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Autore: Betta7    08/02/2016    4 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11.
PORTE CHIUSE.

Pov Akito.

«Avanti, Hayama, sbrigati!».
Sana non faceva altro che darmi ordini, continuamente.
Prendi i pannolini, prendi il biberon, prendi il passeggino, prendi questo, prendi quello.
«Akito, dai, per favore!!».
Corsi a darle il body della bambina e lei mi ringraziò sorridendomi. Ormai erano due giorni che non chiudevamo occhio, il mio cervello stava per abbandonarmi e così anche il mio corpo, mentre Sana sembrava non essere sfiorata da tutto ciò che ci stava succedendo. Praticamente eravamo diventati genitori di punto in bianco e ci eravamo ritrovati a cercare di mantenere i ritmi di una neonata anche se in realtà non sapevamo come fare, in più l'università non mi dava pace e sarei stato impegnato per il resto del mese con una relazione da preparare in vista dell'esame.
Era come se tutte le cose negative della mia vita si stessero unendo, creando un problema dopo l'altro a cui non riuscivo a trovare soluzione.
Sana si comportava con Kaori come una mamma premurosa e almeno su questo potevo stare tranquillo, anche se dovevo ammettere che addossarle tutte quelle responsabilità senza riuscire nemmeno a darle una mano mi faceva sentire parecchio in colpa.
Mi fermai a guardarla, stava chiudendo i bottoni automatici del body di Kaori e nel frattempo le parlava, sorridendole e facendola ridere a sua volta. Immaginare Sana in una situazione come quella mi era sempre sembrato un po' surreale, perchè avevo sempre allontanato l'idea che potesse avere figli con un uomo qualsiasi perchè mi faceva andare su tutte le furie, ma in quel momento immaginarla col pancione o con un bambino nostro mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
«Perchè mi fissi così?».
Uscii dal mio stato di trance e adesso era Sana che guardava me con fare interrogativo.
«Nulla, te la cavi con i bambini.» minimizzai infine, cercando di non far trapelare tutte le emozioni che invece mi avevano attraversato fino ad un momento prima.
«Si, bè... ogni tanto nei periodi natalizi andavo all'orfanotrofio che ha accolto Naozumi, passavo molto tempo con quei bambini e alcuni ancora portavano il pannolino. Era uno dei miei momenti preferiti in assoluto, quando li andavo a trovare. Adesso non ci vado più tanto spesso.»
Non me l'aveva mai detto prima, probabilmente non l'aveva mai detto a nessuno e mi venne spontaneo sorriderle per avermi confidato una cosa così importante per lei.
Sana non faceva altro che posticipare e annullare i suoi impegni per me, per aiutare me... e io riuscivo a malapena a mostrarle la mia gratitudine.
«Tu, invece...» esordì lei, dandomi una gomitata «.. sei proprio una frana con i bambini! Ieri ho trovato Kaori con il pannolino al contrario!».
Scoppiò a ridere e il suono della sua risata mi giocava sempre brutti scherzi tanto che dovetti abbassare lo sguardo per evitare di commettere un errore che mi sarebbe costato caro.
Quella situazione doveva finire, dovevamo trovare una definizione. Non eravamo amici, ma nemmeno una coppia a tutti gli effetti se non per il contratto che il matrimonio rappresentava. Non eravamo nulla di spiegabile o comprensibile.
Eravamo noi, e non sapevo realmente quanto quel noi sarebbe stato positivo.  

*
Mi ero rammollito. Era ufficiale, avevo preso le mie palle e le avevo appese al chiodo.
Non ero mai stato un tipo da sorprese plateali ne avevo mai
organizzato nulla per nessuno, quindi pensare a qualcosa che potesse andar bene per Sana nella situazione in cui ci trovavamo non fu semplice, ma con la complicità della signora Kurata riuscii a raccapezzarmi nella confusione della nostra nuova esperienza da genitori.
Sana sembrava totalmente assorbita da mia nipote, non dormiva più, passava tutto il suo tempo a cambiare pannolini sporchi e anche se io volevo aiutarla lei mi cacciava dicendomi di pensare a studiare.
Odiavo doverle dare tutte quelle incombenze. Odiavo che lei potesse essere distrutta a causa mia.
Quindi, cercando un po' su internet, avevo trovato uno stupendo percorso benessere che avevo subito prenotato, cogliendo così l'occasione del nostro terzo mese di matrimonio e sapendo perfettamente che sarebbe stato un toccasana per lei quanto per me. Non me la sentivo di proporle una serata fuori, ero convinto che sarei incappato in un rifiuto legato alla bambina, Sana non l'avrebbe mai lasciata da sola per andare a divertirsi. Invece, se non l'avesse saputo affatto e se fosse stata tranquilla ad affidare la bambina a sua madre, avrebbe potuto godersi il relax che avevo progettato per noi.
Quando accompagnammo la bambina a casa Kurata Sana mi sembrò abbastanza titubante nel lasciarla a sua madre, ma speravo con tutto me stesso che non facess obbiezioni o il mio piano per la giornata sarebbe andato in fumo.
«Mi raccomando...» mi sussurrò Misako prima di chiudermi la porta alle spalle.
Sana mi guardò interrogativa, aggrottando leggermente le sopracciglia. «Che cosa intendeva?».
Alzai le spalle e tornai alla macchina, ridendo sotto i baffi.
«Dove mi stai portando?» chiese dopo aver messo la cintura di sicurezza.
«Lo vedrai.»

Pov Sana.

Akito continuava a guidare in silenzio, forse la cosa che detestavo di più al mondo.
Il silenzio per me era come un enorme buco nero, prende tutto ciò che ha intorno e lo risucchia inevitabilmente, senza scampo.  Ecco, in quel momento, mentre Akito si allontanava sempre di più dalla città e io giocherellavo con i capelli, mi assalì la paura che il nostro rapporto, prima o poi, sarebbe stato risucchiato dal silenzio, dalla noia, dalla non più voglia di stare insieme.
Non potevamo di certo vantarci di avere un bel rapporto: litigavamo in continuazione - spesso anche perchè lui metteva i calzini addirittura in ordine di colore mentre io ero disordinata e casinista - e non facevamo altro che urlarci contro per qualsiasi cosa. Eppure, nonostante tutto, avevo sempre creduto che proprio per quello il nostro legame fosse forte, perchè era reale.
«Dove andiamo?».
«Lo hai già chiesto diciassette volte, Kurata.» sbuffò lui, stringendo ancora di più il volante tra le mani.
«E per diciassette volte tu mi hai risposto non te lo dirò mai, sai formulare una frase diversa?»
Mi strinsi nelle spalle e misi i piedi sul cruscotto perchè sapevo quanto gli desse fastidio.
«Non te lo dirò mai. E togli i piedi da lì, rana.»
Gli lanciai uno sguardo di fuoco, sapeva quanto odiavo essere chiamata in quel modo, eppure ogni volta si ostinava a farlo per indispettirmi.
Se avessi avuto ancora quindici anni e le codine da bambolina sarei andata su tutte le furie e lo avrei colpito con il mio fidato martelletto, ma ero una donna ormai e da tale dovevo comportarmi.
Tolsi i piedi dal cruscotto, come mi aveva chiesto, e mi volta a guardare fuori dal finestrino, senza degnarlo minimamente di uno sguardo.
Una volta mia madre mi disse "Sana... l'indifferenza è la miglior arma per infastidire qualcuno." e aveva ragione, pienamente ragione.
Per tutto il tempo rimani nella stessa identica posizione e notai che lui sbuffava, si voltava a guardarmi e poi tornava a fissare la strada. Era nervoso, perchè non aveva il controllo di nulla in quel momento, e la cosa mi eccitava da morire.
Tanto era lo sforzo di mostrarmi indifferente e distaccata che non mi accorsi neppure che Akito si era fermato perchè eravamo arrivati a destinazione.
Scesi dall'auto e mi affiancai a lui, non capendo minimamente di cosa si trattasse. Eravamo davanti ad un grande casolare, sull'insegna vi era il nome di La casa del relax, e immediatamente dentro di me si materializzò l'idea di un negozio di materassi.
So che potrebbe sembrare stupido, ma era da me, e non avrei mai immaginato ciò che invece trovai all'interno.
Tutto era completamente bianco e splendente e pensai di non aver mai visto niente di così pulito in vita mia. Alzai lo sguardo e di fronte a noi troneggiava nuovamente il nome e, sotto, in un cartellone, tutti i trattamenti di cui si occupavano.
Ci avvicinammo al bancone della reception dove una signora bionda, dall'accento tedesco, strinse la mano ad Akito, confondendomi ancora di più.
«Salve, signor Hayama. Venite con noi, Lena e Crista vi stanno aspettando.»
Rimasi interdetta nel sentire quei nomi, e lo fui ancora di più quando la donna mi porse un accappatoio e mi disse di andare nello spogliatoio e togliermi i vestiti.
«Ma lei intende nuda... nuda?»
«Certo, signora Hayama. Nuda.» rispose lei, tranquillissima.
Sentirmi chiamare signora Hayama mi fece un certo effetto e sicuramente diventai rossa ma cercai di nascondere il mio imbarazzo.
Guardai Akito, gli feci un cenno imbarazzato e mi avviai verso lo spogliatoio, che la ragazza mi aveva indicato.
Non avevo avuto il coraggio di guardare davvero  Akito, perchè anche solo pensare che avesse organizzato quella cosa per me mi aveva riempito di gioia, mentre io ero stata capace solo di ignorarlo.
Quando ci ritrovammo entrambi distesi sui lettini e coperti solamente da due lenzuoli bianchi, il separè che divideva la stanza fu eliminato e, immediatamente, trovai i suoi occhi.
Le massaggiatrici si misero ai lati opposti così da permetterci di guardarci.
Gli sorrisi, non sapevo cosa dire, mi sembrava tutto così banale.
«Ti stai rilassando?» mi chiese lui, quando chiusi gli occhi mentre mi godevo il massaggio di Lena.
Annuii sorridendo. «E' tutto meraviglioso, grazie.»
«Oh donna, non ringraziarmi adesso. Il meglio deve ancora venire.» rispose lui, voltandosi dall'altra parte e lasciandomi con mille domande nella testa.
Il meglio deve ancora venire...
E cavolo, aveva ragione.
Quando il massaggio di coppia terminò ci accompagnarono in una camera al piano superiore. Akito aprì la porta e un enorme Jacuzzi invadeva tutto lo spazio all'interno.
Era meravigliosa, l'acqua all'interno era così calda che fumava e io non credevo si potesse essere così rilassati.
Quando entrammo e ci mettemmo comodi, mi sembrò che il mondo attorno a me fosse sparito, c'eravamo solo io, la vasca e forse Akito, ma lui era un elemento superfluo.
Volevo una Jacuzzi, deciso.
«Era questo il meglio, per tua informazione.» disse Akito, svegliandomi dal trance in cui ero caduta.
«Si, me ne sono accorta. Devi smetterla di organizzare queste cose, potrei abituarmi ad un massaggio settimanale e diventeremmo poveri a forza di percorsi benessere.»
Scoppiammo entrambi a ridere e il momento mi sembrò il più giusto per avvicinarmi a lui.
Non avevo alcuna intenzione particolare ma notai immediatamente quanto si fosse irrigidito anche solo vedendomi muovere.
Mi strinsi sotto il suo braccio destro, appoggiando una mano sulla sua pancia e una dietro la sua schiena.
«Posso dirti una cosa, senza che tu ti arrabbi?»
Lui annuii. «Ma non ti prometto nulla sulla mia rabbia.»
«Mi manca Kaori.»
Lui sorrise, quasi come se lo sapesse già. «E' in buone mani, sta tranquilla. E poi stasera andiamo a prenderla, non mi fido a lasciarla nella stessa casa con Occhiali da sole, potrebbe farle il lavaggio del cervello e convincerla ad odiarmi.»
Risi, sapendo che aveva pienamente ragione, e mi strinsi ancora di più a lui fino a che il calore dell'acqua e il calore del suo corpo non mi fecero addormentare.

*
Mi svegliai quando ormai l'ora nella Jacuzzi stava per terminare e Akito era già in bagno a vestirsi.
Non avevo idea che potesse essere così romantico o, se non romantico, così premuroso. Mi sembrava che fosse irreale, come se non riconoscessi più l'Akito che avevo conosciuto. Da quando portava la fede al dito era cambiato, sicuramente in meglio, ma non era più la persona che avevo frequentato per tutta la mia vita.
Hayama uscì dal bagno ancora a petto nudo, probabilmente perchè convinto che dormissi ancora, e appena si accorse di essersi sbagliato si affrettò a mettere la maglia.
«Andiamo?».
Annuii e, con non poco imbarazzo, uscii anch'io dalla vasca sapendo perfettamente che lui mi stava fissando da testa a piedi. Corsi in bagno e in cinque minuti ero di nuovo fuori, pronta per tornare a casa.
In macchina nessuno dei due era riuscito a dire una parola, probabilmente entrambi provavamo le stesse cose e non riuscivamo a dircele.
Io ero spaventata, perchè sapevo che quello poteva essere l'inizio di tutto e, contemporaneamente, la sua fine.
Quando arrivammo davanti casa di mia madre sentii il cuore più leggero, riavere tra le braccia la piccola Kaori era come un toccasana per me, era come riprendere il controllo dopo una giornata in cui non ero riuscita ad avere il controllo di nulla, nemmeno di me stessa.
Mia madre mi disse che la bambina aveva mangiato e che dormiva profondamente, quindi la avvolsi nella sua coperta e la portai in macchina.
«Sta bene?» mi chiese Akito mettendo in moto. Io annuii e cominciai a coccolare la piccola mentre lui continuava a guardarmi, sorridendo.
«Che c'è?» chiesi poi, ridendo anch'io.
«Niente, sembri una mamma che si è rincretinita dopo la gravidanza.»
Scoppiammo a ridere entrambi e mi sembrò che la tensione accumulata da tutto il giorno fosse improvvisamente svanita, come se quelle risate potessero cancellare cinque ore di pensieri continui.

*

Misi la bambina nella sua culla, accendendo il control baby e portando il secondo apparecchio in salotto con me.
«Ho ordinato la pizza, per te va bene?».
«Si, il solito?» chiesi, sapendo già la risposta.
«Ovviamente.»
Mi buttai sul divano, sperando di potermi godere un po' di tranquillità prima della nottata in cui sapevo già che la bambina si sarebbe svegliata ogni tre ore per mangiare.
Akito fece lo stesso, dopo aver sistemato la spesa, e parlammo un po' della giornata appena trascorsa. Prendemmo in giro la massaggiatrice che aveva fatto degli apprezzamenti molto spinti nei confronti di Akito, e del ragazzo della reception che voleva aiutarmi a trovare i bagni e magari accompagnarmici anche dentro.
La pizza arrivò poco dopo, Akito si alzò e, dopo aver pagato, mandò via il fattorino che, vedendomi, aveva voluto un autografo.
«Sei una specie di fenomeno da baraccone, dovrebbero chiuderti in una gabbia.» scherzò lui. Io scoppiai a ridere, immaginandomi davvero dentro una gabbia, circondata da tutti i miei fans. Che orrore!
«Tu saresti nella gabbia accanto alla mia, signor fenomeno da baraccone!».
Mangiammo tranquilli davanti alla tv, ogni tanto ci davamo qualche spintarella e ridevamo come due scemi per le battute squallide del presentatore tv.
Mi sembrava una semplice serata tra marito e moglie, ed ero felice che almeno per un po' Kaori fosse beata nel suo sonno, così almeno io e Akito avremmo potuto goderci un po' di tranquillità, l'unica cosa che in quei giorni ci era mancata.
Lo guardai e sorrisi, rendendomi conto del fatto che dovevo approfittare di quei momenti insieme, perchè non appena le cose si fossero sistemate probabilmente il nostro matrimonio sarebbe stato cancellato da due firme su un atto di divorzio.
Mentre ero presa dai miei pensieri il telefono squillò ma Akito mi precedette, alzandosi prima di me.
Quando si allontanò abbastanza da non vedermi mi sporsi verso il cartone della pizza e presi l'ultimo pezzo, sapendo perfettamente che si sarebbe infuriato.



Pov Akito.

Presi il telefono sbuffando e capendo immediatamente chi c'era dall'altra parte del telefono.
«Akito, sono contento di sentirti.». Mi schiarii la voce e cercai di sembrare il più tranquillo possibile.
«Naozumi, come va?». In realtà non mi interessava molto se fosse vivo o morto, ma dovevo conservare una parvenza di gentilezza per non far arrabbiare Sana, Naozumi era pur sempre un suo caro amico, anche se a me non andava a genio.
«Bene, grazie. Ho chiamato per sapere come stava la sposina!». Pronunciò l'ultima parola con un tono di sorpresa, o sconcerto, non avrei saputo distinguerle perchè era troppo bravo a recitare, e mi sembrò che volesse sottolinearla di proposito, per farmi sentire in colpa.
«La sposina sta bene, in questo momento è sotto la doccia quindi non può venire al telefono.». Stavolta mi sentii davvero in colpa per avergli mentito e non avergli quindi permesso di parlare con Sana, ma la serata stava andando troppo bene per rovinarla con le parole di Kamura. Da quando Sana aveva annunciato il nostro fidanzamento e, successivamente, il nostro matrimonio Naozumi si era sempre comportato come un semplice amico ma io non potevo fare a meno di notare sempre qualche battuta pungente o qualche telefonata di troppo.
Probabilmente ero solo io a vederlo e sapevo perfettamente che, se lo avessi detto a Sana, sarebbe stato sicuramente oggetto di litigio.
«Va bene, allora richiamerò. Ciao Akito e salutami Sana.».
«Ciao Naozumi.». Chiusi la chiamata e buttai il telefono sul tavolo, tornando in salotto.
«Non ci credo.».
Sana scoppiò a ridere quando la trovai con l'ultimo pezzo di pizza in mano e la bocca piena. «Hai mangiato l'ultimo pezzo della mia metà?».
Cercai di rimanere il più serio possibile, per farle pensare realmente che fossi arrabbiato. Mi avvicinai lentamente e lei si alzò da terra, mettendosi dietro al divano per allontanarsi da me.
«Hayama, no.»
Feci un salto e l'afferrai per la maglietta, scoprendole la pancia. Sana si divincolò velocemente e scappò verso il corridoio, spostando le sedie per ostacolarmi.
Il suono della sua risata si propagò per tutta la casa e mi sembrò di essere in paradiso.
Sana si voltò e capii di essere in trappola, proprio davanti alla porta della nostra camera, e si portò le mani alla faccia per coprire le troppe risate.
«Sei fregata, signora!» gridai io. Ma, proprio mentre mi buttavo su di lei per farle il solletico, sentii come un vuoto, esattamente al centro del petto.
In un gesto repentino le tolsi le mano dal viso e lei capii che il gioco era finito, aveva i capelli tutti arruffati e la maglia stropicciata per le volte che l'avevo afferrata e poi lasciata.
I suoi occhi facevano trasparire il suo stupore, ma c'era qualcos'altro, qualcosa che non riuscivo a decifrare ma che non mi avrebbe fermato.
«Sana...» sospirai proprio ad un centimetro dalla sua bocca. Credevo che il cuore mi sarebbe scoppiato da un momento all'altro.
«Mhm?» sussurrò lei, tenendo gli occhi chiusi.
«Credi che... possiamo...?». Non sapevo cosa fare, se fosse giusto ciò che volevo o se avrei dovuto semplicemente lasciarmi andare agli eventi.
«Akito, sta' zitto!»
In un attimo la situazione si capovolse, mi ritrovai le sua mani sulla nuca e le nostre bocche una sull'altra.
Abbassai lo sguardo su di lei, colto del tutto alla sprovvista da quel gesto. Mi chianai e la baciai piano, con dolcezza, come se da quello dipendesse la mia stessa vita e più il bacio continuava più avrei voluto urlare dalla gioia.
Schiuse la bocca, io la baciai ancora più a fondo e, mentre avrei voluto mettere le mie mani ovunque, mi limitai a metterle ai lati della sua testa come a intrappolarla ancora di più.
Sana invece non faceva altro che provocarmi e stuzzicarmi, le sua mani correvano dai miei capelli alla mia schiena, su e giù, con un ritmo estenuante che mi stava facendo impazzire.
Io la volevo, era inutile prenderci in giro e girare attorno ad una verità che tutti conoscevano, ma non volevo farmi trasportare da un sentimento a senso unico quindi mi scostai leggermente. Sana, però, sembrò ancora più determinata e, rendendomi conto che non sarei riuscito a resistere a lungo, la sollevai da terra facendole ancorare le gambe alla mia vita e tenendola premuta contro la porta.
Baciai ogni porzione di pelle che riuscivo a toccare e non mi sembrava mai abbastanza.  Scesi verso il collo e lentamente le accarezzai la schiena, scostando facilmente la maglia che indossava.
La sua pelle era calda, tanto calda che avrebbe potuto scottarmi, e non sapevo come trattenermi ne' se ne sarei stato in grado.
Feci un profondo respiro e, sperando che non mi arrivasse uno schiaffo, alzai la maglia facendole capire che volevo toglierla. Non se lo fece dire due volte, la prese per le estremità e se la sfilò, rimanendo con un buffo reggiseno verde. Non era preparata a quel momento, sicuramente, e la cosa mi fece sorridere.
La mia espressione però tornò seria quando mi accorsi che Sana stava tirando i lembi della mia camicia, nel tentativo di sfilarmela. Non aspettai un secondo, la aiutai a togliermela direttamente dal colletto, senza preoccuparmi dei bottoni.
Presi ad armeggiare con i gancetti del reggiseno, ma quei cosi erano talmente complicati...
C'ero quasi, e probabilmente avrei avuto ciò che desideravo da tutta una vita: Sana. Per me, con me... nel mio letto e tra le mie braccia.
Quando ero riuscito a staccare l'ultimo gancetto il pianto di Kaori mi riportò sulla terra e avrei voluto che la terra si aprisse e mi inghiottisse in quel preciso momento.
Sana aprì improvvisamente gli occhi e purtroppo dovetti farlo anch'io. Feci un respiro profondo ma non riuscivo a lasciarla andare.
«Akito...» disse lei rimanendo sempre vicina alla mia bocca. «La bambina...».
Non volevo lasciarla, non volevo perdere quell'occasione, non volevo che le cose tornassero ad essere come il giorno prima perchè in quel momento tutto era cambiato. Io, i miei sentimenti, le aspettative che mi ero creato nei confronti del nostro rapporto.
«Smetterà...» dissi tutto d'un fiato. Continuammo a baciarci, piano, lentamente, consapevoli che l'atmosfera ormai si era rotta, tant'è vero che un secondo dopo la lasciai, lasciando che andasse dalla bambina.
Rimasi per un secondo bloccato davanti alla porta, sbuffando come un bambino a cui viene tolto il suo giocattolo preferito.
Io e Sana non avremmo mai avuto un momento tutto nostro, non con quella situazione per le mani e non con i nostri sentimenti che non avevano una vera e propria definizione.
Era tutto un enorme casino.

*

Sana tornò in camera non appena Kaori smise di piangere, mi accorsi immediatamente che era in imbarazzo e capivo perfettamente il motivo. Non riuscivamo mai ad esprimerci, nel bene e nel male, e le cose sembravano sempre in bilico.
Si avvicinò al letto e io mi irrigidii, in attesa di scoprire se avrebbe sorriso o se si fosse fatta prendere dal panico.
Non fece nessuna delle due. «Quindi...» mormorò, sedendosi vicino a me.
«Quindi... dormiamo?». Farle pressione nel prendere una decisione in quel momento sarebbe stato stupido, e avrei rischiato di perderla per la mia troppa voglia di chiarezza. Sana non era mai brava in questo.
Lei annuì, sorridendomi e quasi ringraziandomi perchè avevo capito. Non avevo bisogno d'altro.
Sana appoggiò la guancia sul mio petto, mi coprì il braccio con i suoi capelli. Le diedi l'ennesimo bacio sulla fronte e poi ci addormentammo abbracciati, come una vecchia coppia sposata.
Avrei voluto bloccare quel momento, rimanere per sempre in quella posizione per far si che le circostante, la nostra situazione, non riuscissero a portarci via quel briciolo di verità che c'era nel nostro rapporto. Sapevamo entrambi che c'era qualcosa di forte tra noi, ma dovevamo trovare il modo di dircelo senza complicare ulteriormente le nostre vite.
Non sarebbe stato facile sicuramente ma, almeno per me, ne valeva la pena.

Pov Sana.

Mi svegliai di soprassalto, consapevole del fatto che Akito non fosse accanto a me. Ne ebbi la conferma quando allungai la mano sul suo posto e lo trovai vuoto.
Guardai l'orologio.
Le 10:13. Mi alzai e andai a controllare Kaori che, chissà come, dormiva ancora profondamente.
La piccola cresceva a vista d'occhio, ogni giorno di più vedevo in lei Natsumi e mi sembrava così crudele che quella bambina non potesse essere circondata dall'affetto della sua vera madre. Le accarezzai il viso, la sua pelle era così morbida, e poi le controllai il pannolino. Aveva bisogno di essere cambiata, ma era raro che dormisse così tanto per quasi una notte intera, quindi decisi di aspettare ancora un po'.
Andai in cucina, ripensando agli eventi della sera precedente. Mi sentii per un attimo sopraffatta, non ci eravamo mai spinti così oltre, mai eravamo riusciti davvero a dimenticarci del resto del mondo come avevamo fatto la sera prima e, quando ci eravamo riusciti, tutto era stato rovinato dal pianto della bambina.
Non riuscivo nemmeno a capire a cosa ci avrebbe portato quel momento. Dall'esterno poteva anche sembrare la cosa più semplice del mondo, in fondo eravamo sposati, ma noi venivamo da anni di rancori e gelosie e silenzi che ci avevano lentamente portato ad allontanarci.
Preparai il caffè, mentre cercavo di ricordare dove avevo buttato il mio cellulare per chiamare Akito. Molto probabilmente era andato a fare la solita corsa, ma non durava mai così a lungo.
Il cucchiaino mi cadde dalle mani quando la porta di casa sbattè come se stesse passando un uragano.
Mi voltai e sulla soglia della cucina c'era Akito, col fiatone, e con in mano un pacco di una pasticceria, e dall'odore sicuramente erano cornetti.
«Buongiorno... avresti potuto avvertire che uscivi, mi stavo preoccupando.» lo rimproverai tornando a fare il caffè.
Si avvicinò al bancone e tirò il pacchetto proprio alla mia sinistra, lasciandomi di stucco. Ma che diavolo gli prendeva?
«Come tu mi hai avvertito del fatto che dovrai girare una scena spinta nel prossimo film?»
Rimasi di sasso.
«Ma dove l'hai sentito?». Conoscevo già le sue opinioni riguardo a quelle scene, sapevo perfettamente che non gli piaceva dovermi vedere in certi atteggiamenti, eppure prima di quel momento non mi aveva mai fatto nessun vero problema e temevo che scoppiasse tutto in una volta, ora che poteva permetterselo, essendo mio marito.
«Casualmente, o forse dovrei dire fortunatamente, mentre ero in pasticceria ho sentito un'intervista del tuo prezioso regista. Ha addirittura riso, quel cretino, mentre diceva che avremmo avuto una Sana Kurata molto hot!»
Mimò le ultime parole con il gesto delle virgolette e dovetti trattenermi per non scoppiargli a ridere in faccia. Non credevo che potesse essere così geloso.
«Ma si tratta di lavoro! Sai benissimo che il mio essere attrice prescinde dalla mia vita privata!».
Lui si scostò e andò verso il divano, passandosi le mani sul viso, come se stesse per impazzire.
«Lavoro o meno, sai benissimo quanto mi da fastidio, ancor di più adesso che siamo sposati. No perchè, te lo ricordi che siamo sposati, vero?»
Mi stava attaccando con una cattiveria inaudita e io non riuscivo davvero a capire il motivo perchè la facesse tanto lunga per una cosa che sapeva benissimo non avere a che fare con noi.
Sbottai. «Siamo sposati per necessità Akito, tu questo te lo ricordi?!».
Nello stesso momento in cui quelle parole uscirono dalla mia bocca avrei voluto rimangiarmele. Avrei voluto premere rewind e dire qualcosa di completamente diverso.
Non lo pensavo. Il nostro non era più un matrimonio di circostanza, non lo era più da molto tempo.
«No... aspetta, io non vol...».
«No, ho capito. Il nostro è un matrimonio di necessità, hai ragione.». I suoi occhi sembravano essersi spenti da un momento all'altro, temevo che quelle fossero le parole che avrebbero sancito la nostra fine.
«Sai che non volevo dire questo!» urlai, in preda al panico.
«Volevi dire esattamente questo.».
Uscì dalla cucina e, un secondo dopo, aveva messo un paio di vestiti in un borsone.
«Dove stai andando?» chiesi.
«Via, così tu sarai libera di girare tutte le scene hot che vuoi.». Si diresse verso la porta, dandomi le spalle.
«Akito aspet..». Non feci in tempo a finire la frase che la porta si chiuse davanti a me.
Il mio matrimonio era finito ancor prima di iniziare.










So perfettamente che questa storia non viene aggiornata da ottobre, quindi da ben quattro mesi, ma ho avuto moltissimi impegni universitari e non ho potuto davvero mettermi a scrivere. Adesso che le acque si stanno calmando ho deciso di aggiornare e tornare a scrivere, grazie sempre al grandissimo appoggio della mia Beta, Dalmata, che nonostante l'abbia fatta aspettare per mesi una mia mail non mi ha mandata a quel paese quando mi sono fatta risentire.
Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito l'ultimo capitolo e spero di vedervi numerosi ora che sono tornata ad essere attiva.
Grazie grazie grazie.
Al prossimo aggiornamento,
Akura.
   
 
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