Il traffico della città, per quanto frenetico, ai suoi occhi era solo un susseguirsi di macchie sfocate che scorrevano al rallentatore, controcorrente. La sua figura, esile e sfuggente, era paragonabile ad un fuscello al vento che, dondolando fra mille altri, finiva per perdersi all’occhio di chi l’osservava. Scivolava veloce per le strade, in costante fuga dalla realtà, allineando il moto all’orchestra dei suoi pensieri.
Tutti la conoscevano ma nessuno sapeva chi fosse veramente; viveva di espedienti, non aveva una famiglia e chissà cosa le era capitato per finire vittima di una metropoli che ingoia senza pietà le persone che non ne seguono il ritmo.
Non c’era modo di avvicinarla, troppo difficile da seguire. Lasciava solo una rapida scia rossa al suo passaggio, tant’è che le era stato dato il nome di “The Fade”.
Fade era una giovane donna, magra, all’aspetto alta. Se ne andava in giro sui suoi roller per uno dei quartieri più pericolosi della metropoli con la sfrontatezza di chi, di quel quartiere, si sente padrone. La sua pelle era chiara, come se non fosse mai stata baciata dai raggi del sole. Aveva i capelli lunghi, rossi e spesso li raccoglieva in una stramba acconciatura: quasi a voler rappresentare un inquietante mostro mitologico, consumava barattoli di cera per capelli per creare una lunga falce rossa che si originava dalla fronte per protendersi in avanti, e due falci minori slanciate indietro.
Ai più sembrava davvero ridicola con quello strano e ingombrante “accrocco” sulla testa, lo trovavano però utile perché era riconoscibile da lontano e questo permetteva di cambiare strada in tempo per non incrociarla.