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Autore: Kore Flavia    05/02/2016    1 recensioni
A Zoe i cani erano sempre piaciuti, aveva continuamente supplicato il padre di regalarle un piccolo fagottino d’amore e di peli, ma quello aveva ininterrottamente usato la scusa del “chi se ne occupa?”. Zoe aveva supplicato anche la madre che, troppo impegnata tra casa e lavoro, si scordava costantemente di darle una risposta certa, anche se la bambina aveva sempre sospettato che sarebbe stata un no. Zoe aveva anche provato a convincere la sorellina che “Se almeno tu mi aiutassi, potremmo convincerli”, ma quella era ancora una lattante e l’unica cosa che riusciva a risponderle era uno schiocco della lingua contro il ciuccio. [...]
Il suo desiderio di adottare un cane comunque non era certo diminuito, ma ciò non comprendeva i lupi mannari feriti. Soprattutto se quest'ultimi si presentavano davanti a casa sua una notte di gennaio affermando che "Ehi dolcezza, mi faresti entrare? Tanto ad un fisico come il mio non puoi dire di no.” Accompagnato ad un gesto eloquente e alquanto fuori contesto visto il taglio da cui colava sangue sulla tempia destra.[...]
Genere: Comico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Note d'autore: Ce n'è voluto di tempo, eh! Lo so, sono una brutta persona, ma non ho proprio un momento di fiato. (E la quantità nulla di recensioni mi ha un po' buttato il morale a terra, ma questi sono problemi miei e basta)
Qua vediamo i primi problemucci e scaramucce tra coinquilini: sul lavoro di cui Dylan è sprovvisto e discussioni inevitabili.
Zoe è permalosa come poche ed è normale che si senta punta sul personale sul fatto che non abbia un lavoro, seppur preferisca comunque incolpare il mondo che le circona, pensa di avere qualcosa che non va.
Dylan è uno sfaticato, ma è anche un grande cuoco come vedrete già da ora e in fututo.
In questo capitolo, se non si tiene conto delle piccole discussioni, però, vediamo anche (vedete?) una socializzazzione e imparate qualcosa su entrambi. (I miei baes imparano a conoscersi *^*) 
Vi lascio alla lettura perché vi annoiate voi e mi annoio io a scrivere papiri di presentazione. 
Ringrazio chi segue, chi preferisce, chi ricorda, chi recensisce *risata nervosa*, e chi non lo fa *seconda risata nervosa*.
Bye bye
Kore



Capitolo 2: Piccoli compromessi e pizze a domicilio
 
Erano passati quanti? Quattro, cinque giorni? Forse persino una settimana, eppure quell’uomo ancora si trovava a casa sua, sul suo divano rosso, mangiando il suo cibo e non pagando neanche una percentuale minima del suo affitto.
Probabilmente, e Zoe era certa fosse quello il motivo, se lui ancora poteva fare affidamento sull’ospitalità della giovane era solo grazie alla sua “diversità” e Zoe, a questo, non poteva resistere.
Ormai, però, le ore passate al supermercato divenivano troppo poche per poter pagare, non solo l’affitto, ma anche il necessario per entrambi. Zoe ci aveva provato, e su questo nessuno poteva muovere lamentele, a cacciarlo fuori casa, o almeno, a fargli cercare un lavoro, ma lui sembrava fossilizzarsi su quel divano e, la sua massa corporea, non aiutava la ragazza nel suo intento.
Lo si doveva ammettere, però, che una volta la giovane era riuscita a farlo muovere qualche passo fuori casa tra insulti borbottati e denti digrignati, –e lei non si era ancora capacitata dal fatto che non avesse nevicato- peccato che nessuno, ma proprio nessuno, l’avesse trovato adatto al lavoro. Chi perché “era troppo alto”, chi perché “era troppo poco forte” (seppure quest’ultima le era sembrata campata in aria).
Dylan, quindi, aveva dato per scontato che le ricerche si potessero dire concluso dopo quell’unica uscita e che, soprattutto, Zoe si fosse data per vinta e, nel profondo di sé stesso, lo sperava pure. L’uomo, perciò, dovette rimanere molto deluso quando, una sera, a casa ritornò una Zoe trionfante, il volto illuminato da una luce terribile e maligna. Aveva un foglio tra le mani piene di sacchetti della spesa.
-Ti ho trovato un lavoro!- Il tono imperioso s’incrinò trasformandosi in un trillo euforico, cosa che la giovane sembrò notare e correggere immediatamente.
Gli passò un foglio fresco di stampa su cui dominava la scritta in grassetto “Si cerca ragazzo per consegnare pizze”. Dylan lesse prima ad alta voce, poi a bassa voce. Poi alzò lo sguardo sull’altra supplichevolmente e abbassò il sopracciglio destro.
-Sul serio?- La donna annuì un paio di volte per risposta e si spostò in cucina per poggiare i sacchetti sul tavolino.
L’uomo la seguì incuriosito e terrificato allo stesso tempo, ma dovette immobilizzarsi sulla soglia alla vista della sua colazione “accidentalmente” dimenticata sul tavolo, conoscendo bene quali cataclismi avrebbe così potuto provocare.
L’espressione imperiosa di Zoe mutò d’aspetto in quello che all’uomo sembrò un nanosecondo e Dylan sospettò s’aver appena firmato un patto con il diavolo.
-Tu, fece una pausa provando a calmarsi, fingerò di non aver visto nulla, ma metti in ordine. – L’altro si precipitò ad ordinare la cucina ficcando tutto nella lavapiatti. Dylan poté sentirla borbottare un “ho a che fare con un bambino”. La donna si passò una mano sul volto sconsolata e prese ad ordinare la spesa.
-Comunque, infilò un pacco di pasta nella dispensa, dove ero rimasta?- Domandò lanciandogli un’occhiata e sistemando una bottiglia di sugo in un altro scomparto.
-Il lavoro.- suggerì diligentemente l’altro, passandole una confezione di carne che venne riposta nel freezer.
-Ah già, oggi sono passata davanti alla mia vecchia scuola e ho trovato questo foglio. Ho pensato fosse adatto a te visto che non serve un gran quoziente intellettivo.- Si alzò sulle punte per raggiungere lo scompartimento più in alto e poggiarci la farina.
L’uomo finse una risata e incrociò le braccia davanti al petto. Poi, notandola in difficoltà andò ad aiutarla senza farsi mancare una battuta sull’altezza di Zoe. Battuta che lei non comprese molto poiché, le dispiaceva deluderlo, ma lei bassa non era affatto.
-E io dovrei consegnare pizze?-
-prima devi fare il colloquio, ma poi sì, consegnerai pizze.- L’uomo annuì un paio di volte tirando fuori un pacco di biscotti dal sacchetto della spesa, aprendolo. Zoe lo fulminò con lo sguardo e mimò la parola “ingordo” con le labbra.
-E se non avessi la patente?- chiese, sgranocchiando un biscotto e mostrando alla povera ragazza tutto ciò che si trovava nella sua bocca. Lei avrebbe voluto rimproverarlo dicendogli che “non si parla a bocca aperta”, ma si trattenne. Non voleva fare il suo gioco.
-Oh, be’, se non avesti la patente, potresti pulire le latrine pubbliche.- a giovane tirò dalla tasca posteriore dei Jeans un foglietto ripiegato più volte e, riaprendolo, glielo porse. Zoe sorrideva beffarda davanti allo sguardo disgustato che Dylan lanciò a quel foglio.
-Va bene, va bene, vada per la pizza.- Digrignò i denti e stropicciò il foglio delle latrine.
-Mi sembra una scelta saggia, domani hai il colloquio alle nove.-
-nove di sera, giusto?- Il volto terrificato dimostrò quanto, l’idea di doversi alzare presto, lo schifasse altamente.
Zoe scosse la testa trionfante pensando che “finalmente toccava a lui penare un poco”.
-Di mattina. Il postò è, ci rifletté un attimo con le sopracciglia corrucciate, hai presente il Lux, ecco, la viuzza che porta a viale Libia da lì.- Gesticolò un poco, fatto inusuale da parte di Zoe, che soleva stare ben ferma nella posizione presa prima di iniziare a parlare.
-Non puoi sbagliarti, c’è una grossa scritta verde con scritto “Pizza”.- la donna allungò lo sguardo sul foglio poggiato sul tavolo, semi coperto dalla mano dell’uomo. Rifletté un attimo poggiandosi al muro dietro di sé.
-E quante ore sarebbero?- Chiese l’uomo poggiando il pacco di biscotti sul tavolo.
-Mi pare fosse cinque giorni a settimana dalle 20 a mezzanotte. – Fece una smorfia con le labbra e alzò gli occhi al cielo, la solita espressione che faceva quando rifletteva.
-E ti pagano una cosa come quindici euro a sera più le mance, ma penso che ti sapranno dire meglio loro.- L’altro non sembrò molto soddisfatto della proposta dopo aver saputo del suo stipendio futuro, ma preferì annuire un paio di volte e acconsentire a quella tortura. Sperando vivamente di non essere accettato.
Un silenzio surreale calò in cucina mentre Zoe finiva di riordinare la spesa facendosi, talvolta, aiutare da Dylan con i ripiani più alti. Fino a che, notando l’ora sul grande orologio nero che troneggiava sopra al tavolo della cucina, la donna non si girò verso il suo coinquilino e guardandolo come si guarda uno scarafaggio spiaccicato per terra constatò che “non hai preparato il pranzo”.
Dylan dovette capire quanto quella sua mancanza l’avesse maldisposta, anche perché Zoe si era ben chiarita sul fatto che, non dovendo fare nulla dalla mattina alla sera, potesse almeno farle il piacere di cucinare per entrambi –cosa che lei odiava fare e che le veniva anche piuttosto male-, ma lui sembrava dimenticarsene “casualmente” ogni volta e, ogni volta, era la stessa storia. Si instaurava un’infantile discussione che terminava con la ragazza che decideva di preferire uscire a mangiare un panino in “santa pace” e “senza un’idiota nei paraggi”.
Quella volta, però, Dylan sembrò decidere d’accontentarla e precipitandosi a prendere una padella e una pentola accese i fuochi e mise su un piatto di pasta accompagnata da un sugo improvvisato sul momento. Zoe preferì andare a farsi una doccia
Da sempre era solita mettere la musica prima di andare sotto l’acqua e canticchiare qualche strofa, ma da quando Dylan abitava da lei, quella sua abitudine era andata scomparendo. Un po’ per mantenere la sua riservatezza e un po’ perché le aveva sempre dato un gran fastidio canticchiare con qualcun altro nelle vicinanze. Soprattutto se quel qualcun altro era un’idiota come Dylan.
Quando tornò in cucina, dopo essere chiamata dall’urlo di Dylan, trovò la tavola “sorprendentemente” apparecchiata.  
Prese posto sul quel tavolo troppo esiguo per due, tanto che i piatti si toccavano tra di loro e i bicchieri erano sempre poggiati sul piano della cucina, per bere, perciò, ci si doveva alzare e bere quei due sorsi di cui si aveva bisogno tra un boccone e l’altro.
Se Zoe avesse dovuto concedere qualcosa a quell’uomo era la sua capacità in cucina e per questo non accettava che quello scemo non avesse mai fatto una scuola di cucina. Da quel che diceva lui, poi, sembrava che avesse a malapena completato il liceo, uscendone con scarsi risultati. Questo Zoe se lo sarebbe immaginato, non spiccava certo per intelligenza lui, ma la cucina diavolo in quello sì che era capace.
Con qualche ingrediente preso dalla dispensa riusciva a preparare dei piatti da leccarsi i baffi, cosa in cui lei era totalmente negata. Quando ancora non aveva in casa quell’intruso spesso finiva per cenare al Mc Donalds, un luogo disgustoso per una dea come lei, e spesso ne usciva insoddisfatta e impoverita.
Forse solo per questo Dylan era una fortuna.
Zoe, poi, lo doveva ammettere a sé stessa: di annunci ne aveva trovati altri, ma quale sarebbe stato più adatto di qualcosa che, seppur lontanamente, avesse a che fare con la cucina?
E chissà! Forse poteva anche ricevere un posto come cuoco, era un pensiero così infantile e buonista che la giovane si sorprese e si indignò al solo concepirlo. Non era da lei sperare in certe sciocchezze, soprattutto se queste comprendevano una persona che non tollerava.
-E’ buono.- Commentò secca. Prese un altro boccone.
Dylan si alzò e prese un sorso d’acqua, riempì anche il bicchiere dell’altra porgendoglielo. Lei annuì un paio di volte e ingurgitò il liquido ad una rapidità inumana. Si rese conto d’aver una gran sete.
L’uomo rimase un attimo lì: la vita poggiata al ripiano dietro di sé e il busto leggermente all’indietro.
-A che ora ti sei alzata?- Era buffo il fatto che non la guardasse negli occhi o almeno, era lei a trovarlo buffo. Era come se volesse fingere d’essere burbero, darsi un tono, ma fallendo miseramente. Era troppo idiota, pensò Zoe.
Lei parve di rifletterci un attimo increspando il labbro inferiore: -Saranno state le 9.-
Silenzio.
-Perché, ti ho svegliato?- domandò sarcastica, conoscendo fin troppo bene il sonno pesante dell’altro. Si ricordava il secondo (o forse era il terzo?) giorno in cui lui si era installato sul suo divano e lei, per svegliarlo, dovette passargli l’aspirapolvere ad un palmo dal naso. Fece una pausa concedendosi una smorfia di sdegno:-O forse ti sta a cuore quanto io dorma?- rise beffarda.
-Penso solo che tu dorma poco.- Ribatté perplesso l’uomo riprendendo il proprio posto a tavola e infilandosi in bocca una quantità spropositata di cibo. Zoe fece una boccaccia disgustata e lo fulminò con lo sguardo perché “mangia decentemente, te ne prego”.
-Tanto dormo il pomeriggio e di meglio non ho trovato.-
-Ma non hai una laurea?- Lo sguardo che le lanciò a quella domanda le ricordò parecchio quella di un bambino lamentoso. Quel fatto la colpì tanto da non pensare affatto alla domanda posta, che solitamente l’avrebbe mandata fuori dai gangheri.
-Sì, storia dell’arte. La mia tesi era sulla statuaria barocca e neo-classicista.- Borbottò sempre più infastidita da quelle parole via via che le sputava fuori, le raschiavano la gola ed erano acide come conati di vomito. Poté attribuire un nome a quella sensazione: la frustrazione. Che strana parola la “frustrazione”, così l’aveva sempre trovata Zoe, racchiudeva non solo uno, ma più emozioni e sensazioni negative. Custodiva dentro di sé la delusione, la rabbia, il senso di inadeguatezza. Dava libero sfogo ai propri significati al solo pronunciarla, persino un bambino ne avrebbe capito il significato. Fuoriesce dalle labbra come un conato di vomito come un rantolo rabbioso. Eppure Freud aveva ammesso che la frustrazione, seppur potesse aiutare lo sviluppo dell'Io e i suoi adattamenti, se eccessiva, poteva essere nociva in quanto poteva facilitare la messa in atto di meccanismi aggressivi. Si era spesso rammaricata a pensare a quanto quella laurea fosse la sua principale fonte di frustrazione. Aveva quel pezzo di carta. Aveva avuto i voti più alti. Aveva avuto il massimo a tutti gli esami, ma per cosa? Per lavorare in uno stupido supermercato, vivendo in una stupida casa in affitto e faticando ad arrivare a fine mese.
Allora a che le era servito quel pezzo di carta? Spesso, in momenti di rabbia, aveva fatto battute di cui la volgarità non avrebbe mai voluto ripetere, anche il solo pensarle l’umiliava.
-E perché non hai un lavoro decente?- Quella voce proruppe nei suoi pensieri. Possibile che dovesse annidarsi ovunque? Che dovesse trovarsela anche dentro ai suoi flussi di coscienza, flussi la cui profondità, secondo Zoe, era equiparabile a quelli dei personaggi di qualche romanzo famoso.
-Il perché chiedilo a quei coglioni.- Trasalì tappandosi la bocca ed ecco che la purezza della dea si era andata a farsi benedire. Anche le orecchie divennero di un rosso sanguigno sotto lo sguardo sbigottito del coinquilino, nessuno era abituato a certe uscite da parte sua. Quella era l’unica cosa che i genitori non le avevano mai rimproverato, a differenza di sua sorella, che spesso somigliava più ad una scaricatrice di porto che alla principessina di casa.
-Volevo dire conigli.- Si corresse con la prima idiozia che le venne in mente, che non fece, però, che aumentare la sua vergogna. Conigli. Come diavolo le erano usciti fuori i Conigli? L’altro scoppiò a ridere davanti a quell’indecente tentativo di aggiustare le cose.
-Sì, conigli! Dovevi vedere la tua facci mentre dicevi sta cazzata.- Era indecente quella sua frase e Zoe dovette ammetterselo, ma era indecente anche la sguaiata risata di Dylan e le frasi di scherno che ne susseguirono. Sembrò quasi mettersi a piangere tra le rise, affogandoci e annaspando. Lo trovò disgustoso, di una grossolanità oltremodo oltraggiosa.
Per controbattere rimase seduta composta, tanto da poter parere pietrificata come una delle tante statue studiate all’epoca, si sentiva come se Medusa l’avesse impietrita in quella sua espressione mista ad imbarazzo e disgusto. Chissà quanto il suo volto dovesse essere terribile a vedersi, tanto da far smettere di ridere a Dylan. L’avrebbe voluto prendere a ceffoni, ma le sue mani erano rigide, una ritta lungo il fianco, l’altra ancora a tenere la forchetta.
-Tutto be- Zoe l’interruppe alzandosi prepotentemente.
-Vado a dormire, per l’appunto.- E sbatté la porta di camera sua, buttandosi sul letto ancora bruciante di rabbia e vergogna. Era la prima volta che perdeva ad una discussione, se si poteva definire tale, con qualcuno e quel qualcuno era Dylan. Una persona dallo scarso intelletto e che doveva avere preso una botta in testa da piccolo. E lei, lei che aveva fatto tutti quelli studi, ricevendo grandi elogi sul suo modo di esporsi, veniva battuta da un infido mortale. Un mezzo cane tanto per raddoppiare il danno.
Si assopì dopo aver lungamente osservato il soffitto sperando che quello le crollasse addosso così da non permetterle di muoversi più. Quando riaprì gli occhi fu solamente grazie all’insistente sveglia dello smartphone, se fosse stato per lei avrebbe potuto ancora dormire per molto tempo.
Erano le 18. Fece un rapido calcolo mentale: doveva aver dormito almeno tre ore piene e si sentì calare addosso la stanchezza di chi ha dormito troppo a lungo. In un primo momento non poté neanche ricordarsi il proprio nome, si domandò se fosse mai esistita. Era quella la sensazione prima che l’angoscia della vita si rinfili nelle fessure della mente ed era per questo che il genere umano si imponeva la propria quotidianità. Chi portava fuori il cane, chi preparava un caffè, chi leggeva un giornale e chi, correndo da una parte all’altra, dimenticava persino il proprio nome.
“Credi di chiamati tizio, che il tuo lavoro consista nel fare questo e quello ma al risveglio niente di tutto ciò esisteva. E può darsi che davvero non esista.” Si ripeté lentamente Zoe citando sapientemente “Diario di Rondine” di Amelie Nothomb prima di infilare i propri piedi nelle calde pantofole e scivolare fuori dalla camera buia.
In salotto la tv era accesa. Zoe voleva buttarsi sul divano ed esserne agglomerata all’interno. Immaginò di trovarci Dylan disteso a schiacciare un pisolino e questo le provò un moto di stizza, ma non trovò nessuno. La notizia la raggiunse lieta e si sedette all’angolo destro, la schiena rivolta al bracciolo e le gambe strette al petto.
Aveva lasciato la tv accesa fu il primo pensiero che le sorse in quel momento, il quale fu subito collegato alla bolletta da pagare.
Cambiò canale: le annoiavano tremendamente le canzonette che girava in continuazione su Mtv Music. Una volta le era pure capitato di risentire la stessa canzone nell’arco di un’ora, eppure di canzone belle ne era pieno il mondo.
Ebbe due scelte: ho fermarsi su un canale per bambini in cui alcuni pony colorati saltellavano allegramente, o guardarsi l’ennesima replica di The voice. Non fu un’ardua scelta, preferì di gran lunga i pony colorati. Certo, erano irritanti, ma almeno si potevano giustificare grazie alla fascia di età a cui erano destinati.
Tra una canzone e l’altra Zoe sonnecchiò. Era strano: era annoiata. Lei era solita irritarsi, arrabbiarsi, ma annoiarsi quello proprio no. Non trovava nulla di noioso nel mondo: tutto era troppo diverso e strano per essere ritenuto noioso. La noia è un sentimento che attanaglia solo quando non c’è nulla che ci distragga, nulla che ci attiri, quando un mondo attorno sembra essere scomparso ed era strano: molta gente si annoiava, non notando tutte le opportunità per riempire quella noia.
-Ah, ma allora sei sveglia!- Zoe alzò gli occhi al cielo indispettita e ancora una volta non poté provare il sentimento della noia. Doveva essere passata un’ora da quando quei Pony galoppavano in giro discutendo d’amicizia.
-Già.- borbottò. Spense la tv colta in fragrante davanti a una trasmissione per bambini.
-Bel programma.-
-Già.-
-Sono le sette, vuoi che prepari qualcosa?- Domandò l’altro poggiandosi allo stipite della porta, Zoe annuì per tutta risposta e si stiracchiò sul divano senza però alzarsi.
-Se vuoi.- Quella risposta, Dylan lo capì, nascondeva un sì piuttosto secco.
L’uomo scomparve in cucina, mentre Zoe rimaneva ancora sdraiata sul divano una domanda le balenò in testa:
-Che fine avevi fatto?!- Gridò dalla sua posizione giacente, ma lui parve non udirla e lei si costrinse a raggiungerlo in cucina dove aveva messo a soffriggere carote e cipolla. Le rivolgeva le proprie spalle. Ripeté la propria domanda spaventandolo, non doveva aver fatto abbastanza rumore da farsi notare. Quello si girò con una mano al petto con fare teatrale. Altro che cuoco! Avrebbe dovuto fare l’attore pensò Zoe.
-Diavolo, mi hai spaventato!- Si passò una mano sulla fronte fingendo uno svenimento e scoppiò a ridere. –Comunque ero andato a correre. Come pensi che sia riuscito ad avere tutto questo ben di dio?- Esclamò battendosi la mano sul petto, per poi far tornare la propria attenzione sul soffritto.
-Hm hm.-
-Non mi credi?-
-Sì sì.- Ripeté dubbiosa. –E’ la prima volta che esci da qui di tua spontanea volontà.
-Davvero? Ah già, hai proprio ragione!- Prese gli hamburger e li lasciò andare sul fondo della padella allontanandosi di un passo dall’olio bollente. Alzò le spalle.
L’ospitante apparecchiò. Quel che si dissero durante la cena non fu rilevante per nessuno dei due, si trattava di frasi come “Ieri la Roma ha vinto contro la Lazio” o “Quindi domani al colloquio ci vai?”. Una cosa è da ammettere passarono per una vastità tale d’argomenti, sorvolandoli a volo d’uccello, che, seppur superficialmente, fu la prima vera e propria volta che conobbero qualcosa dell’altro.
Dylan seppe che Zoe aveva una sorellina: Elisabetta. Scoprì anche dell’amicizia con la bidella e la professoressa di latino. Apprese per quali cause Zoe combatteva e si stupì a notare quanto fosse sensibilizzata umanamente. A differenza della sua aggressività per i singoli aveva un grande interesse nella parità di diritti delle persone. Diceva di combattere per i diritti dell’esser umano senza alcuna distinzione. L’ammirò.
A due cose Zoe non alluse una singola volta: la prima era Akilah, la seconda Valerio.
La donna, invece, poté conoscere alcune cose sul fronte soprannaturale dell’uomo come il fatto che esistessero comunità di Lupi mannari che spesso si riunivano assieme in una discoteca a fare baldoria e apprese anche che era proprio in una discoteca che si era procurato quel taglio alla tempia. Seppe di vecchi vicini scoperti Licantropi e di bambine dalle treccioline divenute presto lupe mannare. L’uomo disse che non era una cosa importante l’essere licantropo: “non c’è alcuna faida tra i vampiri e i licantropi per due motivi: il primo è che i vampiri non esistono e il secondo è che non siamo in un libro per adolescenti in piena fase ormonale”.
Il suo essere licantropo, infatti, o veniva presa per una scemenza o uno scherzo di cattivo gusto o per una “quasi” normalità. “In fin dei conti” disse lui “Il licantropo è il minore dei problemi, attualmente. Se esistono politici corrotti, assassini, ladri e molto altro ancora, allora il licantropo è la irrilevante.”
Zoe non lo trovò poi così stupido.
 
 
   
 
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