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Autore: beyondJA    11/02/2016    1 recensioni
Ti odio perché hai i capelli disordinati, senza mascara hai gli occhi piccoli e senza maschere sei una nullità, senza rossetto sei una qualunque, perché ti manca la vista e non hai mai visto le cose per il verso giusto, ti odio perché sei tu e tu sei vittima di una vita nomade di merda, ma continui a non sapere dove andare o dove andare a parare. Sei il prodotto tra unicità e vuoto, zero: perché, allora, raddoppi le tue speranze? Quando chiudi gli occhi è tutto una luce e ti ci rifugi tutta, non osi aprirli, ché vedi nero e ti senti a casa facendoti paura.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SENTIMENTO CONTROVERSO
Ti odio perché hai i capelli disordinati, senza mascara hai gli occhi piccoli e senza maschere sei una nullità, senza rossetto sei una qualunque, perché ti manca la vista e non hai mai visto le cose per il verso giusto, ti odio perché sei tu e tu sei vittima di una vita nomade di merda, ma continui a non sapere dove andare o dove andare a parare. Sei il prodotto tra unicità e vuoto, zero: perché, allora, raddoppi le tue speranze? Quando chiudi gli occhi è tutto una luce e ti ci rifugi tutta, non osi aprirli, ché vedi nero e ti senti a casa facendoti paura. Ti prendi una coperta, per esempio, e ti ci soffochi indolente, e allora qualcuno urla non vedendoti viva; ma che viva? Sei morta da un pezzo. E non parlo del pezzettino di crostata che hai mangiato l’altro giorno, quello l’hai sputato dopo i sensi di colpa sulla lingua. Ti è scesa una lacrima, hai pensato a quanto non lo meritassi perché sei nata così e poi hai buttato ciò che tua madre ti aveva preparato con amore. Dal tavolo la crostata è andata a finire nel cestino, l’hai trovata una metafora e sai perché. Ecco perché ti odio: tu sei nomade e rendi nomade chi ti sta intorno, perché tanto se ne andranno via tutti. Ma molti di questi spostamenti geografici a volte sono impercettibili, o quasi. Eri sull’autobus, per esempio, accanto al finestrino, eri in viaggio come al solito, con la borsa poggiata sulle gambe. Ti siedi sempre vicino al finestrino e quanto urto mi fa vedere i tuoi occhi fissi quando in realtà tutto scorre veloce. Ma sei tu sfuggente al mondo o il mondo sfuggente a te? Insomma, eri lì seduta, con i capelli spettinati, senza rossetto e le ciglia corte: una qualunque. Poi qualcuno ti ha chiesto di sederti accanto. Che banale che sei, hai pensato subito che gli piacessi. Quel pover uomo aveva le gambe stanche e non ha visto te, ma il sedile vuoto. E ora arriva la parte bella: il tempo di sedersi, che quello lì doveva scendere subito alla fermata successiva. Tu non avevi fermate, perché tu giungi sempre al capolinea. Ma lui è una persona normale e non aveva capolinea. Nemmeno il tempo di percepire la sua spalla scontrarsi con la tua, che appunto si è alzato. In quel caso non si è proprio allontanato da te: è sceso dall’auto salutando cordialmente l’autista e poi sicuramente sarà andato a casa; tu non c’eri proprio, eri il posto occupato vicino a quello libero, niente di più.
Di estate, invece, sei proprio ridicola. Ti ostini a mettere quegli occhiali da sole orribili per coprire le tue orribili occhiaie, ma a ricoprirmi di disgusto sono quelle labbra sempre tristi. E’ una dote naturale o ti ci impegni tutti i giorni? Io ci ho provato e ho rischiato una paralisi facciale. Un giorno mi svelerai il trucchetto, se questo è l’unico modo per farti notare in giro, crostate per terra a parte. No seriamente, da quanto non mangi? Non che me ne importi, ma dà fastidio a chi come me non ti tollera. Per esempio, eri al ristorante, ovviamente di seconda mano che tu soldi non ne hai se non a sopravvivere un po’, hai ordinato un piatto di carne. Il cameriere, velocissimo, te lo ha messo sotto gli occhi e quella fettina di maiale ha cominciato a farti ribrezzo. Hai detto che non potevi mangiare un tuo simile. Io di uguali a te conosco solo stronzate simili, invece. No, davvero, io ti odio, ma forse ti odi più tu. Sei uscita e hai pagato pure il conto, lasciando il piatto intatto sul tavolo perché non avevi cestini nei dintorni. Una volta fuori hai respirato affondo, ma non la plachi la fame così, stupida. Coi capelli disordinati, le labbra chiare e le ciglia corte hai proseguito il tragitto e ti sei sentita per la prima volta persa, perché non c’erano altre vie da fare e perderti per un’unica strada era un’idea che stavi concretizzando spiacevolmente. Quanta poca ammirazione che ho di te, che sei talmente masochista. E guai a chi ti chiama fragile, che sei solo una calda testa di cazzo. Coi capelli al vento, rendendoteli ancora più spettinati, hai cominciato a piangere e desiderato di ritrovarti la faccia contrariata di tuo padre, ma tuo padre è volato via da tempo e allora, pensando a quella di tua madre, hai cominciato a piangere più forte, finché un vecchietto ti si è avvicinato e ti ha donato un fazzoletto. Tu l’hai preso, lui si è allontanato sorridendo. L’hai mandato a fanculo, hai buttato il fazzoletto in un cestino e sei corsa via. Maleducata.
Il pensiero di tua madre si è fatto più vivo verso le cinque del pomeriggio, insieme ai morsi della fame. Hai pensato ai suoi dolci fatti in casa, dopo di che hai smesso di pensare per un quarto d’ora. Hai strappato un fiore da un prato (ma dove ti trovavi nemmeno tu ne eri a conoscenza) e non era una margherita, che tanto anche se strappi i petali nessuno ti ama. Ma hai cominciato ad annusarlo, sapeva di polline, hai starnutito e buttato infine pure quello. Vedi quanti sprechi? Non ami nulla perché nessuno ti ha mai insegnato ad amare te stessa. E questo è il penultimo motivo per cui ti odio. In realtà ce ne sono altri, come quando cammini scalza e ti lamenti per il raffreddore, o quando facevi sesso senza guardare negli occhi. Ecco, io ero proprio in quel letto a fare sesso con te, tra le coperte colpevoli di asfissia, nonostante la colpa sia solo tua, che se vuoi morire fallo pure, ma assicurati che nessuno ti disturba. Mentre tu urlavi, e ora sono sicuro non per il piacere ma perché non provavi dolore a sufficienza, io ti amavo. Che la mia colpa sia stata solo amarti l’ho capito dopo essermene andato, senza che tu mi salutassi, come un oggetto che casca, si rompe e si porta in garanzia. Io mi sono riparato a spese mie, ho lottato col cuore, lo stesso che ti amava, il vero colpevole di tutta la situazione in realtà, perché se io, il giorno in cui c’eravamo incontrati sull’autobus, avessi visto solo un posto libero accanto a uno occupato, non avrei perso un battito e nemmeno i dieci euro dal benzinaio per fare 15 km in più e portarti a casa. Lì ho conosciuto la faccia di tua madre e quella di tuo padre, quando ancora tuo padre era vivo. Il giorno dopo ho preso la macchina, e ho ripercorso la stessa strada che ventiquattro ore prima mi avevi indicato tu, quella che ti portava a casa. Ho suonato al campanello, mi ha aperto tua madre dicendomi della morte di tua padre, un infarto. Poi mi ha invitato a cena, ma non me la sono sentito, quindi sono andato via. Il giorno dopo sono ritornato, ancora, e quando ti sei affacciata per vedere chi fosse, con quel visino tutto rigato dalle lacrime, l’avrei dovuto capire che razza di psicopatica sei. Ma sono entrato, mi hai baciato e sul tuo letto fatto sesso.  Piangevi, e hai pianto per un anno intero.
Poi quella sera abbiamo fatto sesso, sul tuo letto, e tu mentre urlavi io ti amavo. Non mi hai guardato negli occhi, sono uscito di casa e mi sono andato ad aggiustare il cuore. Non ti sei fatta più viva, che tanto eri morta il secondo giorno che ci siamo visti, quando è morto anche tuo padre.

E mentre piangi su quel prato verde che rendi grigio, di nuovo, senza tempo e limiti, bambina come sei, ti dico che ti odio perché ti ho amato e non dovevo.
   
 
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