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Autore: Cecile Balandier    27/01/2016    15 recensioni
Una storia raccontata in prima persona da André e inserita nell'episodio "Gli ultimi splendori di Versailles". 
"- Parla André, raccontami... -
Insisti, sospirando prima di parlare.
- E va bene... -
D'accordo Oscar, adesso saprai davvero tutto di me. Tutto... Ma ricorderai e saprai molto anche di te stessa.
Di qualcosa che io non sono più riuscito a scordare... e forse neanche tu.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6


~ Sortilegio ~


Castello di Dunguaire, Irlanda. Vigilia di Natale 1790

Quando la mia mano si apre e tocca la pietra grigia della parete, la sensazione che ne deriva è penetrante e intensa. 
La lascio poggiata lì, godendo di quella frescura e di quel senso di pienezza sul palmo della mia mano, mentre scruto l'oscurità ferma della sera invernale diventare improvvisamente festosa.
- Sta nevicando... -
Le dico quasi assorto, forse mormorando, mentre guardo la finestra con le vetrate slanciate un po' appannate. Il grande camino di pietra è acceso da ore e la nostra stanza è abbastanza calda per poter distendere i pensieri e far riaffiorare i ricordi. Lei è seduta sul divano davanti al fuoco, che osserva serena, respirando con lentezza, lasciandosi baciare la pelle dal calore intenso delle fiamme. 
Mi risponde solo con un sorriso, che però mantiene addosso come uno dei tanti gioielli che porta con grazia, e che ne impreziosiscono i giovani tratti e la sinuosa figura, vestita di taffetà blu scuro e intenso come la notte che ha già spento questo giorno.
Lei capisce, lei sa a chi sto pensando...
Torno a guardare la neve cadere piano nella luce argentata, mentre un soffio di vento improvviso tra i cristalli li muove, come i petali bianchi dei roseti del castello, quando una folata di vento estivo li raccoglie bramoso, portandoli lontano...
Come quel giorno...
Lei si alza dal divano e sul tappeto morbido a fiori muove qualche passo verso di me. Il rumore delle scarpette sul legno vecchio del pavimento si fa sempre più vicino e tengo gli occhi socchiusi mentre ascolto il suo respiro farsi quasi parola alle mie spalle.
Poi... solo il fragore delle onde, il mio respiro, i battiti del mio cuore da sotto il velluto nero del gilet elegante. 
Lei capisce... sempre... e nel silenzio che ci avvolge, la mia mente ritrova quei giorni...
Nel silenzio i miei pensieri, rivolti a te, come ogni anno, ancora e per sempre amore mio. 
Perché tu sappia che mai potrei dimenticare...
~
Galway, Irlanda. 12 gennaio 1789 
Quel giorno l'Ange ci portò a Galway, dove attraccò sotto un sole opaco a filtrare tra nubi basse e rapide. I raggi deboli, quando riuscivano a raggiungere le vele della barca, le facevano sembrare davvero grandi ali bianche di un angelo, nel mezzo del frastuono scuro e agitato delle onde oceaniche. Il porto si stava animando di gente, qualche marinaio indaffarato a scaricare merci, pescatori in procinto di imbarcarsi per una perigliosa giornata di pesca, persino un cantastorie.
Le costruzioni a ridosso del molo erano basse e graziose, quasi tutte bianche, con i tetti ricoperti di paglia.
Eravamo molto stanchi, a causa del viaggio oltremodo scomodo, trascorso nella pancia agitata del veliero, condividendo la sottocoperta con poche altre persone, tutte francesi, tutte in cerca di un'unica cosa, la libertà, o semplicemente la sopravvivenza. Stringevi forte la mia mano mentre ti guardavi attorno e confondevi l'azzurro limpido dei tuoi occhi con quello del cielo dopo il passaggio delle nuvole. 
Il paesaggio, dai tratti e i dai colori incredibilmente contrastanti, era magnifico. Il verde della vegetazione pulsava nel nostro sguardo, mentre i nostri passi incedevano svelti sul terreno indurito dal freddo. Qua e là, sull'erba smeraldina e i cespugli, faceva capolino un mucchietto di neve non del tutto disciolta da quei raggi di sole sempre troppo deboli e delicati. Un paesaggio incantevole, poetico e violento allo stesso tempo. 
Ci fermammo in una piccola taverna a due passi dal porto, per mangiare qualcosa e avere notizie sulla zia Léonie. Chiedemmo alla gente del villaggio, con un inglese un po' trascinato, indicazioni riguardanti la nostra destinazione. Sapevamo che zia Léonie si era sposata con il barone di Dunguaire, sir Harry Templemore, e che risiedeva con il consorte nell'omonimo castello, a due passi da lì. Almeno fino a quattro anni prima... 
Attirammo l'attenzione di qualche pescatore e avventore abitudinario. Ma non riuscivamo a farci intendere bene.
"La France! La France!"
Conoscevano solo questa parola, che ripetevano tra loro, brindando con un boccale di ottima birra. 
"Oscar... Temo che dovremo iniziare le ricerche a modo nostro!"
Ti dissi prendendoti la mano, sul piccolo tavolo rotondo di legno di quercia, su cui avevano lasciato due boccali stracolmi di schiuma.
"Si amore. "
La tua voce e i tuoi occhi erano ardenti.
"Non guardarmi così... rischi che ti baci qui, davanti a tutti... "
Sussurrai sorridendo, tenendo le tue mani tra le mie. Ridemmo entrambi, come due ragazzini, persi occhi negli occhi, assaporando un'intensità diversa il gusto della vera felicità. 
La nostra felicità. L'unica possibile per noi...
E dopo tanti giorni, desideravo poterti stringere di nuovo a me e vedere abbandonarti in quei gesti e in quegli atteggiamenti nuovi, così femminili, che lasciavano sorpresi e inebriati entrambi. Volevo tornare a respirare il tuo profumo e perdermi liberamente nella morbidezza dei tuoi capelli e del tuo corpo. Sapevo che qui tutto avrebbe avuto un sapore diverso. Forse era quell'anelito di libertà, sempre tenuto a freno nel mio animo ma che adesso, finalmente, avrei potuto lasciar sbocciare in tutto il suo giovane e generoso ardore. Ero un uomo libero, non più un servo, con un padrone o un inferiore, senza diritti. 
"André... ora che siamo qui, che siamo lontani dalla Francia... "
Slacciasti il mantello con gesti nervosi e nel pallore del tuo candido viso, si intromise un lieve e dolcissimo rossore. Eri talmente bella in quel momento, da farmi quasi male.
"Cosa, Oscar? "
Accarezzai la tua mano, sfiorandola piano con il pollice, seppur sentendomi fremere dentro.
"André... "
Cercasti la mia attenzione, stringendo più forte le dita attorno alla mia mano.
"Si? " 
Chiesi io, inalando aria lentamente. Impossibile riuscire a frenare la nostra spontaneità, i nostri sorrisi e le nostre carezze.... eravamo troppo felici e sulle nostre labbra vicine, i respiri quasi bruciavano di sentimento e di ansia di vivere. Non sapevo esattamente cosa tu avessi urgenza di rivelarmi, ma in cuor mio desideravo soltanto una cosa... una cosa che avrei provveduto io stesso a chiederti, una volta trovata una sistemazione dignitosa per entrambi.
"Cercate Lady Templemore?"
Ci chiese una donna, interrompendoci. Ci accorgemmo di esserci avvicinati troppo per essere in un luogo pubblico, così cercammo di ritrovare un po' di contegno e ci allontanammo l'uno dall'altra, col volto in fiamme per l'imbarazzo. 
Era una donna in età avanzata e se ne stava seduta ad un tavolo poco lontano dal nostro, vestita in modo molto umile, con una treccia chiara decisamente spettinata, che spiccava da sotto un cappellino verde molto curioso, un po' cadente da un lato della testa.
"Oh, grazie a Dio una persona che conosce bene il francese!"
Esclamai io sorridendole, sinceramente lieto di aver trovato una persona del posto con cui poter conversare. 
"Sono stata in Francia tanti anni fa... e non l'ho più scordato!"
Rispose sgranando gli occhi, dopo aver addentato del pesce fritto avvolto nella carta unta.
"Perdonate... Sapete dirci se è ancora viva?"
Chiedesti tu con i tratti del viso tirati e gli occhi indagatori. Non amavi perderti in chiacchiere inutili. La donna scosse la testa e rispose mettendosi prima una mano alla bocca. 
"Non lo sapete?"
Ci chiese bisbigliando. Iniziammo a preoccuparci, anche se eravamo pronti a qualsiasi inaspettato risvolto a quel punto della nostra vita.
"Che cosa dovremmo sapere, Milady?"
Chiesi io con affanno ma anche con gentilezza, scrutando attentamente i suoi vispi occhi blu. 
"Oh! Milady? Nessuno mi chiama così da almeno due decenni!! Ah ah ah!!! "
Scoppiò in una fragorosa e contagiosa risata, a cui dovetti cedere, guardandoti avvampare per l'ansia invece di sapere. 
"Vi prego... diteci!"
Chiedesti perentoria.
"Oh... perdindirindina!! Tu non ridi mai, ragazza? Mi ricordi... una persona... Ah ah!!"
Smorzò lentamente la risata, per osservarti meglio. 
"Dovete perdonarmi... Abbiamo urgenza di trovare mia zia Léonie Geraldine de Jarjayes, sposata con il barone di Dunguaire! Cosa stavate dicendo a suo riguardo, di grazia?"
Ti facesti più gentile infine, avvicinandoti con la sedia per ascoltare meglio il suo racconto. 
Lei ti sorrise, mentre continuava a mangiare. Poi guardò entrambi, si pulì la bocca con un fazzoletto sgualcito e strizzò gli occhi.
"È impazzita!!"
Rimanemmo immobili, con la fronte corrugata e un'espressione indecifrabile sul volto. 
"Cosa??"
Chiedesti tu per prima. La donna sospirò e poi si fece più vicina.
"Dicono che viva di ricordi, aggirandosi di notte per i lunghi corridoi pieni di spifferi, tra i fantasmi del castello!"
Disse annuendo con teatralità. Scoppiai a ridere.
"E sir Harry? Lui invece si trascina per il castello con una catena attaccata alla gamba?"
Chiesi continuando a ridere, passando una mano sulla fronte, tra i capelli.
"Potrebbero essere solo favole o racconti nati per alimentare un leggenda, un pettegolezzo... "
La tua voce ad un tratto flebile come la brezza più pacata. La nostra amica mi sorrise per poi farsi di nuovo seria.
".... dicono che si disperi per un diadema di smeraldi scomparso o una cosa così... e a volte... l'eco delle sue urla si ode fin nelle valli!"
A queste parole mi schiarii la voce e tu abbassasti lo sguardo sulle tue mani, per poi cercare il mio. 
"Un... diadema?"
Chiesi io con un filo di voce. Certo il racconto era alquanto inquietante, ma noi eravamo diretti lì e di certo la vecchia ci stava prendendo in giro.
"Beh... il castello di Dunguaire è proprio qui, dietro la collina, ragazzi! Ora vi saluto, tra un po' calerà la nebbia e l'aria umida non mi fa bene... soffro di dolori alle ossa... "
Disse con la voce arrochita dall'età, come le mani, grinzose seppur stranamente eleganti ed affusolate. 
"Avete bisogno di qualcosa? Possiamo aiutarvi? "
Dicesti alzandoti dalla sedia, tenendo stretta la tua borsa, facendoti accorata davanti a lei, una donna alta per la sua età. La tua generosità sincera la colpì e i suoi occhi si fecero deboli, quasi liquidi. 
"No, grazie ragazza... sei gentile e... molto bella, sai?"
Le sue labbra tremarono un po' nel dirlo e la sua mano rimase a mezz'aria, quasi volesse provare ad accarezzarti. 
"Addio... beh... è stato un piacere! "
Ci salutò in fretta, mentre apriva con fatica la pesante porta di legno massiccio. Uscì dalla taverna e ci scordammo di lei. Presi mantelli e borse ci avviammo a passi vigorosi al castello di Dunguaire, convinti di non credere ad una sola delle dicerie del posto, ma consapevoli di aver provato un sottile brivido percorrerci la schiena al racconto di quella donna bizzarra.
Arrivare a piedi era davvero un'impresa nelle nostre condizioni, eravamo sfiancati e il castello si trovava nella contea di Galway, la zona occidentale dell'isola, a Kinvara per l'esattezza, che non si trovava proprio a due passi. Fortunatamente, dopo un'ora di cammino, ci raggiunse un carro diretto da quelle parti, che ci permise di salire e farci spazio tra i fasci di legna appena raccolta.
Durante il viaggio di circa un'altra buona ora, parlammo con spensieratezza, tenendoci per mano, guardandoci quasi increduli, forse addirittura sognanti... 
Eravamo finalmente solo noi... e tutto il resto non aveva più alcuna importanza, il passato era lontano. Eravamo immensamente felici e nelle nostre mani intrecciate lasciammo crescere ed avvilupparsi il germoglio della speranza di poter vivere pienamente il nostro amore per il resto della nostra vita.
Una volta arrivati nelle terre dei Templemore, l'uomo ci fece scendere, mostrandoci il sentiero che portava direttamente all'entrata principale del maniero. 
"Sei stanca, non è vero?"
Ti chiesi non appena il carro riprese a muoversi, trovandoti particolarmente pallida.
"No... sto bene André! Davvero, andiamo adesso!"
Ti accarezzavo una guancia mentre parlavi con dolcezza. Non potemmo godere di molti momenti di tenerezza durante tutto il viaggio da Brest e iniziavamo a sentirne la pungente mancanza. 
"Si... hai ragione! Meglio sbrigarsi, sta già scendendo un po' di nebbia. Rischiamo di perderci tra le colline!"
Dopo un rapido bacio sulle labbra presi la borsa e me la misi a tracolla, alzando poi il cappuccio del mantello. 
"Copriti anche tu Oscar, inizia a fare freddo!"
Ti dissi con premura, subito dopo un tuo profondo colpo di tosse.
"Ho solo un po' di tosse André!"
Sorridevi serenamente mentre parlavi ed eri al settimo cielo, per l'imminente incontro con tua zia Léonie. Ci incamminammo a passo affrettato, seguendo una stradina sterrata che si ricongiungeva con un cancello basso in ferro battuto. Una volta oltrepassato, ci trovammo finalmente di fronte al castello, e restammo senza parole. Quello che ci ritrovammo ad osservare era un paesaggio surreale, talmente sospeso tra sogno e suggestione da non sembrare reale e terreno. 
"Dio... che posto incredibile!"
Dissi io con la voce spezzata, rimanendo a bocca aperta.
"André... è su uno specchio d'acqua!"
Annuii, prendendoti per mano mentre proseguivamo il nostro cammino sul terreno madido. Non era imponente o sfarzoso come potevamo aspettarci, svettava verso il cielo con un'unica grande torre di pietra grigiastra su una struttura più bassa, ed essendo affacciato su un'ansa dell'oceano, il suo riflesso sull'acqua rendeva il paesaggio degno di un sortilegio. 
Era davvero incantevole.
Affianco all'alto portone di legno trovammo un portoncino basso, di sicuro più utilizzato per i passaggi veloci dai servitori e i padroni. 
Iniziammo a chiamare e a bussare.
"C'è nessuno? Ehilà!! Ci potete udire?"
Provai a battere sul legno con più vigore, stava scendendo la notte e non desideravo rischiare di passarla all'addiaccio. 
"Guarda André, sta arrivando un uomo con una torcia!"
Si avvicinò un uomo dai capelli grigi, vestito in elegante velluto color bordeaux. Di certo si poteva considerare un servitore.
"Seguitemi prego!"
Parlava francese ma non ne restammo stupiti. 
"Questo vuol dire che mia zia è viva!"
Dicesti piano al mio orecchio, con gli occhi che vibravano nella magra luce delle scintille. 
"Speriamo solo che abbia tutte le rotelle a posto!"
Bisbigliai io mentre entravamo nell'atrio grande, dal soffitto alto e dagli imponenti lampadari circolari, da cui arrivava l'alone di luce di alcune candele accese.
"Vi porto nelle vostre stanze, vi prego di seguirmi... Miss Agnes sarà la vostra cameriera personale."
Ci mostrò lo scalone di legno che portava al centro della torre, dove risiedevano le camere da letto.
"Scusate ma... la proprietaria, Lady Templemore... è viva, non è così?"
"Certo Milady! "
Sospirammo di sollievo, guardandoci poi sorridenti.
"Oscar François! E lui è André Grandier! "
"Lady Templemore mi ha dato queste indicazioni... Vi onorerà della sua presenza domani a colazione, nella sala grande. Ora vi prego di seguirmi."
"Ma io sono sua nipote.... e lei come faceva a sapere del vostro arrivo?"
"Domani... Milady..."
Rispose soltanto e prese la mia borsa, poi iniziò a salire le scale e, seguendolo rassegnati, arrivammo nella stanza da letto degli ospiti che ci avevano assegnato. Era spaziosa e alla parete di fronte al camino, in cui già si agitava un bel fuoco, era posto un sontuoso letto a baldacchino, con pesanti tendaggi di velluto rosso porpora.
Il servitore ci augurò la buonanotte e chiuse rumorosamente la porta. 
"Beh... adesso inizio davvero ad avere paura!"
Dissi fingendo di rabbrividire, chiudendo a chiave la porta di legno scuro. Ti guardai per qualche attimo, poi scoppiammo entrambi in una fragorosa risata.
"André... Smettila! Non ci sono fantasmi qui, cuor di leone!"
"Se lo dici tu..."
Ero già sulle tue labbra, dopo essermi avvicinato lentamente, mentre ti levavi il mantello pesante, la borsa e il giustacuore.
"Oh... mi è mancato l'odore della tua pelle..."
La tua voce era miele liquido sul mio collo, su cui le tue dita si infilarono delicate, per slacciare il nodo dello jabot.
"Anche tu...Oscar... "
La tua bellezza mi toglieva il respiro e tutto ciò che desideravo in quel momento era averti tra le braccia, senza nulla che impedisse alla nostra pelle di sfiorarsi, per riconoscersi. 
Qualche colpo di tosse ti trasse all'improvviso da me.
"Cos'hai amore mio? "
Ti chiesi dolcemente, continuando ad accarezzarti le spalle.
"Nulla... sono solo stanca... e forse un po' raffreddata... "
Gli occhi un po' cerchiati di scuro, il respiro corto e irregolare, tutto parlava di troppe emozioni e troppa fatica. 
"Andiamo a letto allora, vieni... "
Ti presi in braccio, barcollando anch'io per la stanchezza e mentre ridevi, abbandonavi la testa sulla mia spalla e accarezzavi il mio petto. 
Ti adagiai sul letto alto, lasciandoti sprofondare tra le voluminose coperte eleganti. Ti sentii sospirare profondamente quando iniziai a spogliarmi. Lasciai i vestiti su una poltrona dallo schienale alto e mi avvicinai completamente nudo al letto, per poi sdraiarmi al tuo fianco, sotto le pesanti coperte. Trascinai la testa sul cuscino fino a poterti vedere bene. I tuoi occhi nella penombra risaltavano ugualmente, per la bellezza della loro trasparenza, e brillavano come diamanti, come meravigliosi gioielli che facevano di me un ladro... un dannato e un impenitente.
"Sei bella da spezzarmi il respiro... "
Un sorriso mentre restavi supina, sopra le coperte e il cuscino, celato dai tuoi lunghissimi boccoli biondi.
Ne presi uno tra le dita, mentre ti osservavo adorante iniziare a scoprire la tua pelle di seta. Ansimai piuttosto forte quando slacciasti i pantaloni e i lacci della camicia, mantenendoli però addosso. Avrei potuto impazzire in quel momento. 
"Spogliami tu..."
Il tuo timido ma lussurioso sussurro mandò in frantumi ogni mio riserbo e incendiarono il mio ventre, già teso dal desiderio. Steso su un fianco, sollevai il busto e dopo un sorriso e una carezza al tuo viso, nel silenzio assordante di un momento carico di attesa, ti liberai in fretta dei pantaloni, trascinandoli oltre i fianchi e le gambe. Feci risalire poi piano la mano, dalla tua caviglia alla tua coscia, verso l'interno, cercando la parte più calda di te, scivolosa come i tuoi ansimi, che mi chiamavano seducenti e sempre più insistenti. Le tue mani premevano sul mio petto e sulle mie spalle, poi si infilarono tra i miei capelli, per giocare con i riccioli umidi e neri. Rimaneva da levarti la camicia, così la feci scivolare via dalle tue braccia sollevate e dalle testa, svelando il tuo ventre bianco e teso e le rotondità dei tuoi seni, celati in parte dai riccioli biondi.
Bella come una dea, come una visione, come nessun altra donna poteva essere....
Un bacio che toglieva il respiro appena rimanesti nuda come me.
"Vieni sotto le coperte però... Ti gelerai altrimenti... "
Bisbigliai al tuo orecchio, con il respiro affannoso e il cuore che pulsava forte. 
"Forse è meglio... Già inizio a tremare... "
Ti sdraiasti su un fianco come me. Nel pacato silenzio della stanza solo il crepitio di un fuoco che divampava e il rumore bagnato delle nostre bocche e delle nostre lingue esigenti ed eccitanti. Iniziammo a strusciarci, con le gambe annodate e agitate, intuendo le forme del nostro desiderio farsi sempre più vicine. 
"Ti amo..."
Ti ansimai sul labbro, mordendolo piano, molto piano... Poi sorrisi, prima di scendere sul tuo collo lungo e invitante, liscio e bollente come un petalo di rosa baciato dal sole di agosto.
"André.... Sposami André!!"
Una voce ardente, una richiesta meravigliosamente vera e struggente.
"Oscar... "
Un piccolo gemito di sorpresa dalle mie labbra, rimaste schiuse mentre cercavo i tuoi occhi.
"Voglio che tu mi dica... che io diventerò tua moglie... Tua moglie André! È dalla notte a quella locanda che desidero chiedertelo... "
Il tuo volto innamorato poggiato sul cuscino, al mio fianco, le tue carezze sul mio viso incredulo, un sogno... doveva trattarsi di un sogno... o di un sortilegio.
"Non mi rispondi? "
Ridesti con una dolcezza disarmante. 
"Si... Oscar... si! Certo!! Diventerai mia moglie! L'ho sempre, disperatamente desiderato! Anche se non... "
Cercasti la mia mano per intrecciarla alla tua. 
"Ssh.. non dire più niente. Non ci sono più barriere adesso, non esiste rango o classe o... scelte di... di vita... che possano allontanarci... Mai più André!! "
Non riuscii più a rispondere, sentivo gli occhi velati di una felicità inesprimibile a parole. Presi il tuo viso tra le mani, dolcemente, per avvicinarti ancora di più a me. 
Le dita tremavano nella leggerezza dei tuoi capelli, mentre entravo lentamente in te e cullavo con lentezza i tuoi fianchi in un movimento circolare sempre più veloce. 
"Sono tua... André... "
Mi sussurrasti con una voce tremendamente bassa e calda, ubriacandomi di piacere e felicità. 
"Dillo ancora... dillo ancora..."
Una supplica quasi a vibrare tra i nostri profili vicini, le labbra appena sfiorate, come le punte tumide dei tuoi seni a stuzzicare il mio petto e i tuoi gemiti sulle mie parole ardite.
"Sono tua..."
Un ultimo barlume di luce e ragione, poi furono soltanto ombre negli occhi, pelle bollente, baci esigenti e bisogno disperato di sentirti di più, più dentro, più mia... 
Perché troppo inebriante era la consapevolezza della felicità, che arriva come un'improvvisa pioggia di luce sull'oscurità. 
~
La mattina dopo aprii gli occhi con fatica, li sentivo pesanti, come tutto il corpo, intorpidito. Mi sorprese vedere la stanza colpita da un bel raggio di sole e il primo pensiero fu quello di portarti a visitare il parco del castello, approfittando di quello spicchio di luce tiepida. Tu dormivi ancora profondamente e non esitai a perdermi nell'ammirarti silenzioso e incantato. Eri così abbandonata, così chiara, così teneramente inconsapevole della tua bellezza. Accarezzai con la punta delle dita i tuoi capelli sottili, spostando un ricciolo dalla tua fronte, cercando poi di celare la tua pelle alla luce del giorno, coprendoti bene con le coperte, diventate un mucchio informe di broccato, seta e lenzuola. Pensai alla nostra notte d'amore, e alla nostra promessa. 
"In primavera... ti sposerò in primavera, Oscar... "
Mormorai ancora frastornato e commosso, sfiorandoti una guancia, accorgendomi però che scottavi.
"Hai un po' di febbre... "
Mi morsi un labbro, scuotendo la testa, era stato tutto troppo semplice... Mi rivestii in fretta, dopo essermi deterso con dell'acqua fredda e del sapone scuro. La febbre sembrava non essere però troppo alta e quindi attesi semplicemente che ti destasti da sola, senza interrompere il tuo sonno ristoratore. 
Andai alla finestra, scostai del tutto le tende pesanti, poi aprii di poco le vetrate alte per affacciarmi e poter ammirare i dintorni del vecchio castello. Colline morbide e verdeggianti, magnolie e camelie tra i sentieri di alberi di tasso...
"È bellissimo... "
Sussurrai, incantato da quel posto meraviglioso. Chiusi piano le finestre, pensando che da lì a poche ore avremmo saputo tutto circa i proprietari di quella fantastica tenuta. Mi voltai poi di scatto verso il letto, sentendoti tossire. 
"André..."
Mi chiamasti, cercandomi con lo sguardo per la stanza, arredata con mobili pregiati ed eleganti. 
"Sono qui! Come ti senti?"
Ti raggiunsi subito, sedendomi sul bordo del letto a baldacchino. 
"Avremmo dovuto tirare le tende del baldacchino ieri sera... credo che tu abbia un po' febbre.. "
Dissi preoccupato, ma tu ti mettesti in piedi, spostando le coperte tra i tremiti della febbre, prendendo solo un lembo di lenzuolo per coprirti il petto. 
"Non sto così male... stai tranquillo."
"Hai la febbre Oscar... dovresti stare a letto!"
Un sorriso incerto sulle tue belle labbra.
"No André, dobbiamo scendere e incontrare mia zia! Dopo mi riposerò... te lo prometto amore... "
Ti accarezzai la fronte e le spalle, poi presi i tuoi abiti e ti aiutai a vestirti il più velocemente possibile. 
Una volta entrambi presentabili, scendemmo nella grande sala da pranzo, dove eravamo attesi per la colazione. Il grande tavolo rettangolare era imbandito e apparecchiato per tre persone. Il sole che entrava dalle vetrate colorate si rifletteva sulle argenterie pregiate e sui cristalli del grande lampadario, creando giochi di luce colorata sulle pareti e tutto intorno attorno a noi. 
"Che meraviglia André!"
Ti presi per mano. Tremavi, ma forse l'emozione in quel momento s'imponeva su tutto, anche sul tuo malessere. 
"Lady Templemore signori!"
Il maggiordomo alle nostre spalle annunciò l'arrivo di tua zia Léonie Geraldine de Jarjayes.
~•~•~

Ci siamo carissimi, il prossimo capitolo, che ho già scritto, concluderà questa piccola storia. Grazie di leggere e seguirmi sempre, vedo che siete moltissimi ed è un'emozione ogni volta, soprattutto per chi come me ha iniziato da poco a scribacchiare. 
Un abbraccio e tantissimi auguri di buon compleanno a Pamina! :-)
Vi aspetto!
Cecile 

   
 
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