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Autore: stefaniaodair    12/02/2016    0 recensioni
Virgina vive a New York e, a parte le prese in giro dei compagni, ha tutto quello che vorrebbe. Una madre che la ama, una migliore amica, quasi un ragazzo...Ma un giorno sua madre decide di trasclocare e di farle cambiare scuola. Il suo primo giorno è un giorno disperato, ma poi incontra la misteriosa Jeanine, nonchè sua compagna di stanza e il suo fratello così sexy... Virginia si innamora, si diverte, a dispetto di coloro che l'hanno abbandonata durante il cambio di scuola. Recupera il suo "tutto", ma c'è un problema: qualcuno è sempre pronto a fare del male a lei e al suo ragazzo... Così Virginia, anche nella sofferenza, ci mostrerà che, anche se i proiettili uccidono, l'amore rimane.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Finalmente. Finalmente ho capito dove sto andando. Riesco a sentire il cuore che mi batte ovunque mentre corro e valuto se chiamare o no un taxi. No, non lo farò. Voglio correre. Voglio godermi il dolore, per annullare quello più profondo. Come farò a lasciare New York, il mio mondo, i miei affetti... Nathan, che presto sarà il mio ragazzo. Ma quel presto non c'è più. Perché tutto ciò che mi ha sostenuta finora sta crollando ai miei piedi come un antico castello, le cui fondamenta sono state spazzate via da una forza maggiore. Così grande da non poter essere controllata. Opera di chi controlla l'incontrollabile. Mia madre e le sue decisioni inconfutabili. Niente può fermarle, perché sono come il vento, che quando è troppo forte uccide. Lo fa lentamente, finché la vittima non si riduce a polvere che grida. Ecco cosa sono diventata io. Un corpo senza più anima, lacerata dagli uragani, che vacilla. Sto ancora correndo come una pazza, diretta all'incrocio tra la Terza e la Settantanovesima. Perché non sono forte? Perché mi lascio spaventare così? Un tempo ero migliore in questo campo. Certo, ero un'asociale e odiavo la gente. Ma più ami, più hai da perdere. E più hai da perdere più devi combattere. Ma non si può combattere contro chi è più forte di te. Mi fermo giusto un secondo per riposare, nonostante il mio disappunto, solo per ricordarmi che sono ancora umana. Non sono né di ferro né di titanio. Sono un ammasso di carne e nervi incapace di formulare un pensiero razionale. C'è bisogno di qualcuno che mi riporti in vita, come un defibrillatore rimette in funzione il cuore. Ho bisogno di una scossa. E so già dove trovarla. Lo sapevo anche prima di capire dove stessi andando. Corro ancora per un centinaio di metri e arrivo a destinazione. Resto impalata davanti a una villa di due piani, bianca e accogliente come chi ci abita. Mi siedo sugli scalini e ansimo. Mi rialzo subito e vado a mettermi sotto uno degli alberi del giardino. Non penso, e questo mio non-pensiero mi fa piombare in un sonno senza precedenti, aspettando che arrivi colei che mi darà la scossa.
***
Mi sveglia una bella voce, melodiosa e dolce: “Virginia? Che ci fai qui? Stai bene?”. Questa è Haley. Credo che sia molto sorpresa per aver ricevuto la mia visita, e soprattutto di avermi vista addormentata nel suo giardino. “Sì, è tutto okay, grazie. Sono venuta per parlarti. Siete già tornati?” le dico. Noto che i suoi genitori mi fissano preoccupati, così mi rimetto in piedi e ricaccio indietro le lacrime e le grida di frustrazione. “Entra pure.” dice Haley conducendomi nella sua stanza mentre trascina i suoi bagagli.
“Sputa il rospo.”
“Mi trasferisco.”
Haley è scioccata.
“Dove?"
“Ancora non lo so, me ne sono andata prima che mia madre potesse dirmelo.”
“Lei non sa che sei qui?”
“No. Pensa che cambierò pure scuola.”
“Non è possibile...”
“Purtroppo lo è.”
Haley mi abbraccia in preda alle lacrime, e per la prima volta dopo questa mattina mi lascio andare del tutto. Non soffoco più il pianto, neanche le grida, perché so che con lei posso essere chi voglio. Posso essere me stessa. Ed è l'unica cosa di cui ho bisogno. Ecco che arriva, la scossa è il suo abbraccio. Le sue calde mani rimettono in moto il mio cuore, mentre capisco tutto. Mi ero illusa che mia madre mi amasse, lei non mi ama. Se lo avesse fatto ora non sarei qui, soprattutto non sarei così. “Posso dormire da te?” chiedo alla mia amica. “Ma certo.”, risponde lei. Mi sciolgo dall'abbraccio e la ringrazio. Ci sediamo sul suo letto e stiamo in silenzio. Riflettiamo. Ed è una cosa che sappiamo fare bene insieme. Tacere. Fingere che il baratro che si è appena aperto ai miei piedi non ci sia. Non pensare. Il pensiero è la cosa più bella che la natura ci ha donato, ma è anche la peggiore. Spesso per avere cose belle si deve pagare un prezzo molto alto. Lo sanno tutti, ma nessuno prende mai sul serio queste parole finché il prezzo non è da pagare. Lo facevo. L'ho fatto. Ma ora mi concentro solo sulle mie palpebre abbassate sugli occhi, cerco di non pensare al cervello che non si spegne mai. Niente si spegne mai quando vorresti. Guardo Haley, per la quale domani sarà un giorno normale, e per me no. La normalità mi è stata portata via. Osservo i suoi capelli color nocciola, così perfetti, ad incorniciare il suo piccolo e bellissimo viso. L'anno scorso ho persino creduto di essere diventata lesbica, almeno così mi diceva mia nonna quando descrivevo la mia amica. Nonostante io non voglia pensare, il mio cervello continua a tendermi trappole, nelle quali cado ripetutamente. E non mi rialzo. All'improvviso mi prende il pensiero che non ce la farò mai a rialzarmi. Detesto dirlo, ma ho ragione.
***
La mamma di Haley ci chiama: è ora di cena. Ci avviamo verso il soggiorno, dove ci aspetta il “tizio delle pizze”. Lo vediamo appoggiare le scatole sul tavolo. Non è male. Ma ha il naso adunco. Il pensiero mi strappa un sorriso. Haley sorride di rimando, come se mi leggesse nella mente. Forse ne è persino capace. Ci sediamo a tavola, dove cominciamo a parlare di cose decisamente più normali di ciò che mi è successo oggi. Sembra che i signori Taylor preferiscano evitare l'argomento. Anche se hanno accettato felicemente che io dormissi a casa loro. Ci divertiamo ad elogiare la bontà della pizza...Devo ammettere che mi piace molto, ma niente può riempire il vuoto che ho dentro di me. Quindi nemmeno una pizza. Mi dispiace pizza, ma non sei la mia soluzione. Dopo cena mi viene in mente un nome: Nathan. Finora avevo soltanto pensato a Haley e a quanto fosse difficile separarmi da lei. Ma io amo Nathan. Solo ora ricordo tutte le notti passate a farmi film mentali su come gli avrei confessato ciò che provo per lui, e come lui mi avrebbe detto lo stesso. Ci saremmo baciati, perché ne sono sicura: lui mi ama. E io non l'ho nemmeno pensato. Come sono stupida! “Ehi, dici che è troppo tardi per parlare con Nathan?”, chiedo a Haley fissando il cielo fuori. Il sole sta per tramontare, magari facevo in tempo. “Direi di no. Gli parlerai?” mi risponde lei.
“Gli dirò ogni cosa.
” “Anche che lo ami?”
“Quella è la prima cosa che gli dirò.”
“Buona fortuna. Dove vi vedrete?”
“Gli chiederò di venire al parco che c'è tra la Settantottesima e la Quarta. Dev'essere vicino...”
“Vuoi che venga con te?”
“No, grazie. Ce la devo fare da sola.
” L'abbraccio e prendo il cellulare. Lo sento freddo, come gelato dalle mie lacrime. Apro i messaggi e scrivo a Nathan:
Ciao, devo parlarti. Ci vediamo al parco tra la Settantottesima e la Quarta. A presto, Virginia.
Mi risponde subito:
Arrivo. C'è qualcosa che non va? Nathan
Vorrei dirgli che non c'è niente che vada come dovrebbe, che sono in una prigione di sentimenti, che verrò presto portata via da qui, non mi rivedrà più. Ma mi faccio forza, indosso la felpa e abbraccio Haley. Esco, accarezzata dal vento che porta via il sole alla sera. In questo momento sta tramontando, come se stesse morendo. Avviandomi verso il parco, con le braccia strette al petto, spero solo di non fare la sua stessa fine.
***
Arrivata a destinazione, vedo Nathan seduto su una panchina ad aspettarmi. “Ciao”, gli sussurro. “Sono felice di vederti.”, mi dice lui, ignaro di tutto.
“Anche io.”
“Che c'è che non va?”
“Volevo dirti che mi trasferirò. Cambierò anche scuola. E volevo che sapessi che ti amo.”
“Oh, mi dispiace. Sai, anche io ti ho amata.”
“Come? Io credevo che mi amassi...”
“Sì, prima di conoscere Mary. Ti amavo tantissimo, ma il destino, quest'estate, ci ha fatti incontrare...”
Merda. Il poco rimasto intatto in me si sta sgretolando. E tutto per colpa di quello che doveva essere il mio ragazzo.
“Io ti amavo sul serio. Non sei mai stato uno dei tanti. Sei stato il primo. Mentre io, per te, sono soltanto un desiderio di passaggio, vero?”
“Credimi, anche io diventerò uno dei tanti.”
“E io che credevo che ti importasse di me. Mi sono data tanta di quella pena per avvisarti che non te lo immagineresti nemmeno. Credevo che ti sarebbe dispiaciuto veramente. Ma a quanto pare non è così.” “Scusami, non volevo ferirti.” Di fronte a quella bugia bella e buona decido che posso anche andarmene. E lo faccio. Mentre mi volto per correre via, una lacrima mi riga una guancia. Non sono di ferro. Non sono di titanio. E lui l'ha visto. L'ha visto.
   
 
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