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Autore: sissi149    09/02/2016    6 recensioni
Nel Principato di Yomiuri Land, a prima vista, tutto scorre tranquillamente, senza grossi problemi. In realtà il Principe Legittimo è partito da più di un anno per un viaggio senza meta, seguendo uno strano individuo che un giorno si era presentato al castello. Il compito di governare è affidato al fratello e al fedele Sovrintendente, ma il primo è da qualche tempo colpito da misteriosi malori.
Nella foresta, invece, si sta formando un gruppo agguerrito di Ribelli, deciso a porre fine ad alcune crudeli decisioni dell'ultimo periodo prese dalla casa reale.
Tra gli schieramenti trovano posto anche la serva del Signore del Caos e la devota alla Dea dell'Armonia. In più, un tradimento è dietro l'angolo...
[I personaggi sono più di quelli indicati nello specchietto, dove il massimo è 5]
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Jun Misugi/Julian Ross, Kojiro Hyuga/Mark, Koshi Kanda
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Poemi di Yomiuri Land'
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La cerimonia funebre si svolse in una giornata uggiosa, la nebbia e l'umidità circondavano ogni cosa ed entravano fin nelle ossa di tutti i presenti. Sembrava quasi che la primavera avesse ceduto il posto all'autunno.

Data l'importanza della persona, il rito non si svolse all'interno del Tempio di Machiko, ma nella piazza principale della Cittadella, debitamente sistemata. Al centro la pira funebre e la bara del Principe si ergevano imponenti e quasi minacciose. Una pedana rialzata, all'estremità sinistra, era stata costruita e fornita di sedili per ospitare le autorità: il Sovrintendente, Lady Sugimoto, il Capitano della Guardia Reale Genzo Wakabayashi, il Priore Katagiri, più qualche nobile della Cittadella o residente nelle campagne più vicine, tra cui la vedova Sorimachi. Tutti erano abbigliati in maniera solenne, gli uomini coi mantelli scuri e le donne coi veli neri.

A destra invece era stata posizionata un'altra pedana, riservata al Sacerdote e ai suoi assistenti, per essere ben visibile durante tutta la cerimonia.

Tutti gli altri occupavano la piazza, dapprima in maniera ordinata, poi sempre più caotica mano a mano che la gente aumentava: all'interno della Cittadella il Principe era molto amato.

Al momento stabilito Hikaru Matsuyama, visibilmente commosso, fece il suo ingresso sulla sua pedana, seguito dal coro delle Ancelle di Machiko: giovani ragazze nubili di buona famiglia che nel tempo libero venivano mandate a studiare musica e canto presso il tempio. Si disposero a semicerchio dietro il Sacerdote e iniziarono a cantare il primo degli inni funebri, con cui chiedevano alla Dea di rivolgere il suo sguardo verso coloro che si apprestavano a consegnarle l'anima del defunto.

Era un canto semplice, lineare e omoritmico1 in cui il coro era diviso in due parti: non era difficile riconoscere le due diverse melodie poiché avevano due registri praticamente opposti. Il tutto era accompagnato da alcuni rintocchi su uno strumento metallico. Solitamente il Sacerdote ne avrebbe apprezzato l'esecuzione e soprattutto riconosciuto tra le altre una voce limpida e sottile, ma non quel giorno: la cerimonia lo coinvolgeva anche sul piano personale. Aveva conosciuto molto bene il Principe, spesso si ritrovavano a discutere di questioni teologiche, non che sua Maestà fosse un uomo di poca fede, ma desiderava capire a fondo ogni cosa.

Quando la musica si interruppe, nell’aria rimase solo un silenzio innaturale che opprimeva più ancora della cappa di umidità.

Matsuyama avanzò e allargò le braccia:

“Oggi siamo qui per dare inizio al cammino del nostro amato Principe verso la casa eterna della Divina Machiko, per liberarlo dalle sue spoglie mortali e permettere che la sua anima raggiunga la Dea e venga posta al riparo dai demoni di Gamo. Non ho dubbi al riguardo: egli merita la pace. L’unico nostro rammarico è l’avere perso così giovane il nostro signore, portato via da una malattia che lentamente l’ha indebolito fino a spegnerlo. Ma nonostante questo, Sua Altezza era sempre presente ai riti in onore della Dea e ora a Lei affidiamo la sua anima.”

Finì il discorso appena in tempo, per evitare che il groppo in gola gli bloccasse le parole.

Un assistente gli porse l’olio e lentamente il Sacerdote lo cosparse sulla pira, girandole intorno. In sottofondo una voce solista cantillava2 le parole della preghiera rituale, una delle più antiche e scritta ancora nella vecchia lingua. Questa volta Hikaru non ebbe nemmeno bisogno di ascoltare per sapere chi fosse: solo la voce di Yoshiko aveva il potere di smuovere gli animi come in quel momento, benché fosse ferma su un’unica nota.

Sulla pedana delle autorità Genzo Wakabayashi stringeva i pugni combattendo contro il suo senso del dovere: proteggere il Principe era il suo primo dovere e il fatto che fosse morto di malattia per lui non era una giustificazione sufficiente del suo fallimento, soprattutto date certe situazioni poco chiare. Sentì una mano calda appoggiarsi sulla sua e lentamente sciolse il pugno, sussurrando un grazie a fior di labbra. Lady Sorimachi, dietro di lui, annuì impercettibilmente.

Kumi, invece, teneva lo sguardo basso cercando di prestare il meno possibile attenzione alle parole della cerimonia, inutile dal suo punto di vista: aveva già imposto al corpo il sigillo di Gamo, la discesa verso gli inferi era assicurata. Tuttavia la sua posizione sociale le imponeva di partecipare, una sua assenza sarebbe stata troppo sospetta.

Alzò per un istante lo sguardo, in tempo per vedere Matsuyama aprire il contenitore del fuoco sacro e mostrarne la fiamma all'assemblea. Per un attimo sentì l'aria mancarle nei polmoni e il respiro farsi impossibile: si era dimenticata l'effetto che poteva avere su di lei la fiamma consacrata, era un'emanazione della stessa Machiko, sua nemica mortale.

Col braciere il Sacerdote accese la catasta di legna della pira e poi lo richiuse. Kumi improvvisamente poté riprendere a respirare: sollevata e tremante si appoggiò a Kanda, che rapido la sostenne. Chi era vicino pensò che la Lady avesse avuto un piccolo mancamento dovuto all'emozione del rito.

Velocemente il fuoco si espanse, avvolgendo completamente la bara e iniziando la sua opera di purificazione e distruzione dei vincoli terreni.

Il coro cantò nuovamente, ma in maniera molto diversa dalle precedenti: si potevano distinguere almeno tre, se non quattro voci, che si rincorrevano e rispondevano senza sosta, con continui passaggi tra il forte e il piano. Era quasi una rappresentazione sonora del movimento delle fiamme.

Tutti, eccetto Kumi, ancora sostenuta dal Sovrintendente, osservavano e ascoltavano rapiti, perfino Kanda dovette ammettere che il rito aveva un suo fascino.

Dopo che le fiamme ebbero divorato ogni cosa e si furono spente, il canto venne sostituito dal grido straziante di Furano, l’aquila ammaestrata del tempio della Cittadella. Si dice che la Divina Machiko, tra tutte le creature, avesse una predilezione per questo volatile.

Ormai la cerimonia era conclusa, ma il Sacerdote, alzatosi in piedi, con un ampio gesto richiamò la folla all’ordine:

“Come tutti sapete, sua Altezza Jun era Principe Reggente durante l’assenza del Principe Legittimo. Essendo venuto a mancare è necessario che avvenga la nomina di qualcuno che guidi il regno in questa situazione.”

Ci fu una breve pausa, per dare tempo al popolo di assimilare la situazione.

“Fortunatamente il Principe è stato previdente e prima di lasciarci ha nominato un Reggente. Da questo momento il nostro Sovrintendente eserciterà questa funzione.”

Fece un cenno a Kanda, invitandolo a raggiungerlo sulla pedana di destra. Questo si mosse con solennità, dissimulando alla perfezione il suo trionfo.

Giunto davanti a Matsuyama s’inginocchiò, permettendo al Sacerdote di imporre le mani sul suo capo:

“Che la benevolenza e la saggezza di Machiko ti siano guida durante l’adempimento dei tuoi doveri.”

“Che la Dea mi ispiri.”

“Va e compi il tuo dovere! Noi pregheremo affinché la Dea ti sostenga e affinché sua Altezza Tsubasa possa aver concluso il suo viaggio e possa ritornare al più presto in patria.”

Il Reggente si alzò, ignorando deliberatamente l’ultima parte del discorso del Sacerdote, e di malavoglia congedò tutti: avrebbe preferito una cerimonia più sontuosa per ricevere il suo incarico, ma Kumi l’aveva persuaso, con i suoi mezzi più convincenti, a comportarsi sobriamente.

La gente lentamente iniziò ad allontanarsi e tornare alle proprie occupazioni, aiutata da vari membri della Guardia Reale.

Nessuno si accorse di un’ombra furtiva che scendeva da un tetto e spariva nell’ombra dei vicoli, diretta ad un’uscita segreta tra le mura.

 

 

 

 

 

La pioggia cadeva battente, era cominciata poco dopo la fine “dell’incoronazione”. Yoshiko, coprendosi la testa con il velo, evitò agilmente una grossa pozzanghera, proseguendo la sua strada e sperando di non venire fermata per l’ennesima volta da qualcuno che voleva complimentarsi per la sua voce.

L’aveva visto così triste durante la cerimonia e voleva assicurarsi al più presto che stesse bene. Entrò nel tempio, fermandosi un istante sulla soglia per riordinarsi ed essere rispettosa del luogo sacro.

Lo trovò sul fondo del tempio, vicino all’altare, intento a pregare davanti alla statua della Dea.

Come ogni volta, Yoshiko la osservò ammirata: il marmo bianco trasmetteva la sensazione di solennità e imponenza, mitigata dalle morbide pieghe con cui erano scolpiti il vestito e le onde dei capelli, mentre la bocca era socchiusa in un sorriso benevolo. Sulla spalla della divinità era collocata un’aquila reale, che scrutava l’orizzonte.

Hikaru si sollevò e voltandosi si trovò davanti gli occhi della giovane:

“Yoshiko! Dovresti essere a casa! Tuo padre sa che sei qui?”

La ragazza annuì.

“Come stai? Non ti ho mai visto così coinvolto da un funerale.”

“Fino ad ora non ho mai dovuto svolgere la cerimonia per qualcuno che conoscessi bene. Quando morirono i miei genitori, io non avevo ancora preso i voti.”

“Gli zii sarebbero fieri di te in questo momento.”

Restarono per un attimo in silenzio, poi Hikaru le fece segno di seguirlo e iniziarono a camminare lentamente.

“Lo conoscevi davvero così bene?”

“Sì, spesso parlavamo e non solo di questioni legate ai nostri rispettivi compiti istituzionali. Il Principe era molto sensibile, sapeva cogliere le sfumature delle cose. Sarebbe stato un ottimo regnante, se la malattia non lo avesse colpito. A volte i progetti della Dea sono così imperscrutabili anche per noi uomini di fede.”

“Non credi che il Sovrintendente sarà all’altezza del suo nuovo compito?”

“Anche troppo, dal suo punto di vista.”

Il Sacerdote si fermò per raccogliere dei petali caduti a terra.

“Per la prossima cerimonia ci servono delle corone di fiori nuove. Potete occuparvene voi ragazze?”

Yoshiko annuì, cercando poi di riprendere il discorso interrotto:

“Non ti piace il Sovrintendente?”

L'uomo sospirò.

“È difficile da spiegare, ma nemmeno sua Altezza Jun si fidava completamente di lui. Una volta mi ha confidato che avrebbe preferito qualcuno come Wakabayashi in quella posizione, ma Kanda era stata una scelta di suo fratello e come tale doveva rispettarla. Poi...”

Il suo volto si adombrò e assunse l'espressione tipica di quando avrebbe voluto porre fine a una conversazione. La curiosità di Yoshiko era stata stuzzicata, strinse le mani raccogliendo il coraggio per ignorare il segnale e domandare:

“Poi?”

La voce del Sacerdote fu un sussurro appena udibile.

“Una strana sensazione, un campanello d'allarme, come se il male fosse alle porte.”

Un tuono squarciò l'aria e li fece sussultare entrambi, dando a Hikaru l'occasione di cambiare argomento.

“Un temporale di questa stagione è insolito. Hai cantato bene oggi.”

La ragazza arrossì leggermente, era abituata a ricevere complimenti, ma i suoi avevano un sapore particolare. Era molto legata a lui, non solo perché erano parenti, le piaceva passare il tempo in sua compagnia, chiacchierando o aiutandolo al Tempio. Aveva iniziato a cantare con le Ancelle di Machiko per poter passare più tempo con lui, senza però disturbarlo. Solo in seguito aveva scoperto di amare la disciplina e di avere un dono nella sua voce. Ricordava ancora con chiarezza il giorno in cui il maestro le aveva assegnato il suo primo assolo, chiedendole di eseguirlo davanti a Matsuyama, per ricevere la sua approvazione. All'iniziale sorpresa, sul viso del giovane Sacerdote si era a poco a poco sostituito l'orgoglio per quel talento.

“Grazie. Il maestro ora sta componendo una nuova armonizzazione per la preghiera di inizio estate, spera di riuscire a terminarla e farcela cantare per quest'anno.”

“Sono sicuro che ce la farete, è appena iniziata la primavera.”

“Non sotto i migliori auspici.”

Restarono qualche istante in silenzio, continuando la perlustrazione del tempio: vicino all'ingresso altre corone avevano perso petali, alcune erano quasi completamente spoglie, sarebbe stato il caso di toglierle.

“Vuoi che ti aiuti con quelle?”

“Mi piacerebbe, ma rischi di fare tardi.”

“Se sarà troppo buio papà verrà di certo a prendermi.”

Matsuyama posizionò uno sgabello alla base della colonna e ci salì, staccando la decorazione dal suo sostegno e passandola a Yoshiko che se la rigirò tra le mani.

“In due faremmo prima.”

Il Sacerdote sorrise e fece la sua proposta:

“Perché non resti per cena? Ti riaccompagno io a casa dopo.”

“Volentieri. - Rispose entusiasta. - E mio padre?”

“Gli farò recapitare un messaggio da Furano. Le piace volare sotto la pioggia.”

 

 

 

 

 

“Izawa! Izawa! Dove ti sei cacciato?”

Appena rientrato dalla cerimonia funebre, Genzo sbraitò per tutta la Caserma chiamando il suo vice, ma non ottenne nessuna risposta. Passò in rassegna con lo sguardo il grande salone centrale, dove solitamente si riunivano gli uomini durante i pasti e quando non erano di pattuglia per le strade della Cittadella, o nella campagna appena limitrofa. Era quasi deserta, tranne per la presenza di Taki e Kisugi che giocavano a dama al fondo di una delle tavolate. Indossavano solo la casacca da addestramento, priva di armatura e mantello.

“Voi due! – li apostrofò il Capitano – Avete visto Izawa?”

“No, Signore.”

“Deve essere ancora fuori.”

“Va bene. Quando arriva mandatelo nel mio studio.”

Imboccò il corridoio sul lato sud, che conduceva ai suoi quartieri privati. Quello del lato nord, invece, portava ai dormitori di tutti gli altri membri della Guardia. I suoi passi spediti riecheggiavano sul pavimento di lucido marmo nero, voluto da uno dei precedenti Capitani con manie di grandezza, mentre dalle pareti lo osservavano tutti con i loro sguardi severi. Si soffermò per qualche istante sul ritratto più recente, quello del suo mentore Tatsuo Mikami e suo immediato predecessore.

Ora il vecchio Capitano si godeva la pensione, nella sua casa di campagna, anche se ogni tanto trovava del tempo per andare a visitare il suo ex allievo, rivedere la Caserma e dispensare qualcuno dei suoi consigli, o, molto più semplicemente, ricordargli quanto sua figlia fosse una ragazza graziosa.

Wakabayashi scostò una pesante porta di rovere ed entrò nella stanza circolare che fungeva da suo studio personale. In quell’ambiente dominavano le linee curve, dalla scrivania alle finestre, alla scala a chiocciola che conduceva al suo dormitorio.

Si tolse il pesante mantello nero, gocciolante di pioggia, rimanendo con la splendida divisa bianca profilata di rosso, colore del suo grado di Capitano.

Si accomodò su una sedia e cominciò a studiare qualche scartoffia, ma non riuscì a concentrarsi per molto: la sua mente tornava continuamente alla cerimonia del mattino e, ancora più indietro, agli avvenimenti degli ultimi giorni, c'era qualcosa che non gli tornava.

Tutti avevano visto il Principe uscire dalla Cittadella insieme all'Attendente, mentre solo questo era stato visto rientrare e in maniera piuttosto evidente: molti si erano lamentati sia coi ragazzi di pattuglia, sia con le Guardie della Porta. Che sua Maestà fosse rientrato per uno degli accessi segreti nelle mura, come sosteneva il Sovrintendente, era plausibile, ma non lo convinceva pienamente. Era un comportamento più consono a Tsubasa dimenticarsi di avvisare dei suoi cambi di programma chi doveva proteggerlo.

Suonò nervosamente un campanello e subito accorse un giovane ragazzo.

“Morisaki, portami qualcosa di caldo e forte.”

“Come il Capitano comanda.” Schizzò fuori dalla stanza quasi avesse avuto il fuoco ai piedi.

La pioggia batteva sempre più insistentemente sul vetro e come un tarlo erodeva sempre più in profondità i dubbi di Wakabayashi.

Morisaki tornò con una tazza fumante di Shutetsu, uno degli alcolici prediletti dai soldati della Guardia, soprattutto al rientro dalle ispezioni notturne. Dietro di lui venne un altro uomo, avvolto in un mantello azzurro e i capelli nerissimi raccolti in un codino.

“Hajime e Teppei mi hanno detto che mi cercava Capitano.”

Genzo annuì in maniera appena percettibile, congedando poi con un gesto il ragazzo più giovane.

“Allora, Izawa, aspetto il tuo rapporto.”

Mamoru Izawa, Vice Capitano della Guardia Reale, avanzò fino a pochi passi dalla scrivania che lo separava dal superiore.

“Finito il rito funebre la folla si è allontanata in maniera abbastanza ordinata. Quasi tutti sono rientrati tranquillamente alle loro dimore o sono usciti dalla Cittadella senza alcun problema. A quanto pare nessuno ha approfittato della confusione per fare danni. Per sicurezza un paio di ragazzi stanno ultimando il giro nei quartieri più periferici.”

“Bene. - Rispose con voce atona, in quel momento aveva interessi più urgenti dell'ordinaria amministrazione – Per quanto riguarda l'altra questione?”

Mamoru esitò un istante, abbassando lo sguardo verso la pozzanghera che si stava formando ai suoi piedi.

“Izawa! Non mi risulta che le cattive notizie migliorino non comunicandole.”

Il soldato irrigidì la schiena e si sollevò:

“Ho cercato ovunque, nelle taverne, nelle locande e perfino nei bordelli. Ho parlato con tutte le cameriere della Fortezza che conosco. Nessuno ha più visto l'Attendente Sanada dalla sera in cui sua Maestà è deceduto.”

Wakabayashi prese qualche sorso del suo liquore, lasciando che il calore si espandesse dalla bocca attraverso tutto il torace fino allo stomaco.

“Non che mi aspettassi qualcosa di meglio. La faccenda è decisamente sospetta. Puoi andare, se avrò ancora bisogno ti manderò a chiamare.”

“Sì, Capitano.”

Mamoru salutò col tipico gesto militare e si voltò. Stava per aprire la porta che venne richiamato:

“Izawa, quando ti deciderai a farti tagliare quei benedetti capelli?”

Rimasto solo Genzo tornò ad ascoltare il temporale e a perdersi nei ricordi.

 

Era stato svegliato poco prima dell'alba dalla piccola Yamaoka, una delle servette della Fortezza, che lo informava di essere richiesto dal Sovrintendente. Di malavoglia era sceso dal letto e si era fatto aiutare dalla ragazzina a indossare gli abiti adatti alla convocazione.

Si era domandato più volte perché fosse il Sovrintendente a farlo chiamare e non il Principe, in fondo lui prendeva ordini direttamente dalla casa reale, senza la necessità di intermediari.

Aveva attraversato i vicoli della Cittadella, aiutato dalla luce che si faceva sempre più intensa, gettando uno sguardo distratto agli ultimi clienti dei bordelli che si allontanavano furtivi per rincasare, mentre dalle botteghe dei fornai già si sentivano gli effluvi delle prime sfornate.

Finalmente giunto nella sala del trono, si era trovato davanti Koshi Kanda ed era seguito il dialogo più surreale a cui avesse mai preso parte.

“Capitano, mi dispiace avervi fatto svegliare in questo modo. - Aveva esordito l'uomo – Ho solo pensato che fosse giusto che voi foste il primo a saperlo.”

“Che è successo?”

Aveva chiesto, scocciato da quel preambolo: amava essere diretto e andare subito al punto delle questioni. Il burocratese e le frasi di cortesia le lasciava volentieri agli altri.

“Il nostro amato Principe Jun ci ha lasciati. È spirato un'ora fa.”

Quelle poche parole ebbero il potere di risvegliargli del tutto la mente e di farlo esclamare quasi rabbioso:

“Come? E, soprattutto, perché non sono stato avvisato prima?”

Probabilmente avendo previsto la reazione il Sovrintendente gli aveva risposto celermente, fin troppo:

“Il cuore. Abbiamo chiamato il Priore, in questo caso era l'unico che avrebbe potuto fare qualcosa, ma nemmeno lui è riuscito a salvarlo: non ha potuto fare altro che constatare l'inevitabile.”

“Voglio vederlo!”

“Il Priore?”

“Il Principe, razza di deficiente!”

Per una attimo gli era parso che Kanda volesse ucciderlo all'istante per quell'imprecazione, ma poi si era trattenuto, dandogli l'impressione di essere sul punto di assaporare una vittoria più grande.

“Non è possibile, per il momento. Il Priore l'ha vietato.”

“Come?” Per la seconda volta aveva posto la domanda.

“Dubitate della parola di Katagiri?”

Genzo aveva dovuto ammettere a sé stesso di non poter controbattere a una decisione del Priore ed aveva fatto un passo indietro.

“A questo punto, credo che la mia presenza non sia più richiesta.”

Aveva percorso metà della sala, quando Kanda lo aveva richiamato.

“Aspettate.”

Si era voltato ed aveva visto il Sovrintendente prendere posto sulla pedana rialzata, accanto al trono.

“Immagino che vi stiate domandando chi assumerà il potere, dato che nessun membro della Casa Reale è rimasto alla Fortezza.”

Sì, se l'era chiesto e la prima cosa che gli era venuta in mente era stato trovare un modo per far tornare Tsubasa dal suo viaggio.

Un brivido era sceso lungo la sua schiena, insieme a un'intuizione, facendogli sospettare che la domanda non fosse stata posta a caso.

“Sua Maestà avrà sicuramente lasciato istruzioni in merito, era molto giudizioso e responsabile.”

Un leggero sorriso aveva increspato le labbra del suo interlocutore.

“Vedo che siete perspicace come si dice. - Prese un rotolo di pergamena dal trono e lo aprì – Sua Altezza mi ha conferito il titolo di Reggente.”

Il silenzio era calato nella sala, un raggio di sole era entrato attraverso le vetrate, abbagliandolo per un istante.

Si era avvicinato al trono, aveva afferrato la pergamena e l'aveva studiata attentamente: la firma di Jun era chiara e leggibile, come un marchio. Infine l'aveva depositata nuovamente dove aveva visto Kanda raccoglierla.

“Ora, l'annuncio ufficiale verrà fatto tra qualche giorno: lasciamo al popolo il tempo di elaborare il lutto. Nonostante ciò, da voi ho bisogno di assoluta lealtà fin da subito, devo essere sicuro di poter contare su di voi.”

Aveva risposto meccanicamente:

“Se il Principe vi ha scelto, non ho motivi per non esservi fedele.”

Lentamente aveva estratto dal fodero la spada istoriata, che era appartenuta alla sua famiglia da generazioni, passando di mano da padre a figlio, tenendola su entrambi i palmi parallela al terreno, si era inginocchiato e aveva pronunciato le parole del giuramento, legandosi fino alla morte al suo nuovo signore.

 

Con un sospiro Genzo tornò al presente e si alzò, avvicinandosi alla finestra: il temporale non aveva intenzione di farsi meno intenso, probabilmente avrebbe piovuto fino a sera e forse per tutta la notte. Mentalmente prese l'appunto di mandare un gruppo di uomini a controllare gli argini del fiume che attraversava la parte più bassa della Cittadella.

Bevve qualche altro sorso di Shutetsu, accorgendosi che si era raffreddato. Con una smorfia appoggiò la tazza al davanzale, solo caldo era piacevole al palato.

La scomparsa di Sanada, perché ormai di scomparsa si trattava, era il tassello più strano di quella vicenda: Kanda sosteneva che, non appena saputo della morte del Principe, l'Attendente aveva rassegnato le dimissioni ed era partito per tornare dalla sua famiglia.

A lui era sembrato piuttosto affezionato a Sua Maestà, perché mai si era allontanato senza nemmeno aspettare la cerimonia funebre? Temeva forse ritorsioni per la morte? Ma cosa avrebbe potuto fare, in fin dei conti era un semplice Attendente, a differenza sua.

Poi, poi c'era quella donna, Lady Sugimoto: non sapeva perché, ma non gli piaceva, non si fidava per nulla di lei. Era l'istinto a suggerirgli di stare in guardia e raramente il suo istinto sbagliava.

Diede un ultimo sguardo all'esterno, prima di indossare il mantello rosso e andare a dare disposizioni agli uomini.

 

 

 

 

 

 

1 L'omoritmia è una tecnica compositiva in cui tutte le varie voci si muovono con lo stesso andamento ritmico, mentre le melodie sono indipendenti. In questo modo la comprensione del testo risulta molto chiara, poiché tutte le voci intonano le stesse sillabe nello stesso momento e con le stesse durate.

 

2 La cantillazione è la pratica di declamare un testo intonandolo sulla stessa nota ribattuta, chiamata corda di recita. È usata nella liturgia cristiana, ma anche in quella ebraica, solitamente durante le letture.

  
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