Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Robin Nightingale    28/01/2016    1 recensioni
Piccola raccolta di ricordi.
Kanon di Gemini ricorda vari momenti della sua vita: dall'infanzia, all'adolescenza, alla sua vita al Santuario e, soprattutto, ciò che di più prezioso possiede.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I giorni successivi alla tua investitura li trascorsi rigirandomi nel letto.
Non avevo alcuna voglia di uscire, né di vedere nessuno, così mi sono chiuso in quelle piccole quattro mura, circondandomi solo da noioso silenzio.
Uscivo solo in caso di necessità, per mangiare e andare in mensa, ad esempio; poi, con il passare dei giorni, cominciai a farmi portare lo stretto indispensabile in casa, fingendo di essere malato.
Non che le mie condizioni di salute fossero davvero importanti, dopotutto io non ero più in gara per le sacre vestigia e non avevo più alcun obbligo verso le ferree regole del Santuario: se mi allenavo o meno, non importava più a nessuno e, dopo poco, non importò più neanche a me.
Steso su quel letto, avevo persino perso la cognizione del tempo; non riconoscevo il Lunedì dalla Domenica; Agosto da Ottobre; le otto di mattina dalle due del pomeriggio.
Da quando avevi lasciato la piccola baracca per la più lussuosa Casa dei Gemelli, il tempo stesso sembrava essersi fermato.
Dopo il nostro compleanno ci siamo allontanati nuovamente: durante i tuoi primi giorni da cavaliere, mi venivi a trovare, giusto il tempo di una chiacchierata e poi sparivi nel nulla in compagnia del tuo inseparabile amico, entrambi ricoperti d’oro.
Parlavi sempre di doveri e di missioni; eri felice, i tuoi occhi si illuminavano ogni volta che parlavi della tua nuova posizione.
Io ti ascoltavo in silenzio, o meglio: fingevo di provare reale interesse per le tue parole, mentre nella mia mente non facevo che ripetere  quanto tutto ciò fosse ingiusto, perché dovevo esserci io al tuo posto.
Era così che doveva andare, ma il destino è stato infame per l’ennesima volta.
D’un tratto sei sparito. Non ti vedevo da giorni, forse settimane, o addirittura mesi.
Un’altra missione?
Mi chiesi, mentre poggiavo la testa sotto il cuscino, poco incline ad alzarmi.
Sì, certo che eri in missione. Un così forte e prode guerriero non può certo starsene con le mani in mano, pensai.
Da poco avevi preso l’abitudine di andar via senza dire nulla, neanche un saluto fugace; troppo impegnato per prestare attenzione ad un umile…cosa? Che cos’ero veramente?
Niente, assolutamente niente!
Lanciai via il cuscino arrabbiato, colpendo la piccola lampada sulla scrivania e mandandola in frantumi.
Indifferente mi voltai verso quel piccolo incidente e non me ne curai, anzi. Un secondo dopo, nella mia stanza irruppe un’ancella spaventata  e allo stesso tempo sorpresa nel vedermi in piedi.
 
<< Cos’è successo? >>
 
<< Non lo vedi? Si è rotta la lampada >>
 
Risposi indispettito a causa della sua poca arguzia.
 
<< Perché non stai più attento? >>
 
<< Perché non cominci a pulire, piuttosto? E poi, non mi sembra che tu sia autorizzata  a rivolgerti a me con questo tono! >>
 
Mi guardò indignata: non ero mai stato così insolente prima d’ora, per di più con gli inservienti, che fino a quel momento avevo sempre rispettato.
Lei diventò paonazza in volto; ero convinto che, se avesse potuto e se ne avesse avuto il coraggio, si sarebbe sfilata la scarpa e me l’avrebbe lanciata addosso senza alcun rimorso.
 
<< Tu non sei un… >>
 
<< Un cavaliere? >>
 
Terminai la frase al posto suo e facendole il verso, cosa che la fece adirare ancora di più. Il suo volto era bordeaux, quasi viola e le rughe che aveva in fronte molto più marcate.
 
<< Rimetti a posto! >>

Le ordinai con sguardo assassino; impaurita chinò la testa in segno di scuse, per poi obbedire ai miei ordini senza più replicare.
Ghignai soddisfatto, almeno potevo vantarmi di incutere timore alla servitù.
E ciò mi deprimeva ancora di più.
Entrato in cucina trovai la mia solita colazione composta da brioche, marmellata di fragole e, ormai, l’immancabile tazza di caffè.
Mi fiondai sul barattolo di marmellata, ignorando il resto.
Le mie giornate trascorrevano così: affogavo la mia frustrazione nello zucchero, per poi tornare a letto a dormire. Quando non avevo voglia di riposare, mi dedicavo alla lettura, e mi chiedevo quanto essa potesse mai rilassarti, considerando quanto fosse noiosa!
Non sentivo nemmeno la necessità di far entrare un piccolo spiraglio di luce dentro casa, non alzavo le tapparelle dal giorno del nostro combattimento, e avrei tagliato la mano a chiunque avesse anche solo pensato di farlo.
 
<< Ho rimesso a posto la tua camera >>
 
Esordì l’anziana ancella con tono solenne, entrando silenziosamente nella stanza.
 
<< C’è qualcosa che posso fare per voi? >>
 
Domandò con finta riverenza, ancora infastidita per il mio comportamento; io continuai a mangiare imperterrito, senza neanche alzare lo sguardo verso di lei.
 
<< Perché non te ne vai e mi lasci in pace?! >>
 
Dissi infine, stufo di trovarmela lì, impalata sulla soglia della porta, in attesa che le dicessi qualcosa.
 
<< Tu non eri malato? >>
 
Domandò ignorandomi.
Dall’alto del suo metro e sessanta scarso, mi guardò sospettosa e indagatrice.
 
<< Dovresti essere a letto.. >>
 
Mi canzonò, vedendomi nel pieno delle mie forze, mentre addentavo uno dei cornetti che mi aveva portato.
A quel punto alzai lo sguardo verso di lei furioso; la rabbia era talmente tanta che, il barattolo di marmellata che stringevo tra le mani, a causa della forza smisurata, mi si sbriciolò tra le mani.
 
<< E tu dovresti andartene, sguattera! >>
 
Sbottai facendola trasalire.
Il tavolo traballò e temendo una mia totale perdita di controllo, impaurita, decise di pormi le sue scuse e andare via.
Nello stesso momento in cui stava per uscire, tu varcasti la soglia di casa e per un attimo il viso di lei si rasserenò, tanto da ritrovare il coraggio perduto e sibilare tra i denti un semplice, quanto doloroso “piccolo mostro” carico di disprezzo nei miei confronti.
Dopo averti elogiato, si dileguò, lasciandoti interdetto.
Una volta soli, cercasti spiegazioni che non sono mai riuscito a darti: mi sentivo in colpa, ma allo stesso tempo non mi dispiaceva per il modo in cui mi ero comportato; a dir la verità, ero quasi divertito.
 
<< Nessuno mi chiamava così da ben sei anni >>
 
Contestai tra me e me, ridendo compiaciuto, mentre tu sembravi disgustato.
Prima che potessi dire qualcosa, mi alzai dal tavolo e mi lavai le mani; le asciugai lentamente sulla tovaglia; ti diedi solo una leggera occhiata di sfuggita e poi mi sedetti nuovamente, cominciando a zuccherare il mio caffè con dei gesti quasi meccanici, aspettando una qualsiasi mossa da parte tua.
Lentamente sfilasti l’elmo dalla testa e lo poggiasti sul tavolo con altrettanta lentezza. Lo stringevi come se fosse una reliquia, quasi avevi paura che si sporcasse o danneggiasse, atteggiamento che trovai ridicolo, ma questo fu solo un pensiero che tenni per me.
 
<< Dobbiamo parlare >>
 
Il tuo esordio non era dei migliori, considerando il respiro profondo che lo aveva preceduto, pensai, mentre cominciavo a sorseggiare quella bevanda scura, che ad ogni goccia mi sembrava sempre più amara.
Da un momento all’altro mi aspettavo una lunghissima paternale sul mio comportamento, le mie risposte poco cortesi, o proprio sul mio caffè e sul quanto fosse poco salutare per me, per quel che ti importava.
Sapevo che morivi dalla voglia di farlo, ma io non avevo alcuna voglia di ascoltarti.
 
<< Sparisci senza dire nulla. Torni. Non mi saluti neanche e mi dici che dobbiamo parlare? >>
 
Hai abbassato lo sguardo colpevole; ero bello sapere che ti rendevi conto di sbagliare, pur non ammettendolo.
 
<< Non ho avuto molto tempo >>
 
Questa era la tua giustificazione. Era la tua giustificazione per tutto, ultimamente.
Scrollai le spalle indifferente, decisamente troppo stanco per continuare a discutere sugli stessi argomenti, senza trovare una soluzione e ritrovarci costantemente al punto di partenza.
Non avevo più voglia di correrti dietro.
Il tuo sguardo si posò sulla mia colazione e subito emerse un radioso sorriso carico di speranza. Io alzai il sopracciglio interdetto, non cogliendo il motivo di quella strana felicità.
 
<< Non c’è niente per me? >>
 
<< Marmellata di fragole >>
 
<< Ma a me non piace.. >>
 
<< Allora non c’è niente >>
 
Il tuo entusiasmo svanì così come era venuto: in un lampo.
Sembravi deluso dal mio tono secco e brusco, forse speravi che da bravo fratello chiamassi un’ancella e le ordinassi di portare chissà quale genere di leccornia, e solo perché tu eri tornato. In realtà te lo aspettavi, in fondo io ero qui seduto ad aspettarti, mentre tu eri impegnato in giro per il mondo, fin troppo per farmi avere tue notizie.
Assurdo come da aspirante cavaliere mi fossi tramutato in una sorta di mogliettina apprensiva, costantemente in ansia per le condizioni del marito in guerra.
In cosa mi avevi tramutato? Credevi davvero che ti avrei accolto a braccia aperte, quando era palese che la mia presenza era solo un peso per te?
No, infatti. Eri fin troppo intelligente per farti sfuggire qualsiasi tipo di particolare, persino la mia silenziosa voglia di sbatterti fuori di casa a calci; eppure sei rimasto lì, con quella faccia da cane bastonato, mentre disegnavi dei cerchi immaginari sul tavolo e con voce fin troppo bassa e incerta per uno come te.
 
<< Perché non ti vesti e andiamo a farci un giro? >>
 
Ho dovuto sporgere l’orecchio per riuscire a comprendere a pieno le tue parole.
 
<< Non avevi qualcosa da dirmi? >>
 
<< Infatti >>
 
<< Allora dimmela! >>
 
Risposi esasperato, gettando con rabbia la tazzina di caffè nel lavabo.
Il tuo strano sobbalzo mi insospettì non poco: non ho mai creduto che un Gold Saint potesse impaurirsi per così poco, a meno che non fosse totalmente distratto.
Così cominciai a squadrarti meglio e notai un certo nervosismo: non era da te giocherellare con i capelli, o rigirarti continuamente le dita, talvolta anche contorcendole in modo quasi compulsivo. Il tuo sguardo era triste e preoccupato al tempo stesso, sudavi freddo e tuoi tic nervosi aumentavano ogni minuto.
 
<< Non ho molto tempo >>
 
<< Questo l’hai già detto. Perché non ti decidi a parlare, così l’Indomito Sagittario non sentirà più la tua mancanza? >>
Stizzito, roteasti gli occhi stizzito, massaggiandoti le tempie , il tutto sotto il mio ghigno divertito. Mi piaceva stuzzicarti, mi piaceva vederti stufo delle mie continue frecciatine, che ogni giorno diventavano sempre più velenose.
 
<< So che sei arrabbiato, ma non c’è motivo di essere geloso >>
 
Sgranai gli occhi e cominciai a ridere di gusto.
Dal rossore del tuo volto, ho dedotto di averti fatto infuriare, ma più guardavo il tuo sguardo serio, più non riuscivo a trattenermi. Mi sono preso il merito di aver cacciato via la tua ansia, nonostante la tua palese voglia di prendermi a schiaffi.
Ci ho sempre sperato. Ho sempre desiderato litigare, vederti uscire da quella porta e non farvi ritorno per un bel po’ di tempo, magari altri lunghissimi mesi.
 
<< Hai finito? >>
 
La tua pazienza era al limite e solo in quel momento sono riuscito ad alzare la testa e a riprendere il controllo, nonostante le lacrime agli occhi.
 
<< Sì…molto divertente! >>
 
<< Se hai finito di fare il buffone, avrei qualcosa di importante da dirti! >>
 
<< E io ti sto ascoltando, ma invece di andare dritto al punto, mi accusi di essere geloso di quel burattino che ti porti dietro! >>
 
<< Ancora con questa storia?! Perché non cresci mai? Ti sto chiedendo di ascoltarmi, ma sembra non te ne importi nulla, anzi ho come l’impressione che tu voglia solo litigare! >>
 
Non ho risposto, la mia faccia era fin troppo eloquente, tanto da rendere superflue persino le parole.
Ero addirittura con le braccia conserte in attesa che tu andassi via; era palpabile la tua delusione, ma non mi sono mai pentito per come mi sono comportato. Ero sicuro che, se fossi stato gentile e comprensivo come al solito, alla prima occasione mi avresti ferito di nuovo, e non potevi più permettertelo.
 
<< Devi sempre rendere le cose complicate, non è vero? >>
 
Quel sorriso amaro e i tuoi occhi chiari, che cominciavano ad inumidirsi, mi diedero una fitta al cuore; erano quasi riusciti a farmi cedere, così preferii volgere lo sguardo altrove e sentirmi meno colpevole.
Giocavi con il tuo prezioso elmo, rigirandolo tra le mani, fino a quando non hai deciso di sederti anche tu. Uno di fronte all’altro.
 
<< Visto che la mia presenza ti è poco gradita, sarò breve >>
 
Se tu non mi avessi trattato come un semplice contorno della tua vita, non avrei mai desiderato di cacciarti, ma ho preferito rispondere con un sospiro, piuttosto che litigare e poi pentirmi.
 
<< Quando sono diventato cavaliere, il giorno stesso della mia investitura, il Grande Sacerdote mi ha affidato una missione importante che fino ad oggi ho lasciato in sospeso. Ho tergiversato a lungo, sono stato richiamato ed è giunta l’ora di porre fine a tutto questo.. >>
 
<< Sei venuto fin qui per dirmi che hai del lavoro arretrato? Beh, mi fa piacere, ma non capisco perché questo debba interessarmi… >>
 
<< Devi andare via, Kanon >>
 
Un brivido mi percorse lungo tutta la schiena e il mio cuore si fermò.
Quella frase lo aveva colpito con così poco preavviso, senza neanche un indizio, lo stesso che io avevo rifiutato negandoti una semplice passeggiata, che altro non era che un tuo tentativo di temporeggiare. Strabuzzai gli occhi incredulo, per un momento ho sperato di aver sentito male; forse quel “devi”, in realtà era un “dobbiamo”, ma la tua faccia dispiaciuta non dava spazio a questa mia personale ipotesi.
 
<< Devi lasciare il Santuario, Kanon >>
 
Hai abbassato lo sguardo, come se ti sentissi colpevole, mentre io sono rimasto a bocca aperta.
Ti sei alzato e in un vano tentativo di consolazione hai provato a stringermi la mano, ma in un moto di rabbia ti ho allontanato, colpendoti al petto con tutta la forza di cui disponevo.
Avevo gli occhi umidi, stavo lottando contro me stesso pur di non mostrarmi debole, anche se eravamo soli; il mio gesto ti aveva ferito, hai tentato di consolarmi con un’insulsa carezza, ma ancora una volta mi allontanai.
Non c’era niente che potessi dire o fare per consolarmi, lo sapevi bene, altrimenti perché faticavi a guardarmi negli occhi? Hai lasciato che tutto ciò accadesse, senza mai opporti, e non è passato giorno in cui non mi chiedessi perché.
 
<< Vedo che, alla fine, sei riuscito a coronare il tuo sogno >>
 
Dissi ironico, con un sorriso rassegnato, in fin dei conti non mi rimaneva altro da fare.
 
<< Non ho realizzato nessuno sogno >>
 
<< Adesso niente e nessuno si metterà tra te e il tuo nobile cavaliere! >>
 
<< Tieni fuori Aiolos da questa storia, lui non c’entra niente! E lo stesso vale per me! >>
 
<< Certo, dimenticavo che tu sei solo un nobile servitore della giustizia ed esegui solo degli ordini. Se ti avesse ordinato di uccidermi, lo avresti fatto, non è vero? Perché non capisci che è solo una scusa per separarci? E’ quello che hanno fatto sin dall’inizio! Non pensi a quello che ne sarà di me una volta andato via? Perché devo andarmene? >>
 
Ti ho dato un pugno, appena sopra lo zigomo destro. Non mi sono controllato e il modo in cui difendevi a spata tratta il tuo amico, non ha certo contribuito a calmarmi. Tu, però, ti sei lasciato colpire: era troppo prevedibile per un guerriero di così altro rango; avresti potuto schiavarlo con estrema facilità, ma hai preferito lasciarmi sfogare, come a voler ammettere la tua colpa.
Subito dopo alzai la mano per colpirti nuovamente, ma mi hai fermato la mano a mezz’aria.
Con un rapido gesto mi asciugasti le lacrime, che senza alcun ritegno rigavano il mio volto deluso.
 
<< I confini del Grande Tempio sono destinati solo ai cavalieri di Athena. Chiunque non faccia parte delle sue schiere deve andarsene, in modo che i suoi segreti non vengano condivisi, o divulgati in territori nemici. Queste sono le regole >>
 
Le tue parole mi disgustarono al tal punto da spingerti via e dal sentirmi sporco solo al sentirti parlare. Come potevi condividere certe assurdità?
Stavo vivendo un incubo, ne ero sicuro, non riuscivo a trovare una valida spiegazione.
 
<< Sono qui da anni! E’ tardi perché non conosca i vostri maledetti segreti, non credi?! >>
 
<< Non ti rivolgere a me con questo tono! Non sono io che decido, non sono parole mie, non ho mai voluto cacciarti via! >>
 
<< Parlo come meglio credo, non darti arie da Gold Saint con me e limitati a fare il fratello maggiore! Sono solo al mondo, te lo ricordi?! >>
 
Silenzio; non ho mai capito se hai preferito rimanere zitto,  o non sapevi minimamente cosa rispondere.
Ti ho odiato con tutta la mia anima in quel momento; più chiedevo spiegazioni, più non ricevevo risposta. Stufo della tua esitazione, senza aggiungere altro sono andato in camera mia, sotto il tuo sguardo attento.
Diedi un calcio all’armadio, distruggendo una delle ante, per poi cominciare a rovistarvi dentro in cerca delle mie cose.
 
<< Che stai facendo? >>
 
Domandasti sulla soglia della porta, incerto se entrare o meno.
Ti fulminai. Non sopportavo quella tua finta ingenuità, soprattutto dopo avermi sbattuto per strada senza neanche protestare.
Sistemavo le mie cose alla rinfusa, stropicciando tutto il mio intero vestiario: a cosa mi servivano dei vestiti perfettamente stirati, quando vivevo abbandonato in un angolo della strada?
Sapevo che mi stavi osservando, ho contato fino a cinque, sicuro che mi avresti fatto la ramanzina sulla poco grazia e cura con cui trattavo i miei affetti, ma invece di cominciare a criticare, mi hai semplicemente afferrato il braccio.
 
<< Vieni con me >>

Con forza mi trascinasti fuori dalla stanza; tentai di opporre resistenza, ma la tua stretta era fin troppo solda da non permettermi via di fuga.
Avevi una forza incredibile, tanto che il mio braccio divenne ancora più bianco del solito: mi stavi stritolando e senza rendertene conto.
Le dita fredde e ricoperte d’oro non ti permettevano di calibrare bene la forza, tanto che cominciai a tirati i capelli pur di farti allentare la presa.
Dove eravamo diretti, non ne avevo idea e non riuscivo a tirarti fuori una sola parola a riguardo; per un attimo ho temuto che mi stessi letteralmente trascinando fuori dal perimetro del Santuario, e se così fosse stato, giurai a me stesso di disconoscerti come fratello. Avrei mentito fino alla morte a chiunque mi avrebbe chiesto, sarei diventato figlio unico all’improvviso.
Sapevi già muoverti alla velocità della luce e in pochissimi secondi raggiungemmo la meta, che altro non era che la Terza Casa dello Zodiaco, quella dei Gemelli.
Mi trascinasti all’interno delle stanze private e lì rimasi meravigliato: seppur l’arredamento fosse molto spartano, era ben visibile come tu vivessi nel lusso, servito e riverito, probabilmente, mentre io, a confronto, sembravo un lurido straccione con a malapena un tetto traballante sulla testa.
La mia agonia finì quando, una volta arrivati in fondo al corridoio, ti sei fermato davanti alla stanza più nascosta dell’intera casa.
Hai aperto la porta in fretta, come se avessi paura che qualcuno ci stesse osservando, e mi ci buttasti dentro. Davanti a me vi era una camera da letto, decisamente più vivibile di quella a cui ero abituato; era spaziosa, luminosa e non vi era solo un vecchio letto scricchiolante, ma anche una libreria, una finestra che dava su Atene, un armadio abbastanza capiente da contenere tutti i miei vestiti, anche se poco me ne importava.
Era incredibile come un tempio così piccolo visto dall’esterno, in realtà potesse contenere più di quattro stanze.
Finito di contemplare la stanza, mi girai interrogativo verso di te, che avevi l’aria di un ladro colto in flagrante.
 
<< Resta qui! >>
 
Pur di marcare il concetto, mi hai dato una leggera spinta.
 
<< C’è tutto quello di cui hai bisogno: un bagno, un letto…al cibo penserò io. Ho un’altra missione da compiere, non so per quanto tempo starò via, probabilmente giorni, o anche di più, quindi devi promettermi che non lascerai queste mura  per nessuna ragione al mondo >>
 
<< Sei pazzo! >>
 
Balbettai senza riuscirmi a trattenere. Era folle, il tuo piano era folle, eri totalmente impazzito e ciò che mi chiedevi era assurdo; ho cominciato a ridere istericamente perché non sapevo in che altro modo reagire ai tuoi evidenti vaneggiamenti.
 
<< Promettilo! Se qualcuno ti vede passerai dei guai, così come li passerò io! Nessuno deve sapere della tua esistenza, tranne me >>
 
<< Vuoi che viva rinchiuso qui dentro?! >>
 
<< No! Ma è l’unico modo che ho per tenerti accanto a me >>
 
Titubante mi allungasti la mano.
L’osservai a lungo, non del tutto convinto di volerla stringere.
Mi proponevi una vita da recluso; una vita che non aveva alcun valore, inesistente, perché io stesso sarei stato inesistente agli occhi degli altri. Tutti avrebbero creduto che me ne fossi andato e in poco tempo si sarebbero dimenticati di me, non sarebbe importato più a nessuno.
Era come se non esistessi, una vera e propria ombra come ero stato additato da tutti.
L’unico modo, avevi detto.  La tua unica soluzione era condannarmi per sempre alla solitudine.
Era davvero questo che volevi per me?
 
<< E’ tutto qui? In tutti questi mesi non sei riuscito a trovare una soluzione migliore? >>
 
<< Non posso separarmi da te e preferisco rinchiuderti qui, piuttosto che lasciarti andare >>
 
Egoista, non eri altro che un egoista.
 
<< Fidati di me >>
 
Mi hai pregato, porgendomi nuovamente la mano.
Non ho saputo dire di no a quella richiesta che, in fondo, sapevo provenire dal più profondo del tuo cuore, così come la tua assurda richiesta.
A modo tuo, hai tentato di salvarmi e te ne sono sempre stato grato.
Ti ho stretto la mano, pur sapendo che avrei sacrificato la mia vita per sempre.
 
<< Come pensi di tenermi nascosto? Gli inservienti puliscono ogni giorno; vi sono soldati che portano missive o vengono convocati dal Grande Sacerdote continuamente; i nostri compagni salgono per le dodici case per pura curiosità e queste ultime non saranno vuote ancora per molto, non ci hai pensato? >>
 
<< Questa è casa mia, Kanon. Nessuno saprà della tua esistenza, se io non voglio >>
 
Non hai aggiunto altro prima di andare via, se non un insulso l’occhiolino per rassicurarmi. Hai indossato l’elmo dei Gemelli e sei scomparso dalla mia vista, lasciandomi solo davanti ad una porta chiusa.
Ho sempre odiato il tuo modo di agire criptico e vago, soprattutto quando rischiavo di perdere la testa.
Non ti ho rivisto per diverso tempo e la Terza  Casa era troppo silenziosa, troppo. Ho rischiato di impazzire del tutto chiuso in quella stanza, senza neanche poter vedere la luce del sole, se non fuori da una delle finestre, o senza poter parlare con qualcuno.
Mi avevi chiuso in una gabbia dalla quale non potevo scappare; ho rimpianto i giorni in cui potevo godere della mia libertà, ma l’ho sprecata chiudendomi in casa. Mi sentivo soffocare da quello stesse colonne che ho sempre desiderato e in un moto di rabbia ho distrutto tutto ciò che mi trovavo davanti, riducendo la mia nuova camera da letto in polvere.


Note
Titolo alternativo: la strafottenza di Kanon.
Avrebbe reso meglio, ne sono sicura.
Buonasera a tutti, miei cari lettori? Sono tornata con un altro capitolo, come al solito lungo, ma già dal precedente mi ero ripromessa di non dire più nulla a riguardo.
E quindi il nostro Kanon deve andarsene, ma in realtà non se ne va. Comunque io proporrei di togliere il dono della parola al nostro caro Saga, e forse anche a suo fratello, che del dolce bambino innocente che abbiamo conosciuto, pare non abbia conservato più nulla.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e, esami permettendo, spero di tornare entro i primi di Febbraio, anche se non prometto nulla.
Un bacio a tutti voi e buona lettura.
P.s: ho sempre desiderato che Saga dicesse "non mi parlare con questo tono", sia da buono che da cattivo e a qualsiasi personaggio, così ho realizzato un mio sogno.
Divagazioni stupide a parte, vi saluto a tutti e, come di consueto ormai, vi aguro una buona notte.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Robin Nightingale