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Autore: Ode To Joy    15/02/2016    6 recensioni
(Kageyama x Hinata)
(Iwaizumi x Oikawa)/(Ushijima x Oikawa)
“La senti? È la tua Forza che chiama la mia. Lasciala entrare... Lasciami entrare, Tobio.”
In questo universo non può esistere Luce senza Ombra. Così è sempre stato e così sempre sarà e l'equilibrio non è altro che un momento sospeso nel tempo prima che l'eterna lotta continui.
“Non hai ragione di temere il Lato Oscuro, Shouyou. È esso che dovrebbe temere te. Tu splendi... Le ombre si diradano intorno a te.”
Il tumulto dei sentimenti non ammette nessuna forma di equilibrio ma cosa rimane senza di essi? Una pace vuota, misera.
“Facciamo un patto: tu fai di me un Jedi ed io ti faccio diventare invincibile.”
Alla fine, ciò che conta non è scegliere tra Ombra e Luce ma trovare il modo di farle convivere entrambe dentro di sè.
(Star Wars-AU indipendente dalla saga originale.)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3
The real tragedy of life is when men are afraid of light
 
 
Aveva paura.
Aveva tanta paura.
Eppure, gli avevano insegnato a non provarne.
“Smettila di combattere. È tutto inutile...”
Non vedeva nulla di fronte a sé. Aveva gli occhi chiusi. “N-No... N-No...”
“Avanti arrenditi...”
La testa gli doleva terribilmente, come se qualcuno stesse cercando di aprirla a mani nude. Rivide sua sorella. La vide come se fosse ancora davanti a lui e potesse toccarla semplicemente allungando un braccio.
“No! No!”
“È semplice, devi solo lasciarti andare... Al resto penso io.”
“No!”
Rabbia. Rabbia cieca. Il dolore sparì e riuscì a riprendere fiato ma fu solo per un istante...
La morsa tornò più forte di prima e prese ad urlare con quanto fiato aveva in gola.
“Non puoi combattere per sempre, Tooru!”
Urlò.
Urlò e basta.

 
 
 
“Shouyou!”
Gli occhi d’ambra si aprirono di colpo, terrorizzati. Il fiato era bloccato in gola e non c’era nulla che Shouyou potesse fare per combattere il nodo che la legava. Aprì e chiuse le labbra velocemente, come un pesce fuor d’acqua. Gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, spaventati. “Ehi! Stupido, respira!” Quasi urlò, poi afferrò il ragazzino per le spalle e lo costrinse a sedersi.
Shouyou prese a tossire con violenza, si aggrappò alla casacca di Tobio come un naufrago in mezzo ad un mare in tempesta.
“Calmo,” disse Tobio appoggiando una mano sul petto del suo Padawan e cercando di non farsi prendere dal panico a sua volta. “Concentrati sulla mia mano,” mormorò contro l’orecchio di Shouyou. “Respira ed inspira, avanti...”
Gli occhi d’ambra si chiusero. Le dita di Shouyou lasciarono andare la stoffa della casacca del giovane Maestro per afferrargli il polso. Era calda la pelle di Tobio ma Shouyou sentiva così freddo. “Respira,” continuò a mormorare il suo Maestro. “Respira...”
Tobio lo lasciò andare e si allontanò solo quando Shouyou prese un respiro profondo e smise di tremare. “Sei gelido,” commentò con voce aspra, poi si tolse la casacca e gliela posò sulle spalle. Shouyou si riscosse un poco e lo guardò. “Non è necessario...”
Era vero. Erano all’inizio dell’estate ed il sole era caldo sulle rive del lago poco lontano dal Tempio ma la pelle di Shouyou era fredda ed era una cosa che a Tobio non piaceva affatto. “Che cosa hai visto?” Domandò.
Shouyou strinse le ginocchia contro il petto, i grandi occhi persi nel vuoto. Si stavano allenando con la spada come ogni pomeriggio. Tobio gli aveva concesso una pausa ed avevano discusso perché Shouyou non si sentiva affatto stanco ma il suo Maestro continuava a sostenere che con tanta insistenza avrebbe finito solo per farsi del male.
Si era addormentato sull’erba, sotto il sole e Tobio lo aveva lasciato fare.
Poi, erano cominciate le immagini buie...
Si nascose il viso tra le mani e Tobio si spostò di fronte a lui. “Shouyou, che cosa hai visto?”
Gli occhi d’ambra si sollevarono un poco. “Mi è capitato di sentire cose brutte, come la notte in cui ho percepito i tuoi incubi ma...” Shouyou abbassò lo sguardo e si accorse che la spada di Tobio era scivolata sull’erba fino al suo piede. Si sollevò di scatto e la casacca di Tobio cadde a terra.
“Che cosa ti prende?” Domandò il giovane Maestro alzandosi a sua volta.
Shouyou passò gli occhi dalla spada laser a terra al viso dell’altro. “A chi apparteneva quella spada?” Domandò senza pensarci.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Non stai rispondendo alla mia domanda...”
“Ho visto i ricordi di qualcuno!” Esclamò Shouyou, infine. “O, almeno, così credo...” Aggiunse titubante. “Mi è successo anche l’altro giorno, quando il serpente ti ha morso... Ho sfiorato la tua spada, mi sono addormentato e...”
Tobio lo guardò con astio e Shouyou si zittì immediatamente. Il giovane Maestro si chinò, recuperò l’arma e l’assicurò alla sua cintura. “Non provare mai più a toccare questa spada. Non ti appartiene...”
“Questo lo so, volevo solo...”
“Apparteneva al mio Maestro,” spiegò Tobio con sguardo gelido. “Le visioni che ti provoca non ti riguardano. Quindi, non la toccare!” Recuperò la propria casacca da terra, se la mise in spalla e si voltò. Shouyou fissò la sua schiena per alcuni istanti. “Come puoi sopportarlo?” Domandò istintivamente.
Tobio gli lanciò un’occhiata raggelante da sopra la spalla. “Che cosa stai dicendo, idiota?”
“Io... Io ho sfiorato quella spada e... Non ho mai sentito un’anima soffrire tanto in vita mia. Tu la tieni tra le dita continuamente. Come fai a sopportarlo?”
Tobio si voltò e Shouyou vide sincera confusione sul suo volto. “Gli unici momenti in cui sento di venire completamente a patti con la Forza è quando stringo questa spada,” disse ed era sincero. “Non so nulla della sofferenza di cui stai parlando.”
        
 
***
 
 
Tooru si svegliò di scatto, il viso sudato ed il cuore galoppante nel petto.
Si era addormentato sopra le coperte, con i vestiti ancora addosso. Il sole era sorto su Karasuno e, a giudicare dalla luce, doveva essere alto da diverse ore. Si sollevò a sedere lentamente, come se avesse paura che la consistenza del letto sotto di lui potesse dissolversi di colpo, lasciandolo cadere nel vuoto più buio. Premette una mano contro il petto, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo cercando di recuperare il controllo delle proprie emozioni.
Non era mai stato bravo a farlo ma aveva imparato a fingere quando era necessario. Si alzò dal letto e si diresse verso la balconata. In principio, non si accorse delle colonne di fumo che attraversavano il cielo azzurro ma, non appena si affacciò, comprese perché nessuno era venuto a cercarlo nelle ultime ore.
La Capitale non era stata rasa al suolo. Non dovevano aver opposto eccessiva resistenza, quindi non era stato necessario usare più forza del dovuto ma non avevano avuto pietà sugli obbiettivi prestabiliti. I porti spaziali ai lati della Capitale bruciavano ancora e si alzava fumo da alcuni palazzi al centro della città.
“Ti sei svegliato...”
Due braccia calde circondarono la vita di Tooru ed il Re dei Sith trattenne il fiato per alcuni istanti, poi reclinò la testa da un lato permettendo a Wakatoshi di posargli un bacio sul collo. “Sei gelido...” Commentò.
“Non ho dormito bene,” rispose Tooru.
Wakatoshi lo fece voltare. “Ancora quegli incubi?”
Tooru gli rivolse un sorriso senza gioia. Wakatoshi aveva i capelli umidi e la pelle del petto nudo era calda per il bagno appena fatto. Doveva averlo trovato già trovato addormentato e non lo aveva disturbato. “Gli incubi non se ne andranno mai,” rispose Tooru passando distrattamente le dita tra i capelli del Signore Supremo. “Ti avevo detto che potevo farlo da solo...”
“Non mi piace lasciarti da solo,” rispose Wakatoshi appoggiando la fronte sulla sua.
“No...” Tooru tenne gli occhi dorati fissi sui suoi. “Non ti piace l’idea che presto potrei non esserlo più.”
Il Signore Supremo strinse le labbra e si allontanò. “Ho colpito solo gli obbiettivi che avrebbero potuto minacciarci. Non ci sono vittime civili, te lo posso assicurare.” Rientrò nella camera da letto e Tooru lo guardò indossare una maglietta nera a maniche corte, poi lo raggiunse.
“Wakatoshi...” Lo chiamò con tono più dolce. “Non ho mai smesso di desiderare di sconfiggerti.”
Wakatoshi si passò una mano tra i capelli umidi liberando gli occhi. “Ne sono perfettamente consapevole,” disse. “Me lo ricordi ogni volta che facciamo l’amore...”
Tooru sorrise malizioso. “In che modo?” Domandò curioso.
Wakatoshi lo guardò con quella che sarebbe potuta essere un’espressione malinconia ma era difficile interpretare le emozioni su quel viso dai tratti scolpiti. “Non mi lasci entrare...”
Tooru si fece serio di colpo. “E sai che mai lo farò.”
“Lo so...” Wakatoshi annuì. “Pensavo che dopo più di un decennio le cose fossero cambiate, tutto qui. È stata una mia ingenuità, non un tuo errore.”
Tooru esaurì la distanza tra loro e prese tra le mani il viso dell’altro con una dolcezza che stonava con le sue parole. “Io non ce l’ho più un cuore da donarti, Wakatoshi. Quello che siamo è ciò che è risorto dalle nostre ceneri. Le nostre anime sono corrotte, spezzate. Abbiamo toccato l’oscurità e lei ci ha toccato a sua volta e nessun altro nell’intero universo potrà mai comprenderci come facciamo l’uno con l’altro... È il prezzo che abbiamo dovuto pagare per la nostra libertà. Sì, siamo liberi ma, te lo ripeto, gli incubi non se ne andranno mai.”
Lo lasciò andare e si voltò.
Wakatoshi non fece nulla per fermarlo.
 
 
 
Koushi non era stato accompagnato nelle prigioni del palazzo.
Tooru aveva fatto bene i suoi calcoli e sapeva che lui, Daichi e gli altri sarebbero stati più forti insieme, anche se dentro ad una cella costantemente sorvegliata. Lontani gli uni dagli altri, dubbiosi sulle condizioni in cui versavano gli altri compagni, erano controllabili molto più facilmente.
Quando il Re dei Sith varcò la soglia della sua stanza e fece ritirare gli uomini di guardia, Koushi non ne fu affatto sorpreso. Era seduto sul bordo del letto che avrebbe dovuto condividere con Daichi, se i Sith non lo avessero portato via nel cuore della notte. Tooru gli sorrise e Koushi abbassò lo sguardo: guardare quegli occhi dorati gli era ancor più insopportabile alla luce del giorno.
“Non hai riposato neanche un po’?” Domandò Tooru sarcastico.
Koushi rimase in silenzio.
“Non ho fatto del male a Daichi o ai tre idioti, te l’ho già detto.”
“Sono lontani i giorni in cui mi fidavo di te al punto che ti avrei affidato la mia vita,” replicò Koushi artigliando la stoffa dei suoi pantaloni. Tooru sbuffò. “Anche Kiyoko fa simili discorsi nostalgici. Smettiamola di parlare di quei giorni come se appartenessero ad un’altra epoca! Siamo ancora giovani!”
Nel sentir nominare la Principessa, Koushi fu costretto a sollevare lo sguardo sul viso del Sith. “Kiyoko sta bene?”
“Lei sì,” rispose Tooru incrociando le braccia contro il petto e vagando per la camera da letto senza una meta precisa. “Non posso garantire per il povero Satori.”
“L’hai lasciata con Satori?”
“È insopportabile ma è l’unico che stimi abbastanza per dargli un po’ di fiducia. Si faranno buona compagnia.”
Koushi si umettò le labbra. “Perché hai attaccato il Tempio di questo pianeta?”
Tooru rise e gli lanciò un’occhiata veloce. “Se devi farmi delle domande, almeno chiedimi qualcosa di cui non sai già la risposta da te.”
“Ci sono solo bambini a quel Tempio e la maggior parte di loro sono molto piccoli!”
Il Re dei Sith lo guardò scocciato. “Non ho fatto una strage d’innocenti come il vecchio Signore Supremo, Koushi. Non sono un essere tanto schifoso.”
Koushi non replicò. Quella era una delle tante storie che non sarebbe mai riuscito a capire: il Signore Supremo prima di Wakatoshi era stato, probabilmente, il mostro più terribile che avesse mai navigato nei cieli della galassia. La loro generazione lo aveva combattuto con ogni mezzo e al caro prezzo di molte giovani vite. Wakatoshi e Tooru erano stati le sue ultime vittime e, per qualche assurdo gioco del destino, ne erano divenuti gli eredi.
“Lo so,” ammise il Jedi con voce notevolmente più gentile. “Non faresti mai del male a dei bambini...” C’era molto di più in quelle parole di quello che Koushi disse. Tooru se ne accorse e si bloccò per guardarlo negli occhi. “Qualcosa si è risvegliato...” Mormorò con espressione seria.
Koushi accennò un sorriso. “Hai sentito te stesso in quel risveglio?”
Tooru fissò il cielo oltre le colonne del balcone: il fumo era sparito ed era tornato dell’azzurro più terso. “Non proprio,” rispose ed una strana emozione gli strinse il cuore. “È stato come... Come...” Le parole rimasero congelate in gola, mentre le immagini si susseguivano di fronte ai suoi occhi come in un sogno, sebbene fossero aperti. In effetti, c’era stato qualcosa di onirico in quelle notti passati svegli sotto le stelle e l’illusione di essere solo in due nell’intero universo... Fino a che non erano divenuti tre.
“Tooru?”
Il Re dei Sith si voltò. Koushi non si era mosso da dove lo aveva lasciato. “Come è stato?” Domandò.
Tooru strinse i pugni. “Come molte altre volte. Nulla di speciale,” mentì.
La porta si aprì di colpo, Koushi scattò in piedi ma i soldati che entrarono rivolsero tutta la loro attenzione a Tooru. “Che cosa volete?” Domandò freddamente il Re dei Sith.
“La sorella della Principessa,” disse una delle guardie con urgenza.
Koushi si portò una mano al petto. “Hitoka...” Mormorò in pena. Tooru gli lanciò un’occhiata storta. “Cos’è successo alla ragazzina?”
“È fuggita dal pianeta, signore.”
 
 
***
 
 
“Non abbiamo notizie da quattro giorni,” disse il Maestro Takeda con espressione seria. “Abbiamo tentato di comunicare con Karasuno con tutti i mezzi a nostra disposizione, anche per le vie di comunicazione secondarie ma a qualunque nostro messaggio è solo seguito il silenzio. È come se sul pianeta non ci sia più nessuno e Koushi e Daichi non ci hanno fornito nessuna informazione dopo quelle immediatamente successive al loro arrivo.”
Hajime vide il vecchio Ukai ed il Maestro Irihata lanciarsi un’occhiata silenziosa. Non dissero nulla ed il Cavaliere vide sul viso di Keishin il riflesso della sua stessa preoccupazione. Loro erano Maestri ma erano ancora abbastanza giovani da potersi permettere di compiere degli errori di giudizio anche con la Forza. Quando, però, gli anziani tacevano, era segno che le cose si stavano mettendo veramente male per loro.
Hajime si guardò intorno. Erano stati radunati la maggior parte dei Jedi della sua generazione, molti dei quali erano cresciuti insieme a lui. Issei e Takahiro tenevano lo sguardo basso. Kentaro fissava i due Maestri anziani con l’arroganza che lo contraddistingueva, mentre Shinji e Shigeru se ne stavano quasi vicino al muro.
Il vecchio Ukai sollevò lo sguardo nella sua direzione e Hajime drizzò le spalle. “Tu senti nulla, ragazzo?” Domandò ma non era a lui che si era riferito.
Hajime strinse le labbra e voltò gli occhi verdi verso il ragazzino dai cappelli corvini al suo fianco. Tobio non si sorprese di essere chiamato in causa. “Non ora, signore,” rispose. “Ho tentato di comunicare personalmente con il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi ma ho fallito. Le uniche informazioni che posso darvi, sono le immagini dei miei incubi.”
Hajime si fece rigido e dovette mordersi l’interno guancia per evitare di dire qualcosa a sproposito.
“Parla, ragazzo,” gli concesse il Maestro Irihata.
Tobio abbassò lo sguardo. “C’è qualcosa di potente a Karasuno. È come se la fonte stessa della Forza fosse improvvisamente comparsa sul pianeta.”
Hajime dovette allontanare lo sguardo dal viso di Tobio e portarlo su qualsiasi cosa non fossero gli occhi dei Maestri o dei suoi vecchi compagni.
“Che genere di Forza percepisci, Tobio?” Domandò il vecchio Ukai.
“Familiare...” Rispose Tobio senza esitare.
Hajime sentì il respiro venire meno per un istante.
La stanza si fece improvvisamente silenziosa.
“Familiare...” Ripeté il Maestro Ittetsu. “Puoi spiegarlo?” Domandò gentilmente.
Tobio guardò tutti i suoi superiori, poi scosse la testa. “No...” Cercò lo sguardo del suo Maestro ma Hajime era deciso a non voler incrociare i suoi occhi in quel momento. “È l’unico modo in cui riesco a descriverlo, mi spiace...”
Keishin simulò un colpo di tosse. “Racconta agli anziani quello che hai visto nella tua mente il giorno in cui abbiamo perso i contatti con Karasuno.”
Tobio annuì. “Era un Sith... Un Sith molto potente.”
“Il Signore Supremo?” Domandò Irihata.
“No, non credo,” Tobio provò a riflettere. “Era giovane... Ha detto di tutti noi sei sempre stato quello più speranzoso,” disse, infine, e gli occhi di tutta la sala furono su di lui, compresi quelli verdi del suo Maestro. “Ha detto di tutti noi rivolgendosi al Maestro Koushi...Penso che sia un Jedi caduto.”
Hajime fece un passo in avanti. “Fate preparare una navicella, partirò al tramonto.”
Il vecchio Ukai lo guardò storto. “Non così in fretta, Hajime.”
“Non abbiamo bisogno di un nome,” replicò il Cavaliere Jedi. “Abbiamo i nostri uomini, una Principessa della Repubblica appartenente al nostro ordine e un Tempio pieno di bambini nelle mani dei Sith e dovrei rimanere al mio posto?”
“La situazione è più delicata di così e lo sai bene,” disse il Maestro Irihata ma i suoi occhi non erano rivolti a lui.
Hajime guardò il ragazzo al suo fianco come se si fosse ricordato della sua presenza solo in quel momento. “Fuori di qui, Tobio,” ordinò e fu molto attento a non incrociare il suo sguardo.
Gli occhi blu furono immediatamente su di lui e Hajime percepì la protesta prima ancora che il suo ex Padawan riuscisse ad aprire bocca.
“Ascolta le parole del tuo Maestro, Tobio,” disse Keishin.
Tobio lo guardò, poi cercò di nuovo gli occhi del suo Maestro ma Hajime fissava con insistenza di fronte a sé, i pugni chiusi. Il giovane Cavaliere strinse le labbra con rabbia e si voltò senza aggiungere un’altra parola.
 
 
 
 
Tobio era stato di cattivo umore fin dall’inizio della giornata ma per Shouyou non era una gran novità, così non si fece domande e si comportò come soleva sempre fare.
“Ma perché dobbiamo sempre fare un viaggio di mezza giornata, prima di allenarci?” Si lagnò discendendo la collina che portava alla riva del grande lago. “Abbiamo un giardino grande la metà di questo pianeta al Tempio!”
Tobio lo guardò come se fosse un perfetto idiota. “Non ne copre nemmeno un millesimo della superficie.”
Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Era un modo di dire!” Esclamò frustrato. Come poteva il suo Maestro essere un prodigio tra i Jedi e completamente stupido per questioni tanto elementari?
“In ogni caso, nei giardini del Tempio girano troppi idioti. Non voglio i loro occhi su di noi,” concluse Tobio superandolo.
Shouyou sbuffò. “Non andrai molto lontano con questo atteggiamento, lo sai?”
Il giovane Maestro lo guardò con un ghigno perfido. “Se ti senti più a tuo agio ad allenarti sotto gli occhi di Cavaliere esperti e Padawan molto più preparati di te che se la ridono ad ogni passo falso che fai, possiamo anche tornare indietro.”
Shouyou sgranò gli occhi, le guance rosse. Gli era venuto il mal di pancia al solo pensiero. “No, no, no. Il lago va benissimo! È a solo mezz’ora di cammino e passeggiare fa bene!”
Tobio sbuffò e riprese a camminare. “Hai più parlato con nessuno del tuo addestramento?” Domandò curioso. Il Padawan sospirò malinconico. “Non ho più parlato con nessuno e basta.”
Arrivati sulla riva del lago, Tobio si fermò e lo guardò. “Ti da fastidio stare da solo?”
Shouyou scrollò le spalle. “Sto tutto il giorno con te, immagino mi possa accontentare.”
Tobio fece una smorfia a quella risposta: aveva la netta sensazione di essere stato insultato ma non direttamente. “Comunque, se Kei dovesse venire di nuovo ad importunarti...”
“Gli caverò gli occhi!” Esclamò Shouyou con sicurezza. “Ho la netta sensazione che senza occhiali sia cieco come una talpa! A quel punto, dovrebbe essere facile... Ahi!” Il Maestro gli aveva dato un pugno in testa.
“Non puoi metterti a fare risse con gli altri Padawan, stupido!” Esclamò Tobio. “Non farmi vergognare. Ci sono delle regole qui e devi rispettarle.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Ho come la sensazione che tu non sia la persona più adatta a dirmi cose del genere...”
Tobio cercò di colpirlo di nuovo ma Shouyou fu più veloce e lo schivò. “Dannato nanerottolo!” Sibilò il Cavaliere Jedi attivando la spada laser. Il Padawan fissò la luce blu con gli occhi sbarrati e fece appena in tempo a stringere in pugno la propria arma per parare il colpo. Si fecero immobili. “Che cosa ti prende?” Domandò Shouyou con rabbia. “Hai appena detto che le risse sono vietate!”
“Questa non è una rissa,” rispose Tobio affondando un colpo basso che Shouyou parò meravigliosamente pur senza smettere di guardarlo negli occhi. “Questo sono io che, in quanto Maestro, rimetto al suo posto il mio Padawan dalla lingua troppo lunga!”
Un attacco dall’alto e Shouyou si difese egregiamente anche da quello e fece un salto indietro. “Questo è abuso di potere!” Esclamò. “Tiranno!” Si pentì di averlo chiamato così, se ne pentì nel momento in cui Tobio si bloccò ed i suoi occhi blu si accesero di una luce oscura, pericolosa.
“Tobio, mi disp...”
“Se pensi di essere migliore di me, allora prova a superarmi!”
Per poco non lo colpì.
“Aspetta! Tobio, aspetta!”
“È facile incolpare me della vostra debolezza, vero? Codardi!”
Un altro affondo, più violento degli altri e Shouyou riuscì ad evitarlo solo scansandosi. “Non volevo, scus... Ah!” Si strinse la mano destra contro il petto coprendola con la mancina. Bruciava. Bruciava terribilmente e non aveva il coraggio di abbassare gli occhi per valutare il danno. Sollevò gli occhi pieni di lacrime e vide il terrore in quelli blu di Tobio. Il laser blu scomparve ed il giovane Maestro esaurì velocemente la distanza tra sé ed il suo allievo. “Fammi vedere...”
Shouyou si ritrasse spaventato. “Non mi toccare,” le lacrime cominciarono a rigargli le guance. “Stammi lontano...”
Tobio sbuffò. “Shouyou, mi dispiace, vieni qui...”
Shouyou scosse la testa, indietreggiò ancora ed inciampò sui suoi stessi piedi. “Hanno ragione loro!” Urlò. “Hanno ragione a chiamarti tiranno! Sei bravo a guardare di fronte a te per ottenere l’obbiettivo che ti sei prefissato ma non ti volti a vedere a che prezzo, vero? Non riesci nemmeno a guardarti dentro...”
Tobio strinse le labbra: non era per Shouyou la rabbia che provava, il ragazzino aveva solo avuto la sfortuna di essergli davanti nel momento meno propizio. Era bastato che il suo Padawan gli mancasse di rispetto come era solito fare per fargli perdere il controllo. Sollevò il palmo della mano destra di fronte al suo viso e lo esaminò come se avesse qualcosa che non andava: la rabbia gli aveva dato tanto alla testa che le sue dita tremavano.
Strinse il pugno, affondò i denti nel labbro inferiore e diede un calcio al terreno.
Shouyou non singhiozzava più ma si guardò bene dal muoversi.
“Perdonami,” disse Tobio a mezza voce dandogli le spalle. “Quella rabbia non era per te e non avrei dovuto rigettartela contro.”
Shouyou tirò su col naso. “Lo avevo capito...”
Tobio si voltò, poggiò un ginocchio a terra e gli porse una mano. “Fammi vedere.”
Shouyou portò in avanti le dita ferite guardandole col timore di trovare qualche pezzo mancante. Tutto, però, sembrava al suo posto e nemmeno la bruciatura sulle sue nocche sembrava essere così grave. “Torniamo a casa, ti medico io,” disse Tobio.
“Non è così urgente...” Replicò Shouyou con orgoglio sottraendo la mano all’analisi di quegli occhi blu.
“Piangevi come una femminuccia, poco fa,” gli fece notare Tobio irritato.
“Pensavo mi avessi amputato le dita!” Esclamò Shouyou con rabbia.
Tobio gli rivolse una smorfia maligna. “Quando voglio amputare qualcosa, punto al braccio.”
Shouyou ingoiò a vuoto e cercò di cambiare argomento. “È successo qualcosa nella stanza del Consiglio, questa mattina?” Domandò con sincera curiosità.
“Perché me lo chiedi?” Tobio vide la spada laser del Padawan giacere sull’erba a poco meno di un metro di distanza da loro. Si sporse in avanti, la raccolse e la consegnò al legittimo proprietario.
“Eri di cattivo umore quando sei uscito di lì,” rispose Shouyou agganciando l’arma alla sua cintura. “Voglio dire... Sei perennemente di cattivo umore e continuerai ad esserlo fino a che sorgerà il sole...”
“Ehi...”
“Ma non mi hai mai trattato così,” concluse Shouyou mettendosi a sedere a gambe incrociate sull’erba. “C’è qualcosa che non va?”
“T’interessa?” Domandò Tobio scocciato sedendosi in modo da avere di fronte il lago.
“No,” ammise l’altro con un broncio. “Per il modo in cui mi tratti, non ti meriteresti una parola gentile nemmeno se scoppiassi in lacrime davanti a me.”
“Come se fossi tanto idiota da umiliarmi in un modo simile!” Replicò Tobio con orgoglio.
“Ma sei tutto quello che ho,” aggiunse Shouyou con tono notevolmente più gentile.
Gli occhi blu esitarono sulla superficie quasi immobile del lago per un istante di troppo, come se Tobio non lo avesse udito affatto, poi incrociarono quelli d’ambra del ragazzino al suo fianco. Chiedevano una spiegazione quegli occhi dello stesso colore della notte e Shouyou si ritrovò ad umettarsi le labbra in difficoltà. “Non ho amici qui...”
“Ti sembro un tuo amico?”
“No, se il mio Maestro.”
Tobio annuì. “Bene, cominciano a comprendere i confini della nostra relazione...”
“Ma sei il solo che conosco in questo mondo,” continuò Shouyou. “Koushi e Daichi se ne sono andati e, per quanto la loro presenza fosse di gran lunga più gradevole della tua, mi hanno messo nelle tue mani. Io non so niente di questa storia del tiranno, del Re dei Jedi, del perché ti odino tutti o della ragione per cui il consiglio non ti ritiene degno del titolo che porti...”
Tobio fece una smorfia e sentì un familiare prurito alle mani. “Che riassunto illuminante...” Commentò con sarcasmo.
“Tuttavia, non posso che fidarmi di te,” disse Shouyou con una solennità che Tobio cercò di sminuire ma non ci riuscì. “Solo tu puoi rendermi un Jedi... Sì, te lo hanno obbligato ma... Nessuno si sarebbe presentato volontariamente per la mia causa, quindi... Immagino che siamo in questo in due ed è sempre meglio di niente.”
Tobio non rispose, rimase a fissare quello strano ragazzino dai riflessi paurosi e la determinazione quasi disumana chiedendosi se, effettivamente, Midichlorian o meno, potesse essere in qualche modo differente rispetto ai ragazzi che erano cresciuti con lui ma a cui non riusciva a dare alcun valore oltre a quello mediocre che dimostravano sul campo di battaglia. Fece per dire qualcosa...
“D’altra parte, io sono tutto ciò che hai!” Esclamò Shouyou con un’espressione saputa che chiedeva di essere cancellata a suon di schiaffi. “Se non ti dimostri capace di farmi da Maestro, il Consiglio ti etichetterà come indegno a vita. Della tua situazione sociale è meglio non parlare e dove lo trovi un altro che non ti abbandona a te stesso dopo la prima giornata storta? E, con te, tutte le giornate lo sono, inoltre...”
Tobio sollevò il pugno e fu sul punto di farlo atterrare su quella boccuccia troppo abituata a parlare, quando qualcosa di grosso fendette l’aria con tata violenza da far ricadere Shouyou sulla schiena e lui sopra. Tobio non ebbe il tempo di sollevarsi sulle braccia che ad un enorme tonfo seguì un boato, la terra tremò ed una gran quantità d’acqua piovve sulle loro teste.
Shouyou era rimasto immobile sotto di lui, le piccole mani artigliate alla sua casacca. Tossì a causa dell’acqua che aveva bevuto involontariamente. “Che cosa è stato?”
“Non lo so...” Mormorò Tobio distrattamente tirandosi in piedi, gli occhi fissi sul centro del lago. Impiegò qualche istante per riconoscere la sagoma di una navicella spaziale nel bel mezzo dell’acqua: stava per affondare.
Shouyou scattò in piedi. “Ci sarà qualcuno a bordo?”
“Certo, idiota, non volava mica da sola!” Sbottò Tobio fissando la navicella che affondava lentamente cercando d’indovinarne la forma, il peso. Storse la bocca: avrebbe agito d’istinto. Sollevò una mano, poi qualcosa lo colpì in viso oscurandogli la vista. Se ne liberò e la guardò con astio: era la casacca del piccolo idiota. Lo cercò con lo sguardo e si accorse che si stava liberando di tutti i vestiti. “Che diavolo fai?” Domandò Tobio con un cipiglio.
“Vado a salvarli prima che anneghino!” Esclamò Shouyou liberandosi degli stivali.
Tobio alzò gli occhi al cielo, gli tirò la casacca e lo fece cadere nell’acqua bassa.
“Sei impazzito?” Urlò Shouyou. “Stanno morendo delle persone...” Sollevò l’indice per indicare la navicella ma rimase con il braccio sospeso a mezz’aria e gli occhi sgranati rivolti al centro del lago. La sagoma della navicella riemerse dall’acqua lentamente, come sollevata da enorme braccio invisibile. Shouyou cercò lo sguardo di Tobio e lo trovò rivolto al mezzo spaziale, la mano destra sollevata di fronte al suo viso, il palmo aperto.
Shouyou dischiuse le labbra ma non riuscì a dire nulla.
Tutto quello che riuscì a fare fu restare a guardare mentre la navicella restava sospesa sull’acqua per alcuni istanti, per poi levitare fino alla terra ferma, a pochi metri da loro.
Shouyou si rivestì, s’infilò gli stivali e si avvicinò al suo Maestro lentamente. Tobio rilassò il braccio lungo il fianco e prese un respiro, come dopo una lunga corsa.
“Non è possibile,” commentò Shouyou fissano la navicella spaziale come se fosse una creatura sconosciuta.
Tobio lo guardò divertito. “Già, dicono tutti così...”
 
 
***
 
 
Yui non apparteneva all’ordine dei Jedi come Kiyoko e non era erede di una famiglia della nobiltà di Karasuno. No, Yui era semplicemente una figlia di domestici che aveva avuto la fortuna di crescere accanto alla primogenita dei signori, divenuta poi una personalità di spicco nella Repubblica.
Yui era divenuta la dama di compagnia della Principessa e, in assenza di Kiyoko, si prendeva cura della Principessa minore, la piccola Hitoka. Non era una ragazza con particolari talenti o dalla personalità brillante. Tooru a stento si ricordava di lei quando ripensava alla sua infanzia ma Yui sembrava ricordarsi molto bene di lui. “Puoi farmi quello che vuoi. Non ti dirò niente,” era determinata, sebbene piangesse.
Tooru rise. “Yui, sei comodamente seduta in uno dei salotti del palazzo. Ci siamo limitati a chiuderti a chiave nella tua stanza e nemmeno troppo bene, a giudicare dalla fuga della ragazzina. Evita di fare scenate come se ti avessimo torturata per tutta la notte.”
Yui si umettò le labbra. “Che cosa hai fatto a Daichi e agli altri?”
Il Re dei Sith reclinò la testa da un lato con un sorriso divertito. “Daichi e gli altri, eh?” Rise di nuovo. “Daichi... È ancora il più importante per te, vero?”
Le guance di Yui si colorarono appena ed abbassò lo sguardo.
“Lascia perdere, non ti amerà mai...”
Gli occhi scuri si sollevarono di nuovo sul viso del Sith ma Tooru non aveva pronunciato parola.
”È inutile mentire, Yui, posso vedere nella tua testa con la stessa naturalezza con cui ti guardo negli occhi.”
Le lacrime scesero più copiose sul viso di lei. “Non ti dirò niente,” disse con fermezza. “Assolutamente niente...”
Tooru smise di sorridere e la fissò con sguardo penetrante, come se potesse vedere attraverso la sua pelle. Yui girò il viso di lato cercando di sfuggire a quegli occhi dorati ma il lieve dolore che avvertiva alla testa le suggerì che non doveva riuscirle molto bene.
”Deve essere una tortura, vero? Guardare negli occhi dell’uomo che ami e sapere che lui non ti vedrà mai perché il suo cuore appartiene già a qualcun altro.”
Yui strinse gli occhi. “Smettila, non otterrai nulla da me!”
”Quante notti sei rimasta sveglia a pensare a lui, a come passava le ore che precedevano il mattino... Vuoi che ti risponda, Yui? Io lo so...”
“No!” Singhiozzò lei. “Basta! Basta! Non ti dirò mai dove si trova Hitoka!”
Tooru fece un passo indietro e Yui sentì il male alla testa sparire di colpo.
“Lo hai già fatto,” la informò il Re dei Sith.
La giovane dama lo guardò terrorizzata, confusa dalle sue parole.
“Lascia che ti ringrazi,” disse Tooru con un sorriso quasi gentile. “Non per la tua confessione, non sei responsabile di quella, non temere... Grazie per aver mandato la piccola Principessa a Seijou. Sono certo che i vecchi del Consiglio non tarderanno a mandare i loro Cavalieri Jedi migliore per venirvi a salvare, ora.”
 
 
***
 
 
Quando il Maestro Keishin Ukai vide quei due ragazzini correre nella sua direzione sbracciando e sbraitando, la prima cosa che gli venne da fare fu alzare gli occhi al cielo, gettare l’ultima sigaretta della sua scorta a terra ed interrogare la Forza sul perché di tanta sfortuna prima dell’ora di pranzo.
Solo dopo, quando si accorse di quello che il giovane Tobio stringeva tra le braccia, si fece serio.
“Ittetsu!”
 
 
 
Shouyou si era spostato in un angolo della camera non appena Tobio aveva depositato la fanciulla sul grande letto al centro della stanza. Vide Hajime appoggiargli una mano sulla spalla e rivolgergli poche parole a bassa voce. Tobio annuì e poi lo raggiunse. Shouyou lo guardò ma il suo Maestro continuò a tenere lo sguardo incollato alla piccola figura sul letto.
“Hitoka...”
Shouyou riportò gli occhi d’ambra sulla fanciulla a sua volta. Non aveva mai perso i sensi ma non era riuscita a pronunciar parola. Ora, i membri del Consiglio ed alcuni Cavalieri, si erano stretti intorno alla ragazzina dall’aspetto terribilmente gracile. Il Maestro Ittetsu le stringeva la mano e le parlava lentamente, con un sorriso. “Hitoka...” Ripeté.
La conoscevano, eppure Tobio non aveva avuto la minima idea di chi fosse.
Gli occhi scuri della fanciulla si spostarono sul viso dell’uomo al suo fianco ed il Maestro Ittetsu continuò. “Siamo lieti di sapere che sei sana e salva,” le disse. “So che sei stanca, mia Principessa...”
Shouyou sgranò gli occhi e guardò Tobio ma il suo Maestro lo guardò storto. Fece una smorfia e rimase in silenzio.
“Ma abbiamo bisogno che tu ci dia delle informazioni.”
Shouyou vide il Maestro Keishin avvicinarsi al letto: aiutò la fanciulla a sollevare la testa e bere un po’ d’acqua da un bicchiere. Lei la finì quasi tutta, poi si fece forza e si sedette contro i cuscini del grande letto. “Avete notizie di mia sorella?” Domandò con voce tremante e gli occhi pieni di lacrime.
Shouyou si dispiaceva per lei, per dover subire un interrogatorio dopo aver passato sicuramente qualcosa di brutto ma, da quel che aveva capito, doveva provenire dallo stesso pianeta in cui erano stati mandati Koushi e Daichi prima di scomparire e doveva ammettere che lui stesso aveva una certa urgenza di sapere cosa fosse successo lì.
Vide Hajime voltarsi verso Tobio ma Shouyou si accorse che il suo giovane Maestro non aveva nemmeno cambiato espressione.
“Non è stata Kiyoko a farti fuggire?” Domandò Ittetsu.
Hitoka scosse la testa. “Di mia sorella so che è prigioniera al Tempio Jedi insieme ai bambini. È stata la sua dama di compagnia a trovare il modo di allontanarmi da Karasuno.”
Il vecchio Ukai fece un passo in avanti. “Chi ha attaccato Karasuno, Principessa?”
Gli occhi verdi di Hajime erano ancora su Tobio.
Hitoka artigliò la stoffa dell’abitino che indossava, abbassò gli occhi e lasciò andare un singhiozzo.
Ittetsu le portò una mano al viso. “Non devi raccontarci nessun dettaglio,” la rassicurò. “Ci basta un nome, se ne hai uno.”
Hitoka ingoiò a vuoto, poi sollevò gli occhi sul vecchio Ukai, sebbene qualche lacrima fosse già fuggita al suo controllo. “Il Re...” Mormorò spaventata. “Il Re dei Sith.” Scoppiò a piangere ed Ittetsu si sedette sul letto per prenderla tra le braccia e consolarla.
Shouyou vide Hajime sgranare gli occhi e stringere i pugni, poi si allontanò di colpo dal gruppo. Lo sguardo del vecchio Ukai fu immediatamente su di lui ma non pronunciò una parola. “Maestro...” Mormorò Tobio come l’altro Cavaliere gli passò accanto. Hajime non lo degnò di uno sguardo ed uscì dalla camera. Shouyou guardò Tobio allontanarsi da lui per seguirlo.
Lanciò un’altra occhiata al letto: nessuno sembrava aver dato conto alla sua presenza fin dal principio. Uscì dalla stanza a sua volta.
 
 
***
 
 
 
”Questa è la mia ultima lezione per te, Tooru.”
Tremava da capo a piedi, eppure aveva freddo.
“Avanti, sai quello che devi fare...”
No, non lo sapeva. Non sapeva perché aveva tanta paura, non sapeva perché le lacrime gli rigavano le guance e non sapeva perché l’ultima persona che avrebbe mai voluto veder soffrire fosse in ginocchio davanti a lui, alla portata della sua spada.
“Avanti... Pensavo volessi essere il più forte.”
Addosso aveva i segni di chi era stato torturato per ore. Li conosceva bene perché li aveva portati sulla sua stessa pelle ma vedere l’altro ridotto in quello stato era ancor peggio di tutto quello che aveva già subito.
“No... No...” Mormorò tremante. “È sbagliato. È tutto sbagliato.”
“Dubiti del tuo Maestro, Tooru?”
“Non si può trattare di lui!”
Ma la cosa peggiore erano quegli occhi verdi.
“Che cosa stai aspettando? Uccidilo! Uccidilo, Tooru!”

 
 
Il Re dei Sith si svegliò di soprassalto, gli occhi sgranati, il cuore in gola. Il suo corpo era completamente avvolto nel calore e si rese conto di essersi addormentato nella vasca da bagno.
“Tooru...” Chiamò una voce calda, sebbene monocorde, accanto al suo orecchio. Tooru sbattè le palpebre un paio di volte e cercò di schiarire la mente. L’incubo era finito, erano su Karasuno e tutto andava bene. Wakatoshi gli aveva preparato un bagno caldo e Tooru lo aveva invitato a dividerlo con lui con un sorriso tentatore. Tutte i suoi intenti maliziosi, però, si erano infranti contro il muro della sua stanchezza ed il Signore Supremo lo aveva lasciato riposare vegliando il suo sonno.
L’acqua era ancora calda, quindi non doveva essere passato molto tempo.
“Va tutto bene?” Domandò Wakatoshi baciandogli una spalla. “Un altro incubo?”
Tooru prese un respiro profondo e si rilassò contro il suo petto. “Non è niente.”
“Quello che ho sentito non era niente,” insistette Wakatoshi sebbene non ci fosse pressione nella sua voce. Tooru rivolse gli occhi dorati alle finestre e, oltre, verso il cielo stellato. “Ho sognato del giorno in cui ho disubbidito al Maestro.”
Non percepì neanche un poco di turbamento nel giovane uomo alle sue spalle. “Perché continui a pensarci?”
“Non ho mai compreso perché mi ha dato quell’ordine,” ammise Tooru. “Continuo a credere che per essere il più potente dovrei sconfiggere te,” sollevò gli occhi dorati sul suo amante ma non c’era rancore nel suo sguardo.
Wakatoshi gli passò una mano tra i capelli e Tooru si rilassò completamente contro di lui. “Era il suo ultimo esame,” disse. “La tua iniziazione al Lato Oscuro.”
“Lato Oscuro...” Tooru ridacchiò. “Siamo i suoi eredi e non siamo nemmeno il riflesso di quello che era lui.”
“Ai Jedi non importa...”
“E dovrebbe importargli, invece!” Esclamò Tooru con rabbia. “Se fossimo come era lui, tutti i bambini a quel tempio sarebbero già morti massacrati.”
Wakatoshi lo allontanò un poco da sé e quando tornò a toccarlo fu per insaponargli i capelli. “Ti chiamano Re, Tooru. È un titolo che parla più di quanto credi.”
“Io voglio solo che tutto questo dolore finisca,” replicò Tooru chiudendo gli occhi e lasciandosi andare tra quelle mani calde. “L’universo grida e non era il nostro Maestro ad esserne la sola causa.”
“Lo so, la Repubblica ne è responsabile allo stesso modo.”
“La Repubblica, i Jedi... Proteggono solo i loro interessi. Non c’è nessuna perfezione, nessun equilibrio. Io e te eravamo soltanto due armi più potenti delle altre nelle loro mani contro un male che abbiamo sconfitto ma, non avendolo fatto in nome loro, siamo stati immediatamente additati come il nuovo nemico.”
“Hai fatto quello che potevi, Tooru.”
“Non volevo un’altra guerra...”
Wakatoshi lo spinse a reclinare la testa all’indietro e lavò via il sapone dai suoi capelli stando attento a non farglielo finire negli occhi. “Lato Oscuro...” Mormorò di nuovo Tooru appoggiando la nuca contro la spalla del Signore Supremo. “Che luce c’è nel vivere negando a se stessi ogni emozione?”
 
 
 
***
 
 
Shouyou non aveva avuto problemi a stare al passo di Tobio. L’altro, probabilmente, non si era nemmeno accorto di essere seguito mentre correva dietro al proprio Maestro. Il giovane Cavaliere aveva invocato il suo nome più volte ma non c’era stato niente da fare, Hajime non si era fermato. Shouyou aveva fermato la sua marcia non appena lo aveva visto entrare nel salone dei duelli dove era cominciato il suo addestramento preliminare. Tobio entrò a sua volta senza chiedere il permesso e, per diversi minuti, tutto quello che il Padawan riuscì ad udire fu il più completo silenzio.
Quando la porta si riaprì, Shouyou sobbalzò.
Tobio riemerse dalla stanza lentamente, le spalle curve, lo sguardo basso.
Il giovane Padawan udì chiaramente dall’interno il rumore dei droidi d’addestramento che sparavano colpi a raffica ed il lieve vibrare di una spada laser che li evitava. “Che cosa è successo?” Domandò spontaneamente.
“Non sono affari tuoi,” rispose Tobio con tono gelido superandolo.
Shouyou gli fu dietro immediatamente. “Chi è questo Re dei Sith? Perché spaventa tutti così tanto?”
Tobio lo guardò con rabbia cocente. “Ti ho detto che non sono affari tuoi!” Tuonò.
Bene, pensò il giovane Maestro, aveva agito di nuovo d’impulso. Aveva esternato il peggio di sé e lo aveva fatto con la persona che avrebbe dovuto provare al Consiglio che era degno di essere un Cavaliere Jedi. Inoltre, come se non bastasse, lo aveva fatto per ben due volte nella stessa giornata rischiando anche di amputargli una mano nel processo.
Il viso di Tobio si fece di pietra ma era inutile chiedere scusa, era inutile fingere che avesse imparato dai suoi errori. Non che avesse molto da perdere, ormai. Hajime soffriva ma non lo riteneva degno di condividere quel dolore con lui. Koushi e Daichi e molte altre persone a cui doveva tutta la sua vita erano nelle mani del Signore dei Sith più pericoloso della galassia, forse più del Signore Supremo stesso e lui, pur avendo il potere e le capacità di fare qualcosa per loro, veniva messo da parte perché non ritenuto un Jedi all’altezza del suo nome.
Nessuno gli diceva niente. Nessuno aveva più fiducia in lui.
Che Shouyou si voltasse e andasse da qualche superiore ad etichettarlo come tiranno... Non sarebbe stato il primo, nè l’ultimo.
Shouyou, però, non si mosse. Lo guardò con rabbia, sì. Lo guardò come se avesse voluto prenderlo a pugni ma il buon senso gli impedisse di farlo. “È per questo che sei arrabbiato, quindi,” concluse. “Anche questa mattina lo eri. Hai paura, non è vero?”
Tobio inarcò le sopracciglia fino a quanto gli fu fisicamente possibile. “Che hai detto, idiota?”
“Hai paura perché le persone a cui tieni o soffrono o sono in pericolo e sei arrabbiato con te stesso perché non hai idea di come fare per rimediare a tutto questo... E anche se l’avessi, te lo impedirebbero.”
Tobio si avvicinò e lo guardò dall’alto al basso con fare minaccioso. Shouyou si fece piccolo piccolo ma non abbassò comunque lo sguardo.
“Mi stai leggendo nella mente, per caso?” Domandò il giovane Maestro.
Shouyou lo guardò come se avesse detto la più grande assurdità della storia, poi i suoi occhi divennero e grandi e brillanti di aspettativa. “I Jedi possono leggere nella mente?” Domandò emozionatissimo. “Insegnami! Insegnami!”
Tobio fece una smorfia scocciata, poi lo mandò al diavolo con un gesto della mano. “Idiota...” Sibilò riprendendo a camminare lungo il corridoio.
“E come funziona?” Continuò imperterrito Shouyou affiancandolo. “È a comando o, è come quando sentiamo la Forza, succede e basta ad un certo punto? Oh... Ma in caso sarebbe terribilmente scomodo! Avrei i pensieri di tutti in testa!”
“Almeno la useresti...” Borbottò Tobio.
“Parla per te, stupido!”
“Non insultare un tuo superiore, idiota!” Tobio tentò di colpirlo in testa, Shouyou fu più veloce e lo evitò, poi prese a correre lungo il corridoio. “Chi arriva ultimo al fiumiciattolo nei giardini è un perdente irrecuperabile!”
“Non vale, sei partito in vantaggio!” Sbottò Tobio ma gli corse dietro comunque.
Non diedero peso a dove si trovavano. Rischiarono d’investire qualcuno almeno una dozzina di volte lungo la strada e qualcuno urlò loro dietro di camminare in modo civile. Shouyou e Tobio, però, erano sordi a qualsiasi cosa che non fosse il rumore dei passi dell’altro.
Non correvano guardando avanti a loro ma fissandosi in cagnesco.
Furono all’esterno prima ancora che potessero rendersene conto e si buttarono in mezzo ad un gruppo di Padawan in pieno allenamento. Decine e decine di occhi li fissarono confusi, allibiti o derisori. Non si curarono nemmeno di quello.
Ad un certo punto, Tobio credette di udire un’esclamazione scandalizzata di Yuutaro seguita da un commento sarcastico e derisorio di Kei. Non si voltò per controllare e per mettere entrambi gli idioti al loro posto con un’occhiata delle sue: non poteva permettersi di perdere terreno, non quando quel piccolo stupido sembrava essere l’incarnazione della velocità stessa. Maledetto!
Doveva vincere! Doveva vincere! Doveva vincere!
I polmoni gli esplodevano, le gambe andavano da sole e, se un albero fosse finito sulla sua strada, vi si sarebbe schiantato addosso ma non poteva staccare gli occhi da quelli di Shouyou. Non poteva ritirarsi da quella gara di sguardi che sembrava essere più intensa della corsa che stava spezzando il respiro ad entrambi.
Fu un attimo.
Ad un certo punto, Shouyou scomparve dal suo campo visivo improvvisamente e Tobio non ebbe il tempo di fermarsi e controllare che cosa gli fosse successo che sentì gli stivali bagnarsi. Si bloccò di colpo ed abbassò gli occhi blu sull’acqua cristallina del ruscello che Shouyou aveva scelto come loro traguardo. Respirava tanto velocemente che non era certo che il cuore gli sarebbe stato dietro ma non gli importò. Una soddisfazione dalla natura infantile ma totalizzante fece sollevare gli angoli della sua bocca.
Si voltò. Shouyou era inciampato ad un paio di metri di distanza e si stava mettendo a sedere sull’erba massaggiandosi il naso.
Gli occhi d’ambra incrociarono quelli blu ed il sorriso di Tobio si fece più grande. “Ho vinto!” Esclamò come se fosse un trionfo di proporzioni epiche. “Ho vinto io!”
Shouyou, però, non gli concesse la soddisfazione di un’espressione frustrata. Al contrario, rise.
Rise e Tobio restò a fissarlo come se fosse del tutto folle.
“Beh...” Shouyou scrollò le spalle. “Almeno hai sorriso!”
E, di colpo, il Cavaliere Jedi non si sentì più tanto vittorioso.
Si passò una mano tra i capelli corvini sudati per la lunga corsa, poi si liberò della casacca e la gettò addosso al Padawan. “In piedi! Duelliamo e se questa volta non ti difendi come si deve ti amputo una mano per davvero!”
Non si fermò a riflettere su quanto il suo cuore fosse improvvisamente più leggero.
 
 
***
 
 
Yuu era insolitamente silenzioso.
“Non posso credere che ci siamo fatti mettere in gabbia!” Continuava ad esclamare Ryuu vagando per la cella come se fosse troppo stretta per tutti e due. “Noi siamo le più grandi leggende viventi della galassia! Siamo stati i Jedi della Tobio-Starship, per la miseria!”
Yuu se ne stava con lo sguardo basso, una spalla appoggiata al muro come se fosse l’unica cosa in grado di sorreggerlo.
“Per non parlare di Kiyoko!” Ryuu cadde in ginocchio. Erano sempre stati bravi a mettere insieme scene melodrammatiche lui e Yuu ma questa volta non c’era niente di esagerato nei loro gesti. Era reale la frustrazione sul viso di Ryuu.
Yuu lo guardò dispiaciuto ma non disse nulla, doveva ancora convincere se stesso che sarebbe andato tutto bene e poi, forse, sarebbe riuscito a riaccendere un po’ di sicurezza anche nel suo migliore amico. Erano sempre stati un due irriducibili del gruppo, loro due.
Daichi, alle volte, li rimproverava per essere troppo vivaci, al punto da sembrare sciocchi agli occhi degli altri ma, in verità, non faceva mai piacere a nessuno quando erano seri. Se nemmeno loro riuscivano a trovare la forza di essere ottimisti in una situazione difficile, allora c’era davvero da preoccuparsi.
Non sapevano cosa fosse successo al Tempio. Non sapevano se Kiyoko stesse bene, non sapevano cosa volevano farne dei bambini. Se la Principessa era ancora con loro, sicuramente sarebbe stata pronta a sacrificare se stessa per proteggergli e questo pensiero bastava a bloccarli per la disperazione. Erano sconfitti, impotenti.
La notte in cui li avevano sorpresi, li avevano rassicurati che non avevano l’ordine di ucciderli.
Daichi non aveva ascoltato, ovviamente ed Asahi gli era andato dietro per concedere a tutti loro la possibilità di mettersi in salvo. Ci sarebbero riusciti se avessero avuto a che fare solo con dei comuni soldati ma, dopo, avvolti nei loro vestiti neri come il lato della Forza a cui appartenevano, erano comparsi i Sith e non c’era stato nulla da fare.
Daichi era caduto a terra per primo e Yuu si era sentito morire quando Asahi era andato incontro allo stesso destino. Aveva urlato, aveva chiamato il suo nome ma non era servito a niente. Avevano dovuto colpirlo alla testa per farlo stare fermo.
Quando si era risvegliato, lui e Ryuu erano già all’interno di quella cella e nessuno sembrava preoccuparsi di dar loro notizie su quello che stava succedendo. Davano loro cibo, li tenevano in vita e si assicuravano che non provassero a fare qualcosa di stupido ma non rispondevano a nessuna delle loro domande.
L’unica speranza che Yuu era riuscito a trovare in quella situazione era stata la Forza a concedergliela.
“Yuu...”
Yuu tornò a guardare il suo migliore amico ma non allontanò la tempia dal muro freddo.
“Che cosa stai facendo?” Domandò Ryuu col tono più demoralizzato che gli avesse mai sentito usare.
Yuu accennò una smorfia simile ad un sorriso. “Sto ascoltando...”
 
 
 
Nella cella accanto, al di là del muro da cui Yuu non sembrava volersi allontanare per nessuna ragione al mondo, Asahi sedeva a terra e percepiva la Forza del suo compagno esattamente come lui faceva con la sua. Era l’unico modo in cui potessero toccarsi, rassicurandosi l’un l’altro che stavano bene, che potevano ancora combattere.
“È Yuu?”
Asahi sollevò gli occhi. Daichi era seduto nella sua stessa identica posizione dal lato opposto della cella. “Sì...” Rispose accennando un sorriso.
Daichi accennò un sorriso. “Anche io cerco di sentire Koushi continuamente, credo che versi in una situazione migliore della nostra...”
“Ne sono lieto,” Asahi lo fissò preoccupato. “Come va la ferita?”
L’altro continuò a sorridere ed abbassò lo sguardo sulla fasciatura visibile attraverso la scollatura della casacca. “Hanno fatto un buon lavoro nel medicarla...”
“Tooru era rabbioso quando ha scoperto che ti avevano colpito al petto,” disse Asahi. “Ero ferito, mi hanno medicato ma non ho mai perso i sensi.”
Daichi fece una smorfia. “Tooru va altro le mie capacità di comprensione, Asahi,” confessò. “Koushi è più bravo di me in questo ma parlare con lui o con Hajime di un simile argomento non è saggio.”
“Ci pensa ancora, vero?” Domandò Asahi. “Hajime, intendo...”
Daichi sospirò profondamente. “Non posso biasimarlo...”
“No, certo.”
“Credo che parli con Koushi più di quanto parli con me ma penso che tutte le volte che le loro strade si sono incrociate nel corso dell’ultimo decennio, abbiano continuato a ferirsi l’un l’altro in un modo per cui una spada laser non è necessaria.”
Asahi abbassò lo sguardo. “Io non so se ce la farei...”
“A fare cosa?” Domandò Daichi.
“Ad essere abbastanza forte per continuare a sopportare tutto questo, nonostante...” Asahi scrollò le spalle. “Non lo so nemmeno io, Daichi. Ho sempre avuto come la netta sensazione che la storia di Tooru e Hajime abbia creato una frattura in tutti noi.”
Daichi strinse le labbra. “Non saremmo mai potuto essere gli stessi dopo quello che era successo. Non avremmo mai potuto semplicemente accettare che avevamo perso Tooru e continuare a guardare con fierezza agli obbiettivi che ci eravamo prestabiliti...” Il suo sguardo s’illuminò di una luce tristissima. “Vuoi sapere come la penso veramente, Asahi?”
Il compagno gli concesse tutta la sua attenzione.
“Come ti ho già detto,” continuò Daichi. “Io credo di sapere nemmeno la metà dei dettagli di cui Koushi è a conoscenza ma, fino a prova contraria, ciò che distingue Tooru e Hajime da noi è solo la più cieca fortuna. Siamo tutti cresciuti insieme. Qualunque sentimento ci abbiano proibito di provare, abbiamo cominciato a provarlo insieme. La nostra fortuna è stata nel non essere nati con i poteri di Tooru... Tutto qui...”
Fece una pausa.
“Nessuno di noi ha mai avuto la minima idea di quello che sentisse e che conseguenze questo avesse sulle sue emozioni. Hajime è stato l’unico a provarci e credo che alla fine ci sia riuscito. A quel punto, penso che lasciarlo andare per lui fosse impossibile. Poi hanno scoperto tutto e... È successo quel che è successo.”
“A nessuno di noi sarebbe mai potuto succedere quello che è accaduto a Tooru, Daichi,” replicò Asahi.
Daichi annuì. “Sì, chiunque di noi al posto suo, sarebbe sicuramente morto.”
 
 
***
 
 
Issei e Takahiro andarono a cercare Hajime che il cielo era già scuro.
Tobio era rientrato con il suo Padawan e del suo Maestro non c’era stata traccia in giro fin dalla fine del consiglio di guerra.
Non fu una lunga ricerca: la cosa positiva dell’essere cresciuti insieme, era di conoscersi a vicenda abbastanza bene da avere un buon margine di previsione gli uni sui comportamenti degli altri. Non furono particolarmente sorpresi di vedere tutto quel caos nella sala dei duelli quando varcarono la porta. Tutti i droidi per l’addestramento giacevano a terra completamente in pezzi e la spada laser di Hajime era a terra tra i rottami come se lo fosse a sua volta.
Il Cavaliere Jedi se ne stava appoggiato al davanzale di una delle grandi finestre, lo sguardo rivolto verso l’esterno.
Issei e Takahiro si guardarono. Quest’ultimo fece un passo in avanti. “Hajime...”
L’altro si voltò e la calma sul suo viso fu peggio di ciò che rimaneva sul pavimento dell’attacco di rabbia che doveva aver sfogato. “Che cosa c’è?” Domandò con tono freddo, un poco minaccioso.
Issei incrociò le braccia contro il petto. “Il vecchio Ukai ha deciso: manderemo i soccorsi su Karasuno con l’obbiettivo di liberare il pianeta.”
Hajime strinse le labbra ed annuì. “Partiamo domani?”
“Tu non parti,” chiarì Issei.
Gli occhi verdi si fecero più taglienti di quanto già non fossero. “Come?”
“Il vecchio Ukai ha deciso così,” disse Takahiro. “Non hai ragione di essere così sorpreso, avanti...”
Hajime non replicò, si staccò dalla finestra e fece per superarli ma entrambi i compagni lo fermarono. “Non sei in grado di affrontare nessuna discussione, ora,” gli disse Issei.
“Finirai solo per cacciarti nei guai e, vista la situazione di Tobio, non puoi permettertelo.”
Hajime fece per reagire con rabbia ma quelle parole gli gelarono il sangue nelle vene. Fece un passo indietro. “Vogliono mandare Tobio?”
Entrambi i compagni aprirono bocca per poi abbassare lo sguardo.
“Non possono mandare Tobio,” replicò Hajime scuotendo appena la testa. “Lo hanno sospeso dalle missioni per il suo comportamento inappropriato.”
“Causa di forza maggiore,” disse Takahiro con sguardo grave.
“Conoscono il nemico e sanno che nessuno di noi è in grado di sconfiggerlo,” aggiunse Issei.
“Non possono mandare Tobio!” Sbottò Hajime. “Non posso permetterlo...” Raccolse la sua spada laser da terra e prese la via della porta.
“Hajime...” Tentarono di fermarlo i suoi amici ma fu del tutto inutile.
 
 
 
Il vecchio Ukai non fu affatto sorpreso di vederlo quando irruppe nella sala del Consiglio sbattendo la porta. Non c’era quasi più nessuno lì, con l’eccezione di Keishin ed Ittetsu.
Gli occhi di Hajime, però, erano puntati solo sul viso del vecchio. “Devi essere completamente pazzo...”
Keishin rivolse al nonno una smorfia. “Non posso dargli torto, vecchio.”
“Taci, moccioso,” disse Ikkei Ukai alzandosi in piedi con un sospiro stanco. “Questo tuo vizio di darmi del pazzo sta cominciando a stufarmi, Hajime.” Disse evidentemente irritato.
Hajime non si fece intimidire neanche un po’. “In che altro modo dovrei definirti, sentiamo?” Domandò con aria di sfida. “Passi che Tobio ha un carattere orribile e che non sia in grado di guidare una squadra di Padawan. Passi che tu abbia deciso di dargli un allievo per spingerlo ad essere responsabile e curarsi dei suoi sottoposti, anche se si tratta di un ragazzino che sembra essere la copia in miniatura del più grande fallimento dell’intero Ordine Jedi! Però, non puoi... Non puoi per nessuna ragione lasciare che Tobio vada a combattere questa battaglia!”
Ittetsu fece per dire qualcosa. Probabilmente, voleva portare il Cavaliere Jedi a ragionare sul perché scegliere Tobio fosse una decisione razionale dal punto di vista strategico ma, esaurito questo... Fu abbastanza umano da rimanere in silenzio.
“Conosci il nemico, Hajime,” disse Ikkei.
“Per questo dico che Tobio deve rimanere lontano da Karasuno!”
“Tobio è l’unico Jedi vivente che abbia un potere pari al suo.”
“Tobio non è un’arma, maledizione!”
“Permettigli di andare,” intervenne Keishin. “Permetti loro di andare insieme. La spada di Hajime ci ha già salvato in passato, non puoi mettere in discussione il suo potenziale.”
Hajime ci pensò. Sì, non era una soluzione ottimale ma, se non poteva tenere Tobio fuori da quella missione, poteva almeno intromettersi tra lui e quel nemico che volevano sconfiggesse.
Tooru e Tobio non dovevano incontrarsi.
Hajime non poteva permettere che accadesse una cosa del genere, non ancora.
Era troppo presto. Per Tobio, per lui, per tutti loro...
“Non ho mai dubitato della spada di Hajime,” replicò Ikkei fissandolo negli occhi come se stesse cercando di leggergli dentro. “Ma non posso fidarmi del suo cuore.”
Hajime strinse i pugni. “Che cos’altro vuoi da me, vecchio?” Domandò con rabbia. “Che altra prova vuoi che superi, maledetto?”
“Nessuna,” ammise il vecchio Ukai. “Tuttavia, non posso dimenticare come ti sei pentito immediatamente di aver superato l’ultima a cui ti abbiamo sottoposto. Come ancora continui a pentirtene...”
Hajime strinse i denti come se stesse sopportando un enorme dolore. “Vuoi che ammetta qui davanti a te che, sì, accetto di buon grado tutto ciò che c’è successo e che, se potessi tornare indietro, farei esattamente tutto quello che ho già fatto nello stesso modo e senza dubitare?” Gli occhi verdi del Jedi ardevano d’ira.
“A che servirebbe?” Domandò Ikkei. “Non sarebbe la verità...”
“Già...” Hajime annuì. “Vuoi sapere quale sarebbe la verità, Ikkei? Non c’è notte... Non c’è una singola notte in cui non mi svegli per guardare le stelle e pensare che, se fossi stato abbastanza uomo da rimettere in discussione tutto per il mio cuore, ora potrei guardarle con la mia famiglia!”
Per un attimo, un’espressione colpevole comparve sul volto del vecchio Ukai ma strinse le labbra e fu ferma la sua voce quando parlò di nuovo. “Tu resterai qui,” disse col tono di chi impartisce un ordine. “Tobio partirà non appena avremo messo insieme una strategia. Domani sarai tu ad informarlo.”
“Cosa?” Domandò Hajime incredulo.
“Il suo Padawan non è in grado di combattere, ancora,” spiegò Ikkei. “Koushi non è qui per prendersene cura e qualcuno dovrà assicurarsi che non si cacci nei guai, mentre il suo Maestro è via.”
“Mi lasciate qui per fare da balia a Shouyou?”
“Quel ragazzino è materia complicata e tu sei bravo con questo genere di cose, hai saputo dimostrarlo molto bene.”
Hajime fece un passo indietro, s’impose di essere rispettoso e, non avendo altre possibilità, tentò di nuovo con la proposta di Keishin. “Lasciatemi partire con Tobio...”
Ikkei inarcò un sopracciglio. “Non mi hai ascoltato fino ad ora, ragazzino?”
“Tobio è l’unico che possa sconfiggere il Re dei Sith, lo so,” ammise Hajime, sebbene non gli piacesse farlo. “Il suo coinvolgimento in questa missione continua a rimanere folle per me ma posso comprenderne le ragioni strategiche ma permettimi di andare con lui,” era ad un passo dall’implorare. “Tobio non può affrontare questa prova da solo!”
Ikkei, però, non si piegò nemmeno un poco. “Se non ci riuscisse,” disse. “Sarebbe solo la prova definitiva che, nonostante il suo potere, non può essere un Cavaliere Jedi.”
Hajime sgranò gli occhi, trattenne il fiato per un istante. “Volete condannarlo...”
Il vecchio Ukai non rispose.
“Maestro,” il tono del Cavaliere era cambiato drasticamente. “Ti supplico...”
Sia Ittetsu che Keishin guardarono il vecchio Ukai, il primo con espressione sinceramente dispiaciuta, il secondo come a sfidarlo a dire qualcosa di più. Ikkei non concesse attenzione a nessuno dei due. Strinse le labbra ed abbassò lo sguardo. “Domani, informa Tobio di quanto è stato deciso.”
Hajime strinse i pugni fino a ferirsi i palmi. Abbassò lo sguardo e cercò di contenere la rabbia abbastanza da impedirsi di commettere qualche sciocchezza. Si voltò lentamente ed uscì dalla stanza del Consiglio col passo di un uomo appena condannato a morte.
 
 
***
 
 
Koushi guardava le stelle del cielo di Karasuno e si chiedeva se anche Tobio stesse facendo lo stesso. Seijou era abbastanza vicina perché potessero entrambi vedere le stesse costellazioni e Koushi decise di aggrapparsi a questo per impedire alla morsa della tristezza e della solitudine di riempirgli il cuore di disperazione. Sorrise tristemente appoggiando la schiena ad una delle colonne della camera.
Quello di guardare le stelle era un gioco che Hajime aveva cominciato a fare con Tooru ma li aveva coinvolti tutti non appena Tobio era divenuto abbastanza grande da obbiettare quando qualcuno di loro veniva spedito lontano da casa per conto del Consiglio o della Repubblica stessa.
Avevano detto a Tobio che, se avesse guardato le stelle tutte le notti prima di addormentarsi, loro lo avrebbero fatto a loro volta ed allora non sarebbero più stati poi così lontani.
Tobio stava guardando le stelle come lui in quel momento?
Questo bastava a farlo sentire meno solo?
“Mi dispiace...” Koushi asciugò con le dita due lacrime sfuggite al suo controllo. “Avrei dovuto inventare una storia migliore per te...”
“Non credo se ne sia mai lamentato.”
Koushi sobbalzò, si voltò di scatto e trattenne il fiato per un istante. Le lacrime scomparvero dai suoi occhi come tutto il calore gentile del suo sguardo.
Wakatoshi lo guardava con la sua solita espressione neutrale. Sembrava ancor più alto completamente vestito di nero ma, a parte quello, era esattamente come Koushi se lo ricordava.
“Non provi rabbia neanche ora,” commentò Wakatoshi.
“No,” Koushi scosse appena la testa. “L’ho detto anche a Tooru, non provo alcuna rabbia quando vi guardo... Solo la più profonda tristezza.”
“Sei sempre stato il più gentile,” disse il Signore Supremo con la voce neutra di chi esprime un dato di fatto e nulla di più. “Eri l’orgoglio del Consiglio.”
Koushi accennò un sorriso malinconico e sarcastico al contempo. “Hanno erroneamente interpretato la mia personalità quieta come l’immagine di quell’equilibrio che dovrebbe regnare nell’animo di ogni Cavaliere Jedi.” Abbassò lo sguardo. “Ero il più insicuro ed instabile di tutti noi. Alla fine di ogni battaglia, quando disattivavo la spada laser, non potevo fare altro che piangere... Non ero quell’icona di perfezione che i nostri Maestri vedevano in me.”
L’aveva dimostrato in modo eclatante ma, a differenza di Tooru, l’aveva fatto in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse, a parte chi c’era...
“Tutti noi lo abbiamo fatto in un modo o nell’altro,” replicò Wakatoshi. “È il prezzo che pagano i Maestri che tentano di disumanizzare i propri allievi.”
Koushi non replicò. Tutti loro avevano pagato a caro prezzo la loro umanità ma due in particolare. “Tu e Tooru avete pagato molto più degli altri...”
“Se potessimo evitare di far pagare ancora lo faremmo,” disse Wakatoshi.
Koushi assottigliò appena gli occhi. “È per questo che sei venuto da me? Stai cercando di convincermi a fare qualcosa facendomi credere che sia per un bene superiore?”
“Sei sempre stato un buon ambasciatore, Koushi, non puoi negarlo questo,” disse Wakatoshi. “Sei paziente, sei un buon oratore e sai fare appello alla razionalità quando serve. Il Maestro Takeda aveva ragione ad avere molta fiducia in te.”
“Non parlerò mai in nome dei Sith,” disse Koushi con calma, quasi gentilezza, come se stesse rifiutando un’offerta educata.
“Se lo facessi, la guerra potrebbe finire,” gli fece notare Wakatoshi. “La Repubblica non rappresenta quel potere giusto e pacifico capace di portare l’equilibrio nella Forza per mezzo dei Jedi. Questa è solo un’illusione con cui siamo cresciuti e a cui il Consiglio si ostina a credere.”
“E quale potere è giusto, Wakatoshi?” Domandò Koushi. “Quello del Signore Supremo che ti ha preceduto lo era?” Strinse le labbra e ricacciò indietro le lacrime insieme alle immagini di un orrore che aveva passato anni a cercare di dimenticare. “Quanti bambini sono morti per mano sua?”
“Non mi sono mai definito suo erede,” puntualizzò l’altro. “È stata solo una vostra conclusione...”
“E cosa avremmo dovuto concludere da tutta la rabbia, la sete di potere, il bisogno di conquista?”
“Non siamo conquistatori,” replicò Wakatoshi. “Non colpiamo i civili. I nostri bersagli sono le colonne portanti della Repubblica.”
Koushi lo guardò dritto negli occhi per qualche istante di pesante silenzio. “Che cosa ci fate qui, allora?” Domandò come chi già conosce la risposta alla propria domanda. “Karasuno è un pianeta piccolo, pacifico. Kiyoko è una personalità dominante all’interno del Senato ma il suo potere effettivo non vale un intervento da parte del Re dei Sith, tantomeno del Signore Supremo in persona.”
“Sai benissimo perché siamo qui,” disse Wakatoshi come se fosse un’ovvietà. Lo era ma non tutti sapevano quanto il Signore Supremo fosse poco pratico nel comprendere i messaggi tra le righe, alle volte. Era quel genere d’ingenuità che aveva fatto dubitare i suoi vecchi compagni che potesse divenire, un giorno, il loro peggior nemico.
“Sì,” Koushi annuì. “So perché Tooru è qui e so che tu ci sei per lui.”
“E non parleresti in nome mio nemmeno per il bene di quel ragazzino?”
“Tobio non verrà mai qui. Hajime non lo permetterà.”
“Non importa cosa vuole Hajime,” disse il Signore Supremo. “Il Consiglio cerca sempre una via pratica per portare a termine i propri compiti, non si perde in riflessioni emotive. Solo uno dei vostri può sconfiggere il Re dei Sith e non si faranno perdere questa occasione ora che il loro prescelto è stato fatto Cavaliere Jedi.”
“È questo che pensa Tooru?”
“È quello che accadrà...”
“Digli che si sbaglia!” Esclamò Koushi. “Digli di rinunciare se spera che il Consiglio gli metterà tra le mani quello che desidera così facilmente! Lo conoscono, Hajime lo conosce e possono prevedere i suoi disegni!”
“È proprio questo il punto, Koushi,” disse Wakatoshi con la solita voce monocorde. “Lo sanno ma commetteranno lo stesso errore di nuovo...”
Koushi scosse la testa. “Tobio non è un’arma... Nessuno di noi lo è!”
“Hajime ci crede ancora?” Domandò Wakatoshi a bruciapelo. “Riusciresti a rivolgere a lui le stesse parole che hai appena detto a me con la stessa convinzione?”
Koushi sgranò gli occhi e non rispose. Non poteva rispondere.
Aveva poca importanza: sia che avesse negato l’evidenza, sia che fosse rimasto in silenzio, Wakatoshi aveva vinto quella battaglia verbale comunque. Abbassò lo sguardo sconfitto ed il Sith si avvicinò di un paio di passi. Koushi si fece rigido ma si costrinse a guardarlo in faccia ancora una volta.
“Non siete voi il nostro nemico,” concluse il Signore Supremo. “Combattete solo dalla parte sbagliata. So che penserai a quello che ti ho detto.”
Non attese una risposta da parte di Koushi.
Si voltò e se ne andò.
 
 
***
 
 
Una volta che quella porta si fu richiusa, Hajime non pensò ad una direzione da prendere. Furono i suoi piedi a guidarlo lungo i corridoi, giù per le scale, fino all’hangar spaziale completamente deserto. I portelloni erano stati chiusi al calar del sole come era di regola e le poche luci di servizio erano la sola cosa che gli illuminasse la strada ma Hajime non aveva bisogno che la luce lo guidasse.
La nave spaziale che cercava era nell’angolo più remoto dell’hangar, quasi dimenticata dalla nuova generazione, sebbene fosse cresciuta ascoltando le storie di cui era la protagonista. Hajime la guardò con la tristezza con cui si osserva ciò che rimane della stagione più bella della propria vita. Sollevò la mano e ne toccò la fiancata metallica. L’accarezzò con la punta delle dita, fino a premere il palmo sulla scritta che rendeva quella nave unica nel suo genere.
Tutti la conoscevano come la Tobio-Starship ma il suo nome non era scritto a caratteri cubitali in modo che tutti potessero leggerlo. Al contrario, Hajime lo aveva scritto a mano ed il risultato finale non era nulla che saltasse all’occhio per dimensioni o ottima fattura ma era qualcosa di speciale nel modo in cui solo le cose intimi possono esserlo.
Il portellone principale era rimasto aperto: non erano rari i giovani curiosi che scendevano fino a lì per vedere con i loro occhi la leggenda e camminare nelle stanze dove i loro Maestri si erano trasformati da ragazzi a uomini. Hajime, in un primo momento, ne era stato geloso: aveva costruito quella nave con le sue mani e con l’aiuto degli amici che amava come se fossero dei fratelli, l’aveva vista che era solo un progetto abbozzato su carta e, sotto i suoi occhi, aveva preso forma. Col tempo, mentre Tobio crescere occupando l’attenzione di tutti loro più che mai, aveva smesso di pensarci ma non aveva dimenticato.
Hajime non poteva dimenticare, nemmeno se avesse vissuto fino alla morte di tutte le stelle nella galassia. Si guardò intorno con un sorriso nostalgico, come se fosse tornato a casa dopo una lunghissima assenza. La stanza sua e del suo giovane Maestro era quella più vicina alla cabina di pilotaggio. Hajime l’aveva scelta per praticità e perché quella posizione gli aveva permesso di progettarla con una vetrata accanto al letto da cui si potessero vedere le lontane luci della galassia durante la navigazione.
L’aveva costruita con un significato, con un motivo...
Hajime appoggiò la fronte su quel vetro e chiuse gli occhi lasciando andare un respiro stanco. Tutto quello che poteva vedere da lì, ora, era solo la parete metallica dell’hangar. Era come se tutte quelle notti passate sveglio a contemplare l’universo e la sua immensità non fossero mai esistite.
“Pensavo ti piacesse guardare le stelle...”
“È così.”

Hajime udì nelle sue orecchie quella risata leggera come se fossero ancora lì, a quella notte.
”I tuoi occhi hanno attenzione solo per me, però!”
“È così...”

Ricordava nei dettagli l’espressione che Tooru aveva fatto allora: gli occhi scuri erano divenuti grandi, le gote si erano colorate e, per un attimo, aveva semplicemente dimostrato i suoi anni. Poi lo aveva guardato frustrato con lui e con se stesso per essere rimasto senza parole.
Hajime sollevò le palpebre. Il nodo alla gola si era fatto insopportabile, sentiva le lacrime pungere agli angoli degli occhi. Si voltò, appoggiò la schiena al vetro e vi scivolò contro, fino a ritrovarsi seduto a terra.
Pensò a Tobio.
Tobio, che aveva quattordici anni e sembrava nascondere una tempesta perenne nel cuore.
”Riesci a sentirlo?”
Hajime sentì il respiro venire meno.
”Ascolta... Non come se cercassi di udire un rumore. Prova a sentirlo... Eccolo! Lo senti?”
Le lacrime gli rigarono le guance.
”È lui... È la sua Forza che chiama la nostra...”
 
 
***
 
 
Non aveva sentito dolore quando la spada laser lo aveva trapassato.
“Tooru! Tooru, guardami!”
Avrebbe voluto farlo. Sì, non poteva negargli nulla quando chiamava il suo nome con tanta disperazione, nemmeno per orgoglio.
“Tooru, ti prego, guardami!”
Era strano sentire nella sua voce tanto dolore quando quello morente era lui.
“Resta con me,” erano ruvide quelle labbra sulla sua pelle, però erano calde. “Tooru... La vuoi smettere di morire per me, idiota! Non osare lasciarmi qui!”
Avrebbe voluto davvero rispondergli. Avrebbe voluto dirgli che lo amava, almeno un’ultima volta.
“Tooru!”
Ma era sopraggiunta prima la morte.

 
 
Il richiamo della Forza si fece assordante e lo svegliò.
Tooru si portò di colpo una mano al petto e cercò d’ingoiare aria ma un nodo gli stringeva la gola. Chiuse gli occhi e cercò di recuperare il controllo del suo cuore impazzito ma era come se fosse appena esplosa una stella dentro di lui ed un caos di emozioni gli compresse il petto fino a fargli salire le lacrime agli occhi. Appoggiò entrambi i piedi e tentò di sollevarsi, le gambe non lo ressero.
Non finì a terra.
“Tooru!” Wakatoshi lo fece sedere sul bordo del materasso sorreggendolo con entrambe le mani. “Tooru, cos’hai sentito?”
Gli occhi dorati del Re del Sith, però, erano persi nel vuoto. Wakatoshi gli afferrò il viso e lo costrinse a guardarlo. “Tooru?”
Tooru sbatté le palpebre un paio di volte, poi sospirò profondamente ed appoggiò la fronte contro la spalla del Signore Supremo. “Wakatoshi...” Mormorò.
“Che cosa ti è successo?” Domandò, sebbene non fosse la prima volta che assisteva a piccoli eventi simili. “Che cosa hai sentito?”
Tooru sollevò la testa, si guardò intorno spaesato, poi riportò lo sguardo sul viso dell’altro. “Devo andare...” Disse con un filo di voce, senza riflettere affatto sulle sue parole. Wakatoshi lo fissò e basta. “Che cosa vuoi dire?”
Tooru afferrò le mani che lo stringevano e le allontanò da sé gentilmente per potersi alzarsi. Fece di tutto per evitare che i loro sguardi s’incrociassero. “Devo andare,” ripeté con più convinzione recuperando la casacca nera e gli stivali. Wakatoshi rimase a guardarlo fino a che non ebbe finito di riallacciarsi la cintura con la spada laser alla vita.
“Tooru...” Lo richiamò pazientemente. “Ho bisogno che mi spieghi le tue intenzioni.”
Il Re dei Sith si fermò, si portò una mano al petto e strinse la casacca all’altezza del cuore. “Sta soffrendo... Sta soffrendo terribilmente, posso sentirlo.”
Wakatoshi strinse le labbra. “E dove pensi di andare?”
Tooru fece per rispondere ma si bloccò: era un’assurdità quella che avrebbe voluto fare... Questo non gli aveva impedito di farlo altre volte ma ora era una situazione completamente diversa. “Da nessuna parte...” Rispose abbassando lo sguardo. “Immagino che sia io la causa di quella sofferenza, dopotutto.”
Wakatoshi si fece più vicino. “Forse, dovresti andare a parlare con Koushi.”
Tooru lo guardò confuso. “Per quale ragione?”
“Perché hai bisogno di parlare con qualcuno e so di non esserti di alcun aiuto in queste situazioni.”
C’era solo sincerità nelle parole del Signore Supremo. Tooru strinse le labbra e gli occhi dorati si accesero un poco di rabbia. “Non mi serve la tua pietà...”
“Sono il tuo amante pur sapendo che ami un altro,” gli fece notare Wakatoshi. “Pensi che sia nella posizione di poter provare pietà per chiunque?”
Gli occhi di Tooru si fecero grandi ed abbassò lo sguardo. “Perdonami...” Disse, sebbene l’orgoglio gli dolesse. Lo superò senza guardarlo in faccia. “Wakatoshi...” Si fermò per un istante ma non si voltò. Sapeva che l’altro lo stava ascoltando. “Non ho più un cuore che tu possa conquistare o che io possa donarti ma non definirci amanti in quel modo...”
“Che modo?” Domandò Wakatoshi.
“Come se fosse qualcosa di sporco,” rispose Tooru guardandolo da sopra la sua spalla. “Siamo compagni in questa oscurità, non dimenticarlo...”
 
 
***
 
 
“È nato... Va tutto bene, è nato...”
“Tobio...”
Aveva tanto freddo, al punto da tremare.
C’era troppa luce e le voci intorno a lui sembravano urlare, sebbene sussurrassero.
“Lo senti?”
La gola ed i polmoni gli bruciavano, come se fosse l’aria stessa a ferirlo. Faceva male come cercare di respirare sott’acqua, eppure non stava annegando. Si sentì avvolgere in qualcosa di caldo. C’erano delle mani che lo toccavano. Mani gentili ma che non erano in grado di consolarlo, fino a che...
“Ciao...” Si sentì avvolgere da altro calore. “Ciao, Tobio...”
Un bacio che sapeva di benvenuto. Non c’era più nulla che lo spaventasse.
Aprì gli occhi. Non fu facile come credeva ma ci riuscì. Due iridi scure furono la prima cosa che vide, la prima immagine di quel nuovo mondo così grande e sconosciuto. Quegli occhi, però, non lo erano. Li guardava e si sentiva al sicuro, a casa...
Il giovane a cui appartenevano era bellissimo, qualcosa di molto simile alla perfezione. Gli sorrise, un sorriso brillante d’amore. “Hai il cielo negli occhi...”

 
 
Alla fine del sogno, Tobio aprì gli occhi lentamente.
Non c’era nessun nodo a stringergli la gola ed il cuore batteva regolarmente nel suo petto. Le stelle sopra di lui erano quiete, immobili, così come lo erano i suoi pensieri. Non ricordava l’ultima volta che non si era svegliato a causa di un incubo. Sentiva una tale pace dentro di sé che fu quasi sul punto di riaddormentarsi ma percepì qualcosa nella Forza, qualcosa di molto vicino a lui.
Si alzò in piedi ed uscì dalla sua camera. Lasciò che i piedi andassero da soli e lo portarono di fronte alla piccola porta accanto alla sua. Quella stanzetta era stata vuota per anni ma Tobio sapeva bene chi l’aveva occupata nelle ultime settimane. Rimase in silenzio a fissare la superficie di metallo come se potesse dare una spiegazione a quello che sentiva nel petto.
Strinse le labbra e fece un passo indietro per tornare a letto.
Non andò oltre.
Gli occhi blu tornarono sulla porta chiusa.
Decise di non bussare: lo stupido non si disturbava mai a chiedere il permesso quando irrompeva nella sua camera, dopotutto.
Come Tobio aprì la porta, la luce del corridoio illuminò il piccolo letto in quella stanza fin troppo stretta e dalle finestre troppo vicine al soffitto. Shouyou scattò a sedere, come se avesse paura che potesse fargli del male. Gli occhi d’ambra erano spalancati, terrorizzati e pieni di lacrime.
“Sono io,” si sentì in dovere di dire Tobio perché il suo Padawan lo guardava come se fosse ancora all’interno di un incubo.
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte ed una luce tenue illuminò il suo viso come le piccole spalle si rilassarono. “Tobio...”
“Che cosa ti succede?” Il Cavaliere Jedi fece un passo all’interno della camera e si richiuse la porta alle spalle.
Shouyou si sedette contro i cuscini stringendosi le lenzuola al petto. “Un brutto sogno,” rispose scrollando le spalle. “Nulla di strano...”
“Non c’è mai nulla di comune nei sogni di un Jedi,” replicò Tobio come se gli stesse impartendo un’altra lezione. Si sedette sul bordo del letto e guardò il Padawan dritto negli occhi. “Se pensi di aver sognato qualcosa che possa avere un significato per te, ho bisogno di saperlo.”
Shouyou si umettò le labbra. “So che dicono che ad un Jedi non appartiene nulla, meno la spada che si è costruito per combattere ma... Non sono nostri neanche i nostri sogni?”
“Ci possono essere molte cose nei sogni di un Jedi,” spiegò Tobio. “Cose che, alle volte, chi le sogna non è in grado d’interpretare e comprendere come si deve.”
“Come tu hai sognato del Maestro Koushi? Come i sogni che fai quando dici di sentire dentro di te tutta la sofferenza dell’universo?”
Il giovane Maestro annuì.
Shouyou si strinse le ginocchia al petto e prese un respiro profondo. “Stavo piangendo... Nel sogno dico, non vedevo bene davanti a me.”
“Perché piangevi?”
“Non lo so,” ammise Shouyou scuotendo appena la testa. “Provavo paura ma non sapevo dargli un nome. Qualcuno mi parlava dolcemente ma il suo dolore mi trafiggeva come cento spade laser tutte insieme.”
Tobio annuì e continuò ad ascoltare.
“Quella voce non faceva che ripetermi quanto mi amava e mi prometteva che sarebbe andato tutto bene, che sarei stato felice. Eppure, chi parlava soffriva terribilmente. Mi ha pregato di non dimenticare... Non so a cosa si riferisse. Ho pianto ancor di più quando mi ha lasciato andare e mi sono svegliato in lacrime.” Concluse Shouyou. Tobio non commentò immediatamente il suo racconto: era abituato a visioni del genere fin da bambino e c’erano voluti anni perché le sue emozioni non perdessero il controllo mentre dormiva mettendo a soqquadro l’intero Tempio.
Shouyou non aveva avuto una reazione tanto violenta, sebbene fosse chiaro che non era abituato a quel genere di esperienze mentali. Probabilmente, la distruzione non era nella naturale del suo Padawan quanto nella sua. Non gli fece piacere ammetterlo, sebbene solo con se stesso.
“Stai bene?” Domandò.
“Sì,” rispose Shouyou. “Perché sei così premuroso?”
Tobio scrollò le spalle. “Sei una mia responsabilità e se perdessi il controllo nel sonno non sarebbe divertente. Certo, dovresti essere forte per fare danni e fai ancora piuttosto schifo.”
Shouyou lo guardò indignato. “Non ho chiesto il tuo aiuto, in primo luogo.”
“Te l’ho detto,” ripeté Tobio alzandosi in piedi. “Dovere...”
Shouyou si fece piccolo piccolo contro i cuscini del suo letto. “Te ne vai?”
Il Maestro si voltò a guardarlo. “Stai bene, non hai combinato guai ed il tuo incubo non sembra contenere immagini che possano esserci utili o risultino pericolose. Probabilmente, è solo un ricordo della tua infanzia riportato alla luce a causa della tua prolungata assenza da casa. Ad alcuni dei bambini capita: dicono di vedere le loro madri in sogno, sebbene non le abbiano mai conosciute davvero.”
Shouyou abbassò lo sguardo per un istante. “È molto triste...”
“È il destino di un Jedi.”
“E nessuno chiede mai della sua famiglia?” Domandò Shouyou.
“Non lo so,” ammise Tobio: non aveva mai avuto abbastanza rapporto con gli altri Padawan per poter indovinare i loro desideri. “Io non ho mai avuto ragione di chiedermelo...” Si voltò ma non fece neanche un passo.
“Aspetta...”
Tobio si fece rigido come cinque piccole dita afferrarono il suo polso. Erano gelide le mani di Shouyou ma erano colorate le sue guance quando tornò a guardarlo. “Puoi restare un po’ qui?”
Tobio lo guardò con sufficienza. “Vuoi che ti tenga la mano fino a che non ti addormenti?” Domandò sarcastico. “I tuoi sogni non andranno migliorando, è qualcosa con cui devi imparare a convivere.”
Shouyou esitò, dischiuse le labbra ma non uscì neanche un suono dalla sua bocca. Le sue dita lasciarono andare lentamente il polso del giovane Maestro ma non abbassò lo sguardo neanche per un istante. “Mi dispiace per averti disturbato...”
Tobio imbronciò la bocca di fronte a tanta quieta educazione ma non gli dispiaceva così si voltò e tornò in camera sua senza battere ciglio. Distesosi sul suo letto incrociò le braccia dietro la testa osservando le stelle visibili dal soffitto della sua camera. Gli avevano tenuto compagni fin dalla sua infanzia e gli erano di gran conforto nelle notti in cui gli incubi non lo lasciavano in pace ma non c’era nessuno a cui chiedere aiuto.
”Non c’è nulla di male nell’aver paura, Tobio.”
Hajime glielo aveva ripetuto innumerevoli volte durante la sua infanzia, quando lui e gli altri correvano nella sua camera spaventati dopo che un suo incubo lo aveva spinto a provocare qualche danno attraverso forze non comandate dalla sua volontà.
”Non c’è nulla di debole nell’essere spaventati.”
Hajime e Koushi avevano dormito in quello stesso letto accanto a lui innumerevoli notti quando l’oscurità che percepiva nella Forza era troppo grande perché potesse distinguere gli incubi dalla realtà. Si erano presi cura di lui anche se questo voleva dire andare contro le regole.
”Vuoi sapere una cosa, Tobio? Le stelle sono sempre le stesse in qualunque cielo...”
Non era tecnicamente vero ma Koushi era stato molto convincente nel raccontargli quella storia mentre gli passava una mano tra i capelli dolcemente ed il calore del suo corpicino da bambino si confondeva con quello dell’altro sotto le coperte. Tobio aveva sempre pensato che poter avere Koushi in quel modo fosse un po' come avere una mamma ma non era mai riuscito a spiegarsi il perché.
”Quando non siamo con te... Quando l’universo ci tiene lontani, guarda le stelle e pensa che lo stiamo facendo anche noi pensando a te... Guarda le stelle e saremo insieme pur non essendo vicini...”
Chissà se Koushi stava guardando le stelle anche quella notte in cui erano lontani come non lo erano mai stati?
Tobio strinse le labbra e chiuse gli occhi. “Idiota...” Mormorò alzandosi dal letto.
 
 
***
 
 
Quando la porta della sua camera si aprì e Koushi incontrò gli occhi dorati di Tooru, il suo cuore saltò un battito. “Che cosa succede?” Domandò spaventato, come se quello che aveva davanti non fosse un nemico da cui difendersi ma il ragazzino con cui aveva condiviso i suoi segreti più grandi.
Tooru strinse le labbra e scosse la testa. “Nulla...”
“Sei terrorizzato,” commentò Koushi con una premura che non avrebbe voluto esternare.
Il Re dei Sith scrollò le spalle e si sedette accanto al Jedi sul bordo del letto, lo sguardo rivolto al pavimento. “Non riesci a dormire?” Domandò.
Koushi guardò il cielo stellato fuori dalle alte finestre. “Guardavo le stelle...” Rispose. “Quando era bambino, abbiamo provato ad usare con Tobio quella storia che avevamo creato per noi riguardo alle stelle che sono visibili in tutti i cieli...”
Tooru accennò un sorriso nostalgico ed annuì.
“Volevo vedere se funzionava ancora,” concluse Koushi.
“Wakatoshi mi ha detto di venire da te,” confessò Tooru di colpo.
Koushi trattenne il respiro per un istante ma, per sua fortuna, l’altro non se ne accorse.
“Ha sempre avuto particolare fiducia nella tua gentilezza,” aggiunse il Sith. “Come me, del resto...”
Il Jedi scosse la testa. “La mia gentilezza era solo una maschera per nascondere l’invidia, per darmi un valore che non avevo.”
“Hai ancora questo vecchio vizio di sminuirti in qualsiasi situazione eh, Koushi?” Tooru si alzò, incrociò le braccia contro il petto ed appoggiò la spalla ad una delle alte colonne che sorreggevano il soffitto. “Le stelle...” Sussurrò ma l’altro lo udì chiaramente. “Nelle notti in cui i miei incubi non mi lasciano andare, le guardo anche io...”
Koushi si sollevò in piedi a sua volta. “Il figlio della Forza subisce ancora la sua oscurità?”
Tooru rise senza gioia. “Io non sono figlio della Forza, sono nato da quell’oscurità... Come essa stessa continua a ripetermi.”
Koushi gli andò vicino. “Senti ancora quella voce nella tua testa?”
Tooru scosse la testa. “No... Sono forte abbastanza perché quella voce non possa più raggiungermi. Dovrebbe essere la Forza, luce o ombra che sia, ad inginocchiarsi al mio cospetto e non il contrario.”
“Questa è blasfemia, Tooru...”
Tooru lo guardò dritto negli occhi. “Ci hanno tolto ciò che abbiamo messo al mondo, Koushi,” gli disse freddamente. “Esiste atto più blasfemo di questo.”
Il cuore di Koushi saltò un battito ed abbassò lo sguardo per impedire al Sith di vedere le lacrime che velocemente gli salirono agli occhi. “Non voglio parlare di questo,” disse con tono imperativo. “È accaduto anni fa, l’ho dimenticato.”
“Bugiardo...”
“Tooru,” non c’era alcuna gentilezza sul viso di Koushi quando lo guardò. “Non so perché Wakatoshi ti abbia mandato da me ma se sei venuto per dimenticare il tuo dolore alimentando il mio, ti ricordo che ho il potere di fare lo stesso.”
Tooru non si sentì minacciato in alcun modo. Sembrava triste, piuttosto. “Non ne hai mai parlato con nessuno in tutti questi anni, vero?”
Koushi scosse la testa. “No...” Inspirò profondamente. “E tu non hai mai tradito il mio segreto, nonostante tutto...”
“Sarebbe stata una crudeltà inutile.”
Il Jedi annuì. “Di che cosa volevi parlare? Che cosa hai sentito da spaventarti tanto?”
Tooru tornò a guardare le stelle sopra di loro. “Hajime...” Rispose. “Ho sentito il suo dolore come mio.” Non gli disse che aveva anche desiderato poter correre da lui, prima che la ragione gli imponesse di ricordarsi della situazione in cui si trovavano.
“Ti capita ancora?” Domandò Koushi.
Tooru rise. “Koushi, lo so che sei un amico devoto e che sei bravo a mantenere i segreti ma non devi fingere di non sapere anche questo...”
L’altro abbassò lo sguardo. “Hajime non ne ha mai parlato con nessuno, in verità.”
“Hajime è sempre stato incapace di nascondere le sue emozioni.”
“Ogni volta che correva da te in segreto, ci terrorizzava la possibilità che non sarebbe tornato.”
Tooru rise di nuovo e fu un suono straziante da udire. “Non c’è mai stato questo pericolo, Koushi,” lo rassicurarono. “Mai... Anche se ci concedevamo di cadere nelle nostre stesse debolezze ancora e ancora e ancora... C’era troppo orgoglio, troppa rabbia e c’eravate voi. Hajime sarebbe sempre tornato a casa, indipendentemente da quello che desiderava il suo cuore.”
Koushi non rispose. Il legame tra Tooru e Hajime era qualcosa che non si sarebbe mai permesso di giudicare. Negli anni, si era limitato a fare quello che era in suo potere perché i suoi amici non soffrissero ma, dopo, era stato impossibile evitarlo. Tutto quello che aveva potuto fare dopo che Tooru aveva tradito loro e Hajime aveva tradito il suo stesso cuore, era stato prendersi cura di Tobio. No, forse non era stato un atto di gentilezza nemmeno quello. Forse, aveva stretto quel bambino a sé solo per cercare di riempire un vuoto che non sarebbe mai sparito.
“Parlami di lui,” tremò la voce di Tooru nel pronunciare quelle parole.
“Non hai il diritto di chiedermelo ed io non ho il dovere di rispondere,” replicò Koushi. I loro cuore potevano sfiorarsi ancora ma ciò non cambiava tutto il resto: Tooru lo aveva reso un prigioniero, aveva portato Daichi lontano da lui e non sapeva in che condizioni versassero i loro amici.
Tutto questo per Hajime. Tutto questo per Tobio.
Non sapeva a chi si riferisse Tooru in quel momento ma Koushi sapeva che non gli avrebbe consegnato nessuno dei due nemmeno con le immagini di una vita che, probabilmente, il Re dei Sith rimpiangeva ma non gli apparteneva.
Tooru se ne andò senza aggiungere altra parola.
 
 
 
***
 
 
Shouyou teneva gli occhi fissi sull’oscurità che dominava la sua piccola camera come se qualcosa potesse spuntare fuori dal nulla e fargli del male. I veri mostri, però, non erano lì, intorno a lui... Erano nella sua testa e sapeva perfettamente che se avesse chiuso gli occhi lo avrebbero attaccato tutti insieme, divorandolo.
Era talmente teso che gli scappò un urletto quando la porta scorrevole si aprì di colpo e vide un’alta figura scura sulla soglia. “Ho sognato la mia nascita...”
Quella frase detta dal nulla fu talmente idiota che Shouyou si sentì improvvisamente rassicurato e comprese che si trattava di Tobio ancor prima che questi si richiudesse la porta alle spalle ed accendesse la luce. Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Sai di non essere molto normale, vero?”
Tobio lo guardò immediatamente in cagnesco. “Stupido io che sono tornato per distrarti da qualsiasi incubo del cazzo tu abbia fatto!” Esclamò voltandosi.
“Aspetta!” Esclamò Shouyou ma rideva. “Aspetta, dai!”
Tobio si fermò, strinse i pugni ma non lo guardò.
“Te lo sei inventato o è successo davvero?” Domandò Shouyou.
Il giovane Maestro lo guardò storto da sopra la propria spalla. “È successo davvero, idiota...”
Shouyou si sedette contro i cuscini. “Come fai a sapere di aver sognato la tua nascita? Poteva essere un sogno come un altro.”
“Non lo era,” concluse Tobio sedendosi sul bordo del piccolo letto senza permesso. “Lo so che non lo era.”
Per Shouyou, quel discorso non aveva alcun senso ma, alle volte, comprendere il suo Maestro era un’impresa ancor più complicata del batterlo in un duello. “E com’è?”
Tobio lo guardò. “Com’è cosa?”
“Com’è nascere?” Domandò Shouyou come se fosse ovvio. “Hai detto di aver sognato la tua nascita. Se i tuoi sogni sono nitidi quando i tuoi incubi e quanto i miei, dovresti aver sentito nitidamente qualcosa.”
Tobio storse la bocca e prese a pensarci. “È... È come nascere,” concluse.
Shouyou sbuffò. “Che risposta idiota.”
“Questo non accetto di sentirlo dire da te, stupido!”
“Hai visto tua madre?”
“Eh?”
Shouyou scrollò le spalle. “Hai sognato la tua nascita. Tua madre avrebbe dovuto essere lì, a meno che tu non sia nato in qualche modo strano e non lo escludo. Forse, sei...”
“Ti proibisco di dire ad alta voce qualsiasi stronzata ti sia passata per la testa in questo momento,” lo bloccò Tobio con tono glaciale. “In ogni caso, sì, ho visto qualcosa...”
Gli occhi di Shouyou si fecero lucenti di curiosità. “E com’era?”
“Uhm?”
Il piccoletto sbuffò esasperato. “Stai ancora dormendo, Tobio? Ti ho chiesto com’era tua madre!”
Tobio puntò gli occhi blu a terra. Riuscì ad afferrare l’eco di quella sensazione spaventosa seguita dal calore rassicurante del corpo di qualcun altro. Ricordava un sorriso. Ricordava l’amore in quel sorriso.
”Hai il cielo negli occhi...”
“Aveva gli occhi grandi... Scuri...” Disse Tobio senza pensare, poi sentì male alla testa e smise si sforzarsi di ricordare. “Non ho visto altro...”
“Occhi grandi e scuri,” ripeté Shouyou guardandolo. “Almeno, ora sai che hai gli occhi di tuo padre.”
Tobio inarcò un sopracciglio scuro. “Come puoi dirlo?”
Shouyou reclinò la testa da una parte e lo fissò con un’aria saccente che quasi spinse il Maestro a prenderlo a pugni in faccia. “Lo dico perché vedo i tuoi. Tu hai il cielo negli occhi, non li hai scuri.”
La risposta acida che Tobio si era preparato in modo quasi meccanico restò congelata nella sua bocca. “Che cosa hai detto?” Domandò.
Shouyou lo guardò confuso. “Che hai il cielo negli occhi,” ripeté. “Cosa c’è? Non lo sai. Hai un aspetto spaventoso ma ti sarai anche guardato allo specchio qualche volta, no?”
Tobio tentò di afferrarlo ma Shouyou si scostò appena in tempo. Rimasero immobili per un istante e si fissarono, poi il Cavaliere Jedi tentò di nuovo ed il giovane Padawan lo evitò ancora ancora una volta. Tobio si infuriò. “E fatti prendere, piccolo idiota!” Si spostò completamente sopra il letto afferrando le braccia di Shouyou per tenerlo fermo ma il piccoletto gli assestò una ginocchiata nello stomaco. Tobio si sentì mancare il fiato e collassò di lato, finendo giù dal letto.
Shouyou ebbe appena il tempo di fare un sorriso vittorioso, poi si rese conto che la stretta delle mani di Tobio sulle sue braccia non si era fatta allentata.
Caddero entrambi a terra, Tobio sulla schiena e Shouyou sopra di lui.
Il Cavaliere Jedi strinse gli occhi ed imprecò ad alta voce, l’altro si concesse un istante per rendersi conto che non si era fatto male in nessun modo particolare, poi si fece leva sul petto del ragazzo sotto di lui e lo guardò dall’alto al basso con un sorriso luminoso. “Questa volta sei finito a terra tu,” gli fece notare. “Siamo pari!”
Tobio lo guardò in cagnesco, poi ghignò con fare diabolico. “Significa che mi devi una rivincita!” Esclamò, poi lo sollevò di peso e lo gettò di nuovo sul letto. “Nessuno dei due vince fino a che l’altro non si arrende!”
Suo malgrado, Shouyou rideva.
 
 
 
“Mi racconti questa storia del Re dei Sith?” Domandò Shouyou steso sul ramo su cui si era arrampicato. Cominciava a divenire impossibile allenarsi quando il sole raggiungeva il punto più alto nel cielo e Tobio aveva concesso ad entrambi una lunga pausa all’ombra di uno dei grandi alberi del parco. “Pensavo fossi cresciuto ascoltando storie da tutti gli angoli della galassia,” rispose il giovane Maestro sedendosi su una delle enormi radici che fuoriuscivano dal terreno. Aprì il suo zaino e ne tirò fuori due male: si era organizzato affinché non fossero costretti a tornare al Tempio a metà giornata, economia di tempo.
Afferrò il piede che Shouyou lasciava ciondolare oltre il ramo dell’albero ed il Padawan si sporse per vedere che cosa volesse. Tobio gli lanciò la sua mela e l’altro l’afferrò senza fatica.
“Grazie!” Disse con un sorriso, poi tornò a stendersi e a guardare il cielo. “Per la cronaca, ho sentito parlare dei Signore Supremo ma mai del Re dei Sith. Non sapevo esistesse nemmeno un titolo del genere nella loro gerarchia... Voglio dire, che senso ha avere un Re quando si ha un Signore Supremo?”
“Non è un titolo,” chiarò Tobio addentando la sua mela. “È una sorta di soprannome.”
Shouyou ridacchiò e si sollevò sui gomiti. “Come il tuo è Re dei Jedi!” Esclamò con la bocca piena. Lo sguardo gelido che Tobio gli lanciò a quell’affermazione per poco non lo fece strozzare.
“Comunque,” aggiunse dopo qualche colpo di tosse. “Chi è?”
Tobio scrollò le spalle. “Non conosco il suo nome,” ammise. “Non l’ho mai incontrato sul campo di battaglia ma so che era un Cavaliere della generazione dei miei Maestri, come il Signore Supremo.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Pensavo che il Signore Supremo fosse un uomo tanto vecchio d’aver visto la nascita della galassia!”
Tobio alzò gli occhi al cielo a quell’esagerazione. “Il Signore Supremo di cui parli tu è quello precedente, è stato sconfitto più di dieci anni fa dai Jedi della Tobio-Starship. Quello attuale è stato un suo allievo, poi un Padawan...”
Shouyou si mise a sedere e lo guardò confuso. “Era una spia?”
“Proprio così,” Tobio fissò la sua mela. “Ha tradito tutti i compagni con cui è cresciuto.” Addentò una mela e masticò il boccone lentamente.
Shouyou si era fatto serio: quella storia non era epica come quelle che raccontavano al porto spaziale in cui era cresciuto. Avrebbe voluto prendersela con Tobio e la sua incapacità a raccontare storie decentemente ma, evidentemente, non era quello il problema. Non ci aveva ancora fatto l’abitudine: tutte le grandi storie della sua infanzia non erano mai state raccontate da chi le aveva vissute. Tobio aveva la sua età e, di certo, non aveva potuto combattere contro il Signore Supremo ma le persone che gli avevano raccontato quella storia erano le stesse che avevano guardato in faccia quell’oscurità. Quelle che per Shouyou erano favole con cui sognare, per Tobio erano realtà passate da cui apprendere.
“Il Re dei Sith ha imboccato una strada simile,” aggiunse Tobio lanciando il torsolo della sua mela a terra. “Un Padawan dalle prodigiose capacità passato al Lato Oscuro dopo aver tradito il suo mondo.”
“Ma chi comanda dei due?” Domandò Shouyou confuso.
Tobio recuperò la borraccia piena d’acqua dal suo zaino e bevve un sorso. “Dicono che siano amanti e che questo loro legame sia stata la causa della loro caduta al Lato Oscuro.”
Gli occhi d’ambra di Shouyou divennero enormi. “Cosa?” Domandò senza parole.
Il suo Maestro lo guardò annoiato. “Evitami la reazione idiota...
Shouyou lo guardò storto ed arrossì. “Non hai capito!” Affermò sedendosi in modo da far penzolare entrambi i piedi nel vuoto e per poco non diede un calcio in faccia al suo Maestro. Tobio guardò i due stivaletti chiari muoversi avanti ed indietro davanti ai suoi occhi meditando seriamente di afferrarne uno e di far precipitare il piccolo stupido a cui appartenevano a terra ma le parole che seguirono lo distrassero da un tale intento.
“Per quale motivo dovrebbero essere caduti al Lato Oscuro perché si amavano?” Domandò Shouyou ridendo. “Non ha alcun senso questa cosa...” Tobio alzò gli occhi blu su di lui tanto velocemente che sobbalzò e gli angoli della sua bocca si abbassarono immediatamente.
“Non dire mai più una cosa del genere,” lo avvertì il suo Maestro con sguardo raggelante.
Shouyou non replicò: Tobio non aveva mai indossato un’espressione rassicurante per nemmeno un istante nelle ultime settimane ma non lo aveva mai guardato con quegli occhi.
Il Cavaliere Jedi richiuse lo zaino e si alzò dall’enorme radice. “Muoviti...”
“Aspetta,” Shouyou saltò giù dal suo ramo e lo raggiunse. “Tobio, aspetta!”
 
 
 
Hajime non andò a cercare Tobio prima che il sole ebbe raggiunto il punto più alto nel cielo.
Non si disturbò a controllare le stanze d’addestramento del tempio: nemmeno i Maestri più anziani si sarebbero chiusi tra quelle mura in una giornata come quella, così prese la via dei giardini. Sorprese i ragazzi della generazione di Tobio mentre facevano una pausa all’ombra degli alti alberi e chiese a Yuutaro se avesse visto il Cavaliere ed il suo Padawan quella mattina.
Il ragazzo scosse la testa e guardò Akira ma questi rispose con lo stesso gesto.
“Sono vicino al piccolo fiume,” rispose Kei con voce atona seduto ad un paio di metri di distanza.
Hajime lo guardò e lo ringraziò con un cenno del capo.
Tobio, forse, poteva aver preso più o meno seriamente la questione dell’addestramento di Shouyou e di quello che sarebbe riuscito a dimostrare al Consiglio se avesse reso quel piccoletto un Cavaliere Jedi ma questo non gli impediva di continuare a tenersi quanto più distante poteva dai suoi compagni, i suoi uomini e Hajime sapeva che era un difetto che avrebbe dovuto correggere, prima o poi.
Sospirò: il fatto che il suo Padawan fosse uno strappo alla regola vivente e possedesse tutte le caratteristiche per essere diverso su molti livelli non era di certo di grande aiuto. Il vecchio Ukai aveva reso Tobio un Maestro per insegnargli cosa volesse dire avere nelle proprie mani la responsabilità di un’altra persona ma non aveva considerato la possibilità che mettendo insieme due creature uniche queste finissero per isolarsi completamente dal resto del mondo insieme.
Dopotutto, per quella generazione, quanto c’era di più vicino a Tobio era Shouyou, come Wakatoshi era stato quanto di più simile ci fosse a Tooru in quella precedente.
Hajime strinse le labbra a quel pensiero: non era un paragone piacevole e la naturalezza con cui la sua mente lo aveva partorito lo rendeva ancor più molesto. Poi, le voci dei due ragazzini lo riportarono alla realtà.
“C’è un’ultima lezione teorica che devi tenere a mente, se vuoi diventare un Cavaliere Jedi.”
“Ti sto ascoltando. Non hai bisogno di fare quella faccia spaventosa, Tobio.”
Hajime si avvicinò abbastanza da poter vedere l’espressione esasperata sul viso del ragazzo dagli occhi blu che era stato suo allievo. Shouyou era davanti a lui e lo guardava con espressione confusa ma attenta.
“Non può esserci nessun legame nella vita di un Jedi,” disse Tobio con tono gelido.
Hajime sapeva che non si stava rivolgendo a lui ma, in un qualche modo, gli sembrò che lo stesse accusando.
Shouyou parve più smarrito di prima. “Non capisco...” Ammise. “Che cosa significa? È impossibile non creare legami, dovremmo essere perennemente da soli. Lo ha detto tu che i bambini portati al Tempio crescono tutti insieme, no?”
Hajime provò un’immensa tenerezza per l’ingenuità di quelle parole: Koushi gli aveva fornito tutti i dettagli personali di quel piccoletto e non dubitava che, in confronto ad un immenso deserto in cui vivere in schiavitù, quello dovesse apparire come un bellissimo mondo dorato per Shouyou. Non lo era, però. Hajime avrebbe voluto dirgli che non lo era, avrebbe voluto avvertirlo in qualche modo perché, a differenza della maggior parte di loro, aveva conosciuto il calore di una madre.
Per Shouyou, probabilmente, i legami tra le persone erano qualcosa di naturale, d’impossibile da evitare.
Hajime rimase in silenzio: non aveva potuto salvare nemmeno Tobio da quel codice, dopotutto. L’unica consolazione di quella sua complessa personalità era che, probabilmente, non si sarebbe mai sentito soffocare da simile regole come era accaduti a lui, a Tooru e a tutti i loro compagni.
“I legami rompono l’equilibrio,” spiegò Tobio con voce atona ma, quantomeno, paziente. “Portano a perdere la calma e l’obbiettività. Se qualcosa è speciale per il tuo animo, tutto il resto, inevitabilmente, diviene superfluo... Anche l’obbiettivo di una missione che potrebbe decidere le sorte dell’intero universo.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non è possibile quello che dici,” replicò.
“I Jedi combattono per un bene superiore: mantenere l’equilibrio nella Forza. Non può esserci nulla prima di questo, dovresti saperlo.”
“Sì, lo so!” Shouyou si passò una mano tra i capelli ribelli cercando le parole giuste da dire. “Ma non è possibile non creare dei legami. Voglio dire, tu sei in pensiero per Koushi e Daichi e sei arrabbiato per non poter fare nulla per loro, me lo hai dimostrato.”
Tobio fece una smorfia. “Perdita di controllo delle emozioni. Un errore da correggere...”
“Perché un errore?” Shouyou non riusciva a comprendere. “Se succedesse qualcosa a te, immagino che anche il Maestro Hajime perderebbe la testa!”
Hajime si fece teso nel sentirsi nominare ma fu attento a non farsi ancora vedere: il piccoletto stava facendo le domande giuste ma erano le risposte di Tobio che lo interessavano di più. Vide Tobio stringere i pugni. “C’insegnano ad essere leali con i nostri compagni,” disse con voce monocorde, come se stesse ripetendo una lezione a memoria. “Ci dicono che il compagno al nostro fianco potrebbe salvarci la vita e quindi gli dobbiamo rispetto, come ai nostri Maestri. Ci crescono insieme per insegnarci a condividere, per fare di noi un gruppo unito.”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “E non è un legame questo?”
“Tutti noi siamo consapevoli che perderemo qualcuno dei nostri compagni o dei nostri Maestri, prima o poi,” continuò Tobio. “La prova sta nel riuscire a non farsi schiacciare dal dolore e dalla rabbia per una simile perdita.”
Shouyou annuì appena. “Questo posso comprenderlo,” disse. “Il dolore e la rabbia possono far paura e le cose che fanno paura sono pericolose...”
Hajime sorrise di fronte a quel ragionamento d’ingenua logicità.
“Capisco anche che combattere per mantenere l’equilibrio abbia il suo prezzo,” aggiunse il piccoletto. “Ma se il Re dei Sith ed il Signore Supremo sia amavano, che motivo avevano di provare rabbia o dolore?”
Hajime sentì il cuore mancare un battito e, ancora una volta, ebbe come la sensazione che quelle parole fossero un’accusa rivolta a lui.
Tobio reclinò la testa da un lato. “Hai una ragazza o qualcosa del genere?” Domandò con un’espressione tanto dubbiosa che si sarebbe potuta interpretare come un insulto non verbale.
Shouyou soffiò come un gatto a cui è stata tirata la coda. “Come se lo venissi a dire a te!”
Tobio scrollò appena le spalle con un ghigno. “Ovvio che non ce l’hai!”
Il viso del piccoletto divenne più acceso del colore dei suoi capelli. “Ma stai un po’ zitto! Tutto questo monologo sul rispetto per i compagni e qui nessuno ti sopporta!”
Hajime strinse le labbra per non scoppiare a ridere: il piccoletto sapeva il fatto suo!
“La mia unica sfortuna in questa storia è che sei tutto quello che ho e ti devo sopportare!” Concluse irritato.
Di colpo, Hajime non si sentì più così divertito.
”Sei tutto quello che ho...”
Si umettò le labbra e decise di fare un passo in avanti, prima che Tobio decidesse di passare alle mani. “Tobio,” chiamò. Il piccoletto sobbalzò, gli occhi blu del giovane Cavaliere si fecero quieti nel riconoscerlo.
“Maestro,” lo salutò con un cenno del capo.
Hajime sorrise. “Non sono più il tuo Maestro,” disse per l’ennesima volta appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo.
“Mi cercavi?”
“Sì, devo comunicare ad entrambi l’ultima decisione del Consiglio,” rispose Hajime ma lo fece guardando Shouyou e continuò a farlo mentre informava entrambi di quanto il vecchio Ukai aveva deciso. Hajime vide quei grandi occhi d’ambra divenire più opachi, vide le labbra piene schiudersi ma nessuna parola uscì dalla bocca del Padawan.
Hajime non si sorprese particolarmente del modo in cui, invece, gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, mentre un sorriso sicuro e vittorioso nasceva su quelle labbra dalla linea perennemente dura. Shouyou guardò il suo Maestro con aria smarrita ma per Tobio fu come se il piccoletto non fosse nemmeno lì. Per la seconda volta, Hajime provò tenerezza per quel ragazzino: i legami ed il loro modo crudele di essere una lama a doppio taglio.
Shouyou non aveva avuto altra scelta che fidarsi di Tobio quando glielo avevano affidato e, nonostante il brutto carattere del suo Maestro, non aveva potuto fare a meno di legarsi in qualche modo a chi era stato obbligato a renderlo un Jedi. Shouyou non apparteneva a quel mondo ma la presenza di Tobio gli permetteva di farne parte, fino a che non avrebbe saputo costruirsi il suo posto da solo.
Dopo poco più di un mese di addestramento, quel momento non era certo arrivato ma Tobio non sembrava farsene un problema.
Alla fine, Shouyou abbassò lo sguardo e rimase in silenzio mentre Tobio accettava di correre incontro ad un’impresa che non avrebbe messo alla prova solo le sue capacità come Cavaliere Jedi ma anche come persona. Lui, però, non lo sapeva.
E, ancora una volta, Hajime non disse nulla.
 


 
   
 
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