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Autore: rossella0806    13/02/2016    3 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Non è il caso né di piangere né di sperare, si tratta piuttosto di cercare nuove armi.

Gilles Deleuze, filosofo francese (1925-1999)





Cari amici, stiamo rivivendo gli anni del '20 e del '21, quando per la prima volta ci risvegliammo dal nostro torpore di popolo falsamente inerme e lungamente assoggettato! Allora, compagni, prendemmo in mano le redini del nostro destino, sotto l'esempio dei fratelli siciliani e napoletani, che combatterono con instancabile coraggio e valore perpetuo gli ignobili Borbone e i porci Austriaci; noi stessi Piemontesi demmo la vita per ottenere delle nuovi leggi, per unificare il popolo italico sotto un unico e giusto sovrano!
Tentammo di scacciare l'invasore, l’usurpatore delle nostre terre, ma venimmo traditi, abbandonati a noi stessi dalle nazioni che ci avevano promesso lealtà!
Ebbene, sono passati quasi trent'anni da quella infausta e gloriosa pagina di Storia, ma la situazione non è purtroppo cambiata: la patria che ci ha dato i natali, che ci ha amorevolmente nutrito, chiede ora di essere aiutata, di essere liberata una volta per tutte dall'oppressore e, se necessario, di dare la vita per lei!
Fratelli, amici, compagni di uno stesso ideale, l'anno appena trascorso, il glorioso 1848, ci ha colmato di nuove speranze: il nostro amato ed illuminato sovrano ci ha finalmente donato lo Statuto Albertino, non solo un nuovo Codice di leggi, ma anche un simbolo e un monito per tutti noi, la fiamma della giustizia che risplenderá perpetua nei secoli.
E poi, non dobbiamo dimenticare che ancora una volta i cugini siciliani hanno dato prova del loro immenso coraggio, ritornando a ribellarsi contro gli ignobili e corrotti Borbone!
La stessa volontà di riscatto ha contagiato i fratelli milanesi, nel Marzo scorso, così come gli eroici Manin,Tommaseo e tutti gli altri valorosi compagni veneti, che hanno lottato con ogni mezzo pur di cacciare quei porci degli Austriaci: per questo, a Dio piacendo, possa la Repubblica di San Marco vivere per sempre!

Ebbene, io vi invito a fare altrettanto: non importa il risultato, fratelli, la cosa fondamentale è non desistere, ma combattere fino alla fine, credere in ciò che noi tutti vogliamo, la libertà assoluta e duratura per il nostro popolo, la possibilità di diventare una comunità libera ed autonoma, unita sotto un unico sovrano!
Viva la libertà, viva l'Italia, viva Carlo Alberto!


Costanza stava passando davanti la camera del fratello, quando udì quella veemente orazione: aveva passeggiato e sbocconcellato qualche biscotto tra le piante della serra, lo scialle di lana azzurra traforata buttato di sbieco sulle spalle, ritrovandosi ad ammirare, ancora una volta, la solenne compostezza dei plumbaghi, la radiosità delle gerbere, la timidezza delle begonie e l'altezza sfacciata dell'edera rampicante, dimenticando per qualche istante il senso di frustrazione che l'aveva visceralmente assalita.
Quel luogo, dell'intero palazzo e di tutta l’avvilente città in cui l'avevano costretta a vivere, era l'unico posto che riusciva ancora a darle conforto e una parvenza di familiarità, tanto da ricordarle la natura pura e selvaggia in cui era cresciuta.
Dopo quel giro di perlustrazione, si era lasciata cadere sulla sedia a dondolo nascosta in un angolo della struttura rettangolare, facendosi cullare dal rumore stridulo ma timido dell'impalcatura in legno.
Si stava addormentando, la testa dai lunghi e scuri boccoli le pendeva pericolosamente di lato; il nitrire dei cavalli nelle stalle, una decina di metri più in là, la risvegliò da quel piacevole quanto inaspettato torpore, convincendola ad alzarsi e a tornare in casa.
Adesso, era nuovamente assorta nei suoi pensieri, mentre si trascinava controvoglia lungo le scale in marmo, fino al corridoio del piano superiore.
ll maestro Rossini stava per arrivare, per cui Costanza avrebbe dovuto cambiarsi d'abito per accogliere con tutti gli onori il nuovo venuto, l'ospite tanto gradito alla madre.
Le sue stanze erano adiacenti a quelle del giovane, che era convinta si trovasse ancora al circolo, per questo udì distintamente l'appassionato monologo del fratello, la voce famigliare che trapelava dalle pareti.
Sbirció dalla porta accostata e la aprì appena, cercando di non fare alcun rumore: solo allora poté dare un volto alle coraggiose imprecazioni di pochi secondi prima, vedendo Nicolò in piedi davanti alla specchiera, di fianco all’elegante letto a baldacchino color cremisi, intento ad agitare la mano destra in alto e in basso, mentre con l'altra reggeva un pezzo di carta spiegazzato; sembrava un mimo, un improvvisato giullare di corte.
Un ciuffo di capelli ricci e scuri gli ricadeva sfrontatamente sulla fronte: lo sguardo era acceso da una strana euforia, come se avesse appena scoperto il segreto più ambito dell'universo.
Se fosse stata più vicina, la sorella avrebbe giurato di poter vedere delle tracce di sudore sul bel volto pallido e rotondo del ragazzo, impeccabile in un completo di lana cotta, la camicia bianca abbellita da un'elegante cravatta di seta nera.
Aveva le mani chiuse a pugno, appoggiate sul comò che gli stava davanti, massiccio e trionfale, una sorta di appendice grottesca.
Il giovane abbassò gli occhi color ambra e incassò la testa nelle spalle, sospirando rumorosamente.
Quando ritornò a puntare lo sguardo nello specchio, le labbra carnose abbassate in un sorriso di giubilo, Nicolò notò il volto incuriosito di Costanza, semi nascosta dietro la porta.
Si girò di scatto e, con la stessa luce euforica negli occhi di pochi istanti prima, si avviò a passi svelti nella direzione della sorella più piccola.
Non appena la raggiunse, la agguantò per un polso, storcendoglielo fino a farla sobbalzare:
“Ahi, mi stai facendo male!”
“Cosa hai visto? Costanza, dimmi subito da quanto tempo stavi origliando!”
La ragazza aprì la bocca per ribattere, le sopracciglia aggrottate in una smorfia di smarrimento e dolore.
“Non capisco, io non ti stavo spiando! Stavo semplicemente andando in camera a cambiarmi d'abito per il pranzo: abbiamo ospiti, non te lo ha detto la mamma?”
La giovane cercò di ritrovare un'espressione innocente, sebbene si sentisse sempre più confusa ed impaurita.
“No, non mi ha detto nulla. E poi, a quest'ora, le avevo detto che sarei andato al circolo, non ricordi? Tornerò giusto in tempo per sedermi a tavola ad accogliere i nostri graditissimi convitati…”
Nicolò sorrise forzatamente alla sorella, regalandole un fastidioso buffetto su una guancia.
“Mi dispiace deluderti, ma si tratta di un solo ospite, il maestro Rossini. Credo sarà il mio nuovo insegnante di musica… A proposito, caro fratello, perché poco fa hai detto una bugia a nostra madre?” ribatté innocentemente Costanza, guardandolo negli occhi, la testa inclinata da un lato.
Un rossore improvviso soffuse il volto dell’altro che, stringendo con maggior forza il biglietto dell'orazione che aveva nascosto in una mano, tentò di giustificarsi: 
“Ho… ho sbagliato giorno. In realtà, devo andare domattina al circolo: e poi, non sei tu la prima a lamentarti che a causa del tempo sempre uggioso di questa città ogni ora assomiglia a quella appena trascorsa?”
“Ma se hai appena detto che tornerai apposta per il pranzo!”
“Le tue orecchie di donna non hanno compreso ciò che volessi dire. Bene, adesso che ti sei impicciata abbastanza dei miei affari, è opportuno che tu vada a cambiarti, sorellina. Non vorrai arrivare in ritardo, vero?”
Il ragazzo spinse fuori dalla porta Costanza, che rimase interdetta nel vedere sbattersi in faccia il massiccio pannello di legno.
In piedi, in mezzo al corridoio, si ritrovò a pensare che lo screzio che aveva vagamente intuito essere accaduto tra il padre e il fratello, quella mattina a colazione, in realtà nascondesse dei pericolosi e oscuri risvolti.


In quegli anni, Novara contava all'incirca quindici mila abitanti ed apparteneva al vasto quanto dispersivo Regno di Sardegna.
Era una città strategicamente fondamentale, perché ad uno schioppo di dita da Milano, la roccaforte degli Austriaci e del loro Lombardo Veneto, tanto che per secoli fu duramente contesa tra i Savoia e gli avventori stranieri.
Culturalmente vivace e ricca di testimonianze pittoriche ed architettoniche di epoca medioevale e rinascimentale, l'edificio più importante che vantava era il Broletto, l'equivalente del foro romano, in cui la popolazione si riuniva durante le celebrazioni pubbliche.
Di fronte, si affacciavano la piazza del mercato e il Duomo, immenso esempio di manifattura neoclassica.
Attorniata dalle risaie, in cui d'estate si divertivano a banchettare le zanzare, questi specchi d'acqua fornivano la principale fonte di nutrimento alla popolazione limitrofa.
La nebbia invernale, perenne e pesante, trasformava il paesaggio in un unica spianata grigia ed informe, priva dei più elementari contorni.
Oltre le mura, il fiume Ticino si addentrava nella folta boscaglia, costeggiando i campi coltivati a granoturco e a foraggio, il cui compito era quello di delimitare i bastioni cittadini e di dividere le esistenze contadine da quelle urbane.


Poco prima di mezzogiorno, il maestro Rossini scese dalla carrozza alla stregua di un principe ereditario, il naso aquilino che lo precedeva fieramente e le labbra sottili aperte in un sorriso incredibilmente disteso, da cui si intravedevano con chiarezza le due fila di denti, per la maggior parte diritti e bianchi.
Le guance glabre e lo sguardo luminoso, la sua persona emanava un gradevole profumo di arancia caramellata.
Portava un completo nero, probabilmente di lana scozzese, da cui fuoriusciva un cravattino di un indefinibile colore, a metà tra il grigio topo e il rosa del crepuscolo.
Gli stivali scuri erano incredibilmente lucidi, più brillanti dell'argenteria appena lustrata, e oscillavano morbidamente sul vialetto di ghiaia e terra battuta che conduceva al portone d'ingresso.
I capelli, lunghi e brizzolati, erano stati raccolti da un nastro di velluto, anch'esso nero.
A Costanza, la prima cosa che venne in mente fu di avere a che fare con un becchino, invece che con il tanto acclamato e rinomato insegnante di musica.
Sperò vivamente che quell'uomo di mezza età, forse addirittura più anziano di suo padre, non diventasse il nuovo maestro di pianoforte o, eventualità ancora più spaventosa, il marito che non andava minimamente cercando.
Donna Luisa, gongolante in un lungo abito color cipria, aveva preteso che l'intera famiglia e servitù si posizionassero sull'attenti nel vasto giardino, davanti l'abete che delimitava l'entrata del palazzo, ricca di bianchi stucchi ed effigi in marmo e in pietra, in modo da offrire il miglior benvenuto possibile all'illustre ospite: era tutta concentrata ad informarsi su come fosse andato il viaggio, se avesse avuto il tempo per riposarsi e rifocillarsi, se la carrozza fosse stata abbastanza comoda.
Il notaio, le mani dietro la schiena, lanciò un'occhiata distratta in direzione del nuovo arrivato, concentrandosi subito dopo sull'espressione assorta del primogenito, che aveva appena raggiunto lo schieramento, lo sguardo annoiato sul volto pallido.
Quel figlio, l'unico maschio che poteva vantare, lo stava costantemente preoccupando: le sue frequentazioni al Circolo cittadino dei giovani letterati gli davano l'impressione che avrebbero potuto condurlo verso l'irreparabile.
Nicolò, infatti, si era sempre rivelato un giovane ribelle ed autonomo, che era riuscito ad inserirsi molto bene in ogni contesto, tanto più nella nuova città in cui si erano trasferiti da così breve tempo.
Il signor Granieri non era nato nobile, ma di famiglia assai benestante: da oltre tre generazioni, infatti, i maschi di casa svolgevano con onore e rispetto la professione di notaio, tramandandosi i segreti e i trucchi del mestiere di padre in figlio.
Don Armando era originario della Svizzera italiana, di Bellinzona, lo stesso luogo dove nell'estate del 1818 aveva conosciuto la moglie, donna Luisa Caccia, durante un soggiorno in città della futura consorte.
Lei sì, a dispetto del marito, era nata nobile: il suocero di Granieri, il conte Ermanno Caccia, si era trasferito da Novara, città natale, a Santa Maria Maggiore, paese di confine e facente parte della circoscrizione novarese, per svolgere di persona alcuni importanti affari commerciali.
Qui l'uomo, dopo anni di onorato ozio e truffe più o meno ragguardevoli, era stato fulminato sulla via di Damasco, alla stessa maniera di san Paolo e, come un altro famoso santo, Francesco, si era spogliato di tutti i suoi beni materiali per ritirarsi in clausura in una comunità di frati benedettini affacciata sul lago d’Orta, lasciando la moglie e le due figlie, che nel frattempo si erano sposate, letteralmente con solo i vestiti e i gioielli che avevano indosso o nel guardaroba.
Donna Maria Mellerio, la sfortunata consorte, sparì dalla circolazione per quasi un anno, rintanandosi in una città del Nord Europa, da certi parenti che le erano rimasti.
Di ritorno dal viaggio di purificazione, la signora, assai influente e originaria di quelli stessi luoghi in cui il marito aveva perduto ricchezze e onorabilità, decise di non rimettere piede a Novara, ma di invecchiare e far invecchiare le figlie nel medesimo posto in cui si era consumata la loro incolpevole vergogna.
Tuttavia, la povera donna non aveva fatto i conti con la morte improvvisa del consorte, avvenuta all’inizio dell'estate 1848, ormai vecchio e pentito del torto consumato in vita.
Nel testamento infatti, lasciò scritto che il suo unico bene materiale ancora esistente, palazzo Caccia nella città di Novara, sarebbe stato il suo regalo d'addio terreno alla moglie.
Donna Maria Mellerio, però, non volle accettare quell'ultimo scherzo del destino, anzi, dopo essersi consultata con il genero, il notaio Granieri, e con l'altra figlia, donna Eleonora, che da una decina d'anni viveva a Parigi, aveva deciso di cedere la proprietà a Luisa, la quale accettò entusiasta di ritornare nei luoghi della sua infanzia.
Così, trascorso l'ultimo Natale insieme all’adorata nonna, Costanza era stata costretta a preparare i bagagli, per cominciare una nuova vita lontano dalle sue montagne e dalla natura a lei tanto cara, soffrendo in silenzio e non capendo perché, quel nonno che non aveva mai conosciuto, si fosse ostinato a farle tanto male. Ma tutto quello rappresentava il passato, un passato ancora troppo vivido e recente, ma pur sempre passato. Don Armando e i figli continuavano a mantenere lo sguardo vacuo ed indifferente, riscuotendosi dal torpore grazie alla voce squillante della contessa, davanti a loro per spronarli a presentarsi educatamente al nuovo venuto. Si scambiarono strette di mano poco convincenti, quindi entrarono a palazzo, il cielo plumbeo e vagamente screziato sopra di loro.



“È stato un pranzo veramente squisito, donna Luisa! Ravenna è una città magnifica, ricca di storia e di arte, di mosaici, di cultura, ma lasciatemi dire che questo piatto… paniscia se non vado errato, ha catturato il mio palato, che vi assicuro essere assai esigente! Non posso che essere entusiasta della lunga unione che, spero con tutto il cuore, abbiamo appena inaugurato in maniera tanto sublime!”
Il maestro Rossini si pulì gli angoli delle labbra sottili con il tovagliolo color panna, quindi regalò un sorriso soddisfatto alla padrona di casa.
“Voi siete fin troppo gentile, caro maestro! Mi premurerò di portare i vostri complimenti alla cuoca! Ma, prima di ritenervi completamente sazio, aspettate di assaggiare il famoso gorgonzola, un formaggio che letteralmente si scioglie in bocca! E naturalmente il dolce, che vi premetto essere un'autentica prelibatezza! A tal proposito, ritenetevi fortunato, perché avrete l'onore di gustarlo solo in questi giorni!” concluse gongolante la moglie del notaio, indicando alla cameriera, con uno sbrigativo cenno della mano, i piatti sporchi da portar via.
“Cosa intendete dire? Forse i dolci, in questa accogliente città, si possono mangiare esclusivamente a gennaio?!”
L'espressione divertita dell'insegnante di musica non sfuggì a Costanza, che aveva passato la maggior parte del pranzo a torturare posate e tovagliolo, il capo abbassato sulle portate, per evitare gli sguardi della madre e dell'ospite inatteso.
Né il fratello e neppure il padre erano stati particolarmente loquaci, chiusi in un mutismo che, sebbene non dimostrato a parole scortesi, stava facendo infuriare donna Luisa, la quale, sovente e di proposito, si rivolgeva al figlio e al marito solamente per dispetto.
“Si tratta del pane di san Gaudenzio, una specialità che si prepara nella settimana del nostro beneamato patrono: lo abbiamo festeggiato appena due giorni or sono, con una cerimonia nell'omonima basilica presieduta dal vescovo Gentile, grande amico della nostra famiglia. Vi assicuro, maestro, che appena ne assaggerete una fetta, rimpiangerete di non averlo gustato prima!”
L'uomo trangugio compostamente un altro sorso di vino rosso che riempiva l'elegante calice che aveva davanti, quindi levò in alto il bicchiere e propose di brindare al santo del dolce così tanto decantato.
Solo donna Luisa si unì alla proposta, troppo concentrata ad assecondare l'ospite e ad evitare la maleducazione degli altri commensali, per ricordarsi di lanciare l'ennesima occhiata di disappunto a marito e figli, che trascinarono stancamente i calici.








QUALCHE CURIOSITA' STORICA ...




Lo Statuto albertino è stata la costituzione del Regno di Sardegna, a partire dal marzo 1848.
Venne poi adottato dal Regno d'Italia, nel 1861, e rimase in vigore fino alla nostra attuale Costituzione del 1 gennaio 1948.

                                                                           
                                                                                  



Le cinque gionate di Milano è la famosa denominazione data all'insurrezione avvenuta nell'attuale capoluogo lombardo, tra il 18 e il 22 marzo 1848, che portò alla liberazione della città dagli invasori austriaci.
L'evento fu decisivo perché spinse Carlo Alberto, re di Sardegna, a dichiarare guerra al Regno Lombardo Veneto.


La Repubblica di San Marco venne istituita nel marzo 1848 e durò fino all'agosto dell'anno successivo, quando Veneto e Lombardia ritornarono sotto le grinfie straniere.
Fu il frutto dell'insurrezione del popolo contro gli invasori austriaci: a capo del neostato, come presidenti del governo provvisiorio, si autoproclamarono Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, dopo essere stati arrestati dagli stessi austriaci.
La Repubblica si autoannesse al Regno di Sardegna.
                                                       
                                                                    

Daniele Manin (Venezia 1804, Francia 1857, dove venne esiliato)                                  Niccolò Tommaseo (Croazia 1802, Firenze 1874)





L’avvio dei lavori per il Broletto risale all’XI secolo.
La costruzione racchiude quattro edifici, ognuno importantissimo per la storia della città: il palazzo dell’Arengo (ovvero del Comune), il palazzo dei Paratici (delle corporazioni), il palazzo del podestà e il palazzo dei Refendari (sorta di cancellieri, funzionari che rappresentavano le istituzioni e svolgevano compiti di segreteria per la documentazione ufficiale).

Un tempo adibito anche a carcere, ora ospita un’importantissima collezione d’arte permanente, la Galleria d’Arte Moderna “Paolo e Adele Giannoni”, che raccoglie 800 opere pittoriche di epoca compresa tra il 1800 e il 1900, di esponenti nazionali e piemontesi.


Il Duomo o cattedrale di Santa Maria Assunta ha subito numerose rivisitazioni architettoniche, fin dall’anno Mille: sorta sulle rovine di una basilica cristiana, la sua ultimazione avvenne solo nel 1869, ad opera del famosissimo architetto Alessandro Antonelli, non torinese (come magari molti credono) ma originario della provincia novarese.



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Giacomo Filippo Gentile (Genova 1809-Conegliano ligure 1875) venne nominato vescovo di Novara nel 1843: di indole liberale, contribuì a numerose opere caritative ed umanitarie, fondando nuove confraternite e dando risonanza a numerose istituzioni; tra queste vorrei ricordare la Scuola d’Arti e Mestieri Bellini, la Casa d’Industria per i poveri De Pagave, l’orfanotrofio maschile Dominioni e l’Asilo per l’infanzia.
Contribuì alla fondazione del Civico Istituto Brera nel 1858 e all’apertura della biblioteca Civica tra il 1847 e il 1852 .



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La paniscia, il piatto citato dal maestro Rossini, è un primo a base di riso, fagioli, verza, carote, sedano, cipolla, pepe, vino rosso, lardo e salam dla doja (un insaccato tipico della zona in cui è ambientato il racconto, il cui nome deriva dalla doja, il boccale di terracotta in cui viene lasciato a maturare il composto).
Il termine paniscia, invece, trarrebbe origine da una varietà di miglia, con cui si preparava originariamente questo risotto particolarissimo.


Il pane di San Gaudenzio è un dolce di pasta frolla ricoperto di zucchero a velo e granella di nocciole e pinoli, con ripieno di farina di frumento, zucchero, burro, uova, limone ed uva sultanina.



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