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Autore: Eneri_Mess    14/02/2016    1 recensioni
Uomini e donne, reduci da un’epoca cesellata di leggenda, agiscono per sovvertire le sorti di un mondo ignaro e di sognatori, il cui unico scopo è quello di raggiungere il più famoso e ambito dei tesori, il One Piece.
Ma il nuovo Re dei Pirati, colui che conquisterà ancora una volta ricchezza, fama e potere, sarà solo uno.
« Non peccare di presunzione. Gli eredi sono quattro, i pretendenti molti. Non sarai tu a scegliere chi diventerà Re dei Pirati e come egli – o ella – deciderà il futuro di ciò che resta del mondo »
Dal Capitolo XX:
« Non vedo cosa dovrei ricordarmi di te, Portuguese. Non tratto coi pirati » sibilò in tono velenoso, avventato, ma non riusciva a domare un pulsante senso di ansia crescente.
Quel tipo sapeva il suo vero nome. Quello che lei tentava di insabbiare da anni, e che se fosse arrivato alle orecchie sbagliate avrebbe provocato troppi casini.
Ciononostante, il pensiero sparì, come vapore, dopo aver sentito la “spiegazione”.
« Mi avevi detto che bacio bene. Pensavo che questo fosse qualcosa di bello da ricordare » dichiarò offeso.
Genere: Avventura, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XVIII -
[Verso San Faldo]
 
 
 
Marijoa,
sede del Reverie.
 
 
 
 
La risata di Ada Saimiri, rappresentante di Monky Cove, si spanse a macchia d'olio per tutta la sala.
Nessuno ne rimase immune, anche se la maggior parte dei nobili commensali dissimulò il proprio sdegno o i propri dubbi tornando alla colazione, ma in un silenzio che amplificò maggiormente l'ilarità dell'anziana.
Chamomile rimase con il cucchiaino del caffé a mezzaria, serrato in mano, tanto che per lunghi istanti alcuni uomini del suo entourage temettero avrebbe usato la piccola posata come arma da lancio. Ma il Vice Ammiraglio riprese presto un contegno, almeno nei gesti del corpo. Con calma ponderata si alzò dal tavolo e si diresse verso Saimiri, calcando volutamente sul tacco della propria gamba di legno nel tentativo di dissipare gli istinti poco magnanimi che le stavano montando dentro.
Si fermò davanti alla vecchia, nascosta dietro la prima pagina del giornale mattutino. Il pomello del suo bastone, con la scimmia che si tappava le orecchie, vibrò e gli occhietti smeraldini dell’animale brillarono per un fugace battito di palpebre. Il suono riecheggiante di una risatina trascendente la bloccò a fissare l’oggetto, ma senza cogliere nulla se non un pezzo di legno.
Il cipiglio della marine si corrugò ulteriormente, come le labbra strette. Si schiarì la gola.
« I quotidiani non sono ammessi durante il periodo del Reverie » riferì pacata, ma ogni parola alludeva alla sua poca pazienza stressata.
« Vi siete fatti fregare di nuovo! Da un ragazzino! » sghignazzò Saimiri da dietro le pagine, spiegazzate dai continui fremiti che animavano le sue mani, ignorando il rimprovero. « Cappello di Paglia abbatte il Toro Rosso! Akai Oushiza non era in lizza per la carica da Shichibukai? Con quel Moria in dubbio dopo la sua sconfitta… Ma anche stavolta ci ha pensato questa… come le chiamate? Supernova… » e attaccò di nuovo a ridere, facendo voltare più di una testa e tendere diverse orecchie sfacciate in attesa della replica dell’intermediaria del Reverie.
Chamomile respirò fremente dalle narici dilatate nel tentativo di non metterle le mani al collo.
La mancanza del caffè rimandato si stava facendo sentire.
« Non sono affari che devono riguardare questa seduta, Saimiri-sama. Mi consegni il quotidiano e non trasgredisca ulteriormente il regolamento »
La risatina della vecchia delle scimmie diminuì in rauchi singhiozzi, senza perdere la gaiezza.
« Infinocchiati da una D., anche piuttosto giovane… » proseguì a mezza voce, spianando sul tavolino la pagina incriminata in un cozzare di posate. Esibì ancora il suo sorrisetto saputo e irritante, ma le rughe della sua fronte si erano aggrottate seriamente. « Non fu per colpa di una D. che perdesti la gamba, mia cara? »
Oltre la rossa montatura squadrata, gli occhi della marine si contrassero di riflesso e un vecchio istinto la portò a stringere i pugni nascosti dai lembi del giaccone bianco. Le sue gote avevano perso un po’ del colorito rosato e la sua voce uscì bassa, come proveniente da un sepolcro.
« Non sono affari tuoi » sibilò, accorata e dimentica dell’etichetta. Qualcosa sembrò poi scattare nella sua mente, perché la sua rigidezza si attenuò, inquinata dal dubbio. « Come diavolo fai a saperlo? »
Le grinze sul viso di Ada Saimiri si stirarono seguendo la piega all’insù delle labbra.
« Mettiamola così… conosco la maggior parte dei possessori della D. e so quello che combinano » rispose in un sussurro enigmatico che solo Chamomile poté cogliere. Si espresse con nonchalance, come se l’argomento fosse un pour parler su amenità, nonostante il suo sguardo stesse perforando quello del Vice Ammiraglio, intendendo molto altro. « Nella famiglia Ada è un compito che si tramanda da… – si soffermò un attimo, falsamente meditabonda – diciamo da circa ottocento anni… »
Per l’intera sala il tintinnio della finissima porcellana Du Rossignol era cessato. Come una schiera di pettegole poco brave a mascherare le proprie intenzioni, regnanti e ambasciatori osservavano la scena cercando senza successo di carpire cosa le due donne si stessero dicendo.
Sul volto di Chamomile era in corso una battaglia di espressioni: indecisa se scadere nell’incredulo e nella curiosità, o semplicemente dare ascolto al buon senso e ritenere Saimiri una spostata. Finì col dare retta alla prudenza e richiamare il proprio sangue freddo, umettandosi le labbra.
« Che cosa stai blaterando? »
Ottenne una nuova cascata di risate dalla vecchia.
Alcuni dei più tesi in sala sobbalzarono; le loro tazzine ferme a mezzaria sparsero liquido bollente provocando imprecazioni di sottofondo e spezzando la tensione generale. Diversi dei presenti arrossirono bofonchiando qualcosa sulle rotelle arrugginite della rappresentate di Monky Cove, tornando al proprio pasto. I più giovani rimasero invece catalizzati dalla scena, senza preoccuparsi di essere sorpresi a fissare.
« Non è il luogo né il momento, troppe orecchie maleducate in ascolto » replicò Saimiri, liquidando la faccenda e allungando il giornale ripiegato verso Chamomile.
La donna non reagì, immobile nel sondare il viso dell’interlocutrice in cerca di risposte. Con uno sbuffò, la vecchia le venne incontro, a modo suo. « Non fare quella faccia, zucchero. Volente o nolente ci sei dentro anche tu e… a tal proposito, la tua D. sta bene. Eccentrico come al solito e poco ligio alle regole. Mi auguro non lo colgano in flagrante »
Il riferimento velato premette i tasti giusti e il Vice Ammiraglio fece un altro passo avanti, urtando quasi il tavolino. Si chinò su di esso, incombendo sull’anziana.
« … mio figlio? » sussurrò. « Stai spiando mio figlio? » riformulò con tono incisivo, strappando di mano all’anziana il giornale.
Saimiri fece spallucce, tornando alla sua macedonia di frutta.
« Rilassati Chamomile » sghignazzò divertita. « Il tuo ometto sa quel che combina e tu hai da badare a questa manica di stoccafissi del Reverie » la redarguì bonaria, offrendole uno spicchio d’ananas, che alla fine si mise in bocca riprendendo a cianciare. « Per esempio: perché non ci liberiamo di quella enorme seccatura del Pomposo Cancelliere Rishi? Ho visto che ci sono diversi sgabuzzini in giro per questo bel palazzo. Una botta in testa, due corde, e vivremo più serenamente il resto di questa pagliacciata »
Capita l’antifona, dopo l’uscita più consona a una adolescente che a un’anziana signora di alto rango, Chamomile prese tre decisioni.
La prima fu di quietare i nervi. O meglio, rinunciare a qualsiasi rappresaglia. Era inutile arrabbiarsi o impensierirsi per le parole di una squinternata.
La seconda fu un appunto mentale: approfittare delle sale benessere messe a disposizione per quegli imbellettati egocentrici e prenotarsi un lungo massaggio terapeutico.
Infine avrebbe chiamato suo figlio, giusto per mettersi l’anima in pace.
 
 
 
 
 
 
Il pigro scroscio della fontana al centro del Garden Sky sormontava di poco il tic nervoso del piede di Bibi sul selciato. La ghiaia scricchiolava sotto la suola dei suoi sandali blu, mentre il resto del suo corpo era bloccato in una posa rigida: le braccia serrate ai lati del corpo, con le dita che stringevano il bordo della panchina in pietra su cui si era seduta.
Era vestita di tutto punto, avendo lasciato la sala delle riunioni appena scattato il termine della seduta. La maggior parte dei partecipanti al Reverie in quel momento era in procinto di sedersi ai tavoli del pranzo, mentre lei era sgattaiolata da una porta finestra nel giardino silenzioso e solitario, attendendo con un certo nervosismo l’arrivo del suo complice.
Stava infrangendo una regola. Aspettava Pell, volato a recuperare una copia del giornale uscito alle luci dell’alba, per leggere con i propri occhi quanto aveva udito a colazione dall’anziana Ada Saimiri.
Era irrequieta, ma un sottile pizzicore di eccitazione stava tenendo a bada i sensi di colpa. Forse la sua esperienza nella Baroque Works aveva lasciato qualche traccia nel suo carattere, ma il pensiero fu accantonato quando sentì dei passi oltre le alte siepi.
Il cuore accelerò i battiti, mentre nella sua mente si ripeteva “Se fosse qualcun altro non stai facendo nulla di male. Sei qui a riposarti. Via quell’aria colpevole!”. Ma sapeva di essere rigida come un ciocco di legno.
Il sollievo la pervase, ma anche un misto di delusione, quando vide sbucare una nuvola di capelli color giada.
« Nia-chan! » esclamò, sciogliendosi in un sorriso un po’ stentato.
« Bibi-chan! Ti ho cercato ovunque! Hai sentito? »
La principessa di Alabasta la guardò senza capire.
Neptunia, ancora poco abituata ai propri piedi, la raggiunse alla panchina, sedendosi e massaggiandosi le ginocchia da sopra il vestito opale. Sembrava che l’affanno per arrivare e i pensieri che aveva per la testa avessero accantonato parte della sua estrema titubanza. Aveva le gote arrossate dallo sforzo a renderla ancora più carina.
« Non volevo… non è un comportamento appropriato… » iniziò esitante e imbarazzata « Ma ho sentito gli altri nobili parlare dei – abbassò di colpo il tono di voce in un sussurro, timorosa – dei pirati di Cappello di Paglia. I pirati che ti hanno aiutata… giusto? » aggiunse, improvvisamente preoccupata di un possibile malinteso.
Bibi annuì, sciogliendosi in un sorriso.
« Sono sul giornale! » continuò Nia infervorata da un senso di complicità totalmente nuovo per lei. « Ma il Vice Ammiraglio Chamomile li sta requisendo tutti per via del regolamento… » aggiunse dispiaciuta, come se fosse dipeso da lei l’eventuale cambio d’umore della amica per tutte quelle notizie.
L’ex Miss Wednesday le strinse le mani tra le sue, rassicurandola.
« Non ti preoccupare, sul serio » sorrise, mostrandosi tranquilla. « Rufy e gli altri sono certa stiano bene! Grazie di esserti interessata »
L’erede di SubAquaea si liberò del suo piccolo groviglio di ansia con un sospiro, ricambiando la stretta dell’amica e ridacchiando appena.
In quel momento, oltre le sue spalle, Bibi notò un movimento. Non si scompose né si allarmò, riconoscendo subito la presenza e facendo finta di niente.
Pell le fece un cenno col capo, silenzioso oltre le siepi. Stretto in una mano, all’altezza del petto, le mostrò il famigerato quotidiano.
Prima che Neptunia potesse accorgersene, la ragazza dai lunghi capelli azzurri tornò a prestarle la sua completa attenzione per ringraziarla.
« Sei stata molto gen- »
« Li conosci bene, vero? »
Neptunia si portò subito un palmo alle labbra, mortificata dalla propria domanda repentina e maleducata nell’interrompere l’altra. Tuttavia il suo sguardo sgranato non era di sorpresa o rammarico. Sembrava sull’orlo di molte, troppe altre domande.
« Perdonami, Bibi-chan! Non volevo essere sgarbata » farfugliò nel tentativo di riparare.
La ragazza scosse la testa.
« Ho viaggiato con loro per diverso tempo. Abbiamo affrontato diversi pericoli e avventure… sono brave persone » ma quando osservò l’espressione e l’assenso di Neptunia, e come si torturasse un labbro, Bibi capì che non era la risposta che la sirena aspettava. « Chiedimi quello che vuoi, Nia-chan » la incoraggiò.
« Ecco… »
Si poteva intuire la lotta interiore tra la sua curiosità e una martellante buona educazione a non impicciarsi.
« C’è qualcosa in Monkey D. Rufy che sta dando pensiero a mia madre » confidò stringendo in una mano le dita dell’amica, nell’altra la stoffa della gonna. « Lei ecco… non è sempre fredda e distaccata, ma è molto inflessibile, e… può dare l’idea che nulla le interessi e sia troppo severa… però – tentennò, fissando di sottecchi Bibi in cerca di un aiuto che non sapeva quale potesse essere – però quando ha visto il suo manifesto da ricercato ho notato qualcosa di molto diverso… sembrava… oh non lo so! » gemette piano, abbassando di colpo il viso e oscurandolo con i capelli. « Mia madre non ha mai guardato nessuno come la foto di Monkey D. Rufy! Era scioccata! Senza parole! Era triste! »
A quello sfogo repentino Bibi si trovò presa in contro piede. Cercò di scrollarla dolcemente per una spalla, per farle rialzare almeno la testa, ma senza successo.
« Nia-chan stai tranquilla… »
« Bibi-chan, non la conosci… c’è qualcosa che non va… »
« Hai… provato a chiederglielo? »
La sirena tornò a fissarla, con un sorriso mesto.
« Non lo ammetterebbe mai… è inutile… rischierei di farla arrabbiare con domande inopportune… »
« Ma sei preoccupata! Lo capirebbe »
Neptunia scosse la testa testarda.
« Scusami Bibi-chan, è stato scortese da parte mia comportarmi così. Sono solo una bambina »
« No! Aspetta! » e la ragazza la fermò accentuando la presa nella sua mano e guardandola così intensamente da farla ritrarre istintivamente. « Non ci conosciamo molto e non posso pretendere nulla, ma vieni da me ogni volta che vuoi parlare di qualcosa » il suo tono si ammorbidì insieme ai lineamenti del volto. « Vorrei diventassimo amiche »
La creatura del mare non seppe cosa replicare. Rimase a fissarla con ancora un velo di amarezza finché non inclinò la testa sulla spalla, guardando l’acciottolato in terra. La fontana d’acqua riempiva il silenzio con uno scroscio continuo e pacifico. Da oltre gli arbusti tagliati ad arte, Pell si congedò con un ultimo cenno in direzione della propria principessa, capendo di essere di troppo.
« Bibi-chan… vorrei chiederti un’altra cosa… se posso » mormorò flebile Nia dopo un po’, tornando a guardarla.
La principessa di Alabasta la incoraggiò a proseguire.
« Tuo padre conosce mia madre? »
La domanda cadde in un vuoto di sorpresa.
« Cosa? »
La sirena scosse appena la testa, ma poi riprese.
« Tuo padre… non fa che fissare in continuazione mia madre. Anche lei se ne è accorta… ma non come la guardano gli altri uomini! » si affrettò ad aggiungere, lasciandole andare con incertezza la mano. « Non so perché siamo qui… il Regno del Mare è sempre rimasto in disparte sulle questioni che riguardano gli uma… – si corresse all’ultimo – la superficie. Non mi sento a mio agio e mia madre… » la frase rimase in sospeso per un lungo istante in cui la sirena colse il peso di ciò che stava per ammettere. Come un punto di non ritorno, un confine che stava per travalicare e che le infondeva un immenso timore.
Fissò un’ultima volta Bibi, smarrita e insicura, prima di concludere con fragili parole.
« Mia madre… nasconde qualcosa »
 
 
 
 
 
***
 
 
San Faldo.
 
 
 
 
L’ennesimo sbuffo e l’ennesimo foglio che finiva svolazzante in terra.
« Nee, Nii-kiki, questa cosa è noiosissima »
« Dakota piantala, la tua voce è irritante »
« Non parlavo con te… e anche tu sei noioso, Baka-kiki »
« Non chiamarmi così! »
La ragazza lo guardò dall’alto verso il basso, seduta sull’angolo della grande e antica tavola in noce adibita a scrivania, arricciando provocatoria le labbra.
« Baka-kiki, Baka-kiki, Baka-kiki ~ » cantilenò in un motivetto crescente, dondolando la testa a destra e a sinistra.
La matita in mano a “Baka-kiki” si spezzò e un ringhio basso anticipò la minaccia incombente, sottolineata dagli occhi rossi oltre le lenti azzurre.
« Dakota – scandì con voce bassa e torva – azzardati a chiamarmi un’altra volta così… »
Lei sbatté gli occhioni dai forti riflessi aranciati, con aria perfidamente innocente, cogliendo l’invito.
« Ti verranno le rughe, Baka-kiki »
La promessa non andò a vuoto.
Il ragazzo biondo scattò in piedi, mandando all’aria le sue carte, le matite e la poltrona imbottita. Questa cadde con un tonfo sordo sul tappeto, mentre Dakota saltò agilmente sulla stessa porzione dov’era stata seduta, accovacciandosi scalza in posizione di difesa, benché il suo ghignetto la dicesse lunga sul dargliela vinta.
Un terzo giovane, stravaccato poco distante dal primo, non mosse un muscolo, continuando a dormire con il capo riverso oltre la spalliera della propria seduta.
« Kikikikiki » ridacchiò lei con scherno.
« Ti fracasso le ossa scimm-! »
La quarta e ultima presenza nella stanza si schiarì la voce, mettendo fine al teatrino.
Dominic Du Rossignol non alzò nemmeno gli occhi dai fogli in pergamena che stava vagliando, sistemandosi più comodo sul proprio scranno in legno dorato e imbottito di velluto blu.
« Rimettetevi seduti e completate le vostre liste, se non volete finire a pulire il salone di sotto » li avvertì con calma, facendo sbuffare entrambi, una per noia e uno per essere stato interrotto.  
Dakota ignorò la propria poltrona e i fogli sparpagliatisi per terra. Saltò e si appollaiò in cima al seggio dell’uomo, riprendendo a lamentarsi.
« Nii-kiki, io ho capito cosa devo fare. Sarò carina con tutti, non ruberò il portafoglio a nessuno – tranne a quelli che allungheranno le mani – e mi assicurerò che Maze non tocchi una goccia di alcool. Posso andare? Posso? » cinguettò speranzosa.
Lui sorrise, ma senza cedimenti alla sua levigata compostezza. Nonostante sul suo volto aristocratico ci fosse del divertimento, era tutto personale.
« Fa la brava e rimettiti al tuo posto. Vale anche per te, Milo. Non voglio intoppi per questa sera, quindi se manca qualcosa o qualcuno su quei fogli, voglio saperlo. Chiaro? »
Dominic non era un uomo che incuteva paura, tutt’altro. Posato nei gesti, calcolati ed eleganti come ci si aspetterebbe dal figlio di una nobile e prestigiosa famiglia, sapeva ribadire le cose con una pacatezza e un accenno così quieti che metteva ugualmente i brividi, anche a due teste calde come Dakota Bloom e Milo Hardy, i migliori tra i Raiders, di cui lui, dietro la facciata, era il Vice Capo.
Fu con nonchalance che diede un buffetto sulla testa alla sua scimmietta dai capelli rosa e poi le indicò la sua poltrona, invitandola un’ultima volta a fare quello che diceva.
Dakota sospirò sconfitta. Balzò al suo posto, mettendosi di traverso e raccogliendo due o tre fogli e la matita.
« A lui però non dici nulla » insistette la ragazza dopo un po’, indicando il terzo membro della combriccola, Maze, ancora dormiente col respiro a tratti pesante. Sembrava più un cadavere sbragato, se non fosse stato per il petto che si muoveva su e giù.
« Maze ha finito stanotte. Non riusciva a prendere sonno » replicò paziente Dominic, dando i primi segni di cedimento a quei discorsi nel massaggiarsi una tempia, ma senza perdere il filo dei suoi elenchi.
« Certo… è sobrio da quasi tre giorni » commentò schifato Milo, rivolgendo uno sguardo pietoso all’amico. « Che diavolo gli è preso? Ha deciso di smettere!? »
« Shiroi » spiegò Dakota con l’ovvietà che si usa con gli ottusi, roteando gli occhi. « Sa che sta venendo qui e non vuole farsi trovare… be’, nelle sue classiche condizioni »
« Che stai blaterando? »
La ragazza sbatté gli occhioni del colore delle fogli d’autunno con un sorriso melenso che diceva un chiaro “sei proprio un povero idiota miope”.
« Sto parlando della sventola dai capelli bianchi e le mèche blu. Quella che abbiamo incontrato con la sorella di Nii-kiki »
« Il Fulmine Bianco!? »
« Ci sei arrivato. Sì, lei. Gli piace. Non hai notato che Maze-kiki si è comprato una giacca nuova? » e nel dirlo, indicò il soggetto dei loro discorsi, che non si poteva definire un campione di moda. Indossava pantaloni in stoffa pesante con una fantasia a rombi rosso scuro e castana, infilati in vecchi scarponi da trekking slacciati. Il busto era coperto da una maglietta sbiadita verde militare sotto alla… Milo ci fece finalmente caso. Era così abituato a prestare poca attenzione all’abbigliamento di Maze, con indosso il solito vetusto bomber stile aviatore, che quella mattina non aveva notato la nuova giacca dal taglio più elegante. Sembrava l’avesse sottratta a qualche vecchio professore, con le toppe sui gomiti e il colletto color crema.
Lo sconvolto nello sguardo di Milo rasentò l’orrore, come se un pezzo di certezza del suo mondo fosse appena stato eradicato e sostituito da qualcosa che era fuori dal suo calcolabile. Capitava raramente che fissasse Dakota in cerca di un’alleata o di una fonte che smentisse la realtà tangibile. Tanto tangibile che le mani gli fomicolarono per la necessità di strappare di dosso quella sottospecie di tweed da tè inglese all’amico.
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il suo dramma.
Un domestico in livrea nera si palesò sull’uscio, inchinandosi e non prestando attenzione al disordine, tra fogli sparsi e persone poco consone all’antichità e lusso della stanza, fatta eccezione per l’unico gentiluomo a cui si rivolse.
« Padron Dominic, sua sorella e le sue accompagnatrici sono arrivate » annunciò solenne.
Il Vice dei Raiders abbassò finalmente i fogli che lo avevano tenuto occupato fino a quel momento, stirando le labbra in un accenno di sorriso.
 
 
 
 
Palazzo Du Rossignol era costantemente curato e non sembrava dimostrare i suoi quasi cinquecento anni, tra ristrutturazioni e ammodernamenti degli ambienti. Lo sfarzo e il lusso erano le prime regole, seguite da una squisita dose di opulenta e sprezzante eleganza in ogni dettaglio.
Dominic spalancò le porte del soggiorno dove erano state fatte accomodare le sue ospiti. La sua espressione di composta gioia adornava la mascella forte e lo sguardo penetrante. Tuttavia, una sfumatura di disappunto gli increspò labbra.
Una risata ampia e colorata fu la risposta che ricevette alla sua muta domanda da una delle due donne sedute sul divano al centro della stanza.
« Heilà Dom! Se cerchi Fay è andata a cambiarsi nella sua camera. Era piuttosto… Shiroi, come l’avresti definita? » e nel dirlo, la rossa si rivolse alla compagna. Questa si portò le dita alle labbra per dissimulare una risatina priva di voce, per poi mimare con le mani qualcosa di vorticoso e caotico. « Sì, ecco, un uragano. Sembrava un uragano di malumore ed epiteti poco carini. Non ha risparmiato nessuno. Mi fischiano ancora le orecchie » concluse l’odalisca dalla pelle bruna, scoppiando di nuovo a ridere e mettendosi a proprio agio sul sofà.
Il padrone di casa sospirò teatrale lasciando cadere le braccia, per poi avvicinarsi con un rinnovato sorriso cordiale e di benvenuto. Si profuse in un baciamano a entrambe, da vero lord.
« Ziva, Shiroi, siete sempre un incanto » le lusingò e prima che la rossa potesse tornare alla carica, l’uomo si chinò di nuovo e le sfiorò la guancia sinistra, guidato da un istinto totalmente diverso dai precedenti modi distaccati. Le scostò i capelli, scorgendo qualcosa che non gli piacque: un cerottone color carne sullo zigomo.
« Stai bene? » mormorò con lo sguardo lontano e freddo.
Ziva agitò la mano, sbuffando e ridendo.
« Molto meglio di chi mi ha fatto questo. Ma lasciamo perdere le storie noiose! Ho sentito che stasera darai una gran festa! Ce l’hai riservato un invito? »
Dominic rise roco e composto.
« Mi sono permesso di farvi confezionare i costumi. Troverete tutto nelle vostre camere. Se ci fossero problemi non fatevi scrupolo a rivolgervi alle mie sarte, saranno liete di assistervi »
Shiroi, candida come il nome che portava, arrossì lievemente di una sfumatura rosata portandosi i palmi alle guance ed esprimendo un “grazie” con un dolce sorriso.
Ziva sbuffò esasperata, stiracchiandosi in un tintinnio di monili dorati. Era una donna dalla bellezza esotica, traboccante e a cui era difficile staccare gli occhi di dosso. La pelle di un tono caldo, gli occhi nocciola brillanti di malizia e un caschetto di crini cremisi che sembravano solo il primo invito alla sensualità delle sue forme coperte da un bedlah completo. Seni pieni e velati da un top prugna tintinnante di piccole monetine ornamentali; il ventre piatto era scoperto fino sotto l’ombelico, con piercing floreale, dove pantaloni şalvar ricamati con arabeschi in oro si stringevano alle caviglie.
« Aaah ~ servita e riverita. Ma perché non ho conosciuto prima te, Dom, della musona di tua sorella? » gemette buttando il capo all’indietro.
Come risposta alla sua lamentela, dal piano di sopra provenne un tonfo non meglio identificato, seguito da passi da elefante che fecero storcere le labbra truccate a Ziva.
« Quella sa sempre quando si sta parlando di lei. Fa paura »
« Mie affascinanti amiche » esordì Dominic dopo aver dato un’occhiata al dondolio del lampadario sopra le loro teste. I cristalli vibrarono tra loro come le conchiglie di uno scacciaspiriti al vento. « Credo di dovermi congedare dalla vostra squisita compagnia e andare a dare il benvenuto alla mia sorellina… »
« … prima che ti distrugga il palazzo » completò per lui Ziva, soave e gorgogliante. « Ci vediamo per pranzo, sempre che Fay non ti ammazzi due o tre volte a modo suo »
Il padrone di casa assentì divertito, inchinandosi e uscendo dal salone. I suoi lunghi capelli argentati, oscillanti nel nodo elegante sulla nuca, gli carezzarono l’ampia schiena fasciata nella giacca blu riccamente decorata, prima di sparire oltre la porta.
Il piano superiore era quello adibito alle stanze degli ospiti. Una dozzina di porte incastonate in cornici di stucchi e pareti affrescate davano sulla stanza rettangolare, forse la più spoglia ma non la meno sfarzosa. Un divano e una poltrona erano sistemate sotto i grandi finestroni che affacciavano sul Canale delle Perle, uno dei più ampi di San Faldo. La luce della mattina allungava le ombre degli infissi sui tappeti e le porzioni di marmo visibili del pavimento.
Dominic bussò all’unica porta dietro cui venivano rumori e un discorso che si consumava da sé.
Seguì un irritato « Va via! »
L’uomo socchiuse l’uscio, schivò il lancio di un oggetto sconosciuto con un movimento tanto fluido da sembrare normale e sorrise sornione alla donna in piedi in mezzo alla stanza.
« Che piacere rivederti finalmente. Quanto tempo è passato dall’ultima volta, Fayth? »
« Troppo poco » sbottò lei gelida, ma il vice dei Raiders pareva immune alle sue parole taglienti.
Quando Dominic si avvicinò a braccia larghe lei gli piantò un dito sul petto, tenendolo a distanza. Le maniche ampie della sua veste oro e rosso cupo accompagnarono ondeggianti i gesti secchi.
« Non ci provare! Mi hai incastrata! » strillò inviperita, e i suoi occhi topazio scintillarono di rabbia. Il fratello si massaggiò i timpani con pazienza. « Sapevi che non potevo rifiutare! Sei una carogna! »
« Permettimi di rinfrescarti la memoria sorellina: sei tu che mi hai chiesto aiuto »
Lei aprì la bella bocca rossa al limite dell’indignazione.
« Ti ho chiesto un favore! Non di ricattarmi! »
Dominic sorrise ampliamente, confermando senza remore le proprie colpe.
« Mi è sembrato l’unico modo per riuscire finalmente a godere un po’ della tua presenza » spiegò soave, anticipando le manifestazioni d’affetto stile punching ball bloccandole i polsi pima che lo colpisse. « Almeno le mie informazioni sono state utili a Craig? »
Fay tacque, liberandosi e incrociando le braccia in uno sbuffo di fiato e stoffa, fissando torva ma più calma il fratello dal basso, dai suoi poco caritatevoli dodici centimetri di differenza.
« Mi ha chiamata ieri sera » replicò stizzita. « Ha incontrato Ursula – inspirò l’aria neanche la stesse risucchiando con dolenza – tra cinque giorni riavrà la voce di sua madre »
Dominic si illuminò come il miglior principe dell’inferno di fronte a un’anima umana servitagli con dell’ottimo vino d’annata. Fay si sarebbe messa a singhiozzare di fronte a tanta malizia sbattutagli in faccia con quell’atteggiamento da affarista compiaciuto. Al fratello non importavano le beghe di Craig, ma solo i giorni che lei sarebbe stata costretta a fermarsi lì in attesa della fine delle trattative con la sirena.
« Questo è meraviglioso » la dileggiò per l’appunto, riuscendo a incastrare la sorella in un abbraccio in cui lei rimase rigida per dispetto. « Quanto tempo da passare insieme »
« Evviva » soffiò lei tra i denti, scostandoselo di dosso con fastidio. Gli rivolse un’altra occhiataccia perforante, degna della loro famiglia. « A differenza tua che ti dai alle feste e trafughi paccottiglia per i tuoi clienti malati, io ho un lavoro onesto e delle tabelle di marcia da rispettare! »
Dominic colse la palla al balzo, ridacchiando e coprendo la malefatta col dorso della mano.
« Sì, hai ragione, perdonami, non era assolutamente mia intenzione distrarti dai tuoi impieghi mercantili… Morgaine Aguillar. Ti fai chiamare così vero? »
L’ironia colpì la ragazza vergognosamente. Riassumeva in una semplice cadenza di tono quanto lo pseudonimo risultasse candido, sempliciotto, evidenziandone gli aspetti ribelli senza alcuno sforzo. Un incubo. Fay raddrizzò la schiena e racimolò i cocci della propria dignità messa a dura prova.
« Puoi anche smetterla di trovare tutto così divertente » ringhiò rischiando di mordersi la lingua.
« Aguillar? Aquila? Seriamente? »
« Suonava bene » ribatté lei poco convinta, ma riassumendo la sua espressione gelida e cupa come la cinta muraria di un castello. « E poi parli tu… Usignolo? »
L’uomo fece spallucce e allargò le braccia, come a intendere tutto il posto dove si trovavano.
« Touché… ma posso vantare nobili natali a mia discolpa »
« Sì, un’ottima copertura »
« Modestamente »
Il battibecco finì con una nuova rete di sguardi. Lui tranquillo e con il suo distaccato divertimento da gentiluomo e lei che sembrava si stesse trascinando dietro un carico ingombrante imponendosi di mantenere sempre un aplomb da cui non trasparisse nulla. Ma Dominic, anche se da quando sua sorella era nata aveva passato con lei un tempo non sufficiente per quelli che erano i loro legami di sangue, sapeva interpretare i suoi sguardi e i suoi gesti come ne avesse avuto un manuale in tasca. Così attese che fosse Fay a riprendere la parola.
« Non dovrei essere qui » esordì, per la prima volta cauta, ma sempre ammonitrice. Distolse lo sguardo, passando in rassegna il mobilio senza scorgerlo realmente. « Se qualcuno mi scoprisse… » il tono oscillò dal brusco a qualcosa che lei stessa non avrebbe accettato come timore. Così flebile che sembrava impossibile per una donna che all’apparenza emanava una sicurezza reverenziale.
« Non hai nulla per cui impensierirti » la incoraggiò con calore il fratello, stringendole le spalle tra i palmi. « Il massimo che qualche orecchio indiscreto potrebbero venire a sapere è che Dominic Du Rossigol ha tra le proprie conoscenze una splendida donna di nome Morgaine Aguillar – rise ancora, facendola imbronciare – ma non ci vedo nulla di male: i Torni Du Rossignol sfornano ceramiche e una bella mercante le esporta »
« La fai facile! Non hai problemi se qualcuno chiacchiera delle tue altre attività. Nessuno verrebbe a romperti le scatole! »
« Ce n'est rien, sœurette. Bocche maleducate e malevoli saranno tappate prima che notizie spiacevoli trapelino »
Fay lo guardò da oltre la spalla, senza accorgersi dei propri occhi sgranati.
« … ammazzeresti qualcuno? »
Il padrone di casa le si avvicinò, scrutandola con uno sguardo che sembrava andare molto al di là della sua figura.
« Condividiamo un segreto scomodo, piccola Fay. Sia per te sia per me. Anzi, ormai da qualche anno, sono diventati due » si corresse annoiato, massaggiandosi la tempia come aveva fatto un’ora prima per i bisticci di Dakota e Milo. « Entrambi abbiamo i nostri affari e non credo che tu ci vada tanto leggera con i ficcanaso, o sbaglio? È per questo che tieni al tuo fianco Ziva e Shiroi, no? »
La ragazza dai finissimi capelli come l’ala di un corvo era rigida, con la mascella contratta rifiutandosi di assentire alle domande, seppur retoriche, del fratello.
 Dominic fece una smorfia, umettandosi le labbra come se avesse potuto scacciare il saporaccio di quella vicenda.
« Anche se, a dirla tutta… » riprese ironico. « Fayth Mihawk suona molto meglio di Morgaine Aguillar »
« Potevi risparmiartelo » borbottò lei, dirigendosi all’ampia toletta. Si sedette sul pouf, riordinando la dozzina di boccette profumate e scatoline che vi aveva appoggiato sopra alla rinfusa quando, preda dell’irritazione per quella vacanza fuori programma, aveva iniziato a smontare i bagagli con frustrazione.
La prospettiva di rimanere incastrata in compagnia di suo fratello maggiore per cinque giorni le creava emozioni contrastanti.
E poi avrebbe dovuto parlare di fratellastro, visto che avevano iniziato a mettere i puntini sulle i.
Da parte di madre, Dominic era l’ultimo erede dell’aristocratica famiglia Du Rossignol, la più antica di San Faldo, e la cui produzione dell’omonima porcellana era la favorita a Marijoa.
L’unica macchia nera di Dominic, che negli anni egli stesso aveva, oltre che disprezzato, saputo anche celare sotto strati di mezze verità e documenti falsi, era la realtà riguardo al padre che condividevano.
Falco Mihawk. Uomo sfuggevole, pirata al pari di Gol D. Roger ed Edward Newgate ai tempi d’oro delle avventure e scorribande, innamoratosi follemente di Lunette Du Rossignol, giovane, caparbia, ma fragile di costituzione, figlia unica dell’omonima casata. Stroncata nel fiore degli anni, Lunette non aveva più potuto proteggere il figlio illegittimo, escluso dall’eredità e cancellato dall’albero genealogico come un deprecabile errore di giudizio.  
Fayth si fermò dal risistemare i propri cosmetici, guardando nello specchio la figura di suo fratello dritta e composta appostatosi alla finestra, paziente e in attesa di nulla in particolare.
Lei sapeva molto poco del suo passato, di tutti gli anni di differenza a dividerli. Falco era capace di passare ore a ricordare Lunette, decantandone la bellezza più luminosa della Luna con cui condivideva il nome, la dolcezza e la vitalità di un carattere ingabbiato in un corpo tanto delicato. Al contrario, Dominic serbava per sé, senza motivi di condivisione, una malinconia compagna di vita, mascherata e rinchiusa come una recalcitrante fanciulla disperata.
Dominic era il più grande tra loro tre. Se non ci fosse stato quello squinternato del loro genitore comune a ribadirlo, nessuno avrebbe collegato mai lei e Drakul a Dominic. O Dominic all’attuale famiglia Mihawk. Quest’ultimi caratterizzati da capelli bui quanto le ombre più scure al calar della notte e occhi rapaci, di una tonalità che faceva invidia a gatti e civette. Totalmente opposto era il Vice dei Raiders: serici capelli di un argento tale da rasentare il niveo e occhi azzurri, screziati di ghiaccio. Il taglio ferino e penetrante dello sguardo era probabilmente il tratto più distintivo dei Mihawk per cui riconoscerli.
« Qualcosa ti annoia, mia cara? Hai la fronte contratta »
La ripresa bonaria di suo fratello, giuntole alle spalle, la portò a incontrare il suo sorriso da Cheshire che nascondeva degnamente qualcosa. Non si volse a fronteggiarlo, ma continuò a fissarlo attraverso lo specchio, arroccandosi nella sua aria guardinga.
« Che stai combinando Dom? Ho sentito che stasera darai una festa »
« Oui »
Lo incalzò con un’occhiata ma lui fece spallucce.
« È un altro dei tuoi spacci da mercato nero? »
« Non è volgare mercato nero, sorellina. Si tratta di un’Asta »
Lei fece una smorfia.
« Un’Asta in costume? »
« Ho acquirenti che preferiscono l’anonimato, e dopotutto siamo a San Faldo » spiegò, andando verso l’armadietto dei liquori per versarsi del Cognac. Lo centellinò nel calice, prendendone un sorso per poi tornare dalla ragazza e al discorso. « Ammetterai che le maschere renderanno la “festa” più accattivante e godibile. Alcuni dei miei clienti farebbero meglio ad andare sempre in giro con la bautta » concluse esibendo una smorfia.
« Ci sarà anche il tuo capo, quel Dante? »
Qualcosa nel suo sguardo cambiò, ma si rifletté solo nel liquido all’interno del bicchiere, senza che Fay potesse coglierlo.
« No, credo che disgraziatamente si perderà questa occasione. Comincio a pensare che gli eventi mondani non facciano per lui »
« O forse è solo il più furbo di tutti noi e ora si starà godendo un posto tranquillo lontano da questa follia » finì demoralizzata la ragazza, intrecciando le braccia sul piano della toletta e affondandoci il viso con un sospiro avvilito.
« Ti arrendi troppo presto Fay » la rimproverò, offrendole del Cognac che lei rifiutò. « A proposito… gradirei che non facessi uso del tuo potere stasera »
« Vuoi togliermi il mio unico svago? » borbottò rimettendosi seduta normalmente. Una nota di sdegno le increspò l’angolo della bocca. « Ripensandoci, saranno per la maggior parte dei balordi con sogni indecenti »
« O segreti che è meglio rimangano tali » aggiunse lui, per la prima volta con un tono inammissibile di repliche.
Fayth si volse di scatto a fissarlo, sentendo sulla pelle quel cambiamento repentino e non più burlesco. Rispose all’avvertimento con la stessa espressione che Occhi di Falco usava per guardare dall’alto in basso chi osava importunarlo.
« Mi stai per caso mettendo in guardia? »
« Nessuno saprà di te stanotte, sei mia sorella e proteggerò la tua identità e i tuoi interessi a costo della mia attività. Ma promettimi di non incuriosirti dei miei ospiti e di ciò che nascondono. Perché da loro io non potrò difenderti »
Fayth fece per aprire bocca, ma lui la fermò con due dita, immobilizzandola con un’occhiata ancora più affilata della sua, che tuttavia si addolcì subito, come la mano che le andò ad accarezzare la guancia.
« So quello che stavi per dire. Sai badare a te stessa, e non lo metto in dubbio. Ma per stanotte, fidati di me. Ci saranno individui che con uno schiocco di dita potrebbero scatenare una guerra… e vorrei evitare succedesse nel salotto di casa mia. Fai la brava »
Terminò il discorso depositando un bacio sulla fronte contratta della minore dei Mihawk, incamminandosi poi verso l’uscita e raccomandandosi di provare l’abito per l’Asta prima di scendere alle dodici in punto per il pranzo.
Una volta rimasta sola, Fayth imprecò, passandosi una mano sul viso come poche volte le capitava di fare.
« Craig Durmstrang, giuro che ti farò scontare per l’eternità il favore che mi hai fatto chiedere! Maledizione! »  
 
 
 
 
 
***
 
 
Treno del Mare.
 
 
Ace si agitò nella giacca, trovandola scomoda. Con uno sbuffo strusciò la schiena contro il sedile cercando di levarsi la sensazione di prurito datagli dalla stoffa. Marco aveva insistito, ridendosela in quella sua maniera sorniona, che se voleva passare inosservato per prima cosa avrebbe dovuto, tanto per cominciare, nascondere il Jolly Roger del Babbo, o magari andarsene in giro vestito.
Il vecchio giaccone procuratogli dalla fenice era troppo ruvido per i suoi gusti, oltre che largo nei punti sbagliati e strettino sulle braccia. Si sentiva un idiota con i movimenti limitati.
Sbuffò di nuovo, e prima che il suo cervello elaborasse una soluzione, la mise in pratica per istinto: strappò prima una manica, poi l’altra, stiracchiandosi un attimo dopo nella rinnovata libertà dello smanicato.
Molto meglio, disse al se stesso nel riflesso del finestrino, salvo poi accorgersi di come ora spiccasse il suo secondo tatuaggio, ASCE. Ci passò una mano sopra, guardandosi intorno, ma il vagone era quasi deserto. Il controllore – e la sua aria poco convinta che l’aveva etichettato subito come una possibile magagna – era già passato e… niente.
Ributtandosi sul sedile con le braccia dietro la testa, Ace pensò soltanto che sarebbe stato un viaggio lungo e noioso. Cinque ore per coprire una distanza per cui con lo Striker ci avrebbe impiegato il doppio.
“Guarda il lato positivo… arriverai bello riposato per la tua donna!” aveva insistito Marco alle sue lamentele retoriche prima della partenza. Sapeva di averlo guardato con un’espressione passata prima dall’ammutolito poi allo sconvolto, ma il Primo Comandante gli aveva dato una pacca sulle spalle e lasciato perdere con le frecciatine, concludendo solo con un “Presentacela prima o poi! Sono curioso”
Ace ci pensò su, fissando il soffitto ondeggiante del treno, con il rumore cadenzato dello sferragliare, del motore a vapore e del mare in sottofondo. Non sbuffò più, ma sospirò.
Sarebbe stato bello presentare “la sua lei” al resto della famiglia. Gli sarebbe piaciuto portarla sulla Moby Dick e farle incontrare il Babbo e i suoi chiassosi fratelli acquisiti. In realtà, si crucciò, gli sarebbe piaciuto fare un sacco di altre cose, alla luce del giorno, senza nascondersi.
Si mosse di nuovo con fastidio per i pensieri e per l’imbottitura infeltrita a solleticargli la nuca. Poteva rimuginare su quell’argomento per ore, non sarebbe cambiato nulla. Così si piegò in avanti, sul sedile dirimpetto, e recuperò il proprio zaino.
Nel farlo, urtò la busta di carta datagli sempre da Marco e l’occhio gli cadde sul contenuto. Diffidente ma curioso – nonostante sapesse più o meno cosa ci fosse dentro – con una mano tirò uno dei manici per osservare meglio. Fissò l’involto di tessuto simil coccodrillo dei colori del tramonto, con fili dorati e scaglie cangianti della stessa tonalità. Sul lato alto della busta, adagiata sopra il resto, una maschera elaborata a muso di drago, con piume vivaci simulanti una cresta, gli rimandò il suo stesso sguardo curioso dalle proprie orbite vuote. Una strana sensazione gli attraversò la spina dorsale, ma Ace lasciò perdere, concentrandosi sullo zaino.
Rovistandoci dentro trovò quel che cercava e il sorriso gli si aprì più brillante che mai.
Cappello di Paglia abbatte il Toro Rosso, lesse ancor prima di finire di dispiegare il giornale. Lo aveva acchiappato al volo quella mattina dalla sportina di una signora troppo indaffarata col pescivendolo per accorgersi del furtarello, ma appena aveva visto il viso famigliare del fratellino non aveva resistito.
Leggiucchiò l’articolo saltando parole qua e là, cercando qualcosa di interessante su Rufy, ma al solito erano solo un sacco di frasi gonfiate e accusatorie, e finì col tornare ad osservare la foto della taglia. Era passato qualche mese dal loro fortuito incontro ad Alabasta. Da altre notizie scovate in giro, poco tempo prima Rufy era stato anche a Water Seven, sconvolgendo mezza città, oltre all’aver messo a soqquadro Enies Lobby. Si erano mancati per un soffio, il che era un peccato.
Ace era arrivato alla metropoli dell’acqua seguendo alcune misere soffiate su Barbanera. Dopo Alabasta, aveva fatto tappa per Yoga, venendo poi a sapere che Teach era a pochi giorni di viaggio, a Jaya. Tempo di arrivare e l’aveva mancato di poco, insieme di nuovo ai Mugiwara, partiti per il cielo da quello che due scimmie energumene e ubriache fradice gli avevano assicurato in un bar della città. Scettico, era venuto fuori che Rufy era davvero passato di lì e si fosse scontrato con un sottoposto di Doflamingo, Bellamy, lasciando evidenti segni di distruzione.
Tuttavia, l’assassino di Thatch gli era scappato, finché qualcuno non aveva riconosciuto la sua descrizione e l’aveva indirizzato nella zona di Water Seven, non rammentando il nome preciso dell’isola che aveva sentito nominare dalla sua cricca.
La ricerca di Barbanera era poi stata messa da parte nel rivedere Marco, e infine nel ricevere l’invito per una festa in maschera a San Faldo.
Una parte di lui non avrebbe voluto tutte quelle distrazioni; la stessa che ancora, a distanza di mesi, bruciava dal desiderio di vendetta per la morte di Thatch. Ma ad arginare il suo incaponimento, c’era il dubbio. Un dubbio che non gli apparteneva ma che sembrava gli stessero insinuando a forza. Il dubbio che qualcosa non sarebbe andato come prevedeva.
Marco lo aveva messo in guardia. Lui era stato il primo restio a farlo partire, seguito poi da Vista, Fossa, Jozu e persino Izou. Sapeva che era difficile dirgli qualcosa quando si impuntava; riguardo quanto successo a Thatch era già tanto che non avesse dato in escandescenza, letteralmente, ardendo la nave. Era tra i più giovani a bordo, di certo il più giovane tra i capitani, e il senso di ingiustizia era qualcosa con cui combatteva fin da piccolo. Il Babbo non aveva fatto troppe storie quando aveva deciso di partire. Non era convinto, sembrava che nella sua mente stesse combattendo una battaglia di opinioni, ma la prematura sorte toccata a Thatch tacitasse il resto.
Marco di tanto in tanto lo chiamava, per sapere come se la cavasse, per dissuaderlo blandamente dai suoi intenti, tornare e riorganizzare un’altra spedizione alla ricerca di Teach. Non da solo, era il punto. Perché Barbanera era imprevedibile, era scaltro, e la sua prepotenza era proporzionale ai suoi segreti e propositi, ciò che pareva dare più pensiero alla fenice.
”Thatch non era uno sprovveduto”, gli aveva raccontato una delle sere in cui aveva cercato di convincerlo a tornare nello Shinsekai. ”Era un idiota, ma non uno che cogli alle spalle tanto facilmente”, aveva proseguito con voce calma e lenta, come se avesse avuto l’immagine dell’amico davanti a distrarlo.
Il succo del discorso era fargli capire che probabilmente un attacco aperto, un attacco alla Pugno di Fuoco, che non si guardava mai intorno, non avrebbe funzionato.
Ace si era risentito nell’essere criticato, ma la voglia di ribattere era stata soppiantata dalla confusione nel fiutare distintamente il timore di Marco, nonostante la fenice avesse fatto l’intero discorso senza tentennare.
In fine si era intromesso perfino Shanks.
Il treno fuori continuava la marcia serrata, sollevando bordate d’acqua salmastra, mentre Ace stringeva i bordi del giornale, fissando il sorriso del suo fratellino.
Non aveva nulla contro il Rosso, anzi, se la situazione fosse stata diversa – molto molto diversa – avrebbe avuto piacere di rivederlo. Ma venire a sapere da terzi che proprio lui era andato dall’Oyaji a discutere della pericolosità dell’impresa in cui era impegnato… be’, questo lo aveva irritato, e non poco.
Aveva la sensazione di essere trattato come un ragazzino preda di un colpo di testa.
Alcuni della ciurma avevano riferito parti del discorso, sconcertati nel sapere che le tre cicatrici distintive del Rosso fossero state provocate dallo stesso uomo macchiatosi del delitto di Thatch. Shanks non si era dilungato – dall’espressione del Babbo, sempre da quanto riportato, lui ne sembrava al corrente – ma era stato molto serio nel ribadire quanto Ace avrebbe dovuto essere cauto. Che non fosse un’impresa per lui.
Portuguese accartocciò il giornale nervoso, fissando fuori dal finestrino. Non riusciva a stare fermo. A pazientare, a non fremere ai ricordi della mattina in cui Thatch era stato trovato.
Ma quei dubbi, come gocce d’acqua nella pietra, avevano scavato il muro delle sue convinzioni, inquinando la certezza di dare a Marshall Teach l’equa punizione per il suo crimine.
Tentennare in un’impresa non era da lui. Non temeva la morte, ma la preoccupazione altrui come il più fastidioso dei rimorsi. Se all’inizio si era adirato nel subodorare quel “non sei all’altezza”, a lungo andare le parole di Marco lo stavano convincendo alla cautela. E cautela per Ace significava fermarsi e ascoltare il compagno più grande, per cui nutriva un rispetto pari solo al Babbo, e lasciar crescere il dubbio, che da un seme si era radicato abbastanza da avvolgersi intorno alla sua fermezza e fargliela vedere più come un’ostinazione capricciosa.   
Si scompigliò i capelli, buttando fuori l’aria in una mezza parolaccia.
La fenice aveva anche avuto la faccia tosta di dirgli di svagarsi quella sera e lasciarsi alle spalle i pensieri, così che magari la sua bella avrebbe contribuito a dissuaderlo.
Che situazione penosa, i segreti, pensò scivolando mollemente sul sedile e infilandosi le mani in tasca. Con le dita urtò qualcosa di cui non aveva sentito la presenza prima. Estrasse un foglietto ripiegato, vergato da Marco, da cui cadde un quadratino di plastica spesso e morbido.
“Sai come si usa, no? Buon divertimento. Ps: gli altri sono nella busta sotto al costume”
L’ultima imprecazione di Ace risuonò per il treno molto simile a un ululato.  
 
 
 
To be continued?
 

 
 
 
 
 
 
Note rapidissime (prossimamente aggiornate):
Salve, buonanotte, è tipo tardissimo. Dopo parecchio torno ad aggiornare: ho preferito prendermi un bel periodo di pausa, di fuga, e nel frattempo ho scritto 3 capitoli e mezzo, togliendomene tra l’altro due in particolare che be’ mi davano davvero tanto pensiero ma che alla fine mi hanno regalato una discreta soddisfazione.
COMUNQUE! Allora, in questo capitolo sono tornati alcuni personaggi del Reverie (sì, è una barba…!), e ne sono arrivati di nuovi, tra cui i Raiders e finalmente Dominic in persona, per finire con Ace *love*
Ho buttato giù un albero genealogico tutto mio della famiglia Mihawk, che amo: Drakul di per sé è *terminicensurati*, a cui ho aggiunto un fratellastro (Dom) e una sorella (Fayth)… oltre che un padre… Falco Mihawk, una prima compagna e una seconda. Insomma, un sacco di gente!
Detto queste cose inutili e sconclusionate, prossimamente vedrò si risistemare le note come al solito, con le spiegazioni certosine da badilata nei denti.
 
Grazie a Gwyn e a Nic87, vi adoro *love*
 
A presto,
Nene
   
 
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