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Autore: Cecile Balandier    31/01/2016    22 recensioni
Una storia raccontata in prima persona da André e inserita nell'episodio "Gli ultimi splendori di Versailles". 
"- Parla André, raccontami... -
Insisti, sospirando prima di parlare.
- E va bene... -
D'accordo Oscar, adesso saprai davvero tutto di me. Tutto... Ma ricorderai e saprai molto anche di te stessa.
Di qualcosa che io non sono più riuscito a scordare... e forse neanche tu.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ Egli desidera i vestiti del cielo ~
"Io ho ricamato i vestiti del cielo avviluppando con la luce d'oro e d'argento, il blu e l'opaco e l'oscuro tessuto della notte e il chiarore e il mezzo chiarore, avrei voluto stendere il vestito sotto i tuoi piedi ma, essendo povero, ho solo i miei sogni; cammina con passo leggero perché tu cammini su i miei sogni."
(W. B. Yeats)






Epilogo

~ Il vento fra i roseti ~

Castello di Dunguaire, Irlanda. 13 gennaio 1789

Eri immobile, come me del resto, mentre osservavo con attenzione l'entrata della sala da pranzo del castello, tenendo le mani ferme sulle tue spalle. Il tuo respiro corto scandiva i tempi di un'emozione grandissima. 
Il maggiordomo si inchinò mentre entrava una donna che non poteva essere zia Léonie. Era troppo giovane, forse sui trent'anni, come noi. 
" È un piacere fare la vostra conoscenza cugina, io sono Lady Caitlin Jane Templemore!"
La donna si presentò amabilmente, con un sorriso radioso, sottolineando tra le sue parole il fatto di conoscere perfettamente il grado di parentela che intercorreva tra loro. 
"Ma... mia zia... io credevo... "
Rispondesti con perplessità e delusione evidenti.
"Accomodatevi, ora vi spiego ogni cosa... Voi siete il marito di mia cugina?"
Mi chiese porgendomi la mano. 
"Sono André Grandier! Dobbiamo ancora sposarci... a dire il vero..."
Risposi con garbo, guardandoti sorridere appena a quelle parole e a ciò che significavano. 
Ci accomodammo a tavola tutti e tre e iniziarono a portare le prime pietanze. Notai subito il tuo scarso appetito, dovuto alla febbre, senz'altro, ma anche ad un crescente moto di rabbia. Ti conoscevo troppo bene. 
Riuniti a tavola Lady Caitlin Jane provò a prendere parola, ma l'anticipai io. 
"Credevo che Lady Templemore non avesse figli..."
Dissi tenendo salda nella mia la tua mano gelata, guardandoti tossire senza tregua per un minuto abbondante.
"Prendete del tè caldo cugina! "
La ringraziasti con un sorriso debole, poi la tosse fortunatamente si placò. 
"Deve avere la febbre alta... ha preso molto freddo e... "
Mormorai tremendamente preoccupato, non riuscendo a pensare ad altro che al tuo volto, sempre più pallido, e al tuo respiro, sempre più affannoso ed eccitato. 
"Non preoccupatevi adesso... Continuate vi prego! "
Dicesti ostinata, evitando appositamente il mio sguardo.
"Quasi cinque anni fa, il marito di vostra zia, sir Harry Templemore, il barone di Dunguaire.... di queste verdissime terre, morì di malattia, gettando sua moglie nello sconforto più assoluto e anche sua figlia... "
Sussurrò tristemente le ultime parole.
"Dunque siete..."
Incalzai io.
"Io sono la figlia della prima moglie defunta di sir Harry! Avevo appena due anni quando mia madre morì, quindi considero Lady Léonie come una madre...." 
"Ma dove si trova adesso? Io speravo di conoscerla... "
La guardasti con occhi taglienti.
"Sono spiacente ma... non la vedo da mesi... forse più... Dopo la morte di mio padre è come impazzita! Si è rifiutata di tornare a vivere qui nel castello... troppi ricordi diceva... Ha preferito andare a vivere in una casupola fatiscente vicino al porto di Galway, in solitudine, portandosi dietro solo quattro soldi... Ho provato a convincerla ma l'ultima volta mi ha addirittura cacciata di casa, dicendo che mi vuole bene ma che non desidera vedere più nessuno fino alla sua morte!"
Alzò il tono della voce, lasciando noi senza parola.
"Oh, mio Dio... "
Solo questo mormorasti, tra le dita delle mani intrecciate davanti alle labbra. 
"Come facevate a sapere del nostro arrivo?"
Chiesi io mentre mandavo giù un sorso di tè bollente.
"Abbiamo ricevuto una lettera di Madame de Jarjayes, appena qualche giorno fa."
"L'avrà inviata il giorno che siamo fuggiti... André, deve essere così! "
Annuii, guardando Caitlin bere il tè con eleganza e poi con molta calma riprendere il discorso. Era una donna molto piacevole, i capelli neri come l'ebano facevano risaltare l'incarnato chiaro come la porcellana.
"Devo convincere mia zia a ritornare qui... Questa è casa sua!"
La tua voce ferma, il tuo volto vermiglio. 
"A dire il vero... mi ha lasciato uno scritto, redatto da un notaio di Dublino, in cui scrive che il castello di Dunguaire, non avendo lei figli diretti, è di proprietà di Oscar François de Jarjayes e del suo consorte nel caso ne avesse uno. Dunque, il castello e relativi terreni... beh, è tutto vostro! "
Ci guardammo con stupore.
"Ma voi siete la figlia di sir Harry! "
Dissi io, ritenendo doveroso chiarire subito la questione.
"Oh... ma io risiedo non molto distante da qui, a Oranmore house con mio marito sir Thomas Murray..."
Quasi non credevamo alle nostre orecchie.
"Bene, disponete pure come credete della vostra dimora... "
Così dicendo si diresse verso la finestra per guardare il roseto, che seppur spoglio, formava un corridoio di archi tra gli alberi di camelie.
"Vi siamo estremamente grati Lady Caitlin... ma io mi rifiuto di vivere in questo castello senza Léonie Geraldine de Jarjayes!"
Ti alzasti di scatto, le labbra serrate dopo aver parlato, le mani pressate sulla tavola lucida di mogano rosso.
"Oscar..."
Eri sudata, mi alzai anch'io per venirti vicino.
"Andrò... andrò io stessa da lei! E giuro sul mio onore che la riporterò a casa!! "
Simile al lampo che squarcia il cielo, la solennità della tua frase. 
"Cugina Oscar... lei non cederà! Il dolore che prova le impedisce di vedere al di là dei suoi problemi. Non vi ascolterà... come ha fatto con me. Venite a visitare il vostro giardino! "
La pacatezza e l'indifferenza di Caitlin ti offesero.
"Non conosco quel tipo di dolore, grazie a Dio mi è stato risparmiato. Ma state pur certa che la mia vita non è stata tutta rose e fiori cara... cugina! E quella donna rimane la sorella di mio padre, sangue del mio sangue e non permetterò che rimanga in una topaia ad aspettare che sopraggiunga la morte!!! "
Tuonasti davvero e percorresti ansimando la sala da pranzo, col volto oltremodo scarlatto. 
"Ma dove vai Oscar? Hai la febbre!!"
Parlai sconfortato.
Allungasti la mano nella mia direzione e iniziasti a tossire, poggiandoti allo stipite della porta, accasciandoti. 
"Oscar!!"
Mi precipitai da te, per cercare di sostenerti, notando che scottavi molto più che al tuo risveglio.
"Cugina!! Oh... è colpa mia! Non avrei dovuto raccontare di Léonie! Avrei dovuto dirvi che era morta! "
Sibilò spaventata Caitlin, con una mano alla fronte e una sulla gola. 
"Vi prego chiamate un dottore! C'è il modo, non è vero? "
Chiesi io con urgenza, prendendoti tra le braccia. La paura mi stava divorando, sentivo il pericolo stringermi lentamente lo stomaco.
"A Galway.... nei paraggi purtroppo no! "
Rispose lei mordendosi le labbra.
"Mi basta uno dei cavalli delle scuderie! "
Convenni io.
"Potete prendere il mio calesse! "
"Troppo lento... Partirò subito! Vi prego di prendervi cura di Oscar fino al mio ritorno! "
Le chiesi con voce implorante, portandoti su per lo scalone della torre. Caitlin annuì subito, incaricando le cameriere di procurare acqua per abbassare la temperatura e lenzuola pulite.
"Vengo con te..."
Parlasti con fatica, il tuo respiro bruciava, come la pelle del tuo viso.
"Non se ne parla, non stai nemmeno in piedi. Avanti... ora mettiti a letto amore mio! "
Ti parlai con dolcezza, quasi sorridendo... ma quella tosse e quella febbre alta mi facevano pensare ad una brutta infezione ai polmoni. 
Trovammo la camera già riscaldata dal fuoco ardente nel camino. Ti misi a letto, con una camicia da notte di seta bianca. 
"André... "
Eri ancora in te e ringraziai Dio per questo. 
"Si... si... amore... sono ancora qui! "
Risposi mentre ti coprivo bene fino al mento, dato che eri percorsa da intensi brividi di freddo. 
"Era lei, vero? La vecchia al porto... era zia Léonie... "
Le labbra ti tremavano, come il corpo, agitato per i fremiti della febbre. 
"Si, Oscar... Ne sono convinto anch'io! "
"Allora... devi... devi andare da lei! André... ti prego... "
Gli occhi appena schiusi, le ciglia lunghissime percorse da un tremito leggero. 
"Oscar... devo chiamare un dottore, lo capisci? Devo portarlo qui da te! Non posso andare adesso a cercarla! Lo faremo insieme, te lo prometto! "
Un dispiacere che mi graffiò il cuore quando vidi piccole lacrime di paura stillare dai tuoi occhi. 
"Non piangere... ti scongiuro... "
Baciai la tua mano, cercando di mantenere il controllo.
"Non possiamo lasciarla da sola... André, ti prego! Portala da me! Portata da me... amore mio... "
Parlasti debolmente, fino ad addormentarti, in pochi minuti. Rimasi chinato su di te, tenendo fermo un panno bagnato sulla tua fronte, mentre con l'altra mano ti accarezzavo una guancia. Non potevi vedere la mia paura, le lacrime chiuse nel petto, le mie labbra tremare perché sapevo... sapevo benissimo che avrei fatto come tu desideravi. 
Come sempre, per te avrei fatto qualunque cosa...
"Monsieur Grandier... Starò io con Oscar! State tranquillo! "
Caitlin si avvicinò al letto a baldacchino, il fruscio della sua gonna di broccato verde accarezzava i suoi passi lenti. Fu difficile, tremendamente difficile lasciarti in quel letto, separarmi da te, ma mi alzai e raccolsi le forze necessarie.
"Potete chiamarmi André, Lady Caitlin vi prego... bagnatele la testa... la febbre è ancora alta... io... "
"State tranquillo, penserò io a lei! "
Ti lasciai senza soffermarmi a pensare a nulla, presi il mantello marrone e corsi più veloce che potevo giù per le scale, fino e discendere la torre e a trovarmi nella parte posteriore del maniero. Percorsi il ciottolato che portava alle scuderie e scelsi un baio scuro da sellare. Lo mandai al galoppo verso Galway salendo dorsi verdi di colline morbide, affacciate su un oceano furioso, infiammato da un vento impetuoso. Un cielo grigio e pesante mi accompagnò in quella cavalcata disperata.
E c'eri sempre tu Oscar... nei miei ansimi a sostituire il respiro, tra gli alberi che soffocavano il mio cammino e i rami spezzati da troppa neve. Il tuo odore di pulito e di fiori si sparpagliava nelle mie viscere per poi morderle ingeneroso... la mia sposa... tutto quello che avevo era tuo, tutto quello che provavo e che mi muoveva per le strade e le buche di quella terra straniera, ero tuo... e mai mi pentii di averti dedicato ogni mia piccola scintilla di sogno o di illusione che la mia anima riusciva a ricreare nella mia mente, ammansendo spesso il buonsenso. 
Di mio non avevo nulla, ma ogni cosa di me ti apparteneva...
Digrignavo i denti mentre correvo, il cuoio delle redini chiuso in una morsa.
"Devi vivere Oscar... "
Avrei voluto urlarlo a Dio, invece solo un gemito attraversò quelle valli spoglie. 
~
Arrivai a Galway in tre ore di galoppo sostenuto, sbagliai strada più volte, non conoscendo quelle terre. La prima cosa da fare era cercare un dottore, per cui mi recai alla taverna al porto dove ci recammo il giorno prima. Dissero che al momento non c'era nessun medico al villaggio, per via di una partoriente che lo mandò a chiamare già dalla mattina. Di certo non potevo tornare da te senza una medicina o qualcosa che ti aiutasse a lenire la tosse e ad abbassare la febbre. 
Andai al villaggio vicino, provai a chiedere ad un gruppo di contadini. Nessuno mi capiva bene e quando finalmente riuscirono ad intendere che desideravo vedere un dottore, scossero tutti la testa e mi fecero capire che era andato a visitare un malato che abitava molto lontano, tra le campagne, e non sapevano quando sarebbe ritornato.
"Non è possibile!! "
Esclamai carico di sconforto, con le mani tra i capelli, gettandomi su una panca di legno davanti all'entrata di una piccola chiesa. 
"Cosa devo fare? "
Iniziai a pensare che se ci fossimo trovati a Parigi, a palazzo Jarjayes, forse ti avrebbero potuta curare come si deve. Pensai in modo ossessivo all'infezione e alla possibilità che si estendesse... "Persino in caserma avevamo un dottore che visitava le baracche... Dannazione!!! "
Gemetti con la voce che andò in pezzi. Non mi vergognai nemmeno di piangere, con i pugni chiusi per la rabbia, tanto mi sentivo solo in quel momento. Nessuno mi conosceva, nessuno mi capiva. Mi ritenni responsabile, e rimpiansi la mia condanna, il non poterti avere, perché in quel momento tremendo avrei preferito pagare qualsiasi prezzo, anche quello, pur di vederti salva.
Eppure... qualcosa si iniziò a ribellare a quegli stupidi e inutili pensieri... In quel momento arrivarono le tue stesse parole a colpirmi dritte al petto come letali stilettate. 
_ Non voglio essere nient'altro che la tua donna André! _ questo dicesti ardente e questo era il nostro destino, inutile recriminare, inutile persino perdere tempo a pensare. In quella locanda di Parigi, in quella notte di Natale fatta di fini cristalli di neve... continuavi a ripetermi quella frase, eri come estasiata nel farlo, bellissima, libera, tra il fumo dell'ultimo fuoco e l'intimo calore di quelle semplici coperte di lana, eri felice... terribilmente felice di diventare mia, di bisbigliare al mio orecchio dolcissime parole d'amore, un amore già realizzato per poter essere espresso in quel modo cristallino.
_ Il mio André... _ mi ripetevi, sorridendo come una bambina.
Queste le parole che mi strapparono all'oblio della mente e alla paura che gela i movimenti e le intenzioni. Mi risollevai, montai a cavallo e ritornai a Galway, perché capii che quello era il nostro posto e forse, per guarire, infondo, non ti serviva una medicina o un dottore di villaggio, ma una persona... il suo affetto e la sua salvezza.
~
Era già primo pomeriggio quando arrivai a Galway. Legai ben strette le briglie del cavallo alla staccionata della bettola in cui conoscemmo Léonie senza sapere chi fosse. Entrai trafelato, col mantello inumidito dall'aria caliginosa. Riuscii ad ottenere notizie circa quella donna, dovendola descrivere in modo poco rispettoso, ma necessario per farmi capire. Intesi che abitava in una piccola casa bianca prospiciente l'oceano.
Vi arrivai di gran carriera e non avevo nessuna intenzione di andarmene da solo. Sapevo che sarebbe stata una delle sfide più difficili da superare, ma ci avrei provato in ogni modo.
Arrivato alla piccola casa di legno e paglia che mi indicarono, bussai al portoncino, cui era appesa una ghirlanda di fiori rinsecchiti, rimasta lì a sbattere alle folate di vento da chissà quanto tempo. 
"Lady Templemore!! Vi prego... aprite la porta! "
Dissi quasi in preda alla furia e, dimenticando l'etichetta, non mi presentai. 
"Lady Templemore... io mi chiamo André Grandier. Ci siamo conosciuti ieri mattina! "
Parlai con più calma, senza però ottenere alcuna risposta. 
"Forse non è in casa... "
Provai a sbirciare dall'unica finestrella dell'abitazione, ma le tende pesanti mi impedivano qualsiasi visuale. Non mi persi d'animo, qualcosa mi diceva che lei era lì ed era ostinata come sua nipote, maledizione!
"Madame Jarjayes!! Vi chiedo solo di ascoltarmi! Vostra nipote Oscar... ha bisogno di voi! "
Parlai chiaro e forte ma nel pronunciare il tuo nome la mia voce perse chiarore. I pugni chiusi, fermi sulla porta scrostata dal vento e dalla salsedine. Lo stridio dei gabbiani accompagnò la sua risposta. 
"Entra! "
Disse secca, dopo un giro di chiavi.
Impugnai svelto la maniglia rotonda della porta e l'aprii un po' timoroso, a dire il vero. Fui lento ad entrare, perché ogni mio gesto poteva essere male interpretato e io sapevo di avere un'unica possibilità quel giorno.
Viveva in una stanza buia, piena di libri e di mazzi di fiori imputriditi, a cui non veniva cambiata l'acqua da parecchio. Era davanti a me. Sulle spalle la treccia grigia e riccioluta e uno scialle di lana scura pesante. Mi fissava con uno sguardo triste, seppur tremendamente diretto. 
"Cosa vuoi ragazzo?"
Mi chiese con una voce roca e molto più seria e bassa di quella che conobbi il giorno prima.
"Lady... "
"Chiamami Léonie... "
Disse infastidita.
"No... non posso... Lady Templemore, io sono qui per parlarvi... "
Presi tempo.
"Io voglio essere lasciata in pace! Riferiscilo pure a quella testa di rapa di Caitlin! "
Si strinse lo scialle sulle spalle, incrociando le braccia e andandosi a scaldare le mani davanti al timido fuoco del caminetto.
"Aspettate... aggiungo altra legna! "
Così dicendo mi avvicinai, aggiunsi un altro piccolo ceppo tra gli alari del camino e rimasi anch'io a scaldarmi le mani, al suo fianco, mentre mi scrutava senza sosta.
"Hai detto che Oscar... ha bisogno di me. Per quale motivo non è qui con te? "
Sospirai, poi la guardai negli occhi blu cobalto, per risponderle in tutta sincerità.
"Si è ammalata... e in questo momento ha la febbre molto alta e una brutta infezione al petto, che le provoca molta tosse... "
Parlai visibilmente preoccupato.
"Hai cercato il medico? "
Chiese senza perdere tempo.
"Non è al villaggio!"
Mormorai insieme al crepitio delle fiamme.
"Quel ciarlatano! Beh... dovete darle delle bevande molto calde e attenzioni... guarirà! "
Si sfregò le mani, corrugando la fronte, indirizzando lo sguardo nel vuoto.
"Vuole vedervi! Vi prego di acconsentire a questa sua richiesta! Venite con me... la farete felice! E poi il castello... è casa vostra! "
Sorrise con amarezza.
"Non lo è più! Dopo che il mio Harry se n'è andato... niente è tornato a posto... Ed ora... ed ora voglio stare sola! "
Raggiunse la porta, per indicarmi l'uscita, ma non potevo, non potevo cedere così.
"Non pensate ad Oscar? A vostra nipote? Ha fatto tanta strada per incontrarvi e adesso... sta male e mi ha supplicato di portarvi da lei! "
Parlai col cuore in mano e forse lasciai trasparire troppo della mia disperazione. Iniziò a vacillare.
"Nessuno capisce che non posso tornare là... È troppo doloroso... tu non puoi sapere nulla di quel dolore!"
"È vero... se Oscar morisse... io non ce la farei... non potrei sopravvivere... ma ho conosciuto molti altri tipi di dolore, ve l'assicuro Milady! "
La vidi addolcire lo sguardo, forse colpita dalla mia sincerità. 
"Cosa hai fatto all'occhio, ragazzo?"
Chiese avvicinandosi lentamente a me, insistendo con lo sguardo sulla mia cicatrice.
"La lama di una spada mi ha offeso... e purtroppo sono rimasto cieco! "
"L'hai fatto per proteggerla? "
Chiese in un bisbiglio.
"E lo rifarei altre mille volte... "
La verità ai suoi piedi. Chiuse gli occhi e vidi tutta la durezza dei Jarjayes sciogliersi sotto i miei occhi. 
"Verrò con te... ma solo finché non guarirà, poi tornerò a vivere qui! "
Annuii soddisfatto.
"Grazie Lady Templemore! Grazie di cuore!! "
~
Cavalcai con meno impeto durante il viaggio di ritorno a Kinvara, al castello di Dunguaire. Avevo timore che i sobbalzi potessero disturbare zia Léonie, attaccata alle mie spalle, seduta sulla sella dietro di me. Ma lei doveva essere un'ottima cavallerizza e di certo conosceva alla perfezione i sentieri e le scorciatoie tra le valli della contea, il che ci permise di arrivare prima che facesse buio, seppur tra la suggestiva e soffocante foschia che permeava ogni cosa, trasformandone i colori e le forme. 
"Portami da lei, André..."
Mi chiese stancamente, poggiandosi al mio braccio, non appena varcammo la soglia della dimora che la vide lontana per anni.
La voce stanca, le palpebre cadenti sugli occhi arrossati, le mani grinzose e un po' tremanti, forse per l'emozione profonda di ritrovarsi inaspettatamente in un posto tanto amato ma che avrebbe voluto dimenticare... 
Mi facevo forte per lei, sulle grandi scale buie. Ormai la sera era sopraggiunta e potevamo affidarci soltanto al barlume dorato dei candelabri. Avrei voluto in realtà correre come un pazzo per quelle scale, che sembravano non finire mai. Avrei voluto raggiungerti il prima possibile ai piedi del letto e gettare immediatamente lo sguardo su di te, sul tuo viso, sul tuo sorriso...
Avrei voluto accarezzare la tua pelle liscia e rosea per sentirla fresca, e finalmente vederti fuori pericolo.
Ancora poco, mancava poco... Zia Léonie non si fermò mai, pur nella lentezza con cui costringeva entrambi a salire quei freddi gradini di pietra.
"Ecco la camera!"
Esclamai col cuore in gola. Annuì, sapendo perfettamente quale fosse la stanza degli ospiti. 
Una cameriera, appena uscita dalla stanza, strabuzzò gli occhi non appena la vide camminare al mio fianco. 
"L... Lady Templemore..."
Si inchinò dopo aver balbettato il nome della padrona indiscussa del
castello. Zia Léonie nemmeno la guardò da tanto era assorta nei suoi pensieri. Lasciai il suo braccio non appena ci trovammo di fronte alla porta spalancata della stanza in cui giacevi malata.
Il respiro mi moriva nel petto mentre furono rapidi i miei passi a portarmi da te. Quasi non la vidi Caitlin e non ricordo nemmeno se e come la salutai. Mi ritrovai la tua mano tra le mie, poi sulle labbra, che la baciavano senza sosta. Eri così gelata. Bagnata delle mie lacrime di uomo perdutamente innamorato... da una vita...
"L'hai dimenticato... Oscar? Hai detto... che mi avresti sposato... L'hai... dimenticato?"
La mia disperazione spezzò il silenzio trasparente di quella stanza. 
E le mie dita sfiorarono caute il tuo polso bianco, percorso da sottili vene azzurre.
"La febbre è salita ancora e... non si riesce ad abbassare! "
Caitlin sembrava volersi quasi giustificare mentre si allontanava mesta dalla stanza, ma non era colpa di nessuno.
"Adesso penserò io a lei! "
Parlai a denti stretti... come stretti erano i miei occhi, bagnati di sale o forse veleno... Un pazzo, questo forse sembravo... Un pazzo che gridava tra angeli sordi o più ciechi di lui.... Ma quanto era vero Iddio... tu dovevi vivere!
Mi tolsi il mantello e il giustacuore, che gettai su una sedia, mi rimboccai le maniche della camicia bianca un po' sgualcita. Piccole lacrime velavano i contorni del mio presente, ma ti potevo vedere bene, ed eri pallida... la febbre rabbrividiva ogni tuo respiro e allo stesso tempo gelava il sudore che ammantava la tua pelle. 
Qualcuno si sedette al mio fianco, in silenzio. E sempre nel silenzio terribile di quella lunga notte, ripensai ad ogni tua parola, ogni paura, ad ogni schiaffo o bacio rovente o sorriso melodioso... Ti parlai.... Pregai forse... a lungo...
Poi sgranai gli occhi, sussultai così forte che agitasti un po' le ciglia, prendendo un respiro grosso, per tossire poi vigorosamente.
"Quel dottore... il dottor Millet! "
Urlai davvero e mi alzai di scatto dal letto, su cui mi ero sdraiato per starti accanto. Mi precipitai a cercare nella mia borsa di cuoio la medicina che vi avevo lasciato da settimane. Quella del buffo dottore sordo che tanto gentilmente ci lasciò nel caso ti colpisse la febbre alta. 
Poteva non bastare, certo, ma sarebbe stata un aiuto in più. E in quel momento ogni aiuto mi sembrava davvero benedetto dal cielo.
"Oscar... cerca di bere questa medicina! Ti prego... apri la bocca amore mio... "
Ti presi tra le braccia, debolissima, i capelli umidi sul viso meraviglioso che vidi crescere ed espandersi in bellezza al mio fianco. Riuscii a farti deglutire due cucchiai e poi rimasi in attesa, fino ad assopirmi per la stanchezza, tendendoti la mano, donando al tuo respiro il mio, perché tu sentissi che io ero lì... per te... per sempre...
~
Un cinguettio allegro, luci melodiose, arrivò l'alba... e non mi trovò pronto... 
Non ero pronto ad aprire gli occhi, a vedere la realtà... 
Pregai, inginocchiato a terra, le braccia e il volto abbandonati sulle tue gambe. Pregai che tu mi chiamassi ancora... pregai di sentirti pronunciare il mio nome... ancora una volta... 
Non arrivò la tua voce, ma una piccola e debole carezza al mio braccio. Aprii gli occhi, le mie labbra tremavano... ma ti trovai lì, a guardarmi intensamente, pur senza parlare, senza dire nulla, come hai fatto per anni. Ma sorridevano i tuoi occhi, erano belli i tuoi occhi Oscar... 
Eri salva... 
Mi sedetti sul letto, non parlai, lasciai del tempo alle tue carezze per convincermi che era davvero tutto finito.
Poi ti vidi guardare alle mie spalle e sorridere mentre allungavi una mano verso una persona. I tuoi occhi si riempirono di lacrime generose.
"Hai visto Oscar? Mi avete convinta a tornare... e a rimanere! "
La voce rotta dalla commozione.
"Zia... "
La felicità di rivederla ti rese subito più vitale e le tue guance rubarono il colore dei rubini. 
Zia Léonie era rimasta tutto il tempo con me a vegliarti. Ti abbracciava stretta mentre piangeva e in quel momento mi parve che il suo dolore potesse sciogliersi e finalmente perdere tutto il suo veleno.
"Dopo tanti anni... "
Disse lei stringendoti al petto.
"Si... siamo fuggiti... io e André... Ora vogliamo vivere liberi... come il nostro cuore desidera! "
I nostri sguardi intrecciati, come le nostre mani e le nostre anime...
Da quel giorno la tua guarigione fu lenta ma costante. Quel bagno ghiacciato ti provocò una brutta polmonite... il duro prezzo da pagare per poter seguire la voce della libertà.
Zia Léonie si ristabilì definitivamente al castello con noi e chiamò a raccolta i migliori medici di Dublino per garantirti le cure più efficaci, dato che avrebbero potuto esserci delle pericolose ricadute. Ma tu guaristi bene e tornasti ad essere forte e indipendente. 
Così, iniziammo a scoprire insieme la nostra nuova terra, cavalcando insieme sotto il sole o la pioggia primaverile improvvisa, nascondendoci a volte sotto un salice piangente, tenendoci stretti, tra infinite parole d'amore e baci appassionati, ai piedi di un laghetto di ninfee. Scoprimmo posti meravigliosi, viste spettacolari dalle Cliffs a picco sul mare.
E in quella primavera diventasti mia moglie, nei giardini della nostra nuova casa...
~

Castello di Dunguaire, Irlanda. 24 dicembre 1790
- È arrivato il momento André... -
La tua mano lascia qualcosa nella mia, poi scorre piacevole sul mio braccio, tra i miei capelli sciolti, li sposta, sale sul collo, pizzica la mia guancia. Vuoi farmi ridere. Vuoi baciarmi. 
Abbandono con lo sguardo la neve e mi volto, con lentezza, per rendere omaggio alla bellezza di mia moglie.
Le nostre labbra si sfiorano, poi cercano più contatto e calore e ci perdiamo in un bacio profondo. Sei riuscita a togliermi da quel ricordo, da quei giorni in cui la mia vita e la tua sfiorarono un destino che non ci apparteneva.
"Ma io non vi conosco... Milady! Chi siete?"
Ti allontano, tendendoti soltanto le mani, per ammirare la tua bellezza sempre più disarmante. 
"Ogni anno lo dici! "
Ridi, sei uno splendore e fai tremare il mio cuore. 
"Perché ogni anno, a Natale, mi fai questo regalo amore mio... e davvero rimango senza fiato... "
"E stenti a riconoscermi! Avanti... fai quello che devi fare! "
I complimenti ti imbarazzano tuttora. Vesti sempre abiti maschili, ma la notte di Natale, cerchi la femminilità in ogni dettaglio. La notte in cui infondo... tutto iniziò e si perpetrò. 
Lascio scintillare tra le mie mani il diadema di smeraldi mentre lo adagio sul tuo capo, tra l'oro dei tuoi capelli meravigliosamente raccolti. 
"Sei splendida Oscar! "
Esclamo ancora meravigliato, prendendoti la mano per baciarla, mentre continuo a guardarti... quante volte ho sognato di vedertelo indossare.
"Ti amo..."
Torni fra le mie braccia, ti lasci stringere ancora per qualche attimo.
"Ti amo anch'io André..."
Sussurri appena sul mio petto, poi torni a guardarmi.
"Quella sera ho cercato nella neve questo diadema fino a non sentirmi più le mani... "
Te le bacio di nuovo, ridendo appena.
"E poi cadesti nel lago ghiacciato, per riprenderlo! "
Aggiunsi io facendo un lungo sospiro.
"Ma è ancora qui... come noi... Andiamo... ci aspettano tutti! E tuo figlio ha fame André Grandier! "
Sorrido sentendomi scaldare l'anima mentre ti accarezzo il ventre un po' teso sotto il taffetà blu. Stai per darmi un figlio amore mio... 
Mi prendi per mano, sembri una regina. Ci incamminiamo insieme radiosi, verso la sala da pranzo.
Prima però... un ultimo sguardo ai cristalli di neve... un'ultima dedica del mio cuore al giorno del nostro matrimonio.
Tra i petali delle rose... solo noi e il nostro amore... solo noi e il nostro destino... limpido e lieve, come il vento fra i roseti di quel giorno di maggio, che accarezzò leggero le nostre guance umide e le nostre voci emozionate.
~ Fine ~
Scritto per Oscar e André 

Come per tutte le storie su Oscar e André che concludo, anche qui lascio un pezzo di me. Ringrazio tutti coloro che hanno letto e seguito la mia piccola storia di Natale e chi mi ha incoraggiato a proseguire oltre il capitolo tre... Emerald, Ireland, Monica, Queenjane, Francoise, Orny, Ornella, Sandra, Giuseppina, Daniele, Katia, Maddy, Pamina, Madame Anna, e dovrei aggiungerne tante altre... 
Ringrazio la mia cara amica Lina per i suoi splendidi disegni! Grazie di cuore davvero!!
Spero di avervi fatto sognare un po', regalandovi qualche emozione, anche piccola, come quelle che durano il tempo del viaggio di un cristallo di neve. 
Questa storia la dedico a mia sorella Ilana, che un anno fa mi convinse a provare a scrivere qualcosa...
Se volete, vi aspetto presto con le mie altre storie.
Cecile

   
 
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