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Autore: Sebenileben    11/02/2016    0 recensioni
Sherlock è diviso fra due mondi, quello della realtà e quello della fantasia. All'interno di uno dei tanti loci del suo palazzo della memoria elabora diverse vite parallele dove si confronta con John o con chiunque sia abbastanza importante da entrare in un posto così riservato ed oscuro come il suo immenso palazzo della memoria.
Racconterò quasi tutti gli episodi che verranno dal punto di vista di Sherlock Holmes, spero soltanto di non annoiarvi.
Vi auguro una buona lettura, spero vi piaccia!
PS: sarei felice di sapere la vostra opinione sulla storia, grazie!
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

«È tornato, Sherlock. Moriarty è tornato.» La voce di John Watson continuava a rimbombare con un fastidioso eco nella mia mente. Lo sentivo in ogni singolo luogo del mio palazzo della memoria. Non importava se fuggivo in uno dei miei tanti parchi immaginari dove non volava nemmeno una mosca; non importava neppure se mi materiassi in Tibet, la voce preoccupata di John aveva la precedenza su qualsiasi altro pensiero. E poi ero certo mi avrebbe raggiunto dappertutto, anche in capo al mondo, quindi era praticamente inutile ignorarlo. 
Accompagnato dalla melodia del violino perfettamente accordato che stavo suonando ormai da ore, aprii le porte della mente ed iniziai a raggiungere in una frazione di secondo tutte le informazioni di cui avevo bisogno. Queste si materializzavano sotto forma di tanti flash di memoria ed ogni fascio di luce conteneva i dettagli che avevo immagazzinato durante le indagini dei casi risolti in tutti quegli anni.
Mi focalizzai su un unico ricordo, uno dei più importanti e in una frazione di secondo riuscii a riviverlo. Stavo ripensando a quel giorno, quello in cui offrii il tè a Moriarty. Lui mi disse diverse cose e seppur mi ero concentrato sul movimento della sua mano che tamburellava un falso messaggio in codice, mi sforzai comunque di ricordare tutto quello che aveva detto.
Con quella fantastica melodia che mi accompagnava nei miei ragionamenti, presi a danzare solo con l’ausilio del capo che si inclinava leggermente a destra e a sinistra e poi avanti ed indietro, completamente in trance, presi a danzare compiendo delle ampie falcate.
Più volteggiavo ad occhi chiusi per il salone e più mi tornavano alla mente i dettagli più salienti di quel pomeriggio. Vidi in modo nitido il suo sguardo da esaltato davanti i miei occhi, poi comparve un completo color avana che lo avvolse in una maniera così impeccabile, che accennai un piccolo sorrisino. Era molto sensuale, dovevo ammetterlo e poi aveva una mente così brillante, che non potevo di certo non sentirmi lusingato nel ricevere le sue attenzioni.
“Accidenti Sherlock, pensa lucidamente.” Finii per rimproverarmi e nel mio inconscio ripresi il possesso delle mie facoltà mentali. Non potevo di certo fantasticare come un’adolescente innamorata su colui che dovevo combattere; anche se dovevo ammettere fosse decisamente sensuale come persona.
«Perciò vorresti farmi credere che sei ancora vivo?» Il mio ospite si era appena seduto sulla poltrona che aveva occupato la volta precedente e con le sue tipiche espressioni teatrali e quasi scocciate, mi fece capire che quella che avevo appena formulato era una domanda dalla risposta decisamente ovvia per un tipo intelligente come me. Roteò gli occhi scocciato. Poi assottigliò le labbra e le curvò verso il basso, mente muoveva la testa in segno di negazione.
«Ah, mi deludi mio caro Detective senza macchia. Sono o non sono qui con te? Finché verrò ricordato, io sarò vivo.»
Inspirai giusto l’aria necessaria per non avere un collasso, rimanendo comunque con un’espressione di ghiaccio. Dovevo sconfiggerlo nuovamente nella mia mente?
«Dannazione, non ha senso!» Sbottai all’improvviso, gettando il violino sul divano. In così poco tempo ero riuscito a mandare all’aria la concentrazione raccolta nelle due ore precedenti.
«Cos’è che non ha senso, Sherlock?» Come il solito John era molto attento a ciò che facevo e riusciva sempre a porgersi le domande giuste. Mi aiutava così tanto senza neanche rendersene conto, che era dannatamente magnifico, brillante.
Si trovava seduto sulla sua poltrona e da bravo inglese che era, smise di sorseggiare il tè per potermi prestare la giusta attenzione. Lo notai arricciare le labbra e sbattere le palpebre un paio di volte, ora era attento. Io presi un grande respiro, così grande che il petto si gonfiò a tal punto che mi saltò un bottone della camicia.
«Ho capito! John, ho capito.» Ero improvvisamente entrato in uno stato di esaltazione tale, che tutto mi parve chiaro. Era tornato, non era morto.
«In qualche modo sono certo che non sia morto. Ricordo di averlo visto mentre si sparava, ho visto le sue cervella saltare per aria, ma sotto sotto John, sotto sotto c’è qualcosa che non mi quadra.»
Assottigliai gli occhi ed in meno di una manciata di secondi calcolai tutte le traiettorie e tutte le possibilità che poteva aver usato per non morire. Spalancai gli occhi ed iniziai a gesticolare per rendere meglio l’idea. Mi ritrovai persino a camminare sul tavolino e sul divano, sapevo che John lo odiava, ma era indispensabile farlo!
«Potrebbe aver usato uno di quei trucchi di Hollywood. Una sacca di inchiostro che è esplosa al momento giusto. Magari io non sono stato molto attento mentre esaminavo il suo corpo, perché ho dovuto immediatamente mettere in atto il mio piano e sparire.»
Sembrava la deduzione di un bambino di tre anni che si convinceva dell’idea che Babbo Natale esisteva e che, col suo grande pancione, riusciva a passare dal buco del camino senza rimanere incastrato o sporcarsi di fuliggine.
«Oppure si tratta di un semplice messaggio postumo.» Aggiunsi, rubando una sorsata di tè al mio caro amico John, che puntualmente mi fulminò, guardandomi in cagnersco.
«No, ma fai con comodo, volevo giusto offrirtelo.» L’ironia del suo tono di voce era estremamente percepible, ma come spesso accadeva facevo finta di niente, giusto per farlo incavolare un po’. Adoravo vederlo mentre contraeva i muscoli della mandibola, perché ciò stava a significare che si stava trattenendo dal darmi una testata in pieno volto.
«Grazie amico, ne avevo giusto bisogno!» Aggiunsi, tornando con i piedi sopra il tavolino e nel piegare le ginocchia, mi chinai sui miei talloni. Lo vedevo che stava combattendo contro il suo autocontrollo e Dio, che bella scena, era meraviglioso. Stuzzicare l’autocontrollo di un soldato era sicuramente uno dei passatempi migliori che potevo avere, ecco dunque perché, avevo quel debole per il mio caro amico John Watson.
Nel frattempo lo sguardo si intrecciò al suo e senza volerlo feci uno di quei sorrisi che mi coinvolsero perfino gli occhi. Lui parve rimanerne sorpreso, ma seppur non riuscivo ad entrare nella sua mente e capire a cosa pensasse, finii per arricciare la labbra.
Ma nonostante tutto dovevo ancora capire cosa significava quel messaggio, perciò cercai nuovamente di entrare nella stanza del mio Mind Palace dove ero poco prima con Moriarty. Ma come il suo solito, la Signora Hudson riusciva ad interrompere i miei pensieri con un tempismo pazzesco; correva sul parquet del piano di sotto, intenta ad andare ad aprire la porta d’ingresso e poi salire come un razzo verso il nostro appartamento. Girò la maniglia e senza rivolgere nemmeno uno sguardo verso la porta, la attaccai.

«Nessuno le ha insegnato a bussare, Signora Hudson?» Trasalii, spingendo la tazza di porcellana fra le mani di John, che parve estremamente sorpreso da quel mio gesto.. anche perché gli stavo per rovesciare addosso del tè incandescente.
«Sherlock, piantala.» Mi rimproverò a denti stretti e la mia unica razione fu quella di roteare gli occhi, come per dire “Okay, okay, finiamola qui che non ho voglia di discutere”.
«Oh, scusate se ho interrotto qualcosa, ragazzi, ma c’è un ospite per voi.» A quel punto scesi dal tavolino e nel voltarmi verso la porta, annuii, come per farle capire che poteva far entrare chiunque fosse in attesa sulle scale.
«Non ha interrotto nulla!» Si giustificò prontamente Watson.
D’un tratto apparve, come per magia l’immagine di niente poco di meno di…. Lestrade. Rimasi quasi deluso alla vista del nostro ospite, perché in fondo, speravo si trattasse di Moriarty. 
Con noncuranza sistemai i vestiti eleganti che indossavo intorno al mio corpo magro, poi rivolsi lo sguardo verso il viso dubbioso del poliziotto.
«Quale caso non riesce a risolvere questa volta?» Esortai, abbottonando il bottone che mi era saltato poco prima. Forse ero un po’ ridicolo con la camicia aperta all’altezza dello sterno.
Con tutta sorpresa John mi diede un ceffone dietro la nuca e in quella frazione di secondo fu capace di mandare in frantumi la mia aria da borghese stizzito.
Mi voltai in fretta per fulminarlo con lo sguardo e con i denti stretti e gli occhi sbarrati, volli quasi intimorirlo con un “accidenti John, ti taglio la mano!” che ahimè non fu poi così intimidatorio, dato che utilizzai soltanto il labiale.
«Li perdoni, mio caro..» La Signora Hudson diede due pacche sulla spalla del “detective” e prima di sparire dietro la porta, terminò la sua allusione con voce dolce «..ogni tanto capita anche alle coppie migliori di discutere.»
Spostai lo sguardo su John, che prontamente deglutì. «IO NON SONO GAY.»
«Sì, lo sappiamo.» Rispose dalle scale col suo tipico umorismo inglese. Non credeva minimante alle parole di John, altra cosa che trovavo estremamente esilarante. Nascosi un sorrisino divertito sotto una piccola smorfia, dopodiché incatenai lo sguardo con quello del mio interlocutore e facendo qualche passo verso di lui, scossi il capo.
«Tornando a noi, mi descriva il caso.» L’uomo parve agitato, stringeva frale mani il suo cappello e lo stava stritolando fra le dita nervosamente.
«Abbiamo trovato i corpi di sette studenti nell’Università di Cambridge. Le location sono tutte differenti, ma ogni corpo presenta delle caratteristiche in comune. Ci serve il tuo aiuto, Sherlock.» Io non riuscii a trattenermi «Ovvio che avete bisogno di me, avete tutti un cervello così mediocre e piccolo che...» .
Prontamente mi guardai alle spalle e saltai lontano dal tavolino dove c’era John di vedetta. Decisi di allontanarmi il più possibile, giusto per evitare mi desse un altro ceffone. «Senza offesa, ovviamente.»
John era nuovamente al limite, volva sicuramente afferrarmi per i capelli e farmi dare miriadi di testate ad ogni: muro, strada o automobile dell’intera Gran Bretagna. Un brivido mi percorse la schiena. Doveva far male: «Ahi..»

Ormai al sicuro, perché lontano di qualche metro dal pericoloso Dottor Watson, riuscii a prestare nuovamente attenzione a Lestrade.
«Crediamo si tratti di un professionista.»
«Lo è. Ci vedremo lì fra un’ora. Lei Dottor Watson viene?» Quest ultimo non sembrava aspettasse altro, moriva dalla voglia di avere altre avventure al limite fra la vita e la morte.
«Mi pare ovvio.» Rispose. Dunque io alzai il colletto del giacchetto appena indossato e lo invitai tramite uno sguardo a seguirmi.
«Allora cosa aspetta? Andiamo.» Corsi al piano di sotto, l’adrenalina si era ormai sostituita al sangue nelle vene e il cuore non palpitava così forte praticamente da un paio di anni a questa parte.
Agitando il braccio sopra la mia testa cercavo di attirare l’attenzione di qualche tassista, così da poter volare a Cambridge e risolvere un nuovo caso.



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Scusate se ci ho messo molto ad aggiornare, ma ora ho trovato l'ispirazione adatta per continuare!
Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo questa storia e spero tanto vi piaccia il secondo capitolo.
   
 
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