3.
Ageh si coprì gli occhi con un braccio.
Era stanco.
Più stanco di quanto era mai stato.
Ma non al livello fisico.
Era più una questione di stanchezza mentale.
Aveva preso l’abitudine, dopo le lezioni della mattina, di chiudersi in una delle mille sale d’addestramento nel sottosuolo della facoltà e si esercitava per ore fino a cena.
Dopo essere risalito in camera si seppelliva nel ripasso e nell’approfondimento degli argomenti che stuzzicavano il suo interesse.
Era di mesi avanti sul programma, ma non poteva mollare.
Si trascinò stancamente fuori dalle coperte lanciando un’occhiata alla finestra alla sinistra del letto: nuvoloni grigi oscuravano il cielo fino all’orizzonte preannunciando una lunga giornata di pioggia.
Detestava il brutto tempo, gli ricordava con raccapriccio quando ancora lo obbligavano a partecipare all’addestramento militare e lo facevano marciare per ore sotto l’acqua gelida.
Un brivido lo accompagnò mentre scendeva i due gradini che separavano il grosso letto dal resto della stanza.
Passò oltre la scrivania che quasi spariva sotto la mole dei suoi libri e dei suoi appunti.
Quasi andò a sbattere contro la porta del bagno, stava dormendo in piedi, aveva bisogno di una doccia.
L’acqua gelida lo colse di sorpresa, dovevano esserci problemi con la caldaia. Scocciato agitò una mano contro il sifone finché un cerchio di rune magiche apparve intorno al getto modificandone la temperatura.
Almeno aveva raggiunto il suo scopo. Si sentiva ancora stanco ma era sveglio.
Uscì dalla doccia e si ritrovò a fissare il suo riflesso.
I capelli castani ora gli arrivavano quasi alle spalle. A casa sua era inconcepibile una lunghezza simile, da piccolo gli rasavano la testa regolarmente.
Adesso, potendo scegliere, si era fatto crescere i capelli con una certa soddisfazione, ma iniziavano a dargli fastidio, non ci era abituato.
Forse poteva legarli.
Per il momento si limitò ad asciugarli con un incantesimo.
Vestito solo di un asciugamano entrò nella piccola stanza guardaroba sulla destra del bagno. Non aveva moltissimi vestiti, ma era restio a comprarne altri, non aveva mai avuto molto gusto nel vestire e non aveva certo bisogno di presentarsi elegante a cena.
Infine optò per un paio di morbidi pantaloni e una maglia lunga fino a mezza coscia come andava di moda a Plaurani.
Pescò un laccetto di cuoio da un cassetto e provò a farsi un piccolo codino.
Era del tutto impegnato in questa occupazione quando attraversò la porta che lo separava dallo spazio comune.
Rimase impalato sulla soglia, con il laccio in bocca e le mani dietro la testa.
Per chissà quale congiunzione astrale il suo compagno di stanza si era svegliato ad un orario decente e ora fissava con aria orgogliosa un paio di pennelli giganti che stavano dipingendo il soffitto di arancione. I muri adesso sfoggiavano un intenso azzurro cielo e davanti ai suoi piedi c’era un improbabile zerbino a sua volta arancione che recava, ricamata in rosso carminio, la scritta:
-Buongiorno Aggie! –
“Buongiorno Aggie!” Ylva lo salutò sbracciandosi, come se non fossero ad appena due metri di distanza “Ti piace? Questo posto è tutto così dannatamente bianco e noioso che ho deciso di portare un po’ di colore in camera nostra!”
Cercando di assorbire la scena si trovò a scambiarsi uno sguardo con il piccolo Gavril; ora il povero draghetto, nero come il carbone, aveva un assurdo fiocco rosa intorno al collo e sedeva moggio moggio sul suo cuscino.
“Abbiamo anche gli zerbini personalizzati!” stava continuando Ylva indicando il suo che ovviamente recava la scritta:
-Buongiorno Ylva! –
Guardò Ageh pieno di aspettativa; quest’ultimo si trovò a pensare per l’ennesima volta che se avesse avuto la coda avrebbe scodinzolato.
Non ce la poteva fare.
Richiuse la porta e la sigillò.
Salì i due gradini e si buttò a braccia aperte sul letto.
Se ne sarebbe preoccupato il giorno dopo.