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Autore: Medea00    09/02/2016    1 recensioni
La storia Malec vista attraverso una raccolta di missing moments, da prima che si conoscessero fino agli avvenimenti delle Cronache dell'Accademia Shadowhunters.
Copertina di cassandrajp
“Tu ti senti… voglio dire, sei felice?”
Magnus si voltò verso di lui, abbandonando momentaneamente il libro per prendergli il volto tra le mani. Amava che al guerriero valoroso, di gran lunga il piú maturo trai suoi coetanei shadowhunters, si contrapponesse un animo così tanto innocente ed umile.
“Mio caro Alexander, poche volte nella mia lunga vita sono stato tanto felice come ora.”
“Davvero?” Gli occhi dello shadowhunter si erano fatti più grandi e luminosi. “Non lo dici solo per farmi contento, vero?”
Magnus emise una piccola risata, dandogli un dolce bacio sulle labbra: “Non ti mentirei mai su questo. E devi credermi quando ti dico che, con te, la mia vita è cambiata per sempre. Te l’ho già detto una volta e lo ripeterò quanto serve: sei tutt’altro che insignificante.”
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 2
Prima di Alec
 

 

Questa è la somma segreteria del sommo stregone di Brooklyn. Non sono in casa o, anche se lo fossi, ci sono cose decisamente più interessanti che richiedono la mia totale attenzione, come per esempio la maratona di Masterchef su SkyUno. Vi prego, quindi, di lasciare un messaggio in segreteria, e sarete richiamati quando più mi aggrada.

“Magnus Bane? Sono il signor Tobias, l’avevo chiamata un paio di giorni fa. Mi servirebbe quell’incantesimo per la mia frutta, non mi ha più fatto sapere se è disponibile.Volevo parlarle di persona, quando è disponibile. Arrivederci.”
La voce metallica riecheggiava nel loft dello stregone, in modo sordo e inespressivo. Magnus era di fronte al piccolo mangianastri, e lo osservava compiaciuto; pensò che non era stata una così cattiva idea comprarsi una segreteria anni ’90, era così elegante, nel suo scorrere placido, mentre la voce degli interessati si faceva viva e senza disturbarsi di dover rispondere nell’immediato. I cellulari erano così sopravvalutati, pensò: sì, era davvero soddisfatto del suo ultimo acquisto, tanto che si ritrovò a sorridere a se stesso e ad ammiccarsi allo specchio posto sopra la segreteria. Era anche soddisfatto di essersi concesso una vacanza di un paio di giorni, per esplorare New York, riscoprire posti che non vedeva da secoli e dormire in compagnia di una graziosa signorina, dopo una serata passata in un moderno disco-pub.
Gli piaceva tornare a casa e trovare messaggi da ascoltare. Con la sua vestaglia di seta cinese e i capelli neri perfettamente sistemati, si sentiva un po’ il protagonista di Sex and the city. Soltanto che lui era molto più alto, abbronzato e – ovviamente - affascinante di Carrie Bradhaw.
Quel Tobias chiedeva un banalissimo incantesimo per rendere le sue mele più buone. Magnus sbuffò all’idea, un’idea che perfino uno stregone di otto anni era in grado di fare; evidentemente l’industria americana doveva essere davvero in crisi, se gli imprenditori ricorrevano a pagar fior di quattrini per quelle cose. Ma la vita di Magnus era così piena di impegni, certo non poteva assecondare i desideri di ogni singolo mondano che chiedeva i suoi servigi. Insomma, c’erano tanti, a New York, che avrebbero svolto quel compito per una parcella molto meno pretenziosa di quella del Sommo stregone di Brooklyn. Senza troppe esitazioni passò al messaggio successivo.
“Ciao Magnus, sono Richard. Quel licantropo, sai alla festa… mi ha fatto molto piacere conoscerti. Mi richiami?”
“Richard?”
Magnus si accarezzò il mento con l’indice, guardando con aria perplessa il suo adorato gatto. Presidente Miao era appollaiato sulla poltrona che aveva giustappunto trovato da un nuovo negozio di antiquariato, sulla quindicesima Avenue. Certo, “trovato” non era proprio il termine più adatto, diciamo solo che quella mattina si era messo a sfogliare il catalogo, gli era piaciuta e aveva deciso di farla comparire magicamente nel suo salotto. Non se ne sarebbe accorto nessuno, suvvia. E poi, faceva pendant con la sua nuova segreteria telefonica: praticamente quella poltrona lo aveva supplicato di essere presa.
Design d’interni a parte, non aveva la più pallida idea di chi fosse quel Richard. Passò in rassegna le ultime feste che aveva dato, ma non aveva nessun ricordo di un licantropo di nome Richard. Edward, forse. Ah no, quello era un vampiro. Un attimo: c’era quel ragazzo biondo con cui aveva avuto un affare, nel bagno del Pandenomium, di venti minuti massimo…? Ma non ricordava di averci fatto niente, con lui. Niente che degnasse una telefonata sulla sua preziosissima segreteria, s’intendeva. Nel frattempo, questa era passata al messaggio successivo senza troppi indugi: appena sentì le prime tre parole, a Magnus venne voglia di spegnerla.
“Sono Ragnor Fell.”
Tic.
Magnus interruppe il messaggio premendo sul tasto “stop” con il suo indice decorato da un paio di anelli. Il dolce suono del silenzio; era probabilmente l’unico modo a sua disposizione per zittire il suo caro amico Ragnor Fell. Ma il tasto era un po’ arrugginito dal tempo, quindi scattò in alto senza il permesso di nessuno, e la voce di Ragnor riprese a riecheggiare nel suo loft anni ’90.
“Innanzi tutto, sappi che questa storia della segreteria è profondamente ridicola.”
Magnus continuò a premere ripetutamente su quel dannato tasto, tentando in tutti i modi di interrompere il messaggio.
Tic
Tic
Tic
“Seconda cosa, se hai così tanto tempo libero, per dirla alla buona, e se non hai un cavolo da fare, per dirla alla me, qui all’Accademia Shadowhunters ci sarebbero tantissime cose che potresti fare.”
Magnus cominciò a premere tutti i tasti della scatoletta, in modo frenetico.
 “Ad esempio, un bel seminario sulla magia. Lo potrei tenere io, ma credo che ai ragazzi faccia bene avere un punto di vista diverso dal mio. E si sa, tu lo hai molto diverso dal mio. Perché non ci pensi? Non dirmi che hai altre cose da fare, perché so tutto sullo stile di vita che stai conducendo, Magnus. Raphael mi ha detto tutto.”
Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic Tic
“È vero che stai rifiutando offerte di lavoro, in cambio di… niente? Ho sempre pensato che la tua pigrizia un giorno avrebbe preso il sopravvento, ma credevo che non sarebbe successo prima dei seicento anni. Ti devo ricordare quanti anni ho io, Magnus? E Catarina? Eppure siamo sempre indaffarati. Questa cosa ti sta davvero sfuggendo di mano.”
Perché quella dannata segreteria non si ammutoliva?!
“Senti, capisco che a volte le giornate sembrano non passare mai. Ci sono passato. Poi tu sei sempre stato uno che si faceva trascinare dai sentimenti, e non essere coinvolto emotivamente da qualcuno per tanto tempo può…”
Ragnor che gli dispensava consigli alla C’è posta per te. Non ce la poteva fare. Dal momento che quell’arnese non si azzardava a eseguire i suoi ordini, Magnus decise di fare quello che faceva di solito, quando il suo amico lo martellava di consigli faccia a faccia: ripensò a una o due canzoni dell’epoca, che erano orecchiabili quanto assuefacenti, in un certo senso, e iniziò a canticchiarsele nella mente. Le canzoni degli anni duemila erano come dei tarli: insistevano a rimanerti in testa fino a non uscirne più. Era abbastanza facile, quindi, farsi partire una playlist mentale; dopotutto non aveva bisogno di uno che gli ricordasse il suo raffinato, aitante stato da single. Certo, erano passati tanti anni dall’ultima volta che aveva provato un sentimento più forte del semplice interesse, e il ricordo di Etta, a dirla tutta, non era nemmeno più così ardito nella sua mente. Era stata una bella storia, intensa, ma in un certo senso Magnus sentiva che avesse seguito un percorso ben definito, da un inizio a una fine. Si erano amati tanto, ma non rimpiangeva quei giorni di balli lenti e night club, in una New York anni cinquanta.
Non rimpiangeva nemmeno i suoi pomeriggi correnti, passati tra una maratona di programma trash e film on-demand. Non si sentiva affatto solo.
“… Quindi chiamami, quando ti senti troppo solo. Non fare l’orgoglioso, non hai mai imparato a gestire l’eternità in solitudine.”
Finalmente, il messaggio terminò. A Magnus sembrò come quando, ventidue anni fa, il prete di quella piccola chiesa di Lyone aveva detto “andate in pace”.  Non mise mai più piede in una chiesa, e non perché, essendo per metà demoniaco e per metà umano, si fosse sentito leggermente fuori luogo: semplicemente, era stata l’ora più lunga della sua vita. Da un lato ammirava la forza di volontà degli umani a subire quel supplizio tutte le settimane.
Mancava un solo messaggio da ascoltare. Magnus era ancora convinto che quella della segreteria telefonica fosse stata un’idea carina.
“Ciao Magnus, sono Catarina, ricordi? La tua migliore amica, la persona che ti supporta e sopporta continuamente?”
Era stata un’idea pessima. Orripilante. Cosa diavolo gli era saltato in mente, aveva fornito ai suoi amici più stretti un canale per dare libero sfogo alle loro polemiche. Iniziò a guardare torvo l’aggeggio telefonico, contemplandone l’esplosione.
“Ho ricevuto una chiamata insolita da Ragnor.”
“Sono tutte sue supposizioni”, replicò Magnus, come se potesse sentirla; la voce di Catarina, ovviamente, aveva continuato a parlare: “Siccome non hai tanto da fare, potrei venire a trovarti; mi prendo qualche giorno di permesso dall’infermeria e sto qualche giorno da te. Magari andiamo un’altra volta in Perù, che ne dici?”
In effetti, aveva proprio voglia di tornare in Perù, pensò Magnus compiaciuto. Un attimo dopo si ricordò di essere stato esiliato previa pena di morte, e lo ricordò anche Catarina.
“Ah, giusto, non puoi più andarci. Beh, comunque, non è da te stare lì nel tuo loft a non fare niente.”
Il messaggio finì di colpo, ma Magnus non se ne stupì; Catarina andava sempre dritto al sodo ed era sempre stata troppo indaffarata per chiudere degnamente una telefonata. Lanciò un’ultima occhiata alla segreteria, e questa si accartocciò in una manciata di secondi, assomigliando sempre di più a uno strano kubo di Rubik.
Andò in camera da letto e risfoderò il cellulare dal cassetto; in fondo gli anni novanta erano passati da tanto tempo, e lui non aveva mai apprezzato veramente i pantaloni a zampa di elefante.
Osservò Presidente Miao, che nel frattempo era sgattaiolato in camera e aveva cominciato a fargli le fusa su una gamba. “Tra poco è il tuo compleanno, no?” Domandò al gatto che, come se lo avesse sentito, lo guardava con fare incuriosito. “Dovremmo fare una grande festa. Una bellissima festa. Tre anni non si fanno tutti i giorni, mio caro.”
Il gatto miagolò un po’ annoiato, come se, del suo compleanno, non gliene importasse niente. Magnus si sentì un po’ offeso dal suo atteggiamento: “Mi ringrazierai un giorno”, si limitò a dire. Con fare spavaldo, si chiuse la vestaglia e con uno schiocco di dita comparvero un centinaio di volantini, tutti colorati e pieni di glitter, come piacevano a lui. Ne avrebbe fatti recapitare un po’ all’hotel Dumort, e un po’ nei locali dei Nascosti: tutti erano abituati alle feste di Magnus, e tutti sapevano un po’ come fare.
Avrebbe voluto vedere la faccia dei suoi due amici stregoni quando, giusto il giorno dopo, si sarebbero presentati dozzine e dozzine di individui pronti a festeggiare il Presidente Miao insieme a lui. “Visto?” Gli avrebbe detto, “Sono pieno di cose da fare. Sommerso di cose da fare.”  Giusto per rimarcare ancora di più il concetto, decise anche che avrebbe richiamato quel Tobias e avrebbe reso le sue mele di stagione le più buone di tutto lo stato. Con i soldi della ricompensa, si sarebbe comprato un nuovo portafogli, magari uno di Varvatos. E lo avrebbe incantato in modo da incendiarsi ogni qual volta venisse sottratto a lui.
“Visto?” Ripeté di nuovo a se stesso, di fronte a degli immaginari Catarina e Ragnor Fell. “Sono ancora pieno di cose da fare, e pieno di idee.” Chissà come mai, perfino nella sua mente i suoi amici non sembravano così tanto convinti. Poco male; lui non doveva convincere nessuno dello stile di vita che stava conducendo, e aveva tutto il diritto di lavorare - e non lavorare - quanto gli pareva.
Parlando di lavorare, si chiese se Jocelyn Fairchild avesse ritrovato la figlia; sapeva benissimo che l’incantesimo di occultamento della memoria richiedesse una certa costanza, sia di metodi che di termini, e quindi se ancora non si era presentata alla sua porta non era un buon segno. Si strinse nelle spalle, sedendosi sul divanetto e coccolando Presidente Miao, seduto sulle sue gambe: c’era qualcosa, nell’aria. Non riusciva ancora a capire cosa, ma i suoi sensi lo avvertivano. C’era una strana tensione, tra le strade di New York: i Nascosti, con un infelice giro di parole, si stavano nascondendo; i vampiri erano più cauti e civili del solito. Perfino i Nephilim erano stranamente spariti, come se avessero altro di meglio da fare.
Tutto questo non gli tornava; e gli incubi che aveva durante le notti non lo rincuoravano affatto.
Scosse la testa, i suoi occhi da gatto che si chiusero insieme a un sospiro, le spalle più rilassate e il viso meno preoccupato; ma sì, si stava preoccupando troppo, come suo solito. Forse avevano ragione Ragnor e Catarina, forse doveva davvero trovarsi qualcosa da fare, altrimenti la sua mente ne avrebbe risentito: era troppo giovane per fare la fine del vecchio Aldous. Insomma, lui era ancora giovane, prestante e-
Con i nuovi pantaloni di Armani rovinati: il suo gatto ci aveva appena vomitato sopra una palla di pelo.
“Ho bisogno di una vacanza.”
 



 ***
Angolo di Fra
Questi due capitoli erano un po’ una “introduzione”! Adesso inizieranno i veri missing moments del libro.

   
 
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