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Autore: Blablia87    02/02/2016    8 recensioni
[Omega!verse]
[Alpha!Sherlock][Omega!John]
Pezzi di una filastrocca come briciole di pane lasciate da un passato pronto a riscuotere la sua vendetta.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era passata ormai una settimana dal trasferimento di John al 221b di Baker St. e, a parte una breve telefonata per sapere come si stesse trovando a condividere l’appartamento con Sherlock, l’ispettore Lestrade non si era più fatto vivo.
Si era stabilita – fin da subito e con una strana naturalezza – una forma di routine tra i due coinquilini.
John aveva capito sin dal primo giorno che il cibo (dall’acquisto al cucinarlo) sarebbe stato una sua mansione. Sherlock sembrava capace di digiunare per giorni interi, se non gli si ricordava di sedersi a tavola e non lo si forzava a mangiare almeno un paio di bocconi.
Il frigo, originariamente vuoto (fatta eccezione per alcuni campioni anatomici che John aveva deciso di ignorare senza fare domande), era adesso atto a svolgere il suo compito, cosa che aveva sollevato non poco la Signora Hudson.
Continuava a portare al piano di sopra il the, ogni pomeriggio alle cinque in punto, ma non spattava più a lei l’incarico dei pasti di Sherlock, pasti che puntualmente doveva buttare quasi per intero. Per questo, e per la sua indole dolce e materna, aveva accolto John con gioia, aiutandolo a pulire e sistemare la sua camera.
Sherlock, da canto suo, si era limitato a prendere l’abitudine di aprire le finestre del salotto ogni volta che usciva (o uscivano) di casa - gesto che John apprezzava molto, pur non avendolo mai espresso a parole -  e a tenere la porta della sua camera da letto ben chiusa.
Nonostante questo la sua scia pereava comunque ogni angolo della casa, ma a John non dispiaceva. Gli inibitori facevano egregiamente il loro lavoro e quell’odore, per lui – privato della sua funzionalità ormonale – era un semplice profumo. Un buon profumo, oltretutto, anche se ogni volta che formulava questo pensiero lo estirpava sul nascere, bloccando quasiasi tipo di “elucubrazione” sull’Alpha che non lo riguardasse in quanto persona ma in veste di soggetto predominante.
Quella mattina, come le ultime quattro, John trasferì le uova strapazzate dalla padella ad un piatto e lo mise sul tavolo della cucina, accanto al microscopio sul quale Sherlock era chinato.
“C’è qualcosa di paradossale, in un Omega che si preoccupa di far mangiare un Alpha.” Disse, convinto che l’altro non potesse sentirlo: era già accaduto almeno un paio di volte che si fosse rivolto al suo coinquilino – concentrato in uno dei suoi studi – senza che questi avesse dato segno di averlo sentito.
“Pensavo odiassi l’idea che qualcuno si prendesse cura di te.” Rispose invece l’altro, inaspettatamente, e John sussultò per la sorpresa.
Sherlock lanciò uno sguardo infastidito al piatto, poi alzò gli occhi sul medico.
“Non sto dicendo che mi dispiaccia, infatti.” Tossicchiò lui. “Sono sempre stato io a provvedere ai miei pasti. E a quelli di chi avevo vicino.” Aggiunse, senza saper bene il perché.
“Compagni.” Disse Sherlock. Un’affermazione, più che una domanda.
“Beh, sì. Compagni.” Rispose John, provando l’improvviso impulso di girarsi e iniziare a sistemare la cucina, ma riuscendo invece a mantenere gli occhi saldi in quelli seri e chiari del suo interlocutore.
“Omega?”
“Omega.” Confermò, annuendo.
“Tu…? Mai avuto compagni…?” Chiese John, più come mezzo per capire se fosse davvero sicuro rimanere in quella casa con Sherlock, che per una reale curiosità.
“Mhm, no.” Sherlock si alzò dallo sgabbello dove era rimasto seduto fino a quel momento e prese il piatto, andando a posarlo vicino ai fornelli.
“Le relazioni non sono esattamente la mia area.” Aggiunse, lanciando una breve occhiata a John, fermo immobile alla sua sinistra.
“Neanche mangiare, a quanto pare.” Disse John, guardando il piatto abbandonato, ancora pieno.
“Mangiare rallenta i miei processi mentali.” Rispose Sherlock, asciutto, tornando davanti al microscopio.
“È un’affermazione assurda, da un punto di vista medico.” Cercò di insistere John, ottenendo in cambio un lungo silenzio: Sherlock era tornato ai suoi esperimenti.
Rassegnato, si girò verso i fornelli, iniziando a pulire.
“Da quando prendi inibitori?” La domanda lo colse alla sprovvista, e John sentì il bicchiere che stava pulendo scivolargli dalle dita. Lo riprese appena prima che si infrangesse nel lavandino.
“Da sempre.” Rispose, onesto. Più sinceri erano l’uno con l’altro su quegli aspetti della loro vita, più facile e meno potenzialmente pericolosa la convivenza si sarebbe prospettata.
“Ho preso la prima compressa il giorno della mia Determinazione.” Aggiunse, per rendere chiaro il concetto.
“Mai avuto un Calore, quindi.” Chiese Sherlock senza nessuna inflessione nella voce.
“Mai avuto uno.” Confermò John, continuando a lavare piatti e bicchieri.
“Prima o poi gli inibitori smetteranno di funzionare.” Continuò l’altro.
“Sì, lo so. Non preoccuparti, quando accadrà non ho nessuna intenzione di rimanere in questa casa. Anzi, al primo segnale di riattivazione della scia, sparirò.”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, e a John sembrò quasi che Sherlock stesse valutando i vari scenari possibili di un eventuale azzeramento improvviso degli inibitori.
La sua scia si era intensificata, diventando intensa, pungente. Virava verso quei sentori ogni volta che Sherlock si trovava assorto nei propri pensieri, aveva notato il medico.
“Non ho mai nutrito il minimo dubbio, su questo. Se ti avessi ritenuto un potenziale pericolo, non ti avrei mai chiesto di trasferirti qui.” Sherlock aveva pronunciato l’ultima frase con tono sicuro, e a John venne quasi da ridere.
Un Omega un pericolo per un Alpha? Il suo coinquilino doveva davvero avere idee strane su come girasse il mondo.
“A proposito di questo… -  John si era voltato di nuovo verso il tavolo – ti ringrazio per avermi proposto di venire a stare qui. Non sapevo davvero come fare.”
Sherlock, chino sul microscopio, mosse con la mano una delle manopole e con l’altra fece un gesto simile ad un saluto, come a dire “nessun problema.”
“Mi serviva un coinquilino per dimezzare le spese.” Disse, atono.
“Ancora non mi hai detto come hai fatto a capire che non ero un B-Minus.” Provò John: ogni volta che aveva provato a prendere l’argomento Sherlock aveva sempre cercato di svicolare, riuscendo con enorme maestria a cambiare sempre argomento.
Lo vide sospirare, e capì che si era arreso. Alzò gli occhi dal vetrino e li diresse in un punto imprecisato alle spalle di John.
“Tanto per iniziare… - cominciò Sherlock – nessun Beta, neanche il più biologicamente misero, avrebbe una scia pari a zero. Certo, molti ne hanno di quasi inesistenti – cosa che ti ha permesso di dar luogo alla tua copertura senza destare sospetti – ma c’è sempre, per quanto labile. Diciamo che ho un ottimo olfatto. Secondo poi, nessun Beta passerebbe davanti ad un Alpha ignorandolo come hai fatto tu. Non hanno niente da temere da noi, né motivi per odiarci, per cui sono sempre cordiali, ad un approccio iniziale. Persino Donovan, la prima volta che mi ha visto, è venuta a darmi la mano. Gli inibiltori, infine, erano l’unica spiegazione possibile ad una scia annullata completamente. Non esistono Snubber per Beta, non ce ne sarebbe motivo, né per Alpha, e questo, ammetto, è sempre stato un mio grande cruccio. Tolte le altre opzioni, ne rimaneva solo una.”
“Accidenti!” si lasciò sfuggire John, e Sherlock sembrò confuso per qualche secondo. “Vent’anni a fingermi un Beta e tu hai capito tutto in venti secondi. Incredibile.”
“La gente è stupida, John. Guarda, ma non osserva. Riceve o non riceve input olfattivi, e non si ferma mai a chiedersi cosa vogliano dire o meno. Sembra che l’unico momento nel quale si ricordano dell’importanza delle scie altrui sia quello nel quale vanno in Calore o sono a Caccia.
Assurdo. Ci facciamo governare e schiavizzare dalla nostra anatomia e biologia quando si tratta di procreare, e quasi ci dimentichiamo di usarla come si deve il resto del tempo.” Sherlock arricciò il naso, in una perfetta esemplificazione dell’espressione di massimo disgusto che un volto possa assumere.
“Scommetto che nessun tuo commilitone si è mai domandato perché non avessi neanche un accenno di scia.” Continuò, sottolineando le parole come prova lampante di quanto aveva appena affermato.
John scosse la testa. “No, mai, in effetti.”
“E immagino che i controlli periodici sullo stato di salute dei soldati non siano pensati per scoprire se un Omega si aggiri di nascosto tra le loro fila.”
“Penso che il concetto di partenza sia che nessun Omega si infilerebbe spontaneamente in una squadra piena di Alpha iper eccitati  e schiavi dell’adrenalina. Quasi nessuno si reca più a scuola dopo la Determinazione per non correre rischi, figuriamoci il resto.” Per un attimo John si rivide a terra, le mani sul viso a protezione, mentre Adam Prince cercava in tutti i modi di arrivare al suo collo per affondare i denti nella sua ghiandola e reclamarlo. Lo stomaco gli si contorse, e dovette girarsi per evitare che Sherlock gli leggesse in faccia lo sgomento che ancora provava.
“Ad ogni modo, no, gli esami erano prettamente esami del sangue, e finalizzati sempre alla mera constatazione del nostro stato di salute generale. Mai un prelievo di saliva. E, ad ogni modo, anche se li avessero fatti, la possibilità che andassero a centrare l’esatto giorno di assunzione dello Snubber sarebbe stata infinitesimale.”
“Due possibilità su 365.” Conteggiò Sherlock.
“Se pensi che ho fatto solo tre analisi del sangue in cinque anni di servizio!” A John venne da ridere, e Sherlock alzò gli angoli delle bocca in un sorriso.
“Questo a riprova che le persone,  così come le organizzazioni statali e militari, non sono altro che un cumulo di inetti.”  Concluse, tornando a dedicarsi allo strumento di fronte a sé.
John terminò di sistemare e si diresse verso la sua camera. Il suo turno in obitorio sarebbe iniziato fra meno di un ora, e adesso abitava decisamente più distante dal posto di lavoro.
“John!” la voce di Sherlock riecheggiò lungo le scale.
“Che c’è?” domandò, continuando a salire.
“Il mio telefono squilla!” Urlò Sherlock.
“Quindi?” John si era fermato a pochi gradini dal suo pianerottolo, e si era voltato verso l’appartamento di sotto.
“Rispondi! È Lestrade!” Gridò ancora l’altro, con il tono infastidito di chi doveva esprimere un concetto per lui ovvio.
“E perché non rispondi tu!” Domandò John, iniziando comunque a tornare su i suoi passi.
“Troppo tardi, ha smesso di suonare.” Commentò Sherlock quando John si affacciò in cucina con aria interrogativa.
“Ma si può sapere perché non hai risp-“
“Richiamalo, per favore. Potrebbe essere importante.” Rispose Sherlock, lapidario, senza alzare gli occhi del microscopio e indicando a John il cellulare con un rapido cenno della mano.
“Ti giuro che non capisco.” Protestò lui, andando comunque a prendere il telefono.
Un paio di gesti veloci, e si portò l’apparecchio all’orecchio.
“Ehi Greg. Sì, sono John. Sherlock è… - si voltò a guardarlo, ancora placidamente indaffarato nei suoi esperimenti, e per un attimo fu tentato di dire “un idiota” – occupato. Vuoi dire a me?”
Non sentendo più nessun suono provenire dal suo coinquilino, Sherlock alzò gli occhi dal microscopio e lo guardò con aria interrogativa.
“Ok, capisco. Io stavo per andare a lavoro, ma se mi dici che Mike è già lì, magari potrei venire direttamente là anch’io, insieme a Sherlock… che ne dici? Ok, va bene. Arriviamo.”
Sherlock si era alzato, e attendeva con impazienza che John chiudesse la telefonata.
“Allora?” Domandò, irrequieto.
“Allora…pare che abbiamo bisogno di te per una morte sospetta nella zona 6.”
Sherlock si aprì in un sorriso entusiasta.
“Eccellente!” disse, dirigendosi velocemente verso la sua camera. “Preparati, John, non c’è un attimo da perdere!”
 
Dopo una vita passata a prestare attenzione costante che nessun Alpha – mai, neanche come semplice invito a fare o non fare qualcosa – potesse in qualche modo dargli anche solo il più piccolo ordine (eccezion fatta per i suoi superiori, durante la permanenza nell’esercito), John Watson si trovò a correre verso la sua camera da letto senza rendersi conto che, facendolo, stesse ubbidendo a quello che fino a poco tempo prima - per i suoi standard - avrebbe visto come un comando e quindi, in quanto tale, intollerabile.


Angolo dell'autrice:
Con questo capitolo si concludono quelli di "assestamento". Erano necessari, al fine di non forzare troppo alcune dinamiche, spero che non li abbiate trovati noiosi. Sappiamo tutti qual è la quotidianità di Baker St, ma non per questo potevo far omettere ai personaggi alcune informazioni, né potevo descrivere una scena casalinga senza accennare almeno un po' a come ci si fosse potuti arrivare. 
Diciamo che da adesso la storia entrarà nel vivo, e poste le fondamenta di questo rapporto, lo potrò far evolvere di conseguenza. 

Grazie mille a tutte/i come sempre, non ho più parole per esprimervi la mia gratitudine!

Un abbraccio,
B.


   
 
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