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Autore: Francine    13/02/2016    4 recensioni
Toutes les grandes personnes ont d'abord été des enfants. (Mais peu d'entre elles s'en souviennent.)
(Antoine de Saint-Exupéry,
Le Petit Prince, dedica a Léon Werth, 1943)
[Note:Baby!Saint]
Genere: Avventura, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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XI.
Aurora dalle dita rosate.
(Cancer Death Mask)


1 Marzo 1968


«Non siamo ancora arrivati?»
«Saremo arrivati quando saremo arrivati. E non prendere freddo, sennò tua nonna chi se la sente, poi!»

Il carretto avanza nella notte. È di legno, verniciato di rosso e con qualche anno di troppo sulle spalle. Ha le ruote grandi, di gomma bianca. Alessio lo trascina, una sigaretta accesa, e Marco se ne sta seduto dietro, avvolto in tre, quattro coperte, imbacuccato fino alle orecchie come se stesso per sbarcare al Polo Nord da un momento all’altro.
Il silenzio del bosco è rotto dalle proteste del ghiaietto e dallo scricchiolio dei ramoscelli caduti a terra. Nessuno di loro vi bada, chi perso nei propri pensieri, chi occupato a distinguere le sagome degli alberi in quella massa scura. Come se li riuscisse a distinguere, poi. Marco conosce solo i pini marittimi, con la loro grande chioma ad ombrello, e gli abeti, perché a Natale non c’è casa che non ne sfoggi uno addobbato con tutti i crismi – escluse quelle di sua madre e di quei quattro scriteriati della setta a cui appartiene, ovvio. Ah, sì. E i Cedri del Libano, ma solo di nome, perché sono citati nella Bibbia, ma Marco è pronto a scommettere che nemmeno sua madre ne ha mai visto uno. Come gli angeli, del resto.

Stanno andando verso l’alba, ma Marco non lo sa. Né sa il motivo di quell’uscita fuori programma. Alessio gli ha detto che lo avrebbe portato con sé. A fare una cosa da uomini, eppure Marco non si fida di lui. Non ci riesce. Non gli fa sangue, non gli va a genio con quei capelli a nuvola, la chitarra tra le braccia e l’aria perennemente distante, come se pensasse sempre a qualcos’altro – o a qualcun altro. Una qualche gonnella forse –. Si sta meglio quando non c’è, e sono solo lui e la nonna – che poi Marco non sa se Nonna Agata sia davvero sua nonna, ma poco gli importa. Non lo costringe a pregare per ogni cosa, gli permette di vedere la televisione e non gli lava la lingua col sapone per ogni mannaggia che Marco si lascia scappare. E sono davvero tanti.
La pacchia finisce quando Alessio ritorna, e il viso di nonna Agata trasfigura. Si illumina, quasi come se quella donnetta tutta rughe e occhioni azzurri avesse una luce, dentro di sé, un piccolo sole che splende alla vista della zazzera riccioluta del nipote. E questo Marco non lo sopporta, così come non sopporta le buche che il carretto prende ad ogni passo.
Sa che Alessio lo sta facendo apposta. E che quella del buio è solo una scusa. Ma tace. Non vuole dargli soddisfazione.

Lui gli ha detto di farsi una dormita, ché c’è tempo prima dell’arrivo, ma Marco non è così scemo da obbedire. Dormire? Sì, come no? Come se le favole non fossero piene zeppe di adulti che abbandonano i figli nel bosco nemmeno fossero cani. I genitori di Hansel e Gretel, ad esempio. O quelli di Pollicino. E che dire della storia di Abramo e Isacco?
 Come diceva quel tale, fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. Così Marco si accoccola nel tepore delle coperte. Ai piedi, un librone che Alessio gli ha affidato. «Serve a riconoscere le costellazioni», gli ha detto, ma a Marco non importa un accidente delle costellazioni. Vuole solo capire. Che intenzioni abbia quel tizio, ad esempio. Per quale motivo sta trascinando il carretto nel fitto del bosco, tanto per cominciare.
«Ma manca ancora molto?»
«Guarda che sono io a tirare questo trabiccolo. Vogliamo fare a cambio?»
Fossi matto, pensa Marco. Alessio sarà pure secco come un chiodo, ma peserà di sicuro più di un ragazzino pelle e ossa. E a lui di giocare a fare il mulo proprio non va. Così si rintana sotto le coperte, e sbuffa, sbuffa, sbuffa fino a quando il carretto non si ferma. Si volta. Alessio si è acceso una sigaretta.
«Dai, scendi», gli dice, prendendo il libro delle costellazioni tra le mani. Davanti a loro c’è  lo Jonio che muggisce furioso contro gli scogli, in fondo alla scarpata. Come se ce l’avesse con loro per aver disturbato il suo sonno.
«Tranquillo, non ti butto di sotto», gli dice Alessio, spingendolo e liberandolo di uno strato di coperte. «Sennò tua nonna chi la sente…»
Marco gli regala un’occhiata truce, ma l’altro non sembra scomporsi. Stende a terra la coperta e vi si accomoda sopra, a gambe incrociate.
«Dai, non fare storie. Siediti, ché è quasi ora.»
Quasi ora per cosa?, si domanda Marco, restando ostinatamente in piedi. Nonostante il sonno, nonostante il vento, nonostante il freddo.
«Allora?», e Marco si siede. Sbuffando.
«Si può sapere che diamine ci facciamo, qui?»
«Aspettiamo.»
«Aspettiamo, cosa?», ché i veri uomini vanno a donne – qualunque cosa questo significhi – e Marco dubita profondamente che arriveranno delle ragazze in quel posto dimenticato da Dio, ma le sue proteste sono zittite alla vista del termos che Alessio sta tirando fuori dallo zaino. «Che c’è lì dentro?», chiede. Sospettoso.
Alessio sorride, una smorfia luciferina che gli incurva all’insù le labbra sottili. «Roba da adulti», risponde mellifluamente, svitando il coperchio del termos e liberando nell’aria del crepuscolo l’aroma inconfondibile del caffè.
A Marco brillano gli occhi. Il sorriso di Alessio si accentua.
«Posso... posso averne un po’?»
«Non esiste. Il caffè non è roba per bambini.»
«Ma fa freddo!»
«Per questo hai le coperte.»
«Non bastano! Vuoi davvero farmi congelare? Che razza di padre sei?!»
«Il peggiore che potesse capitarti», e qualcosa nella voce bassa di Alessio gli regala un brivido che gli frigge la schiena.
Stattene zitto, gli grida il buonsenso, ma Marco non è tipo da dare retta al buonsenso. Mai. Men che meno con un sorso di caffè a portata di mano.
«Per favore», insiste. «Non lo dirò alla nonna», promette.
«E vorrei vedere! Caverebbe gli occhi a tutti e due», risponde Alessio, versando un po’ di caffè dentro al coperchio del termos. «Tieni. Attento, che scotta.»
Marco stringe il bicchiere improvvisato tra le mani intirizzite. Me l’hai fatto sudare, pensa, ma alla fine quello che davvero gli importa è sentire quel tepore confortante scaldargli le dita, e adesso la brezza salmastra che soffia dal mare non è più così fastidiosa. È quasi piacevole…
Alessio sorride mentre fissa l’orizzonte. «Ecco. Ci siamo», dice, e l’istante dopo Marco assiste ad uno spettacolo incredibile. C’è una lama di luce che fende in due il cielo ed il mare. Poi sorge il sole, e l’aria si colora di rosso, piano piano, inesorabilmente. Come se qualcuno avesse dato fuoco alle nuvole.

«Aurora dalle dita rosate», mormora Alessio, sorseggiando il suo caffè mentre Marco tace. Marco vorrebbe ribattere che sì, insomma, osservare l’alba non è poi questa gran cosa. Ma Marco non trova parole con cui dare fiato alla sua sbruffoneria. Marco se ne resta zitto, le mani strette attorno al caffè nero e bollente, ad ammirare il sole sorgere dal mare mentre i gabbiani volano a filo radente sulle onde increspate dal vento.
«Allora, ne valeva la pena?», si sente chiedere dopo un po’, il braccio di Alessio vicino al suo.
Marco annuisce, porgendogli il coperchio del termos. «Adesso ho sonno, però…»
«Io te l’avevo detto di dormire. O sbaglio?»
«Vorrà dire che dormirò tornando indietro…»
«Nossignore», sibila Alessio richiudendo il termos e ricacciandolo nello zaino. Si stiracchia come un gatto, si alza, raccoglie la coperta e si dirige verso il carretto. «All’andata ho tirato io. Adesso tocca a te, figliolo…», e così dicendo si accomoda dentro al carretto, le gambe penzoloni e lo zaino come cuscino.
«Stai… stai scherzando, vero?», chiede Marco, le gambe di pietra.
«Certo che no», ribatte Alessio sbadigliando.
«Ma che razza di padre sei?!»
«Te l’ho già detto, ragazzino. Il peggiore che potesse capitarti…», e di nuovo quella sensazione di assoluto pericolo che gli serra lo stomaco in una morsa ghiacciata. E Marco si alza, e Marco si libera di uno strato di coperte e Marco afferra il timone del carretto. E Marco tira. E il carretto non si muove. E Alessio ronfa già della grossa. Così Marco sospira e tra un mannaggia e l’altro si ritrova a spingere il carretto, le vene del collo grosse per lo sforzo. Questa me la paghi, Alessio, pensa, un passo dopo l’altro, trattenendo tra i denti la rabbia. Casa è lontana, e ha tutto il tempo per ideare un modo per ricambiare il favore. Qualcosa di eclatante. Dolorosissimo. E che gli faccia passare la voglia di certi scherzi da prete. La vendetta è un piatto che si serve freddo, giusto?






Saint Seiya, ® Masami Kurumada, Toei Animation, 1986. Disegno: Korin2b. Grafica ® Francine.

Note:
Anche Death Mask è stato un bambino. Ribelle e problematico, ma suvvia: nessuno è perfetto!
Nonna Agata e Alessio sono già apparsi nel mio headcanon: lei è una degli occhi ed orecchie del Sacerdote - settore Magna Grecia; lui è il Santo della Lira precedente ad Orphée e la sua storia è parecchio nebulosa anche per la sottoscritta...
   
 
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