha ancora bisogno di cure. Io non mi sposto!”

Yayoi era decisa a non abbandonare il Principe, per nessun motivo.

Kojiro la guardò turbato e aspettò qualche secondo prima di risponderle:

“Anch'io non vorrei perdere il prigioniero – calcò sulla parola – ma la nostra pelle è più importante.”

Una folata di vento più fresco mosse le foglie e ricordò a tutti che la sera si stava avvicinando rapidamente e rientrare al Toho, attraversando il Passaggio col buio, non era consigliabile a chi teneva alla propria incolumità.

Ken avanzò verso la donna e studiò l'uomo privo di sensi.

“Potremmo usare il suo mantello e due lunghi bastoni per formare una barella e trasportarlo in questo modo. Koan, usa la tua accetta per procurarci i rami.”

Il Ribelle annuì e silenziosamente sparì, per tornare pochi istanti dopo con quanto richiesto.

Con molta delicatezza Ken sollevò il Principe quel tanto che bastò a sfilargli il mantello, e, quando la barella fu pronta, con altrettanta delicatezza lo adagiò su di essa. Yayoi gli fu subito accanto, adducendo come scusa il fatto di poterlo controllare meglio.

Si misero tutti in marcia, Kojiro in testa al gruppo e Ken nella retroguardia, impegnato a coprire le tracce del loro passaggio prima dell'arrivo della Guardie Reale.

 

 

 

 

Uscito dalla foresta, Sanada cavalcò più veloce che poté alla volta della Cittadella e della Fortezza Musashi. La sua frusta colpiva il posteriore del cavallo con frequenza sempre crescente, prima arrivava e prima le guardie potevano andare a salvare sua Altezza. Aveva percorso poco più di metà strada che l'animale era già quasi al limite delle sue forze. La foresta non gli era mai sembrata distante dal castello come in quel momento. Se avesse preso il destriero del Principe avrebbe potuto andare più veloce e più a lungo, ma non avrebbe mai osato farlo: lui doveva restare al suo posto e rispettare i suoi doveri di Attendente. Era già un onore per uno di umili origini, come lui, essere l'uomo di fiducia del Principe.

Giunse in vista delle mura e del vessillo reale che sventolava sulla torre più alta del castello. Diede di speroni un'ultima volta al cavallo, per imprimere l'ultima accelerazione. Passò con mala grazia attraverso la fila di mercanti che uscivano dalla cittadella, incrociò anche Lady Matsumoto col suo carro vuoto: era riuscita a vendere tutta la sua lana.

Nella sua furia fece pure cadere una delle Guardie della Porta, Masao o Kazuo, non riconobbe quale. Le strade della Cittadella gli apparvero come un labirinto stretto e intricato.

Nel cortile scese al volo dall'animale, che ormai schiumava dalla bocca, e salì di corsa le scale che portavano all'interno. Farfugliando chiese di vedere Kanda e venne mandato al suo studio, alla Torre.

Aprì la porta di slancio, entrando nella stanza e inginocchiandosi ai piedi dell'uomo, non accorgendosi della presenza di Makoto Soda.

“Sovrintendete! - ansimò – Il.. il.. il Principe è...”

Kanda lo guardò con stupore, attento però a non far trasparire altra emozione, mentre nella sua testa pensava che fosse giunto il momento tanto atteso.

“Cosa è successo a sua Maestà?”

“I Ribelli... la foresta... non...”

Il Sovrintendente fu colto da un piccolo moto di impazienza:

“Sanada, calmati un secondo e prendi fiato, così non caviamo un ragno dal buco. Alzati, non sopporto vedere uomini cadere ai miei piedi.”

Soda dovette reprimere una risata, doveva ammettere che il suo padrone era un vero attore: nessuno più del Sovrintendente godeva nel vedere gente implorare clemenza che non sarebbe mai stata elargita.

L'Attendente si sollevò e cercò di prendere qualche respiro profondo.

“Il Principe ed io siamo usciti dal castello per una breve cavalcata, il Priore l'aveva concesso. Senza accorgercene siamo arrivati fino alla foresta Meiwa. Sua Altezza ha voluto inoltrarvisi.”

“La foresta! Sanada, sei istruito su quali pericoli si celino in essa!”

“Sì, mio Signore, ma il Principe ha ordinato...”

“Va avanti, arriva al punto.”

“Sono arrivati i Ribelli e ci hanno attaccato, volevano prendere prigioniero il Principe. Abbiamo combattuto, ma il Principe ha avuto un altro dei suoi malori, un attimo prima di crollare mi ha ordinato di farmi strada e di allertare la Guardia. Io non lo avrei mai lasciato solo, ma lui ha ordinato, capite vero?”

Calde lacrime gli scendevano lungo le guance, non sapeva se per la rabbia di non essere riuscito a proteggere il suo signore o se per l'attaccamento che nel tempo aveva maturato per lui, o entrambi.

Kanda gli appoggiò una mano sulla spalla, con fare rassicurante e sorridendogli:

“Ragazzo, hai fatto il tuo dovere, tornando a palazzo hai potuto avvisarci sulla sorte del Principe. Ora sappiamo dove poterlo cercare, se fossi rimasto con lui avremmo impiegato giorni per trovare una pista valida. Makoto, - lanciò uno sguardo d'intesa all'uomo – assicurati che Sanada ottenga la giusta ricompensa per i suoi fedeli servigi.”

“Sarà un vero piacere.”

Si avvicinò all'Attendente e fu questione di un secondo: il suo lungo pugnale passò dal fodero alla sua mano, alla gola di Sanada, tagliandola di netto.

Sanada non si accorse di nulla: l'attimo prima era in piedi ad aspettare un premio, l'attimo dopo giaceva a terra morto.

Kanda diede libero sfogo alla sua soddisfazione, ridendo davanti al cadavere di un fedele, quanto stupido, servitore. L'unico suo rammarico era per il tappeto, irrimediabilmente rovinato dal sangue.

“Makoto, fai venire la Strega Nera e avvisala che il nostro piano ha subito un'inaspettata, ma piacevole svolta. Il nostro momento è giunto! Il regno di Yomiuri Land è ormai mio!”

La risata malefica del Sovrintendente riempì tutto lo studio.

  
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