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Autore: Cauchemar    02/02/2016    1 recensioni
"Perché, ora che tutto è caduto, ora che perfino la sua stessa esistenza è sospesa al giudizio non pronunciato del sommo Snoke, tutto ciò a cui riesce a pensare è a come la ragazza ha saputo piegare Kylo Ren, farlo sanguinare come mai avrebbe creduto di poterlo veder sanguinare?"
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Generale Hux, Kylo Ren
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non si rende conto di dove lo abbiano portato i suoi passi finché non si ritrova davanti alla porta dell’alloggio del comandante Kylo Ren. S’impone tuttavia di non dare alcun peso a quella casualità. È un tragitto come un altro per raggiungere  la propria cabina, forse solo leggermente più lungo, di certo meno frequentato. Non è stata una scelta casuale che il comandante dimorasse in un settore a parte dell’incrociatore. A Hux resta da chiedersi chi l’abbia operata.
Passando davanti alla porta rallenta impercettibilmente. Il corridoio è deserto, illuminato da un unico tubolare che diffonde una luce fredda, chimica, incolore. Nessuno veglia il riposo del ragazzo. Nessuno si preoccupa di essere presente, qualora avesse bisogno di aiuto. Perché dovrebbe essere il contrario? Quando mai Kylo Ren ha avuto bisogno di tutti loro?

Un sospiro di frustrazione sfugge dalle labbra serrate del Generale al ricordo della sua reazione, appena rinvenuto. Un attimo prima giaceva inerme, una sagoma pallida sbalzata dolorosamente tra le lenzuola, pelle bianca come neve straziata dal rosso scarlatto delle ferite. Avrebbe potuto sembrare morto, non fosse stato per la piega amara che deformava le labbra, in un grido inespresso di dolore, di rabbia impotente, per quel solco sulla fronte. Quella non era l’espressione di un morto, di chi avesse accolto, anche suo malgrado, la misericordia dell’oblio. Era l’espressione di chi sapeva di essere costretto a vivere, a svegliarsi, a rendere conto a se stesso della propria sconfitta, e rifiutava con tutto se stesso di permettere che accadesse.

Quando era entrato nell’infermeria, accolto dal clangore di un vassoio di metallo colmo di attrezzature mediche che veniva scaraventato contro la parete, Hux non aveva avuto alcun dubbio: non avrebbe trovato un briciolo di gratitudine nel comandate. Non gli sarebbe stato riconoscente  per aver ritardato la propria fuga ed essere tornato indietro a salvarlo. Beninteso, non se lo era mai aspettato. Non era stato certo per questo che era sceso in quell’inferno di neve e fiamme e crateri ruggenti che si spalancavano sventrando il pianeta fino al suo nucleo pulsante. Non lo aveva fatto per lui.

Ma nemmeno la lunga e difficile frequentazione, l’abitudine ormai consolidata a sopportare l’arroganza insoffribile del cavaliere, i suoi eccessi d’ira, il suo comportamento che sarebbe stato giudicato intollerabile per qualsiasi individuo non dotato del suo spaventoso potere, lo avevano preparato a quell’accoglienza. 

“Perché mi hai fatto questo?!”

Hux chiude gli occhi, trattiene il respiro, imprigionandolo tra le labbra, ricacciandolo nel fondo della propria gola, fino ad avvertire un vago senso di vertigine. Quando ricomincia a respirare, è ancora davanti alla porta chiusa. Potrebbe essere arrivato fin lì in sogno, per quanto ne sa.
È con un moto di rabbia che solleva la mano e digita il codice di identificazione sul quadrante di accesso. La porta scivola silenziosa, e l’oscurità della stanza gli si spalanca davanti come una galassia morta.

   
 
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