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Autore: Amphitrite    29/01/2016    4 recensioni
“Ho portato un curriculum allo Smithsonian.”
“Cercano donne delle pulizie?”
[...]
“No, stronzo. Guide per la nuova ala.”

Fanfiction post The Winter Soldier, ispirata alla scena dopo i titoli di coda :D
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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6.
 
Si sveglia quando ormai i paramedici sono già arrivati, e l’unica cosa che riesce a fare è cercare con lo sguardo il bastardo tra la folla. Quando lo trova dà in un gemito sottile e frustrato, incapace di articolare un pensiero compiuto a causa delle continue scariche di dolore che sente a tutta la metà destra del corpo, e comunque prova a richiamare l’attenzione di qualcuno. Chiunque andrebbe bene, devono solo fermarlo. Devono…
Bucky è là, fermo impalato mentre attorno a lui il mondo esplode. E continua a rimanere fermo anche mentre la ragazza in barella viene portata via, anche mentre la vede alzare la mano sana e indicarlo con quelle dita sottili e lunghissime. Muove un passo verso di lei e poi cambia idea, continua a fissarla con gli occhi celesti sgranati, lo sguardo terrorizzato da quanto è appena successo. Da quanto ha appena fatto.
 
In ambulanza la devono sedare, perché nel tempo di un battito di ciglia – un’occhiata alla mano ferita – inizia a urlare. I singhiozzi le fanno dolere la cassa toracica mentre prova disperatamente a muovere un dito e l’ordine non riesce a superare nemmeno la barriera della spalla.
I paramedici le iniettano un sonnifero in vena, e Charlotte si addormenta ancora ansante, le labbra che continuano a ripetere “non lo muovo” senza che un sol fiato ne esca.
 
***
 
“Buongiorno, bella addormentata.”
Charlotte guarda senza capire Claude che, barba sfatta ed espressione assente, si punta con i gomiti sul suo letto e si raddrizza contro lo schienale della propria sedia. Ha dormito là? Per quanto? Lottie si porta la mano sinistra alla testa, sentendo già un’emicrania da record salire sempre più.
“Da quanto sei qua?”
Il ragazzo si guarda l’orologio al polso mentre continua a massaggiarsi l’ombra scura di barba sul mento con aria assorta. “Sedici ore.”
Sgrana gli occhi, ma non ha la forza di fare altro. Si sente prosciugata. “Perché?” Chiede quindi. Sente gli occhi già riempirsi di lacrime così, sulla fiducia.
“Non potevo lasciare che te lo dicesse un’infermiera.”
Charlotte si sente morire e solo a quel punto abbassa lo sguardo. La mano destra è totalmente nascosta dentro un’impalcatura di gesso, l’indice e il medio sono stati steccati in una struttura di metallo e gommapiuma, l’anulare e il mignolo fasciati insieme. Lo smalto è stato tolto di malagrazia, e ha tutte le dita sporche, violacee e gonfie. Per non parlare del palmo, per il momento invisibile. Sente il braccio gonfio e pesante, e perfino un’azione semplice come voltarsi le fa venire il fiatone. Per non parlare del freddo, che le sembra penetrare fino alle ossa, sembra… “Mi hanno operata?” Chiede con un filo di voce.
Claude rimane in silenzio per diversi istanti, si umetta le labbra e parla con lo sguardo basso. “Ti hanno ricollocato la spalla, era lussata.” Mormora. “E ti hanno steccato le dita.”
“Claude…”
“Non ti ricordi niente perché ti tengono sedata da che ti hanno caricata in ambulanza. Hanno detto che urlavi e piangevi, e non- non riuscivano nemmeno a tenerti ferma per le lastre.”
Claude.”
Il ragazzo chiude gli occhi e le prende la mano sana tra le sue. “Era scomposta, Lottie. Avevi una frattura scomposta alla mano. Era tanto scomposta, e ti hanno dovuto operare.” Charlotte chiude gli occhi e ricomincia a piangere in silenzio; e Claude, semplicemente, va in panico. “Il chirurgo ha detto che è stato bravo. È il più bravo dell’ospedale. Ha detto che non rimarrà quasi niente, Charles, te lo giuro. Quasi niente.” Farfuglia, senza sapere cos’altro dire o fare. Charlotte continua a piangere, incapace di nascondersi allo sguardo di Claude, vergognandosi come una ladra per stare facendo un tale dramma per una cosa apparentemente così lieve, tanto concentrata sul voler sparire da non rendersi conto che il suo coinquilino – il suo contatto di emergenza, riflette; ecco perché lo hanno chiamato – è salito sul letto, al suo fianco, e poco a poco l’ha guidata a nascondergli il viso contro il petto. Claude sospira e nel silenzio rotto da qualche sporadico singhiozzo le dà un bacio leggerissimo sulla testa. “Ci sono io, ok? A lavoro ci torni quando e se te la senti. Ti placcheranno d’oro, lo sai, sì? Ci penso io. Ci penso io.”
 
***
 
Passa mezz’ora, prima che si renda conto di essersene andato correndo dallo Smithsonian. Sente le gambe dolere e niente, del paesaggio che lo circonda, gli sembra in alcun modo familiare o amichevole.
Bucky si appoggia pesantemente al primo muro utile e scivola a sedere col fiato corto, più che dalla fatica, dalla paura.
Non è la prima volta che fa cose del genere. Lo sa. Quello che non sa e che non capisce è perché questa volta la cosa lo stia corrodendo così tanto. Perché, al solo ricordo del corpo esile della ragazza che gli si accasciava addosso, senta lo stomaco rivoltarsi in un moto di nausea.
I rumori continuano a rimbombargli nelle orecchie: lo schiocco delle ossa che cedevano sotto la sua mano, il singhiozzo sottile come unica reazione e poi il tonfo sordo di quel corpo che gli scivola dalle mani e finisce a terra. Se solo chiude gli occhi – e non vuole, ma non può farne a meno – riesce a vedere la smorfia di dolore che le ha attraversato lo sguardo prima che svenisse. Sotto le dita di metallo continua a sentire le ossa che cedevano, il braccio che avrebbe rischiato di strapparle via se solo quella ragazza – Charlotte Charlotte si chiama Charlotte – non fosse stata così docile nel seguire i movimenti che le stava imponendo.
(Torsione del polso, girare il braccio dietro la schiena e sbattere al muro.
Questo in che esercito l’hai imparato, Soldato?)
Il pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se solo avesse terminato il movimento
(Sbatti la testa contro il muro. Sbattila contro il muro. Prendila per i capelli e sbattigliela contro il muro.)
Lo tortura.
Il Soldato si accovaccia in posizione fetale per terra, e quando quella voce – isterica, acuta, un inglese stentato e dai suoni duri – gli esplode di nuovo nella testa
(SBATTILE LA TESTA CONTRO IL MURO, SBATTIGLIELA CONTRO IL MURO FINCHÉ-)
Si gira e vomita fino a sentire il sapore della bile in bocca.
Il Soldato molla la presa, e Bucky riprende finalmente a respirare.
 
***
 
All’ospedale la dimettono il giorno dopo, e Charlotte è felicissima di avere una corposa scorta di antidolorifici a cui attaccarsi perché ogni volta che sente parlare di tornare a farsi togliere i punti butta giù la sua bella pillolina celeste e tutto torna al proprio posto.
Ha appena finito di disporne tre in fila sul tavolo della cucina – una per le stecche, una per le dita fasciate, una per la mano… e ne manca una per la spalla, nota, provvedendo a rimediare – che il campanello suona. Claude corre ad aprire senza darle tempo di trangugiare le sue quattro pilloline del buon umore, e Charlotte accoglie con una pernacchietta infastidita la coppia di poliziotti che varca la soglia di casa sua e la raggiunge per farle compilare la denuncia.
Sono due uomini dall’aria amichevole e, in special modo uno dei due, hanno un sorriso decisamente affascinante. E se di norma Charlotte rimarrebbe colpita dagli occhi blu del poliziotto più giovane, ora come ora lo odia. Li odia entrambi. Vorrebbe solo tornarsene alle sue belle pasticchine celesti.
Rimane a guardarli con un sorriso tirato mentre si accomodano in salotto, appollaiata sulla sedia della cucina e il gesso stretto al petto, e non parla. Lo sguardo saetta da loro al tavolo, agli antidolorifici; solo che non può, non davanti a loro. “Sente tanto male?” Si informa educatamente il poliziotto più giovane quando intercetta per la terza volta il suo sguardo e subito dopo lo perde, in favore dei farmaci disposti meticolosamente sul ripiano.
Charlotte impiega diversi istanti prima di accusare il colpo, ma alla fine abbassa le gambe e rilassa la postura ad avvoltoio con cui stava seduta sulla seggiola e sforza un altro sorriso, falso quanto il precedente. “Non c’è male.”
Il più anziano tra i due si schiarisce la voce e tira fuori il proprio taccuino. “Siamo qua per la denuncia, signorina…”
“Fry. Charlotte Fry.” Replica con tono asciutto Lottie. Non sanno nemmeno il suo nome, è proprio in una botte di ferro. Lo troveranno di sicuro.
(Ma tu sai già dov’è, Lottie, dorme sotto casa tua e tu sei troppo vigliacca per chiamare il 911 e farlo arrestare)
“Ci racconti cosa è successo.”
Charlotte abbassa lo sguardo sulle pillole e deglutisce rumorosamente. Quando alza lo sguardo sugli occhi blu del poliziotto si sente morire.
“Ero… stavo lavorando.”
(Quegli occhi dio quegli occhi la paura era quasi contagiosa)
L’uomo alza lo sguardo e le sorride incoraggiante. Lo stomaco di Charlotte si contorce, e sente una prima punturina di dolore partirle dalla mano. “Abbiamo visto i video, signorina. Speravamo potesse descriverci il suo aggressore.”
(Gli occhi celesti come il cielo le pupille sottili come spilli la bocca contorta in una smorfia e paura paura paura)
“Era alto.” Sussurra. “E… non credo fosse di qua. Era- era come se non capisse cosa stavo dicendo.”
Il poliziotto sembra spazientirsi. “Com’era? Alto? I capelli?”
Charlotte abbassa lo sguardo e perfino il celeste delle pillole, ora, riesce a farle sentire la stessa angoscia di quel giorno. “Scuri.” Soffia, la testa che gira per la portata della stronzata che sa di stare per fare. “Era moro. Alto, capelli e occhi scuri. Direi di origini latine, visti i colori.”
Non si rende conto di quello che succede – non coscientemente – ma le sembra che la temperatura nella stanza cali di qualche grado. “Scuri?” Ripete il poliziotto giovane, senza smettere un istante di fissarla. Charlotte è più a disagio che mai, ma sostiene il suo sguardo.
“Castani. Come i miei.” Precisa con tono monocorde.
“Ne è sicura?”
Annuisce piano piano, perché la spalla le fa ancora male – oh Lottie quanto sei stupida quando ti ci metti – e allunga una mano alla prima pillola sul tavolo. “E la carnagione olivastra.”
Ora i poliziotti si alzano, e Lottie si sente più piccola che mai. Vorrebbe che Claude le stesse vicino, ma si rende conto che non potrebbe fare granché. E non capisce cosa le stia scattando dentro, ma più li vede spazientirsi e più decide di aver preso la decisione giusta. “Signorina…” La richiama uno dei due, “ostacolare le indagini della polizia è un reato.”
Charlotte aggrotta le sopracciglia, rigirandosi la pasticca tra le dita, e non smette un istante di fissarli alternativamente negli occhi. “Moro. Occhi scuri. Carnagione olivastra. Origini latine.” Sputa fuori, la voce ridotta a un ringhio basso che ha il potere di far arretrare i poliziotti di un passetto a ogni frase. “Arrivederci, agenti.
 
***
 
“Lo abbiamo perso.”
 “E lo Smithsonian?”
“Abbiamo i filmati. Pensiamo sia lui, ma non ne abbiamo la certezza.”
Il silenzio è più terrificante di qualsiasi minaccia.
Trovatelo.
 
***
 
“Ma sei deficiente?
Charlotte incassa la testa nelle spalle come se dovesse servire ad attutire le grida di Claude, e sospira stancamente quando – per la decima volta – il suo coinquilino le chiede perché, nel nome di dio, non ha voluto denunciare quel maledetto stronzo.
“Claude no, io…”
“Ti rendi conto che c’è una certa differenza tra fare beneficienza e farsi rompere una mano, sì? Io non sono mai tornato a casa con una mano rotta, cristo!” Charlotte sospira di nuovo. Subito dopo Claude le si siede accanto e le poggia la testa contro una delle ginocchia che ha raccolto al petto. “Scusami.” È un sussurro, ma riecheggia per l’appartamento più forte delle urla di prima. “Scusami, Charles. Ci manca solo che ci metta il carico anche io.”
La ragazza annuisce e gli passa la mano sana tra i capelli castani. “Va bene.” Mormora, senza aggiungere altro.
“Perché non hai detto nulla? Sai benissimo chi è, lo avrebbero arrestato in due secondi.”
“Perché so chi è, Claude.” Risponde in un soffio. “Era terrorizzato. Credo… credo sia un reduce di qualche guerra.” Un flash, e Claude si volta a guardarla.
“Bob mi aveva parlato di uno che sembrava un reduce del Vietnam.”
Charlotte annuisce. “È lui.”
Claude sospira e scodinzola per farsi meglio la cuccia sul divano, la testa ormai in grembo alla coinquilina. “Dovevi farlo arrestare comunque.”
“Claude.” La voce arriva distante, quasi spiritata. “E se fosse un reduce di New York?”
La conversazione muore all’istante e un lungo, imbarazzato silenzio li accompagna per il resto della giornata.
Il barbone non viene più nominato.
 
***
 
Steve si è appisolato sul divano, quando Natasha gli lancia addosso un giornale arrotolato. Si prenderebbe qualche istante per ridere della reazione da gattino lanciato nell’acqua che ne ottiene, ma è troppo impaziente.
Capitan America la guarda in un misto di fastidio e odio, e dopo qualche istante si decide ad aprire il giornale alla pagina che la Vedova gli sta indicando.
 
Quando legge la notizia di un’aggressione al museo avvenuta poche ore dopo essersene andato, si sente sprofondare.
 
Quando realizza che Bucky è , che girano per le strade della stessa città e deve solo avere un po’ di pazienza nel cercarlo, si sente rinascere.
 
 
Note dell’autrice:
Capitolo lunghissimo!
(Per modo di dire)
Ditemi cosa ne pensate, se vi va! :D
A presto :)
   
 
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