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Autore: Ode To Joy    24/12/2015    5 recensioni
(Kageyama x Hinata)
(Iwaizumi x Oikawa)/(Ushijima x Oikawa)
“La senti? È la tua Forza che chiama la mia. Lasciala entrare... Lasciami entrare, Tobio.”
In questo universo non può esistere Luce senza Ombra. Così è sempre stato e così sempre sarà e l'equilibrio non è altro che un momento sospeso nel tempo prima che l'eterna lotta continui.
“Non hai ragione di temere il Lato Oscuro, Shouyou. È esso che dovrebbe temere te. Tu splendi... Le ombre si diradano intorno a te.”
Il tumulto dei sentimenti non ammette nessuna forma di equilibrio ma cosa rimane senza di essi? Una pace vuota, misera.
“Facciamo un patto: tu fai di me un Jedi ed io ti faccio diventare invincibile.”
Alla fine, ciò che conta non è scegliere tra Ombra e Luce ma trovare il modo di farle convivere entrambe dentro di sè.
(Star Wars-AU indipendente dalla saga originale.)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A dreamer is one who can only find his way by moonlight
 
 
 
Delle risate.
Delle risate serene, allegre.
“Hai scelto il nome?” Una domanda dolce, appena sussurrata.
“Lo sceglieremo insieme quando lo conosceremo.”
“Ma io lo conosco già,” una risata leggera. “E lui conosce noi. Può sentirci, lo sai?”
“Lui? Credevo non volessi saperlo...”
“Non volevo saperlo perché già lo so.”
“E come lo sai?”
“Lo so e basta...”
Una pausa. Altre risate. Aveva gli occhi chiusi ma non voleva aprirli, stava caldo, si sentiva al sicuro. “Vuoi dirgli qualcosa?” Domandò la prima voce. “Se gli parli spesso riconoscerà la tua voce, quando arriverà. Già lo fa un poco, credo...”
“Come lo sai?”
“È tranquillo solo in due momenti: quando canto la ninna nanna e quando ci sei tu.”
Una carezza ma non era una vera carezza. Gli piaceva, però.
“Ho pensato ad un nome, in verità...”

 
 
“Tobio!”
Gli occhi blu si aprirono di colpo e si ritrovarono a fissare il cielo azzurro del mattino al di là della vetrata sul soffitto della sua camera. Qualcosa salì sul suo letto rimbalzando e facendolo rimbalzare a sua volta. “Tobio!” Lo chiamò ancora una voce petulante mentre due grandi occhi color ambra comparivano nel suo campo visivo, insieme ad una matassa di capelli ribelli dal colore impossibile.
Ci fu un lungo, riflessivo momento in cui Tobio pensò di dargli una testata sul naso con la speranza che sanguinasse abbondantemente ma, dopo, avrebbe sporcato le sue lenzuola e avrebbe dovuto spiegare perché il suo Padawan se ne andava in giro piagnucolando e seminando gocce di sangue ovunque e non avrebbe vissuto abbastanza per sentire la fine dei rimproveri che sarebbero seguiti.
Quindi, in una di quelle rare occasioni in cui la cosa gli tornava utile, Tobio fece appello a principi molto Jedi come la calma e la pazienza.
“Tobio! Hai gli occhi aperti! Lo so che sei sveglio, non ignorarmi! Dobbiamo allenar...!”
Un colpo alla testa fece cadere Shouyou giù dal letto con la stessa velocità con cui ci era salito.
Al diavolo i principi!
 
 
***
 
 
Wakatoshi non aveva un colore preferito e, a dispetto del lato della Forza di cui faceva parte, non era particolarmente affezionato al nero. Troppo cupo. Troppo morto e, sebbene non fosse quello che lasciava passare attraverso i suoi gesti, Wakatoshi era un uomo fatto d’impulsi e passioni come un degno Signore Supremo dei Sith.
Gli occhi dorati che lo guardavano, invece, erano vibranti di vita e di una passione tanto grande che nemmeno l’universo stesso avrebbe potuto contenerla. “Sembri soddisfatto,” disse il suo amante con un sorriso dalle sfumature diaboliche chinandosi su di lui per concedergli un bacio caldo, umido. “Posso ritenermi il responsabile di tanta soddisfazione?” Appoggiò entrambe le mani sul suo petto e vi fece leva per sollevarsi di nuovo e guardarlo dall’alto. I capelli castani gli ricaddero sul viso coprendogli uno di quegli occhi meravigliosi, più splendenti di qualsiasi stella nell’universo.
Wakatoshi gli accarezzò i fianchi. Non lo aveva lasciato più andare da quando lo aveva raggiunto a letto, gli sarebbe stato impossibile. “Sarebbe più opportuno dire che non ti potrei mai guardare con delusione.”
Non era oggettivamente possibile, non quando quel giovane uomo rappresentava il suo capolavoro per eccellenza.
Il suo amante mosse appena i fianchi e tanto bastò per farlo impazzire di desiderio come se non lo avessero appena consumato tra quelle lenzuola. “Io, invece, non sono ancora sazio,” disse con voce sensuale. “E tu, mio Maestro?”
Wakatoshi gli sorrise appena, poi aumentò la presa sui suoi fianchi e ribaltò le loro posizioni. Il suo capolavoro rise, le gambe ancora intorno alla sua vita. “Lo devo prendere come un sì?” Domandò.
Wakatoshi gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli castani dalle punte arricciate all’insù dagli occhi. Voleva guardarli per tutto il tempo. “Non sono più il tuo Maestro da tanto tempo.”
L’altro rise alzando una mano e passandogliela tra i capelli. “Facevamo l’amore anche allora...”
Wakatoshi strinse le dita fino a sentire la curva delle ossa del bacino contro i palmi delle mani. Si mosse in avanti. Fu un movimento secco, veloce. Il suo capolavoro inarcò la schiena, chiuse gli occhi e lasciò andare un gemito caldo, sincero. Almeno in quelle occasioni, Wakatoshi era certo che lo fosse. Non poteva giurarlo il resto del tempo.
Certe volte, non era certo nemmeno che fosse con lui.
Quando alzava quegli occhi meravigliosi verso le stelle, era come se ci fosse un’intera galassia di distanza tra loro ed al suo capolavoro piaceva molto guardare le stelle. Lo aveva tentato lui verso il Lato Oscuro, questo era vero ma il suo allievo lo aveva abbracciato in un modo che a Wakatoshi non era dato comprendere a pieno.
“Ehi...” Il suo capolavoro gli passò una mano sul viso. “Sei con me?”
E tu dove sei quando sei qui ma mi sembra di non riuscire nemmeno a sfiorarti? Pensò. Coprì quella mano con la sua. “Dove altro potrei essere?”
Il giovane uomo sotto di lui sorrise, gli occhi si accesero come stelle. Wakatoshi lo baciò come se da questo dipendesse la sua stessa vita.
 
 
***
 
 
 
“Non ci alleniamo con gli altri ragazzi?” Domandò Shouyou guardando fuori dalla finestra dell’enorme salone in cui Tobio lo aveva portato. Si vedevano i giardini da lì e varie coppie di giovani erano impegnati a duellare amichevolmente tra di loro senza la supervisione di un superiore.
“Sei lontano anni luce dalla preparazione di quei ragazzi,” disse Tobio con voce neutrale, come se si limitasse ad affermare un fatto reale e non volesse offendere l’altro in alcun modo. Shouyou lo guardò storto comunque. “Che stai facendo?” Domandò
Tobio aveva tra le mani un piccolo droide rotondo e continuava a premere un pulsante dietro l’altro provocando una serie infinita di bip che Shouyou cominciava a trovare noiosa. “Questo è un droide d’addestramento,” spiegò Tobio e guardò il suo Padawan per un istante con una smorfia sarcastica. “Lo usano per i bambini.”
Questa volta l’offesa era chiara e voluta e Shouyou lo guardò con aria di sfida. “Potrei sorprenderti!”
Tobio rise senza gioia. “Ne dubito...” Lasciò andare il droide e questo rimase sospeso a mezz’aria, poi Shouyou se lo vide arrivare vicino e sparare contro di lui. Riuscì a schivare il colpo che creò un’evidente bruciatura sul muro ma sentì il cuore arrivargli in gola. “Che diavolo...?”
Tobio aggrottò la fronte: aveva appena visto quel piccolo idiota schivare un colpo che un normale essere umano non avrebbe nemmeno visto arrivare? Doveva essere la fortuna del principiante. In ogni caso, non si stava comportando diversamente dalle sue previsioni. “La spada, idiota,” disse con una smorfia. “Sei armato di spada.”
Shouyou sgranò gli occhi ed annuì, come se lo avesse ricordato solo in quel momento e prese la spada laser con entrambe le mani nello stesso momento in cui il droide gli colpì una gamba. L’arma gli cadde di mano e premette il palmo sul punto leso. “Brucia!” Esclamò arrabbiato.
Con chi, Tobio non sapeva proprio dirlo. Sospirò annoiato, poi disattivò il droide con il controllore remoto che aveva tra le mani. Questo cadde a terra, privo di vita. Shouyou lo fissò, poi alzò lo sguardo sugli occhi blu del suo Maestro. “Perché lo hai fermato?”
“Perché quel coso non può ucciderti ma se ti colpisce in un occhio non è piacevole!” Esclamò Tobio scocciato, poi si avvicinò alla spada rotolata sul pavimento. La porse al Padawan e lo guardò dall’alto al basso con sguardo tagliente. “Non lasciarla mai andare,” gli disse. “È la prima regola che devi imparare. Qualsiasi cosa ti succeda, qualsiasi cosa il tuo corpo ti comandi di fare con le tue mani, non lasciare mai andare la spada. Qui il massimo che può succederti è che ti cada a terra ma in un campo di battaglia è un attimo prima che tu la perda di vista e disarmato contro un Sith sei più morto di una formica sotto la suola del tuo stivale.”
Shouyou riprese la sua spada ed annuì. “Ho capito...”
“Devi fare in modo che il tuo nemico si senta costretto a tagliarti un arto pur di disarmarti,” continuò Tobio.
Gli occhi d’ambra si fecero enormi, spaventati. “Tagliare un arto...”
Tobio ghignò. “Non temere. Se andrai in missione così, punteranno alla testa e non sentirai nulla.”
Shouyou strinse le labbra e la sua espressione si fece dura. “Non sono venuto qui per farmi sconfiggere!”
“Dimostramelo!” Esclamò Tobio facendo tre passi indietro e riattivando il droide. “Ancora una volta!”
 
 
***
 
 
 
Quando si risvegliò, Wakatoshi trovò il suo amante ancora accanto a lui e la cosa lo sorprese piacevolmente: non era il tipo da fare pause, il suo capolavoro e non era raro che si alzasse una volta consumata la passione per andarsi ad allenare con qualcun altro dei Sith.
Quei giorni, però, erano speciali.
Wakatoshi lo aveva capito dal modo in cui sorrideva, dal modo in cui faceva l’amore con lui, dal modo in cui dava di spada con qualcuno dei loro compagni. Qualcosa si era risvegliato. Non poteva dire di non averlo percepito, c’erano riusciti tutti ma per il suo allievo era stato come qualcosa di personale e Wakatoshi sapeva quanto il ruolo di quel giovane Cavaliere Jedi che aveva sbaragliato i loro uomini avesse importanza in quella storia.
Il suo capolavoro gli dava le spalle, steso su un fianco, il lenzuolo tirato appena fino alla vita. Era sveglio, lo sentiva. Fissava le stelle fuori dalla vetrata della nave spaziale e Wakatoshi decise che era tempo che lasciasse perdere quelle costellazioni ed ovunque lo portassero per tornare lì, a quel momento, con lui. Gli passò un braccio intorno alla vita e gli baciò una spalla. Il suo amante s’irrigidì appena per la sorpresa, poi sospirò. “Sei sveglio...”
Wakatoshi avvertì il suo sorriso nella sua voce. “Mi fa piacere trovarti ancora a letto.”
“Mi sono incantato a guardare le stelle.”
Lo sapeva ma non glielo disse. “È quel ragazzo che ti tiene sveglio?”
L’altro sospirò di nuovo. “Non dovrei essere così facile da leggere...”
“Non lo sei,” confermò Wakatoshi. “Non di solito, comunque. Sei diverso, in questi giorni.”
Quegli occhi dorati si voltarono finalmente a guadarlo. “Abbiamo sentito tutti quel risveglio. Lo abbiamo sentito la notte stessa in cui i nostri uomini sono stati sconfitti così facilmente, come se fosse una cosa inevitabile.”
Wakatoshi annuì. “Sì, l’ho sentito ma non ho saputo capire a quale lato appartenesse.”
Il suo capolavoro tornò a guardare le stelle. “Esatto... Tobio è ancora una crisalide, non appartiene a nessun lato della Forza in particolare e non è detto che, crescendo, segua la strada su cui lo hanno spinto fin da bambino.”
“E tu vuoi spingerlo dalla nostra parte?”
Ci fu qualche istante di silenzio, prima di che il suo allievo parlasse di nuovo. “Voglio dargli quello che il suo Maestro non deve mai avergli dato,” disse, “una possibilità di scelta.”
Rise.
“Solo dopo averlo sconfitto come si deve, ovviamente,” aggiunse. “Già lo additano come il prodigio della sua generazione, non vogliamo che il moccioso si monti la testa, vero?”
“Nessuno lo ha paragonato a te,” gli fece notare Wakatoshi.
“Perché nessuno di quei Cavalieri riesce a pronunciare il mio nome,” il suo amante rise ancora. “È il mio erede, che io lo voglia o no... Che loro lo vogliano o no...”
Wakatoshi si distese sulla schiena e sospirò. “Lo stai sopravvalutando...”
Il suo capolavoro rivolse gli occhi dorati alle stelle ancora una volta. “Lascia giudicare me,” replicò. “È ormai giunta l’ora...”
 
 
***
 
 
 
Se Tobio fosse stato onesto (e non lo sarebbe mai stato per nessuna ragione nell’intero universo), avrebbe ammesso che Shouyou lo aveva sorpreso.
Da quante ore stavano andando avanti? Il cielo si era fatto scuro, quindi parecchie. Shouyou era ancora in piedi ed aveva più bruciature addosso di quante un novellino potesse sopportare ma non demordeva. “Ancora!” Esclamava ogni volta che Tobio disattivava il droide per fargli riprendere fiato. Minacce a parte, se avesse perso un occhio durante il suo primo giorno d’addestramento non sarebbe stato compromesso solo il suo futuro e, per quanto a Tobio non andasse giù, ogni passo in avanti che Shouyou avrebbe fatto non sarebbe stato solo per lui.
“Ancora!” Esclamò Shouyou ma le gambe cedettero e si ritrovò seduto a terra con gli occhi d’ambra sgranati. Si era spinto fino al suo limite e non se ne era neanche accorto. Tobio sospirò e scosse la testa. “Basta così per oggi,” proclamò.
“Non sono ancora stanco!” Replicò Shouyou con convinzione, la spada ancora in mano ma non accennò ad alzarsi dal pavimento. “Devo... Devo solo riprendere fiato...”
Tobio incrociò le braccia contro il petto. “Affrettare le cose non ti renderà più forte.”
“Ma devo farlo, no?” C’era rabbia nella voce di Shouyou. “Hai detto che questi sono esercizi per bambini! Tu hai la mia età e sei un Cavaliere e quanti altri lo sono come te?”
“Io sono un’eccezione,” disse Tobio ma non gli faceva piacere ammetterlo. “E tu come me ma nel senso completamente opposto.”
“Io voglio diventare un Cavaliere!”
“E lo diventerai ma alle mie condizioni!” Il giovane Maestro si voltò e fece per andarsene, poi sbuffò borbottando contro se stesso, tornò sui suoi passi per offrire una mano al suo Padawan. “Avanti...”
Shouyou lo guardò storto. “Faccio da solo...”
“Devo portarti in infermeria e fare qualcosa per quelle bruciature... Non provare a contraddirmi!” Aggiunse Tobio nel vedere l’altro cercare di protestare. “Regola numero due, il tuo corpo è la prima arma che possiedi. Danneggialo irreparabilmente e nemmeno la forza della tua mente servirà a compensare.”
Shouyou annuì, sebbene non lo stesse nemmeno guardando negli occhi.
Tobio aspettò e lasciò che si alzasse in piedi da solo.
 
 
Tobio si muoveva in quell’immenso Tempio come Shouyou soleva muoversi nella sua casetta di appena tre stanze. Lo invidiava. Aveva fatto parte di quel mondo fin dalla nascita e ne respirava l’aria come se fosse un suo diritto. Shouyou ancora si guardava intorno con occhi incantati ed attirava lo sguardo di chiunque li incrociasse camminare lungo i corridoi. La maggior parte delle volte, si ritrovava ad abbassare il viso intimorito, poi si convinceva che, ormai, era uno di loro e non aveva ragione di sentirsi un pesce fuor d’acqua.
Non riusciva a convincersene.
“Togliti i vestiti e siediti sul tavolo,” ordinò Tobio con aria casuale prendendo a trafficare con alcuni strumenti a cui Shouyou non prestò particolare attenzione. Erano state le sue parole a lasciarlo di sasso. “Cosa?”
Tobio lo fissò come se fosse un idiota. “Hai bruciature ovunque! Devi toglierti i vestiti se vuoi che faccia un lavoro decente...”
Shouyou annuì, esitante. Si avvicinò al tavolo al centro della stanza e si portò le mani alla cintura della casacca ma non fece altro. Rimase a fissare un punto nel vuoto di fronte a sè, il labbro inferiore serrato tra i denti, alla disperata ricerca di un modo per togliersi da quella situazione.
“Sei ancora vestito?” Tuonò Tobio scocciato alle sue spalle.
Shouyou sobbalzò, ingoiò aria e, senza pensarci un secondo di più, si slacciò la cintura, si libero della casacca e della tunica leggera che portava sotto. Li ripiegò alla male e peggio in fondo al tavolo e poi si sedette sul bordo, gli occhi d’ambra ben lontani dal viso di Tobio.
L’altro fece il giro del tavolo e cominciò a disinfettargli le bruciature sulla schiena. Shouyou sentì il cotone umido di disinfettante su di lui ed un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Il bruciore era lieve ma strinse le labbra comunque per evitare versi che poi si sarebbe pentito di aver fatto.
Tobio era silenzioso e Shouyou sentì la necessità d’interrompere quel silenzio anche con la questione più stupida che aveva a portata di mano. “Non sanguinano,” commentò fissando alcuni segni rossi sulle sue braccia.
“Certo che no, stupido!” Rispose Tobio. “Sono ferite da laser... Questo genere di danni sanguinano poco o niente. Una spada laser può amputare una mano senza versare una goccia di sangue, se il colpo è preciso. Il calore cauterizza i tessuti...”
Shouyou annuì registrando quelle informazioni come meglio poteva. “Hai detto che sei un’eccezione e che io sono come te...”
“In senso opposto,” si sentì in dovere di sottolineare Tobio.
Shouyou fece una smorfia. “Anche il tuo livello di Midichlorian è oltre la scala, vero?” Non sentì il cotone umido toccargli la pelle per alcuni istanti, poi Tobio riprese a medicarlo. “Sì...” Fu la sua risposta mentre faceva il giro del tavolo e gli arrivava davanti. Shouyou sentì il bisogno d’incrociare le braccia contro il petto, come per nascondersi.
Tobio se ne accorse ed inarcò le sopracciglia. “Pensi di avere qualcosa che io non abbia?”
Shouyou sentì un calore che conosceva bene salirgli alle guance e rilassò di nuovo le braccia lungo i fianchi lentamente. “Mi sento a disagio ad essere guardato così,” cercò di giustificarsi.
Tobio fece una smorfia scocciata. “Ma chi ti guarda? Tieni...” Gli porse le pinze alla cui estremità vi era il cotone umido di disinfettante. “Finisci da solo.”
Shouyou non se lo fece ripetere due volte. “Su quanti pianeti sei stato?” Domandò per non far tornare il silenzio. Tobio sembrò pensarci, poi scrollò le spalle. “Viaggio da quando avevo cinque anni, non credo di ricordarli nitidamente nemmeno tutti.”
Gli occhi d’ambra si fecero grandi, sorpresi. “Credevo che i bambini restassero al Tempio durante l’addestramento base.”
“Ho finito l’addestramento base a cinque anni,” rispose Tobio.
“Ah...” Shouyou si riprese velocemente dalla sorpresa. “Giusto, eccezione...”
“Evita di ripeterlo spesso, stupido...”
Il Padawan fissò il proprio Maestro confuso. “Ti da fastidio?” Domandò come se fosse una cosa che non aveva senso.
“Essere il migliore?” Tobio scosse la testa. “No, ho sempre voluto esserlo e ho fatto di tutto per diventarlo ma, evidentemente, non era questa la lezione che i miei Maestri volevano che imparassi.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Maestri?”
“Sono passato per diverse mani,” raccontò Tobio. “Anzi, diciamo che parecchi si sono presi cura di me contemporaneamente. A dieci anni, il Maestro Hajime mi ha preso con sé in linea definitiva.”
Shouyou sorrise. “Deve essere stato bello...”
“Cosa?”
“In molti si sono presi cura di te, devi avere una grande famiglia...”
Tobio imbronciò la bocca come se stesse seriamente riflettendo su quelle parole. “Non lo so. Non ho mai conosciuto altro...”
Shouyou ridacchiò ma non fu un suono allegro. “Capisco quel che vuoi dire,” disse. “Nemmeno io ho conosciuto altro, oltre alla casetta che ci ha concesso il padrone e la mia mamma.”
“Padrone?”
Il Padawan tornò serio di colpo. “Non ti hanno detto nulla di me?”
“Non ho chiesto,” ammise Tobio. “Non m’interessava...”
Shouyou annuì. “Bene,” rispose. “Non è importante, comunque..”
“No,” il giovane Maestro annuì. “Qualsiasi cosa tu avessi là fuori, è rimasta là fuori. Non so come fosse la tua vita ma ti assicuro che sul cammino che hai deciso di seguire non troverai nulla del mondo a cui sei stato abituato ad appartenere.”
Shouyou gli rivolse una smorfia un po’ indisponente. “Credimi, mi è bastata salire sulla nave spaziale che mi ha portato qui per capirlo.”
“Bene...”
Shouyou finì di medicarsi l’ultima bruciatura, poi riconsegnò le pinze a Tobio e recuperò i suoi vestiti velocemente, come se non vedesse l’ora di rivestirsi. Tobio si accorse anche di questo ma non disse nulla in proposito. “Farò portare nella tua camerata dei vestiti nuovi,” disse. “In quale numero ti hanno messo?”
“Non sono in una camerata,” rispose Shouyou scendendo dal tavolo. “Sono ancora nella stanzetta accanto alla tua.”
Tobio lo guardò e rimase in silenzio per un po’. “Dirò a Koushi di trovarti una sistemazione migliore.”
“Dicono che è meglio che non stia con gli altri ragazzi.”
Tobio gettò via il cotone usato e rimise le pinze al loro posto. Shouyou non comprese la sorpresa nel suo sguardo quando lo guardò di nuovo. “Hai degli incubi?” Domandò.
Il Padawan scosse la testa. “No,” rispose. “Non che ne sia consapevole, comunque. Perché me lo chiedi?”
Tobio lo fissò per qualche istante, poi scrollò le spalle. “Nulla...”
Shouyou rimase a fissare la sua schiena per qualche istante, aspettando che l’altro rimettesse tutto ciò che aveva usato al suo posto. “Posso farti una domanda?” Chiese di colpo.
“Uhm...” Fu tutto ciò che gli concesse Tobio continuando a fare quello che stava facendo.
Shouyou si umettò le labbra. “Per caso tu...?”
La porta dell’infermeria si aprì di colpo ed un gruppo di ragazzi entrò parlando allegramente per poi zittirsi di colpo non appena si resero conto di non essere soli. Shouyou li osservò uno ad uno, approfittando del fatto che stessero fissando Tobio e non lui per una volta. Quello in testa al gruppo era piuttosto alto, ancor più alto del suo Maestro ma i capelli a punta che aveva rendevano il suo aspetto tutto meno che minaccioso. Il ragazzino accanto a lui era più minuto, dall’espressione smorta, mentre il terzo aveva l’aria di un ragazzo completamente comune, con le guance ricoperte di lentiggini. Quando Shouyou passò gli occhi sul quarto, si ritrovò a fare un passo indietro involontariamente. Era l’unico del gruppo che lo fissava e lo faceva in modo piuttosto intenso, nonostante l’espressione di sufficienza che gli rivolgeva. Portava gli occhiali, aveva i capelli biondi ed i suoi occhi avevano qualcosa di simile a quelli glaciali di Tobio ma non sapeva dire cosa.
“Non eri all’addestramento, oggi,” disse il primo, quello con la testa a punta, rivolgendosi a Tobio come se lo stesse accusando di qualcosa. “Sua maestà non può nemmeno svegliarsi presto come i comuni mortali, adesso?”
Shouyou inarcò un sopracciglio e guardò Tobio. Sua maestà?
“Ancora in piedi, Yuutaro,” fu il commento glaciale di Tobio. “Sorprendente...”
L’altro strinse i pugni e lo guardò con rabbia. “Non grazie a te, comunque!”
Il tipo dall’aria smorta gli mise una mano sulla spalla. “Yuutaro lascia stare. È una battaglia persa in partenza e lo sai.”
“Lui chi è?” Domandò il ragazzo dai capelli biondi.
Gli occhi di tutti furono immediatamente su Shouyou, come se non fosse stato lì per tutto il tempo e fosse spuntato dal nulla all’improvviso. Il Padawan sentì le guance andargli a fuoco e le gambe farsi di nuovo tremolanti. Strinse le labbra e resse la pressione come poteva.
“Il mio Padawan,” rispose Tobio immediatamente, con voce neutrale.
Solo allora, il ragazzo dai capelli biondi spostò la sua attenzione dal viso di Shouyou a quello del Cavaliere. “Avrà al massimo un paio d’anni meno di noi...”
Shouyou drizzò immediatamente la schiena come se quella fosse la peggiore delle offese. “Ho quattordici anni, esattamente come lui!” Indicò Tobio con l’indice senza il minimo rispetto.
Il ragazzo con le lentiggini rise. “Sembri più piccolo!” Commentò. “Vieni dal Tempio di un altro pianeta? Come ti chiami?”
Il ragazzo dai capelli biondi sospirò annoiato. “Stai zitto, Tadashi.”
“Scusami, Kei...”
Kei, il ragazzo biondo. Tadashi, quello con le lentiggini. Shouyou cercò di memorizzarli velocemente, poi vide Tobio pararsi di fronte a lui come se volesse nasconderlo da occhi indiscreti. “Fammi passare,” si era rivolto a Kei.
Shouyou non se ne sorprese. Dei quattro era l’unico ad avere un’aria minacciosa.
Kei sorrise. Un sorriso sarcastico, piuttosto insopportabile. “Ti affidano i ragazzini per tenerti lontano dalle missioni, maestà?” Domandò con sarcasmo.
“Ti ho detto di farmi passare,” Tobio non colse la provocazione e Shouyou non se lo aspettò: sarebbe stato più dal suo Maestro dargli una testata sul naso. Lui ne sapeva qualcosa.
“Un Maestro ed un Padawan della stessa età,” proseguì Kei. “Pensavamo fosse proibito...”
“Appunto!” Esclamò di colpo il ragazzo con la testa a punta. Yuutaro, se Shouyou aveva capito bene.
“Il Consiglio ha deciso diversamente questa volta,” replicò Tobio.
“Il Consiglio decide sempre diversamente con te,” intervenne il ragazzino con l’espressione smorta ma Shouyou si accorse che lo fece a bassa voce e senza guardare il diretto interessato negli occhi.
Tobio, invece, non si fece scrupoli a fissarlo storto. “Non sono io che ho fallito la prova da Jedi, Akira,” gli disse. “Tutti voi vi siete fatti prendere la mano dopo la mia nomina. Tutti voi avete fallito miseramente. Se volete biasimare qualcosa, biasimate la vostra debolezza.”
Il sorriso di Kei si fece ancora più insopportabile. “Quanta superbia ed arroganza in una sola frase. Degno di un Signore dei Sith.”
Shouyou sgranò gli occhi d’ambra ed il respiro gli morì in gola a quell’affermazione. Tobio non riuscì a mantenere la calma. Si portò in avanti ed afferrò il colletto della casacca di Kei con fare minaccioso. Gli altri tre si agitarono subito, Shouyou rimase immobile.
“Che fai?” Domandò Tadashi allarmato. “Lascialo stare!”
Yuutaro afferrò un polso di Tobio. “Ha esagerato ma non fare altro, non ti conviene.”
Tobio avrebbe volentieri spaccato la faccia a tutti e tre, specialmente a Kei, che continuava a rivolgergli quel sorriso soddisfatto impossibile da sopportare. Lasciò la presa e fece un passo indietro. Kei si spostò di sua spontanea volontà e Tobio uscì dalla stanza a testa alta.
Shouyou seguì il suo Maestro senza dire una parola.
 
 
***
 
 
 
”Come morning light...”
Due occhi verdi ed un paio scuri lo guardavano ma era solo uno dei due a cantare. Due sorrisi identici su due visi completamente diversi.
“You and I’ll be safe and sound...”
C’erano delle dita tra i suoi capelli. Gli piaceva. Un tepore confortante lo avvolgeva e lo faceva sentire al sicuro. Un sospiro stanco. La ninna nanna era finita ma non le carezze e sentiva gli occhi pesanti, la mente leggera.
“La mia ninna nanna e le tue braccia sono la soluzione a tutto.”
Una risata.
“Sarebbe bello se lo fossero per sempre...”
“Lo saranno per quanto basta, fino a che non sarà capace di addormentarsi da solo.”
Ancora risate ma non vedeva più nulla... Aveva gli occhi chiusi...
Le risate sparirono di colpo e così anche il calore che lo proteggeva. La luce non era più dolce, confortevole ma fredda ed intensa... Artificiale...
C’erano mani... Mani chiuse a pugno che battevano contro una spessa lastra di vetro sporcandola di sangue. Dal lato opposto, un palmo era premuto contro la superficie trasparente... Tremava appena...
Il giovane a cui appartenevano le mani chiuse a pugno si scagliò contro il vetro con tutto il peso del corpo. C’era sangue sui suoi vestiti. C’erano lacrime nei suoi occhi verdi e c’era tanta disperazione in qualsiasi suo gesto, mentre lottava contro altre mani che cercavano di trascinarlo via. Il ragazzo dalla parte opposta del vetro, invece, piangeva ma le belle labbra erano graziate da un sorriso dolce e triste al contempo.
Dicevano addio quegli occhi scuri.
Un addio che il giovane dagli occhi verdi non poteva accettare.
“Tooru!” Chiamava disperatamente cercando di sfondare quel vetro a mani nude e finendo solo per farsi altro male. “Tooru! Tooru! No! Tooru!”
Si fermò, i suoi occhi fissarono quelli scuri del ragazzo. La sua mano smise di colpire il vetro che li divideva e fece aderire il palmo della mano sopra quello dell’altro. Si guardarono come se si stessero effettivamente toccando, come se quella fosse l’ultima volta in cui potessero farlo.
Un rumore fece voltare il ragazzo dagli occhi scuri. Altre voci, i passi di decine e decine di piedi. Le mani tornarono a cercar di trascinare via il giovane dagli occhi verdi e riuscirono a staccarlo dal vetro. “No! Lasciatemi!” Urlò disperatamente. “Tooru! Tooru!”
Il ragazzo dagli occhi scuri si voltò ancora una volta. Quelle belle labbra si mossero e pronunciarono tre parole, poi i portelloni si chiusero e quegli occhi scuri sparirono.
“Tooru!”

 
 
 
“Tobio!”
Gli occhi blu si aprirono di colpo e si ritrovarono a fissare il cielo stellato al di là del vetro che faceva da soffitto alla sua camera.
Tobio aveva il fiato corto ed il viso madido di sudore.
“Tobio?” Qualcuno gli sfiorò timidamente una spalla. Tobio saltò come se lo avessero toccato con un ferro rovente. Si ritrovò in piedi, le dita della mano destra avvolte intorno alla spada laser. Non l’attivò. Riconobbe gli occhi d’ambra che lo guardavano spaventati dal proprio letto, prima di farlo.
Tobio prese un respiro profondo e si allontanò dall’arma. “Che cosa ci fai qui?” Domandò con espressione adirata. Shouyou era inginocchiato sul bordo del suo letto e lo fissava con fare smarrito. “Sembravi star male, così...”
“Non hai il permesso di entrare nella mia stanza come più ti pare e piace!”
“Lo so ma... Stavi avendo un incubo e così...”
“I Jedi non hanno incubi!”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Sei una persona, Tobio. È normale avere degli incubi!”
“Non ho avuto nessun incubo!” Insistette Tobio con rabbia. “Ora, vattene...”
Shouyou non si mosse. “Ti ho sentito...” Mormorò. “Ti ho sentito chiaramente e mi hai svegliato. Pensavo fossi in pericolo o stessi male. Non era per niente bello quello che ho percepito, così sono corso a controllare.”
Tobio rilassò le dita delle mani ma non ricordava quando le aveva chiuse a pugno. “Hai visto qualcosa?” Domandò seriamente. “Nella tua mente, hai visto immagini che potrebbero non appartenerle?”
Shouyou scosse la testa immediatamente. “Ho semplicemente sentito la tua sofferenza...”
“Non stavo soffrendo,” mentì il Cavaliere
Quegli occhi d’ambra continuarono a guardarlo. “Piangevi...”
Tobio si fece rigido, poi si portò il dorso della mano al viso e si rese conto che non c’era solo sudore ad inumidirgli le guance. Si guardò intorno allarmato ma tutti gli oggetti della stanza sembravano essere esattamente dove li aveva lasciati. “È successo qualcosa?” Domandò.
“Che cosa sarebbe dovuto succedere?”
“Si è rotto qualcosa nella tua stanza?” Chiarì Tobio. “Qualcosa ha tremato?”
Gli occhi di Shouyou si accesero d’interesse. “Capita anche a te?”
Il giovane Maestro smise di agitarsi per un istante. Shouyou si sentì un poco schiacciare dallo sguardo insistente di quegli occhi blu, così abbassò lo sguardo e si umettò le labbra. “Di solito, non combino guai. Faccio levitare cose e qualche volta mi capita di romperle.”
Tobio decise di sedersi sul letto, appoggiò la schiena ai cuscini e piegò le ginocchia. “Non ho fatto alcun danno, quindi?”
Shouyou scosse la testa. “Non credo che nessuno si sia accorto di nulla, tranne me.”
“Bene...”
“Sono così disastrosi i tuoi non incubi?”
Tobio lo guardò storto ma rispose comunque. “Non ho mai potuto dormire in una camerata con gli altri bambini per questo. C’era rischio che facessi del male a chi era accanto a me.”
Shouyou inarcò un sopracciglio e si fece più vicino. “È così brutto quello che vedi nei tuoi sogni?”
“Vedo molte cose nei miei sogni, Shouyou,” ammise Tobio. “La maggior parte delle quali non hanno senso e quelle che ce l’hanno non sono particolarmente piacevoli. Alle volte, è come se, non appena metto a riposo la mia mente, tutta l’oscurità dell’universo vi si riversi dentro e l’inondi. Chiudo gli occhi e sento sulla mia pelle dolori che non mi appartengono, sento nelle mie orecchie urla di voci che non conosco e, dopo, di colpo, il silenzio.”
C’era sincero dispiacere negli occhi di Shouyou e Tobio guardò altrove perché della sua pietà non sapeva che farne.
“Perché la Forza ti fa una cosa del genere?” Domandò Shouyou più a sé stesso che all’altro.
“A te non capita?” Domandò Tobio senza guardarlo.
“Quello che sentivo dentro quando chiudevo gli occhi nella mia stanza era quanto di più bello avessi,” ammise Shouyou e quegli occhi blu furono su di lui immediatamente. “Te l’ho già detto, non c’erano finestre nella mia camera ma quando chiudevo gli occhi era come se potessi toccare ogni angolo dell’universo senza muovermi. Lo sentivo qui,” si appoggiò entrambe le mani contro il petto, “e sapevo che lui sentiva me. Era vivo e lo ero anche io. Ho sentito te nello stesso modo, poco fa. Non mi era mai capitato con un’altra persona... Almeno non così...”
“Mi spiace...” La voce di Tobio era atona ma erano sincere le sue parole. “Gli incubi non dovrebbero appartenere ad altri che a chi li fa. Ho vissuto spesso in quelli degli altri e so quanto può essere spiacevole.”
“Non ti capita mai di sentire qualcosa di bello?” Domandò Shouyou. “Qualcosa come quello che ti ho appena descritto. Tipo... Non lo so... Come se tutta la vita del cosmo battesse nel tuo petto e ti sentissi come se ti appartenesse ma non come... Come un padrone... Come se ne facessi parte e ti rendesse completo.”
Tobio lo ascoltava con attenzione. Shouyou lo capiva dal modo in cui brillavano i suoi occhi, nonostante la sua espressione non fosse cambiata di una virgola. “Non senti tutta la luce che c’è nella Forza?” Domandò, infine.
Tobio si portò le ginocchia contro il petto ed abbassò lo sguardo. “Tutto ciò che sento nella Forza, è oscurità, dolore, paura, rabbia... Tutto ciò che hanno cercato d’insegnarmi a non provare.”
Shouyou fece una smorfia quasi divertita. “Non è possibile non provare queste cose.”
Tobio lo fissò indignato. “Lezioni numero tre, non si provano certe emozioni.”
“Non dovremmo essere umani per non farlo.”
“Non siamo esseri umani, siamo Jedi,” replicò Tobio. “O, meglio, io lo sono e ci sono remote possibilità, con l’aiuto di un improbabile miracolo, che lo diventi anche tu.”
Shouyou gonfiò le guance offeso. “Prego per essermi preoccupato per te!” Esclamò scendendo dal letto, fece due passi, poi si voltò. “Chi è Tooru?”
Tobio si fece rigido, il respiro gli mancò per alcuni istanti. “Chi?” Davvero, non aveva mai sentito quel nome, eppure il cuore aveva ripreso a battergli forte, come se stesse sognando ancora. Shouyou tornò ad accomodarsi sul bordo del letto. “Lo ripetevi piangendo,” spiegò. “Prima che ti svegliassi...”
Tobio cercò di ricordare. Erano sfocate le immagini di quell’incubo. Ricordava di aver udito la ninna nanna che lo tormentava fin da bambino e poi due giovani disperati divisi da un vetro. Uno dei due urlava un nome...
“Tooru...” Mormorò. “È strano, non ha alcun significato per me.”
Shouyou scrollò le spalle. “A proposito di nomi...” Cominciò. “Volevo chiederti una cosa oggi in infermeria, prima che arrivassero quegli altri ragazzi.”
“Ti ascolto,” gli concesse Tobio.
Shouyou accennò un sorriso. “Si tratta del tuo nome, in realtà,” disse. “Da dove vengo si raccontano un sacco di storie. È un porto spaziale e c’è gente che va e viene da ogni angolo della galassia. Come luogo in cui vivere, generalmente, fa schifo ma è il posto migliore per sentire tante storie diverse.”
“Arriva al punto, Shouyou.”
“Ecco... Da quando ci hanno presentati, mi chiedevo se il tuo nome avesse nulla a che fare con la Tobio Starship, la leggendaria nave Jedi che è praticamente la protagonista indiscussa di ogni storia della scorsa generazione!”
Tobio non sembrò particolarmente sorpreso dalla domanda. “Penso di sì...” Ammise come se fosse una cosa su cui non aveva mai riflettuto particolarmente. “Non l’ho mai chiesto a chi ha scelto il mio nome ma credo di sì.”
Shouyou sbatté le palpebre confuso. “Non lo hanno scelto i tuoi genitori?” Domandò. “Voglio dire... So che i Cavalieri Jedi vengono portati al Tempio da piccolissimi e che non ricordano nulla della loro famiglia ma... Credevo avessero i nomi che sono stati dati loro da chi li ha messi al mondo...”
Tobio appoggiò la nuca alla parete. “Non ci sono stati genitori per me,” spiegò senza nessuna intonazione particolare. “Chi mi ha cresciuto e mi ha addestrato è stato anche chi ha scelto il mio nome. Per la cronaca, uno dei costruttori di quell’astronave ed il suo pilota ufficiale era Hajime, il mio Maestro. Koushi e Daichi facevano parte della squadra che vi viaggiava insieme ad altri e molti di loro hanno avuto ruolo nella mia educazione, quindi credo abbia senso che il mio nome venga da lì.”
Shouyou lo guardava a bocca aperta ed occhi sgranati. “Sono stato trovato da due Jedi della Tobio Starship?”
“Non ti mettere a piangere per l’emozione ora, stupido!”
“Ma come faccio a non essere emozionato?” Domandò Shouyou fuori di sé dall’euforia. “Hai idea di chi ti ha addestrato? Praticamente, sono gli eroi delle storie con cui sono cresciuto da bambino!”
“Sono Maestri, non sono personaggi di una favola. Porta rispetto, idiota!”
“Sono leggende viventi! Si sono scontrati con il Supremo Signore dei Sith in più di una battaglia! Devono averti raccontato storie che nessuno sa!”
“No...”
“Eh?”
“Non mi hanno mai raccontato quelle storie,” disse Tobio. “Mi sono state riferite alcune cose, nel corso degli anni e ne ho chieste molte altre crescendo ma ogni volta che cercavo di sapere di più, gli occhi di tutti loro si riempivano di tristezza e trovavano una qualsiasi buona ragione per non andare avanti. Le storie di quelle battaglie non sono epiche per loro. Sono ricordi intrisi di sangue, fatti di morte e distruzione.”
Shouyou sentì l’entusiasmo lasciarlo andare di colpo: quella era una parte delle storie della sua infanzia a cui non aveva mai pensato. Tobio aveva ragione: non erano favole, erano reali. Una morte onorevole all’interno di quei racconti, corrispondeva alla perdita di un amico, di un compagno... Di qualcuno che si era amato.
Di colpo, tutto ciò che era riuscito a far sorridere Shouyou nella sua infanzia lo riempì di tristezza.
“Ti sta bene,” commentò dopo un po’.
Tobio lo guardò confuso.
“Il tuo nome,” chiarì Shouyou scendendo dal letto. “Il suo significato ha qualcosa a che fare con il volare, giusto? Anche il mio... Almeno, così mi ha detto mia mamma. È un bel significato da mettere in un nome. Sa di libertà, vero?”
Tobio scrollò le spalle. “Non ci ho mai pensato?”
“Una cosa è certa: chiunque abbia scelto questo nome per te, l’ha fatto con un significato... Doveva volerti molto bene.”
 
 
Fuori dalla porta, Koushi si concesse un sorriso. “Sembra funzionare,” commentò.
Daichi incrociò le braccia contro il petto soddisfatto. “Shouyou è quasi da pochi giorni e sembra gestire gli incubi di Tobio meglio di quanto abbiamo fatto noi in tutti questi anni.”
Entrambi si voltarono verso il Cavaliere Jedi appoggiato alla parete opposta del corridoio ma non c’era nessun sorriso sul viso di Hajime. Gli occhi verdi fissavano la porta chiusa della camera di Tobio come se all’interno si stesse verificando un evento dalla natura ambigua.
“Hajime...” Chiamò Koushi gentilmente e l’altro, alla fine, lo guardò. “Shouyou è il primo che sembra riuscirsi ad avvicinare a Tobio senza lasciarsi intimorire dal suo carattere difficile. È una cosa buona.”
Hajime sospirò. “È una cosa pericolosa...”
“Sii un po’ ottimista,” disse Daichi esaurendo la distanza tra loro e posandogli una mano sulla spalla. “Potremmo aver trovato la persona giusta per rendere Tobio l’uomo che abbiamo sperato diventasse.”
Hajime riportò gli occhi sulla porta chiusa della camera di Tobio e non disse altro.
 
 
***
 
 
 
Gli avevano attaccati nel cuore della notte.
Avevano eluso i loro radar e li avevano colpiti alle spalle, sorprendendoli disarmati.
Lo scontro era stato terribilmente breve e la resa era stata l’unica possibilità oltre al massacro certo.
“Tu sai che se, al mio posto, qui ci fosse stato il Signore Supremo, non ci sarebbe stato tempo per la diplomazia, vero?”
Kiyoko era inginocchiata a terra ma guardava il Sith di fronte a lei con lo sguardo alto e l’espressione ferma di chi non teme nulla. “Soltanto tu attaccheresti questo pianeta,” replicò. “Non lo lasceresti fare ad altri. Nemmeno a Wakatoshi.”
Il Sith sorrise. “Questo pianeta non è Seijou, Kiyoko.”
“No, hai ragione,” Kiyoko annuì. “Karasuno rappresenta per te qualcosa di molto più importante...”
Il Sith si fece serio. Kiyoko non poté evitare di trasalire come il laser rosso comparve davanti a lui, a pochi centimetri dal suo viso. “Non farmi rimangiare la mia parola,” disse il giovane uomo vestito di nero. “Io non sono Wakatoshi ma sai che sono capace di fare ben di peggio ai miei nemici che decapitarli con un solo colpo.”
Kiyoko strinse gli occhi ed abbassò lo sguardo. “Ci sono dei bambini qui...”
“Allora, comportati bene ed ascolta attentamente quello che ho da dirti...”
 
 
***
 
 
Tobio giurò a se stesso che, se Shouyou si fosse fatto colpire di nuovo, lo avrebbe sollevato di peso e scaraventato fuori dalla finestra.
“Ahi!” Esclamò il Padawan un istante più tardi ed il giovane Maestro disattivò il droide con tanta violenza che il controllore remoto emise uno spiacevole crack. Shouyou lo guardò subito malamente. “Perché lo hai fermato? Ancora!”
Tobio gli lanciò addosso il controllore e lo colpì in testa.
“Sei impazzito?” Domandò Shouyou massaggiandosi la parte colpita, sebbene non gli facesse nemmeno male. Tobio esaurì la distanza tra loro e lo fissò dall’alto al basso con fare minaccioso. Gli occhi d’ambra si fecero grandi e spaventati.
“Quante volte ti devo dire di non guardare il drone?” Domandò il Maestro quasi sibilando.
“E che cosa dovrei guardare?” Domandò Shouyou irritato. “Devo cercare di capire dove mi colpirà!”
“Non devi capirlo!” Tuonò Tobio. “Sentilo!”
“Smettila di urlarmi contro!”
“No!” Tuonò Tobio ed il Padawan fece un passo indietro. “Hai la velocità, la coordinazione, la prontezza di riflessi e non li sai usare! Mi dai sui nervi!”
“Sei tu il Maestro, insegnami!”
Tobio sbuffò, recuperò il droide da terra e poi si avvicinò alla parete ricoperta di strumenti per l’addestramento. Shouyou inarcò un sopracciglio quando lo vide tornare indietro con un casco.
“Indossalo!” Ordinò il Cavaliere sbattendogli l’oggetto contro il petto.
Shouyou ubbidì ma fece appena in tempo ad allacciare la cinghia che Tobio abbassò il para laser di colpo oscurando completamente il suo campo visivo. “Vuoi farmi uccidere?” Domandò esasperato.
“Questi droni non ti possono uccidere, idiota.”
“Ma non vedo niente così!”
“Non devi vedere!” Esclamò Tobio battendo il pugno sulla cima del casco. “Devi sentire!”
Shouyou rimase immobile, la spada laser stretta tra le dita. Sentì Tobio allontanarsi per poi avvicinarsi di nuovo, udì il rumore appena percettibile del drone che veniva appoggiato a terra, a poco più di un metro da lui.
“Devi sentire, Shouyou,” ripeté Tobio con voce più gentile. “Chiudi gli occhi, non pensare a nulla... Senti e basta.”
Shouyou fece come gli era stato detto. Le palpebre si abbassarono sugli occhi d’ambra ed anche la poca luce che filtrava attraverso il para laser scomparve. Era solo, al buio. Non udì il droide venir attivato ancora una volta. Non ci fu alcun rumore che potesse suggerirgli la sua posizione.
Semplicemente, Shouyou sollevò la spada in posizione d’attacco quando seppe che era il momento giusto per farlo. Poi, nell’oscurità della sua mente, la luce...
Si mosse ed il rumore che spezzò il silenzio gli suggerì che aveva colpito qualcosa.
Spalancò gli occhi per la sorpresa.
“Non ti deconcentrare, idiota!” Tuonò Tobio da qualche parte nella stanza.
Shouyou serrò gli occhi immediatamente. Ancora buio e poi...
Un altro colpo schivato.
“Più veloce!” Ordinò Tobio.
Seguirono altri tre attacchi di seguito e Shouyou li schivò uno ad uno come se lo colpissero a rallentatore.
“Ancora!”
Cinque colpi. Era ancora in piedi. L’oscurità nella sua mente si diradò completamente. Di colpo, Shouyou vedeva il suo bersaglio, sapeva quello che doveva fare e come farlo. Lo fece.
Attaccò.
Al suono di due laser che si scontravano seguì un gemito di dolore e poi un tonfo metallico.
Shouyou si rigido, immobile. Disattivò la spada e si liberò del casco per tonare a vedere la stanza con i suoi occhi. La luce del sole lo accecò per un istante, poi vide Tobio che si massaggiava con insistenza la mano destra, la sua spada laser giaceva a terra, dietro di lui.
Da principio, Shouyou non comprese. Dopo, abbassò lo sguardo e si rese conto che il drone era ancora a terra e non si era mai mosso da lì. Un calore improvviso gli salì alle guance come realizzò quello che aveva fatto. Gli occhi d’ambra si fecero grandi, luminosi.
“Ti ho disarma...!”
Il suo entusiasmo venne messo a tacere dal pugno che Tobio diede sulla testa.
“Non ti ho ordinato di attaccare!” Tuonò il giovane Maestro.
Shouyou si portò entrambe le mani tra i capelli massaggiandosi la zona colpita. Questa volta, faceva dannatamente male.
 
 
 
“Non me la ricordo nemmeno l’ultima volta che ti ho medicato una ferita del genere,” commentò Koushi con un dolce sorriso.
Tobio s’imbronciò ed arrossì appena.
“L’ho disarmato, Koushi!” Esclamò Shouyou seduto al contrario su di una sedia accanto al lettino dell’infermeria, un impacco di ghiaccio premuto tra i capelli dal colore impossibile. “L’ho disarmato e ad occhi chiusi!”
Tobio lo guardò storto. “Piantala, idiota...”
“Tobio,” lo rimproverò bonariamente il Jedi più grande con un sorriso. “Ti sei dimenticato com’era emozionato la prima volta che hai avuto la meglio su Hajime in un duello?”
Tobio si fece ancora più rosso e posò lo sguardo su qualsiasi cosa che non fosse il viso degli altri due.
“Quanti anni aveva?” Domandò Shouyou curioso.
“Dieci e compiuti da poco,” rispose Koushi. “Ricordo che c’era ancora la neve e Hajime fece esattamente quello che lui ha fatto con te, oggi. Gli mise un casco con il para-laser abbassato e duellò con lui senza che Tobio se ne accorgesse,” gli occhi gentili si posarono sul viso del giovane imbarazzato. “Gli farà piacere sapere che hai usato i suoi metodi. Vai da lui, più tardi, penso che gli manchi la tua compagnia.”
Tobio tornò serio di colpo ed annuì una volta soltanto.
Come se lo avessero chiamato, la porta dell’infermeria si aprì e Hajime entrò nella stanza con urgenza. Si bloccò non appena vide che c’era Tobio seduto sul lettino. “Che cosa è successo?” Domandò.
“L’ho disarmato!” Esclamò Shouyou con aria trionfante ed il giovane Maestro assestò un calcio al retrò della sua sedia facendolo quasi cadere a terra.
“Nulla di grave,” intervenne Koushi con un sorriso. “Una bruciatura superficiale. Sarà fastidiosa per i prossimi giorni, poi sparirà senza lasciare segni.”
Hajime guardò Tobio ed annuì, poi portò gli occhi su Shouyou e fissò l’impacco di ghiaccio incuriosito. “A lui che è successo?”
Shouyou puntò immediatamente l’indice contro Tobio “Mi ha picchiato!”
“Te lo sei meritato per essere stato un idiota!” Replicò Tobio con forza.
Hajime fece appello a tutta la sua pazienza. “Non importa,” disse, poi li guardò tutti e tre molto seriamente. “Siete convocati nella sala del consiglio di guerra.”
Shouyou e Tobio si lanciarono un’occhiata e Koushi si fece serio di colpo. “È successo qualcosa?” Domandò preoccupato.
Hajime lo fissò con aria grave. “Si tratta di Karasuno...”
 
 
 
Shouyou si accorse di non essere l’unico Padawan nella stanza circolare. Riconobbe i quattro che aveva incontrato pochi giorni prima: Kei e Tadashi erano vicini e, poco più in là, vi erano Yuutaro ed Akira. Avevano tutti dei visi molto tesi, anche Tobio.
Shouyou non lo poteva vedere in viso ma lo sentiva.
Tobio non lo aveva guardato negli occhi da quando avevano ricevuto la notizia ed ora se ne stava accanto al suo Maestro osservando con attenzione qualsiasi ologramma fosse proiettato dal tavolo per i piani di guerra. Erano praticamente alti uguali, Tobio e Hajime e questo rendeva impossibile a Shouyou vedere alcunché ma comprese che quella non era la situazione migliore per lamentarsi.
Cercò di restare con le orecchie ben aperte e di memorizzare qualsiasi parola venisse detta.
“La Principessa di Karasuno richiede il nostro aiuto,” disse il vecchio Ukai con aria grave. “Non ci è chiara la situazione ma siamo praticamente certi che si tratti di un attacco da parte dell’Ordine dei Sith.”
Shouyou sentì Koushi farsi teso accanto a lui. Sollevò appena gli occhi e si accorse di come le sue dita si erano intrecciate a quelle di Daichi nascoste dalle lunghe maniche delle loro tuniche, lontano da occhi indiscreti. Decise di fingere di non aver visto nulla.
“Non abbiamo un quadro preciso di come stiano andando le cose su quel pianeta,” proseguì il vecchio Ukai. “E non ci è giunta alcuna risposta da i Jedi che risiedono lì per proteggere la Principessa e la sua gente, quindi è così che procederemo: intendo mandare pochi uomini, quelli che conoscono il pianeta molto bene e sanno come muoversi in caso di emergenza. Koushi, Daichi...”
Shouyou vide quelle mani dividersi ed i loro proprietari fare un passo in avanti.
“Partirete domani,” ordinò il vecchio Ukai. “A voi il compito di comprendere la situazione e di farci avere delle informazioni certe e precise il prima possibile.”
Daichi e Koushi annuirono. Shouyou vide Tobio voltarsi e parlare col suo Maestro ma Hajime gli strinse immediatamente il braccio come a dirgli di tacere e continuò a fissare il Jedi anziano come se il più giovane non avesse affatto parlato.
Il primo consiglio di guerra di Shouyou finì velocemente come era iniziato.
 
 
Quella sera, Tobio scese nell’hangar dopo che tutti si furono ritirati nelle loro stanze secondo le regole. Non sarebbe riuscito a prendere sonno, comunque e non era come se non vedesse l’ora di dormire e lasciare che la Forza usasse la sua mente come meglio credeva. Aveva bisogno di silenzio, di pace ed i luoghi della sua infanzia gliene ispiravano sempre moltissima.
Non ricordava l’ultima volta che era sceso fin laggiù di nascosto ma lo fece come se non avesse mai smesso. Camminò tra le navi spaziali di nuova generazione e le superò senza dar loro troppa importanza. Quella che cercava era nell’angolo più remoto dell’intero hangar, niente di più di un ammasso di rottami abbandonato a se stesso ma dei giovani Jedi avevano conosciuto lo spazio a bordo di quella nave e fino a che qualcuno di quella generazione fosse rimasto in vita per ricordarla, nessuno avrebbe proposto di gettarla o di smembrarla per recuperare qualche pezzo ancora buono. Tobio si ritrovò a chiedersi come l’avrebbe presa Shouyou se avesse visto la nave spaziale delle grandi storie della sua infanzia ridotta così, poi realizzò che, probabilmente, se si era disturbato a scendere lì sotto dopo tanto tempo era proprio perché il suo Padawan gliela aveva ricordata.
L’aveva dimenticata, Tobio ed era stato un errore di cui, intimamente, si vergognava.
La guardò ed un’ondata di nostalgia lo travolse come un fiume in piena. Se quella nave era stata come una casa per Hajime, Koushi, Daichi e tutti i loro compagni, per Tobio non era stata da meno nei primi anni della sua infanzia, quando si prendevano cura di lui in gruppo e tutto quello che voleva era poterla pilotare come il suo Maestro faceva.
“Non lo facevi da anni,” commentò una voce alle sue spalle.
Tobio trasalì e si voltò: Hajime lo fissava con un sorriso appena accennato ed una spalla appoggiata alla parete esterna dell’astronave. “Che cosa ti porta qui dopo tanto tempo, Tobio?”
Il giovane Cavaliere non rispose subito. “Qualcuno me l’ha fatta ricordare...”
Hajime esaurì lentamente la distanza tra loro. “Hai l’aria stanca,” commentò gentilmente.
“È stata una lunga giornata,” rispose Tobio chiudendo a pugno la mano che si era ferito durante l’addestramento con Shouyou.
“Allora perché non sei a letto?”
Il giovane Jedi non rispose.
Hajime sospirò. “C’è qualcosa che tormenta i tuoi sogni, Tobio?”
Il ragazzo si fece rigido, strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile e poi scosse la testa. “No...”
Il Maestro fece una smorfia. “Stai mentendo,” concluse.
Le guance di Tobio si tinsero appena. “No...”
“Tobio,” Hajime gli strinse una spalla con fermezza ma senza essere aggressivo. “Smettila di chiuderti dietro a questo muro di silenzio. Lo fai fin da bambino...”
“Non è niente di cui preoccuparsi,” Tobio mise tutto se stesso nel cercare di essere convincente ma non aveva ancora scoperto un modo efficace per mentire a chi l’aveva cresciuto. “Solo... C’è una domanda che devo porti.”
Hajime annuì. “Ti ascolto...”
Tobio si umettò le labbra.
”Come morning light... You and I’ll be safe and sound...”
“Chi è Tooru?”
Il cambiamento che subì il viso di Hajime fu niente in confronto a quello che Tobio sentì. Fu come uno dei suoi incubi, fu come essere travolto completamente dal dolore di qualcun altro come se fosse il suo. Solo, non sarebbe passato semplicemente svegliandosi.
Tobio fece un passo all’indietro sottraendosi dal tocco di quella mano che conosceva fin da bambino come se gli stesse facendo del male. Hajime se ne accorse e guardò le proprie dita come se non gli appartenessero, poi strinse il pugno, prese un respiro profondo e rilassò il braccio lungo il fianco mentre cercava gli occhi blu del ragazzo. “Che cosa vedi nei tuoi sogni, Tobio?” Domandò con voce gentile, nonostante il cuore martellante.
“Non lo so,” rispose il ragazzo velocemente, troppo velocemente.
“Tobio!”
“Non lo so!” Esclamò Tobio con una nota rabbiosa e tutte le navicelle nell’hangar si mossero come se fossero state investite da un colpo di vento improvviso. Hajime si fece rigido e dallo sguardo terrorizzato sul viso del ragazzo, comprese che la cosa più saggia da fare era mantenere la calma ed assecondarlo. “Domina le tue emozioni,” disse gentilmente il Maestro. “Non lasciare che siano loro a dominare te.”
Il ragazzo chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e poi sollevò di nuovo le palpebre. “Quel nome è l’unica cosa che abbia senso,” spiegò con voce notevolmente più tranquilla, sebbene non fosse tutta la verità.
Hajime annuì, il viso teso. “Capisco...”
“Ha qualche significato per te?” Domandò Tobio. Non si fece sfuggire il modo in cui il suo Maestro aprì la bocca e la richiuse, prima di dargli un’effettiva risposta. “Sì...” disse Hajime. “Ricordi quando ti dissi che anche un ragazzo della mia generazione aveva ottenuto la nomina a Cavaliere prima del tempo, proprio come te?”
Tobio annuì.
“Tooru era il suo nome,” spiegò Hajime. “Ti cantava una ninna nanna per farti addormentare quando eri piccolo,” gli occhi verdi si abbassarono e le labbra si piegarono appena in un sorriso nostalgico. “Io ti tenevo in braccio per cullarti e lui cantava... Funzionava...”
“Dov’è adesso?” Domandò Tobio.
Il suo Maestro lo guardò di nuovo negli occhi. “Morto...” Rispose. “È stato ucciso da un Sith quando avevi tre anni... Probabilmente, è per questo che lo vedi nei tuoi sogni ma non riesci a ricordarti di lui.”
“Lo conoscevi bene?”
Hajime forzò una risata. “Sei in vena di domande, ragazzino?”
“Solo questa e poi nessun’altra...”
Hajime annuì. “Sì...”
Tobio vide di nuovo quel sorriso nostalgico.
“Sì, lo conoscevo bene. Era il mio Maestro.”
 
 
***
 
 
Le notti erano fredde sul pianeta di Karasuno.
Il suo territorio era prevalentemente montuoso ed il Tempio era collocalo piuttosto in alto, dove la neve si scioglieva solo con l’arrivo della stagione calda. Il Sith lo sapeva bene. Conosceva quel pienate almeno quanto quello in cui era nato e cresciuto. Ricordava i pomeriggi di sole passati a giocare con la neve con i suoi amici d’infanzia quando i loro Maestri non li tenevano sotto controllo.
Ricordava i raffreddori che seguivano nei giorni seguenti e quanto il Maestro Keishin Ukai si arrabbiasse mentre il Maestro Ittetsu cercava di farli tornare in forze nel più breve tempo possibile.
Era stata una generazione di ribelli la sua.
Quella che, probabilmente, più di ogni altra aveva annientato l’antico Codice.
Peccato che lui fosse stato l’unico in grado di lasciarselo alle spalle definitivamente per essere libero.
Uscì sulla balconata ed alzò gli occhi dorati sulle stelle che brillavano nel cielo scuro. Aveva sempre avuto l’impressione che nei cieli di Karasuno fossero più brillanti che in qualunque altro luogo. O, forse, erano le notti che aveva passato lì ad essere le più belle di cui avesse memoria.
Lasciò che un sorriso nostalgico gli addolcisse il volto.
Prese a canticchiare senza rendersene conto. Un motivetto dolce, un po’ malinconico... Tutto ciò che gli rimaneva di una madre troppo giovane, che lo aveva cresciuto come una sorella.
“La ricordi ancora...”
Il Sith si voltò. Kiyoko se ne stava appoggiata ad una delle colonne coperte di rampicanti del Tempio. Karasuno differiva in questo rispetto a tutti gli altri pianeti che conosceva: la natura aveva la meglio sulla mano dell’uomo e la pietra, non il metallo, era ciò con cui erano costruite le abitazioni dei suoi abitanti. Se la sua vecchia casa era stata un paradiso fatto di equilibrio, quel pianeta era selvaggio in un modo insolitamente poetico.
“Sembri sorpresa,” disse il Sith con un sorriso. “Pensavi davvero che me ne fossi dimenticato?”
Kiyoko incrociò le braccia contro il petto. “Pensavamo tante cose, una volta,” rispose. “Anche che fossi la luce della speranza che ci avrebbe guidato fuori da questa guerra oscura.”
“Oh, Principessa...” Disse il Sith come se lo avesse ferito. “Mi portate rancore dopo tutti questi anni?”
“Passeranno secoli ed ancora le ferite che hai inferto non si saranno rimarginate.”
“E pensare che a quei tempi mi preoccupavo che tu non mi concedessi nemmeno un briciolo della tua attenzione,” il Sith le si avvicinò ma Kiyoko non smise di guardarlo dritto negli occhi. “Se avessi saputo che sarebbe arrivato il giorno in cui avresti avuto occhi solo per me...”
“Tu hai avuto occhi solo per le stelle fin da bambino,” lo interruppe Kiyoko. “Per le stelle e per qualcun altro... Mi fa piacere sapere che almeno la prima parte non è cambiata.”
Il Sith si era fatto serio.
“Lo sai come ti chiamano nella galassia?” Domandò la Principessa. “Il Re dei Sith. Dicono che sei vicino al Signore Supremo come nessun altro e pensare che un tempo eri disposto a distruggere te stesso nel tentativo di sconfiggerlo.”
“Non parlare come se mi conoscessi, Principessa,” le disse il giovane uomo vestito di nero sollevando una mano per aggiustarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli corvini. “Nei giorni in cui credevi di farlo, ho deciso di non essere più la vostra luce... Lo hai detto tu.”
“Non ti sei mai guardato indietro?” Domandò Kiyoko sorpresa. “Mai?”
Il Sith la fissò con freddezza. “Torna nella tua stanza, Principessa. Non pretendo che abbassi la testa di fronte a me mi farebbe piacere che ricordassi di essere un ostaggio in un Tempio Jedi assediato.”
Kiyoko non si fece impressionare in alcun modo. “Ti somiglia,” disse con malinconia. “Assomiglia al ragazzo che eri ma non abbastanza perché diventi quello che tu vorresti. Non c’è la tua stessa disperazione nei suoi occhi.”
Gli occhi del Sith si accesero di rabbia. “Torna nella tua stanza, Principessa...” Non si sforzò di essere gentile nell’ordinarlo, questa volta.
 
 
***
 
 
“Come previsto,” disse Koushi con un sorriso liberando la mano di Tobio dalla fasciatura. “Non è rimasto un segno.”
Tobio aprì e chiuse le dita per assicurarsi di non sentire alcun fastidio. “Non dovevi disturbarti,” disse. “Stai per partire e...”
“Volevo farlo,” lo rassicurò Koushi e rivolse un sorriso anche a Shouyou. “Volevo vedervi tutti e due, prima di partire.”
Gli occhi d’ambra del Padawan si fecero grandi “Abbiamo fatto qualcosa di male?”
Tobio gli rivolse una smorfia, come a dire che se c’era qualcuno che aveva fatto qualcosa di male quello non era di sicuro lui. Koushi passò una mano tra i capelli ribelli del ragazzino con gentilezza. “No, volevo solo vedervi insieme, tutto qui...”
Shouyou guardò Tobio ma il suo Maestro era confuso quanto lui.
Koushi ridacchiò. “Cose da grandi, lo capirete quando avrete dei ragazzini di cui prendervi cura...”
“Io ho già un ragazzino di cui prendermi cura,” disse Tobio con espressione annoiata. Shouyou lo guardò storto ma non disse nulla: che gli piacesse o no essere nelle mani di quell’antipatico musone, era la verità.
Koushi gli rivolse un sorriso intimo, un po’ nostalgico. “È bello vederti condividere il tuo tempo con qualcuno della tua età. Non ci speravamo più...”
Tobio scrollò le spalle. “Me lo hanno ordinato...”
Shouyou continuò a guardarlo storto perché davvero non poteva farne a meno.
“Abbiate cura l’uno dell’altro,” disse Koushi passando lo sguardo dagli occhi a quelli d’ambra. “È il modo più semplice per diventare invincibile.”
La porta dell’infermeria si aprì e, come se stessero vivendo una replica della sera prima, Hajime entrò nella stanza ma non fu affatto sorpreso di trovarvi Tobio e Shouyou questa volta. “Andate ragazzi,” disse come se fosse un suggerimento ma, in realtà, non lo era, “devo scambiare alcune parole con Koushi, prima che parta.”
Sia Tobio che Shouyou annuirono. Gli occhi blu del primo incontrarono per un istante quelli verdi del suo vecchio Maestro ma il piccoletto al suo fianco prese a tirargli il braccio un istante dopo, attirando la sua attenzione. “Quella lezione non me l’hai ancora insegnata,” si lamentò Shouyou a bassa voce.
“Di che parli, stupido?”
“Del fatto che insieme siamo invincibili!”
“Non ha detto nulla del genere, hai capito male!”
“Ho capito benissimo! Sei tu ad essere idiota!”
Koushi e Hajime non seppero mai il seguito di quel battibecco: la porta si richiuse e restarono da soli. “Che cosa volevi dirmi?” Domandò il primo gettando le bende che avevano avvolto la mano di Tobio e facendo il giro del lettino per arrivare di fronte al Cavaliere. “Hai l’aria preoccupata...”
Hajime non ci girò intorno. “Tobio fa dei sogni su di lui.”
Il sorriso gentile di Koushi sparì immediatamente. “Quando te lo ha detto?”
“Ieri mi ha domandato se il nome Tooru avesse qualche significato. Mi ha detto che fa degli strani sogni e che tutto quello che ricorda al risveglio è quel nome.”
Koushi si umettò le labbra. “Che cosa gli hai risposto?”
“Gli ho detto parte della verità,” disse Hajime. “Gli ho detto che il ragazzo a cui apparteneva quel nome era uno di noi e che è stato ucciso da un Sith quando era ancora piccolo.”
“Solo questo?”
“Gli ho raccontato che soleva cantargli una ninnananna per farlo addormentare e che, probabilmente, quei sogni non sono altro che ricordi di cui non è consapevole lucidamente.”
Koushi strinse le labbra ed annuì. “A Daichi lo hai raccontato?”
“Non ho abbastanza tempo per parlare con entrambi,” rispose Hajime, “e avevo bisogno di confrontarmi con te.”
Koushi lanciò un’occhiata alla porta chiusa. “Tobio era sereno se è questo che ti preoccupa,” accennò un sorriso. “È completamente preso da Shouyou e dal suo addestramento, non credo verrà a farti altre domande in merito.”
“E se i sogni continuassero?” Domandò Hajime. “Se scoprisse di più?”
Koushi sospirò. “Hajime...” Mormorò con aria grave. “L’abbiamo sempre saputo che non potevamo mentirgli in eterno. Il Maestro Ikkei ci disse cosa fare e l’abbiamo fatto perché, in quel momento, ciò che contava era che Tobio restasse con noi ma non possiamo seppellire la verità per sempre.”
Hajime si morse il labbro inferiore. “Tobio è... Le sue emozioni sono tumultuose. Il suo animo è come un mare in tempesta! So che ha il diritto di sapere la verità ma ho sempre immaginato che sarebbe stato più grande, che io avrei avuto più tempo, che...”
“Hajime...” Koushi gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle. “Tobio non è più un bambino, anche se per primo faccio fatica a crederlo. È arrivato quel momento in cui possiamo solo credere in lui ed io voglio farlo,” accennò un sorriso. “Gli hai dato tutto quello che potevi dargli, lo abbiamo fatto tutti e lo stiamo ancora facendo. Smettila di rimproverarti...”
Hajime sorrise tristemente. “Avrei dovuto dare tutto me stesso a Tooru...”
Koushi gli appoggiò una mano sul viso. “Non te lo avrebbero mai permesso e lo sai.”
Hajime fece un passo indietro e si voltò. “Sono stanco di nascondermi dietro questa scusa.”
 
 
***
 
 
 
Shouyou era felice della sua nuova vita.
Alle volte, quando era chiuso nella sua stanzetta con la finestrella troppo vicina al soffitto, piangeva ancora per la mamma lontana che non avrebbe rivisto mai più ma, non appena cominciava la giornata, Tobio era così bravo a farlo arrabbiare che non aveva tempo di pensare ad altro se non a come lasciarlo senza parole almeno per una frazione di secondo.
C’erano però due occasioni in cui Tobio se ne andava e lo lasciava completamente da solo con sé stesso ad affrontare quel nuovo mondo in cui ancora si sentiva un pesce fuor d’acqua: gli orari dei pasti.
I Padawan mangiavano tutti insieme in un grande salone che dava sui giardini del Tempio. Il cibo era uguale per tutti loro e molti se ne lamentavano ad alta voce, per Shouyou era quanto di più buono avesse mangiato in vita sua e non si faceva scrupoli ad ingurgitarlo come se qualcuno potesse rubare dal suo piatto in ogni secondo. Attirava gli sguardi di molti e provocava le risate di altri. Shouyou ne guardava alcuni storto e con altri, quelli più grossi, si limitava ad abbassare lo sguardo ed arrossire un po’.
Un paio di volte, aveva anche provato a parlare con qualcuno, con quelli più minuti e meno spaventosi ma tutti non facevano che tirare fuori qualche parola con dei sorrisi imbarazzati e nessuno si era spinto al punto di rivolgergli un saluto il giorno dopo o, addirittura, invitarlo a sedersi vicino a loro per mangiare.
A Shouyou non importava, se la cavava... Si sentiva solo ma se la cavava...
“Ciao...”
Ma, quel giorno, il ragazzo con le lentiggini lo soprese con la bocca piena e lo guardò con un sorriso. “Posso sedermi davanti a te?”
Shouyou fece anche per rispondere, poi si ricordò di dover prima ingoiare e, per poco, non soffocò nel processo. Il ragazzo con le lentiggini gli verso un bicchiere d’acqua. “Prendi...” Glielo porse e si sedette dalla parte opposta del tavolo, davanti a lui.
Shouyou prese un respiro profondo. “Grazie...” Riuscì a dire alla fine. “Tu sei Tadashi, vero?”
Il ragazzo annuì. “E tu sei Shouyou.”
“Possiamo unirci anche noi?”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quell’altissimo ragazzo dalla testa a punta che ricordava chiamarsi Yuutaro. Gli sorrideva e si ritrovò a ricambiare timidamente l’espressione. Dietro di lui, c’era quel ragazzo dal viso apatico... Akira, forse, ma non ne era certo.
Yuutaro si sedette accanto a lui, gli porse la mano destra e si presentò. Shouyou la strinse per alcuni istanti e sorrise ancor di più. “Anche voi siete Padawan, giusto?”
“Non per molto,” rispose Yuutaro cominciando a mangiare. “Daremo di nuovo la prova finale alla fine della prossima estate.”
“In che cosa consiste?” Domandò Shouyou curioso.
“Lo scoprirai quando sarà il tuo turno,” rispose Akira tenendo lo sguardo basso sul suo cibo.
“Ah, non essere antipatico,” disse Yuutaro con un sorriso. “È solo curioso...”
“Per che cosa il piccoletto è curioso?”
Shouyou sollevò lo sguardo ancora una volta ma smise di sorridere nel momento in cui incrociò gli occhi vuoti di Kei. Anche questa volta, lo fissavano con sufficienza. Si sedette accanto a Tadashi ma non prese a mangiare. “Vuoi già dare prova di essere un Jedi, piccoletto?”
Shouyou mise su il broncio. “Potrei riuscirci.”
Il gruppetto rise, con l’eccezione di Akira, che, però, si degnò di sollevare lo sguardo per qualche secondo. “Sei nelle mani di sua maestà,” disse Kei con un sorriso sarcastico. “Non diverrai un Cavaliere nemmeno se terrai una spada laser in mano per il doppio degli anni che abbiamo passato noi ad addestrarci.”
Shouyou lo guardò confuso. “Tobio è il Cavaliere migliore che c’è qui.”
Yuutaro fece una smorfia. “Come no! Il miglior tiranno bastardo della galassia!”
Akira gli diede una gomitata. “Abbassa la voce...”
“Come ti tratta?” Domandò Tadashi. “Hai ancora tutti i pezzi al loro posto, non devi essere così male con la spada...”
“Stai zitto, Tadashi,” disse Kei prendendo un sorso d’acqua.
“Scusa, Kei...”
“Se Tobio è un tiranno, tu non sei da meno,” commentò Shouyou guardando Kei dritto negli occhi. Un silenzio pensate cadde su di loro, qualcuno smise anche di masticare pur avendo la bocca piena. Kei non smise di sorridere in quel modo insopportabile e Shouyou resse magnificamente il suo sguardo. “Da dove vieni?” Domandò il Padawan dai capelli biondi prendendo un altro sorso d’acqua.
“Da molto lontano,” rispose Shouyou cercando di simulare un’aria misteriosa che non gli riusciva proprio.
“Ti sei scordato il nome del tuo pianeta, piccoletto?”
Tadashi rise. Yuutaro decise d’ingoiare ed Akira rimase in silenzio.
“Il mio pianeta ha un numero di classificazione, non un nome,” rispose Shouyou con aria da dure che, se possibile, lo faceva sembrava un bambino più di quanto non fosse. Kei, però, si fece serio, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe mai dovuto dire.
“Vieni da un pianeta fuori dalla Repubblica?”
Shouyou annuì, un poco intimorito.
Kei fece una smorfia. “Grandioso! Un cucciolo randagio ed il Re dei Jedi... Che coppia vincente che ha messo insieme il Consiglio...”
Shouyou sorvolò sull’insulto rivolto a lui ed inarcò le sopracciglia. “Re dei Jedi?”
L’altro tornò a sorridere in quel modo insopportabile. “È così che chiamano il tuo Maestro,” rispose. “Lo fanno per il piccolo vizio che ha di mettere se stesso al centro di ogni azione rendendo i propri compagni delle mere pedine sacrificabili. Qualcuno qui è quasi morto a causa sua...”
Shouyou guardò Yuutaro ed Akira. Il primo arrossì ed il secondo fece finta di nulla.
“Tobio non può essere la guida di nessuno,” proseguì Kei. “È rabbioso, arrogante e pieno d’insicurezze che copre con una facciata tirannica. Sicuramente, gli hanno affidato te per tenerlo lontano dal campo di battaglia...”
Shouyou si sporse in avanti. “Che cosa vuoi dire?”
Kei scrollò le spalle. “I Cavalieri come Tobio sono particolarmente inclini a cadere e, prima o poi, arriverà un Sith che se ne renderà conto e che sarà abbastanza forte da metterlo in ginocchio abbastanza da convincerlo a cambiare strada...”
“Non credo dovresti dire cose del genere, Kei,” disse Tadashi a bassa voce. Kei lo ignorò completamente.
“Parli di Tobio come di un pupazzo,” gli fece notare Shouyou.
“Non un pupazzo,” chiarì Kei. “Un’arma. Oggi è l’arma più grande di cui l’Ordine Jedi dispone. Domani, chi lo sa?”
“Kei...” Lo rimproverò Yuutaro a bassa voce. Il Padawan dai capelli biondi guardò con sufficienza anche lui e riprese a mangiare come se non avesse detto nulla, come se non avesse affermato di fronte a Shouyou che il suo Maestro era condannato a cedere al Lato Oscuro solo perché, per sua immensa sfortuna, aveva il carattere peggiore con cui avesse mai avuto a che fare.
Tobio era antipatico. Tobio era una somma di difetti che non si potevano elencare e sembrava aver fatto un voto con se stesso per rendergli le giornate impossibili. A Tobio non piaceva e a Shouyou non piaceva lui ma... Ci stava provando. Nonostante non volesse essere il suo Maestro e non mancasse di ripeterglielo regolarmente, era rimasto.
Era stato una guida per lui quando gli aveva messo quel casco sopra la testa e lo aveva coinvolto in un duello che, coscientemente, non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare. Da quel giorno, Shouyou doveva ammettere di non aver più così tanta paura di combattere. Non era pronto, non era ancora educato per il campo di battaglia ma poteva.
Questo gli aveva fatto capire Tobio quel giorno, sebbene a modo suo. Shouyou poteva ed era la sicurezza più grande che avesse mai avuto in tutta la sua vita.
Si alzò in piedi e guardò Kei dall’alto. “Sei migliore di lui?” Domandò. “Non basta essere bravi con la spada, giusto? Per superare la prova e divenire Cavalieri bisogna affrontare anche prove mentali, vero? Il Maestro Koushi mi ha detto qualcosa sull’essere capaci di affrontare se stessi.”
Non aspettò che qualcuno rispondesse.
“Tobio c’è riuscito, voi no,” concluse Shouyou. “Può anche avere un carattere orribile, può essere incapace di essere una guida ma non è un debole. Non accetto che si parli così del mio Maestro in mia presenza.”
Se ne andò senza finire di mangiare.
Gli era passata la fame.
 
 
***
 
 
 
Satori camminava avanti ed indietro da un bel po’ e cominciava seriamente a perdere la pazienza.
Non c’era un solo angolo di quel Tempio che non avesse controllato e del loro fantomatico Re dei Sith nemmeno l’ombra. C’erano bambini in ogni dove e belle fanciulle che li tranquillizzavano al loro passaggio. Alcuni, però, più che spaventati, sembravano non vedere l’ora di attaccare briga e aveva perso il conto di quelli che lo avevano guardato storto come se non se ne andasse in giro vestito di nero e gli avevano fatto la linguaccia come se non avesse una spada laser alla mano.
Mocciosi della nuova generazione... Ai suoi tempi si temeva anche di guardare negli occhi i Maestri per troppo a lungo. Ora, sembravano nascere con una predisposizione genetica all’arroganza. Erano insopportabili ma doveva ammettere che gli piacevano.
La porta delle stanze della Principessa era socchiusa e Satori la spalancò senza permesso. Kiyoko se ne stava seduta su di una comoda poltrona vicino alla balconata e c’erano alcune bambine sedute per terra, sul tappeto o accanto a lei. C’era un libro aperto sulle sue gambe ma smise di leggerlo non appena vide il Sith sulla porta che la guardava con un sorriso sarcastico. “Che razza di Tempio è mia questo?” Domandò con sincera curiosità. “Non c’è neanche l’ombra di un uomo ed ha una Principessa della Repubblica al comando.”
“Esistono donne Jedi di gran lunga più abili degli uomini,” replicò Kiyoko accarezzando distrattamente i capelli di una bambina che gli si era accoccolata a fianco spaventata. “Karasuno è piccolo, pacifico... I bambini crescono sereni qui.”
“Lo vedo...” Rispose Satori con sarcasmo pensando a tutte le piccole pesti che lo avevano apertamente sfidato. “Parlando dell’abilità delle donne, di cui, per la cronaca, non ho mai dubitato... Hai ucciso il mio superiore?”
Kiyoko sospirò annoiata e riaprì il libro che stava leggendo ai bambini. “Esci sulla balconata, scendi le scale che portano al lago...”
Satori la guardò più annoiato di prima ma la Principessa riprese a leggere la sua favola ed il Sith sospirò, fece appello a tutta la sua traballante pazienza e fece come gli era stato detto. C’era una stretta scalinata a lato della balconata. Scese i gradini lentamente per non scivolare, l’acqua del lago rispecchiava la luce del sole sullo sfondo.
C’era un altro ambiente di sotto. Una stanza a semi-cerchio le cui pareti esterne erano caratterizzate da alte vetrate ridotte in frantumi. Entrò all’interno schiacciando alcuni frammenti di vetro nel processo. C’erano foglie secche sul pavimento: nessuno doveva scendere lì sotto da un bel po’. C’era una sedia a dondolo a terra, alcuni vecchi giocattoli sparsi sul pavimento. Doveva essere una stanza ricreativa per i bambini più piccoli o qualcosa del genere.
La luce all’esterno era la sola fonte di luce e la figura scura di un giovane uomo vestito di nero di fronte ad una delle finestre in frantumi era un contrasto quasi doloroso per gli occhi. Satori sospirò scocciato. “Ehi...”
Due occhi dorati lo trafissero immediatamente.
“Che stai facendo?” Domandò. “Gli uomini si cominciano a chiedere che cosa facciamo qui e tu ti fai prendere dai ricordi. Pensavo fossi nato e cresciuto su Seijou...”
“È così...” confermò il suo superiore voltandosi a guardarlo.
Satori inarcò un sopracciglio confuso, poi un’intuizione gli diede la risposta che stava cercando. “Oh...” Annuì. “Ora che mi ci fai pensare, questo è il pianeta da cui ti abbiamo recuperato, vero?”
L’altro non rispose.
“Quindi, qui è dove è successo... Qualunque cosa ti sia successa...”
Il suo superiore gli rivolse un sorriso sarcastico. “Intuizione geniale, Satori, degna di te!”
“Non fare il simpatico, ora... Toglimi una curiosità, però,” disse Satori facendosi più vicino. “Karasuno non ha una grande importanza politica. Il suo Tempio Jedi è poco più di un asilo gestito da balie... Balie molto pericolose, certo ma... Perché siamo qui?”
“Stai discutendo gli ordini di un tuo superiore?”
“Vostra maestà, volevo solo portarvi rispetto e provare a domandarlo direttamente a voi, piuttosto che scavalcarvi direttamente ed andare a chiare al Signore Supremo... Vi ricordo che, a dispetto che non vi piaccia, posso farlo...”
L’altro Sith fece una smorfia. “Stiamo aspettando l’arrivo del vero obbiettivo.”
“Quanto mi piacerebbe saperne di più a riguardo.”
“Sai quanto basta,” tagliò corto il Re dei Sith.
Satori sbuffò. “Per la cronaca, una navicella è atterrata poco lontano da qui questa mattina.”
L’espressione dell’altro Sith si fece immediatamente attenta. “Che genere di navicella?”
“Piccola...” Commentò Satori. “Abbastanza perché i nostri radar non la notassero prima che fosse troppo tardi per abbatterla.”
“È giunto il momento di fare il prossimo passo...”
“Dove, vostra grazia?”
“C’è solo un luogo poco lontano da qui in cui valga la pena andare in una situazione di emergenza.”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Non conosco questo pianeta come te, cerca di essere più chiaro.”
“La Capitale,” rispose il Re dei Sith. “All’alba, marceremo sulla Capitale...”
 
 
 
***
 
 
 
 
“Perché ti chiamano il Re dei Jedi?”
Shouyou si pentì di averlo domandando nell’istante in cui quegli occhi blu si voltarono a guardarlo con più freddezza del solito. Erano soli, in una prateria fuori dai confini del Tempio, sulla riva di un lago tanto grande che per Shouyou sarebbe anche potuto essere il mare se il suo Maestro non lo avesse bruscamente informato differentemente. Shouyou era seduto sull’erba con le gambe incrociate, Tobio lo guardava dall’alto. Le casacche di entrambi giacevano a terra: le temperature si erano alzate negli ultimi giorni, la stagione calda si faceva sempre più vicina.
Ad un mese dal suo arrivo al Tempio di Seijou, Shouyou era abbastanza bravo con la spada da essersi lasciato alle spalle le lezioni basilari per passare ai veri duelli d’allenamento. Non era più riuscito a disarmare il suo Maestro ma le volte che si ritrovava a terra stavano diminuendo di giorno in giorno.
“Chi te lo ha detto?” Domandò Tobio. C’era rabbia sia nella sua voce che nella sua espressione e Shouyou lo aveva visto arrabbiarsi tante volte con lui ma mai così. “Ti da fastidio...” Concluse.
Tobio appoggiò un ginocchio a terra e lo guardò dritto negli occhi. “Chi te lo ha detto?”
Shouyou si fece rigido ed ingoiò a vuoto. “Kei...” Rispose e Tobio non sembrò sorpreso. “C’erano anche Tadashi, Yuutaro e Akira ma Kei era quello che...”
“Bastardo...” Sibilò Tobio alzandosi di nuovo in piedi. “Sei loro amico?”
Shouyou scosse la testa frustrato. “No...” Disse con aria un poco malinconica. “Ah! Non so nemmeno perché l’ho fatto! Come se ti meritassi qualcosa da me per il modo in cui mi tratti!”
Tobio lo guardò storto. “Di che cosa mi stai accusando, idiota?”
“Quei ragazzi!” Esclamò Shouyou. “Loro si sono avvicinati a me! Volevano fare amicizia ma poi quel Kei antipatico si è messo di mezzo, ha cominciato a parlar male di te ed io mi sono sentito in dovere di difenderti perché sei il mio Maestro! Conclusione: mangio di nuovo da solo e ho come la netta sensazione che adesso ci sia anche qualcuno che mi fissa per tutto il tempo!”
L’espressione di Tobio cambiò ma Shouyou non seppe decidere se in meglio o in peggio. Se avesse dovuto descriverla a parole sue, avrebbe detto che era indeciso su cosa fare con la sua faccia. “Sei... Sei un idiota, per caso?”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “Io ti difendo e come ringraziamento mi prendo un insulto?” Domandò indignato. “Comunque perché ti chiamano il Re dei Jedi? Perché tutti ce l’hanno tanto con te?”
“Quel bastardo di Kei non ti ha spiegato niente?”
Shouyou annuì immediatamente. “Mi ha detto che hai una personalità tirannica e che questo rende impossibile lavorare in squadra con te, per farla breve. Quello che voglio dire... È chiaro che tu abbia un carattere schifoso ma io non mi sognerei mai di darti del Re, quindi... Che c’è? No! Adesso non ti arrabbiare!”
Tobio lo afferrò per il colletto della maglietta e lo tirò in piedi. “Non mi chiamare in quel modo,” disse a voce bassa ma minacciosa. “Non ti è permesso in nessun caso di rivolgerti a te in quel modo.”
Shouyou s’imbronciò e gli afferrò il polso. “Ti ho appena detto che non mi sognerei mai di farlo!”
“Bene!” Tobio lo lasciò andare e, per poco, il Padawan non perse l’equilibrio.
Shouyou accantonò l’argomento ed afferrò la sua spada appoggiata sull’erba. “Un altro duello?” Domandò con gli occhi brillanti. “Questa volta, ti sconfiggerò, stanne certo!”
“Piantala...” Disse Tobio senza guardarlo e, senza il minimo preavviso, si liberò della maglietta. “Mi faccio una nuotata.”
Shouyou ghignò. “Il mio grande Maestro non riesce a stare al passo! Ha bisogno di una pausa!”
“Dalla tua faccia di certo!” Replicò Tobio sfilandosi gli stivali. “Sei tu che dovresti imparare a regolare le forze. Non è un addestramento costruttivo se ne esci distrutto. L’esercizio deve essere continuato, non intensivo! Se ti fai del male in qualche modo, dovrai restare a riposo giorni ed allora il lavoro degli ultimi giorni sarà stato inutile!”
Shouyou mise su il broncio e fece per replicare quando Tobio si liberò dei pantaloni come se fosse la cosa più normale del mondo e si diresse verso il centro del lago con solo l’intimo addosso. Il suo Maestro era giovane, di sei mesi più giovane di lui ma era alto, molto alto... Solitamente, questo non sorprendeva particolarmente Shouyou: sua madre era una donna piccolina e non aveva idea di chi fosse suo padre. Il fatto di essere minuto a sua volta lo aveva sempre distinto dagli altri anche da bambino. Quello che, però, colpì la sua attenzione in quel momento fu tutt’altro tipo di differenze: Tobio non era solo più alto di lui... Tobio aveva poco più di quattordici anni ed era un uomo, Shouyou non sembrava nemmeno un’adolescente se guardato nel modo sbagliato.
Tobio aveva le spalle larghe, i muscoli ben delineati ma non troppo. Non era come quei tipi che davano spettacolo di loro nei luridi locali del suo pianeta per vincere qualche scommessa a braccio di ferro. Shouyou soleva guardarli indeciso se avessero la testa troppo piccola o il corpo troppo grosso. Tobio non alimentava lo stesso dilemma, al contrario, sembrava essere talmente perfetto che Shouyou si sentì in dovere di sbirciare dentro il colletto della maglietta per assicurarsi che il suo corpo non fosse pietoso come lo ricordava in confronto a quello dell’altro.
Dopo una breve analisi, sospirò frustrato e vide Tobio scomparire sott’acqua per poi ricomparire qualche istante dopo. Si passò una mano tra i capelli neri tirandoli all’indietro. Shouyou lo vide prendere un respiro profondo, poi gli occhi blu si voltarono nella sua direzione e sentì uno strano calore salirgli alle guance senza nessuna ragione.
Shouyou sbuffò e si lasciò cadere sulla schiena, le braccia incrociate dietro la testa. Il cielo era azzurro con qualche nuvola bianca a renderlo ancora più bello.
Gli piaceva stare così.
Gli piaceva poter guardare il cielo senza doverlo fare di nascosto, prima che qualcuno gli desse un ceffone dietro la testa e gli ordinasse di tornare al lavoro. Non seppe per quanto tempo restò così. Le palpebre cominciarono a farsi pesanti ma Shouyou non aveva alcuna intenzione di darla vinta a Tobio e dimostrargli che era davvero distrutto come diceva.
Cercò di distrarsi con qualcosa. Voltò lo sguardo verso destra e trovò la spada laser di Tobio appoggiata sulla casacca lasciata sull’erba. Allungò il braccio fin quanto poteva, la sfiorò ma non era abbastanza vicino per poterla impugnare. Shouyou sbuffò, piegò di nuovo il braccio dietro la testa e tornò a fissare il cielo. Per un po’, sentì il rumore dell’acqua provocato dai movimenti di Tobio, poi sentì le palpebre farsi di nuovo pesanti.
Si portò un braccio sopra il viso per coprirsi dalla luce del sole.
”Non possiamo.”
“Allora respingimi...”
“Non farmi questo, ti prego.”
“Non dirlo come se fossi tu quello ad essere ferito.”
Il cuore di Shouyou saltò un battito ma non riuscì a muovere un muscolo.
”Dimmi che è stato un errore! Dimmi che non mi ami! Dimmelo!”
“Stai zitto...”
“Dimmelo guardandomi negli occhi, questa volta!”
“Stai zitto!”
Sentì una grande sofferenza comprimergli il petto ma non sapeva a chi appartenesse.
”Che cosa c’è di così orribile nell’amare? Nel provare? Nel vivere a pieno le nostre emozioni?”
“Abbiamo fatto un giuramento...”
“Io ti ho dato il mio cuore, questo giuramento non ha alcun valore per te?”
Sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi ma sapeva che non erano realmente sue.
”Non hai alcuna colpa.”
“Perché non fate altro che ripetermelo?”
“Perché è la sola verità che conta e l’unica di cui non riesci a convincerti.”
“Perché non è la verità... La verità è che ho sempre avuto il potere salvarlo e non l’ho voluto usare.”

“Shouyou!”
Shouyou sollevò le palpebre di colpo ma non ricordava quando le aveva chiuse. Qualcosa era sopra di lui... Qualcosa di caldo, bagnato. Ci mise un po’ per capire che Tobio gli era sopra, il corpo bagnato aderente al suo. Shouyou trattenne il respiro e fu incapace di chiedere qualsiasi cosa.
Tobio si sollevò un istante più tardi e si mise in ginocchio di fronte a lui. Shouyou si tirò a sedere e sgranò gli occhi quando vide quello che il suo giovane Maestro stringeva nel pugno: un piccolo serpente si agitava tra le sue dita cercando disperatamente di liberarsi. Tobio la gettò lontano, nell’erba. Shouyou seguì il movimento a bocca aperta e non parlò per alcuni istanti. “Non l’ho sentita arrivare.”
“L’ho fatto io per te...” Rispose Tobio con un sospiro.
Gli occhi d’ambra cercarono quelli blu dell’altro e si fecero enormi quando videro il sangue sulla mano del giovane Maestro. “Ti ha morso!” Esclamò Shouyou afferrando il polso di Tobio e facendosi più vicino per dare un’occhiata. “Era un serpente velenoso?”
Tobio lo guardò storto. “Pensi che mi sarei disturbato a salvarti se non lo fosse stato, idiota?”
Shouyou non perse tempo ad offendersi e si alzò in piedi, non sentiva nemmeno la stoffa bagnata dei suoi vestiti contro la pelle. “Dobbiamo tornare indietro!” Esclamò in panico, infilò la sua casacca e fece per recuperare i vestiti di Shouyou ma la sua mano si fermò a pochi centimetri dalla spada laser che aveva sfiorato prima di addormentarsi. Ricordò tutto il dolore che lo aveva soffocato e si bloccò.
“Spostati...” Disse Tobio spingendolo da una parte con poca grazia ed infilandosi i vestiti sebbene avesse ancora la pelle umida. “Non è il primo serpente da cui vengo morso. So cosa fare ed andare in panico non servirà a nulla, stupido! Sono perfettamente capace di...”
Collassò a terra prima che potesse finire di parlare.
 
 
 
***
 
 
 
La Capitale di Karasuno sorgeva in un’ampia vallata circondata da montagna e percorsa da grandi fiumi che le permettevano di collegarsi velocemente con le altre città importanti del pianeta. Non era un mondo di alta tecnologia, non era una minaccia per nessuno né un obbiettivo politico che avrebbe fatto la differenza nella guerra ma la sua Principessa era una forte personalità della Repubblica e non c’era da indagare sulle ragioni che avevano dovuto spingere i Sith a prenderla come ostaggio in un Tempio pieno di bambini destinati a divenire Jedi.
Koushi, tuttavia, non riusciva a convincersi che le cose fossero così facili come apparivano. L’arrivo suo e di Daichi era stato fin troppo tranquillo. La Capitale ed il resto del pianeta continuava ad andare avanti come se nulla stesse succedendo e solo all’interno del palazzo si poteva respirare in parte lo stato di emergenza in cui Karasuno versava.
I Sith erano soldati, non banditi, non prendevano ostaggi politici aspettando che qualcuno regalasse loro qualcosa di comodo per il loro rilascio. Ottenevano con la forza quello che volevano. Non permettevano contatti e non concedevano vie di fuga.
Eppure, non c’era dubbio sul fatto che vi fossero dei Sith al Tempio Jedi.
Daichi aveva condotto di persona una missione di ricognizione con Asahi e Ryuu, insieme ad alcuni soldati reali ed erano tornati solo in tre...
Koushi sospirò appoggiando i gomiti sul parapetto della balconata e guardando la Capitale sotto di loro. Il Palazzo sorgeva sul versante di una delle montagne che la circondavano ed era possibile vederla in tutta la sua estensione da lassù. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancata casa prima di tornarci.
“È come te la ricordavi?”
Due labbra calde gli sfiorarono il retro del collo e sorrise malinconicamente. “No,” rispose. “È più bella...”
Daichi infilò il naso tra i capelli chiari sulla sua nuca ed inspirò il suo profumo a pieni polmoni. “Possiamo passare la notte insieme...”
Koushi sospirò rigirandosi nell’abbraccio del suo amante per poterlo guardare negli occhi. “Daichi...”
“Solo un’altra notte...”
“Ed un’altra notte ancora...” aggiunse Koushi con malinconia. “Se fossimo stati coerenti con noi stessi, la nostra ultima notte sarebbe dovuta coincidere con la prima.”
“Non dobbiamo nasconderci qui,” cercò di giustificarsi Daichi. “Siamo a casa, questa è la nostra famiglia...”
Koushi gli accarezzò il viso con dolcezza. “Quel che rimane...” Portò la mano sulla fasciatura che stringeva il braccio destro del compagno. “Fa ancora male?”
“No,” Daichi appoggiò la fronte sulla sua. “Le tue mani sono prodigiose quando si tratta di curare qualcuno.”
Koushi arrossì appena e sorrise. “Non riconoscermi talenti inesistenti per distrarmi dalla mia inutilità.”
“Devo ricordarti tutte le volte che Tobio si faceva male e urlava piangendo che non si sarebbe fatto medicare da nessuno all’infuori di te?”
“Tobio è un bambino, Daichi.”
“Era un bambino,” lo corresse Daichi. “Tu e Hajime dovreste imparare ad accettarlo.”
Koushi abbassò lo sguardo per un istante. “Ha quattordici anni...”
“È un Jedi,” gli ricordò Daichi. “È più alto di me e di te, per la cronaca.”
Koushi rise appena. “Ha appena cominciato a crescere e già mi chiedo che uomo diventerà.”
“Ce lo chiediamo da quando è nato. Forse, dovremmo smettere di farlo con timore...”
“E come? Ha un carattere così difficile!” Koushi si voltò a guardare la Capitale ancora una volta. “Sogna di lui.”
Alle sue spalle, Daichi si fece serio. “Come lo sai?”
“Lo ha detto a Hajime e lui lo ha confidato a me.”
Daichi non disse nulla per alcuni istanti. “Che genere di sogni?”
Koushi fece una smorfia. “Tobio sostiene di ricordare solo il suo nome quando si sveglia.”
“E tu non gli credi.”
“Se sono sogni vividi come gli incubi che svegliano anche noi per quanto turbano la Forza, no, non gli credo!” Koushi alzò gli occhi verso il cielo. “E penso che quest’attacco non sia casuale in tempi come questi.”
Daichi corrugò la fronte. “Che vuoi dire?”
Koushi si voltò a guardarlo di nuovo. “Hai detto di non aver visto nessun Sith quando avete cercato di avvicinarsi al Tempio e siete stati attaccati.”
“Sì, erano soldati ben addestrati ma... Ho ordinato la ritirata prima di attaccare davvero. Erano troppi, Koushi e non sapevo che cosa ci sarebbe aspettato andando avanti. Non potevo spingere Asahi e Ryuu oltre.”
Koushi annuì. “Capisco... Ma non ti sembra strano?”
“Che non ci abbiano attaccato dei Sith?”
“Che se ne stiano al Tempio senza fare nulla. Il Signore Supremo non agisce così. Fa terra bruciata intorno a sé, mette in ginocchio i suoi nemici assicurandosi che non abbiamo possibilità di alzarsi. Chiunque sia a capo di questa missione, sta aspettando qualcosa...”
Daichi lo guardò con interesse. “Che cosa? Vai avanti...” Si fidava del consiglio di Koushi e le sue intuizioni difficilmente erano sbagliate.
Il compagno lo fissò intensamente. “Daichi, io penso che si tratti di... Non sarebbe la prima volta che fa qualcosa solo per attirare la nostra attenzione!”
Daichi si fece rigido. “Devo avvertire il vecchio Ukai.”
Koushi gli afferrò le braccia prima che potesse fare un passo. “Ti prego, non farlo.”
“Se hai ragione, siamo in grave pericolo!”
“Se ho ragione, Hajime correrà qui con gli altri al seguito e Tobio rimarrà a Seijou completamente da solo! Lo so che è grande, lo so che è un Jedi ma la sua situazione è instabile e Shouyou è solo un ragazzino!”
Daichi strinse le labbra. “Se gli mentiamo, Hajime non ci perdonerà mai.”
“E se gli diciamo la verità, gli concediamo un’altra occasione per perdersi!” Replicò Koushi con forza. “Il vecchio Ukai avrebbe potuto cacciarlo anni fa per la sua insubordinazione al Codice.”
“E non sarebbe stato il solo...” Aggiunse Daichi con una smorfia.
“Non possiamo permetterci di perdere nessuno, non ora!” Concluse Koushi con fermezza. “E se Hajime viene qui, le possibilità di perderlo sono alte... Se lui è qui, non è un caso. Karasuno ha molti significati per tutti noi, i nostri più grandi segreti hanno preso vita qui, su questo pianeta. Uno in particolare... Temo che si quello che lui sta aspettando.”
 
 
***
 
 
”Guarda quanto è bella la nostra stella...”
Una carezza. Un bacio caldo.
“È perennemente imbronciato, però! Gli verranno le rughe d’espressione prima che impari a sorridere.”
“Se fossi stato costretto a stare mesi con te, sarei imbronciato anche io!”
“Rude! Tu, comunque, sei stato anni attaccato a me!”
“E guarda che bell’effetto ha avuto sul mio umore!”
Un altro bacio ma non per lui, questa volta.
“Almeno, ogni volta che ti guarderai allo specchio e vedrai tutte le rughe d’espressione precoci che ti sono venute, so che penserai a me.”
“Stupido...”
Un bacio ancora. Era una bella sensazione. Anche se nemmeno quel bacio era per lui, sembrava che l’amore lo fosse.
Di colpo, sentì freddo.
“Tooru...”
Quella voce la conosceva, era spaventata.
“Tooru, fermati! Puoi ancora farlo! Fermati!”
Un giovane uomo dai capelli chiari indietreggiava, gli occhi pieni di paura. Un altro vestito di nero dai esauriva lentamente la distanza tra loro, una spada dal laser rosso stretta tra le dita. Gli occhi erano grandi, dorati e splendenti come due stelle ma dalla luce decisamente inquietante. I capelli erano castani, arricciolati sulle punte. L’aveva già visto ma non ricordava dove...
Era notte, era freddo e c’era paura nell’aria. Tanta paura e disperazione. Sentiva il respiro bloccato in gola, come se dovesse urlare ma non riuscisse a farlo.
“No...” Provò a dire ma nessuno sembrò udirlo. “No!” Provò a ripetere ad alta voce ma l’uomo vestito di nero avanzava, mentre quello dai capelli chiari si ritrovava con le spalle al muro ed il laser rosso puntato contro il petto.
“Di tutti noi sei sempre stato quello più speranzoso, Koushi e questo nonostante non vi sia mai stata nessuna speranza per te di essere quello che tanto desideravi diventare...”
“No! No!” Urlava ma nessuno lo ascoltava. Non potevano udirlo.
L’uomo vestito di nero sollevò la spada. “È troppo tardi da troppo tempo...”
 
 
 
“No! No!”
“Tobio! Tobio, svegliati!”
Si dimenò contro le braccia che lo tenevano fermo ma non ci fu niente da fare.
“Tobio! Apri gli occhi! Svegliati! Sei al sicuro, svegliati!”
Qualcosa gli colpì il viso con violenza. Si fece immobile per il dolore e ci mancò poco che rischiasse di perdere i sensi di nuovo. Si portò una mano alla parte lesa lamentandosi, poi aprì gli occhi lentamente, lasciando che si aggiustassero alla luce artificiale che illuminava l’ambiente accecandolo. Quando riuscì a mettere a fuoco l’immagine di fronte a sé, il primo viso che riconobbe fu quello spaventato di Shouyou. Che cosa avesse spaventato il piccolo stupido non ne aveva idea ma non aveva neanche la voglia di approfondire la questione, quindi lasciò che il suo sguardo andasse oltre, incontrò gli occhi preoccupati del Maestro Ittetsu e quelli frustrati del Maestro Keishin.
“Tobio...”
Qualcuno gli strinse una spalla e solo allora gli occhi blu di Tobio incrociarono quelli verdi del suo vecchio Maestro. “Hajime...” Mormorò con voce impastata dal sonno. “Che cosa...?”
“Ti sei fatto mordere una vipera come quando eri un bambino!” Esclamò Keishin Ukai scocciato. “Ittetsu qui ha quasi avuto una crisi di panico, come se non ci fossimo abituati!”
“Ho sempre un tuffo al cuore quando vedo uno dei ragazzi privi di sensi,” si giustificò il Maestro Ittetsu con un sorriso, poi appoggiò una mano sulla spalla del ragazzino al suo fianco. “Anche Shouyou era molto preoccupato e si è rifiutato di andarsene fino a che non avessi ripreso i sensi.”
Shouyou fece per dire qualcosa a proposito ma Tobio riportò subito gli occhi sul viso di Hajime. “Mandate qualcuno a Karasuno...” Non lo disse incisivamente come avrebbe voluto, gli girava troppo la testa, Hajime, però, sembrò comprendere l’urgenza di quel messaggio.
“Abbiamo notizie da Karasuno?” Domandò a Keishin.
Il giovane Ukai incrociò le braccia contro il petto. “Il Tempio è sotto il controllo dei Sith ma non sono riusciti ad identificare chi...”
“Alto, vestito di nero,” lo interruppe Tobio mettendosi a sedere ed inutile fu la mano di Hajime sulla sua spalla che stava cercando di tenerlo fermo.
Ittetsu sospirò e sorrise gentilmente. “Hai descritto un Sith qualunque, Tobio. Probabilmente, era solo un incubo che...”
“Capelli castani... Ricci ma non proprio ricci, tipo,” aggiunse Tobio con fermezza, sebbene la testa gli girasse da morire. “Occhi dorati... Sorrideva. Ha chiamato il Maestro Koushi per nome, quindi lo conosce! Koushi lo temeva! Ho sentito la sua paura!” Sentì la stretta sulla sua spalla farsi più forte, sollevò lo sguardo e si accorse che qualcosa era cambiato negli occhi verdi di Hajime. “Lo conosci anche tu, Maestro?”
Keishin fece un passo in avanti. “Non saltiamo alle conclusioni, Hajime,” disse col tono di chi vuole dare un avvertimento.
“Ci ha fornito una descrizione!” Replicò Hajime con forza. “Dite al vecchio Ukai di contattare Karasuno. Assicuriamoci che Koushi e Daichi stiano bene, che non siano in una situazione di emergenza in cui sono impossibilitati a chiedere aiuto!”
“Lo si può verificare con poco, Keishin,” intervenne Ittetsu. “Possiamo occuparcene immediatamente e tranquillizzare Tobio sulla questione.”
“Non era un incubo e basta!” Insistette il ragazzo guardando il Maestro Keishin negli occhi. Questi sospirò. “Va bene!” Esclamò esasperato. “Hajime, tu non ti muovi di qui e ti assicuri che questi ragazzini non commettano altri guai per oggi!”
Shouyou s’imbronciò. “Io non ho fatto niente!”
Tobio lo guardò storto. “Potevi rimanere concentrato ed evitare quella vipera!”
“Non ti ho chiesto io di farti mordere per me!”
“E poi uno si chiede perché non ascolto più i vecchi decrepiti del Consiglio!” Sbottò Keishin Ukai annoiato. “Prima, le relazioni tra Maestro e Padawan con poca differenza di età sono proibite! Ora, il vecchio da deciso di creare una coppia di mocciosi perché, in un momento di pura follia, ha pensato fosse una grande idea!”
Uscì dall’infermeria borbottando tra sé e sé, sotto gli occhi sconvolti di Tobio e Shouyou.
Ittetsu forzò un sorriso. “Non preoccupatevi per lui. Le mie scuse.” Se ne andò a sua volta.
Tobio guardò Shouyou.
Shouyou guardò Tobio.
Entrambi aprirono bocca nello stesso momento.
Hajime simulò un colpo di tosse e sia gli occhi d’ambra che quelli blu si voltarono nella sua direzione. “Una sola parola in più e vi pentirete di non aver taciuto quando ne avevate l’occasione,” disse il Maestro con espressione decisamente minacciosa.
Entrambi i ragazzi ingoiarono a vuoto intimoriti ed annuirono in completo, religioso silenzio.
 
 
***
 
 
Daichi si era addormentato sopra le coperte con solo i pantaloni addosso.
Koushi restò a guardarli per diversi minuti con un sorriso innamorato, passando di tanto in tanto la mano tra quei capelli corvini che poteva accarezzare solo così, alla luce della luna ed in segreto, lontano da occhi indiscreti. Se il vecchio Maestro Ukai si era mai accorto di loro non aveva mai detto nulla in proposito. Forse, dopo quello che era successo con Hajime, aveva cominciato a chiudere un occhio più di quanto il suo ruolo gli permettesse ma Koushi era grato di questo. Nessuno dei due avrebbe mai tradito l’Ordine per nessuna ragione al mondo ed il loro giuramento come Jedi sarebbe venuto prima di qualsiasi sentimento personale li legasse.
Questo si erano ripetuti Koushi e Daichi quando era stato chiaro ad entrambi che non potevano semplicemente essere amici, compagni sul campo di battaglia. Questa era divenuta la promessa che avevano fatto a loro stessi, quando avevano deciso di concedersi un po’ di egoistica felicità e dimenticare in parte quello che era stato insegnato loro fin da bambini.
Daichi non aveva mai messo in discussione quella decisione.
Koushi, alle volte, si chiedeva quanto avrebbe resistito ancora. Per quanto tempo sarebbe riuscito a guardarlo andar via indossando una maschera per celare i suoi sentimenti?
Sospirò, concesse all’amante un’ultima carezza e poi si alzò in piedi: non sarebbe riuscito a dormire quella notte, non con il dubbio che un loro vecchio compagno potesse essere dietro quelle montagne con Kiyoko tra le mani e tutti i bambini sotto la sua custodia. Karasuno non era una colonna portante della Repubblica, nonostante la sua Principessa fosse una personalità carismatica che si rifiutava di cedere a qualsiasi compromesso quando si trattava del bene della sua gente, la sua conquista o distruzione non avrebbe cambiato in alcun modo le sorti della guerra ma aveva un valore inestimabile per tutti loro.
Si strinse nelle braccia per combattere l’aria fredda della notte e scese nei giardini del palazzo: aveva bisogno di schiarirsi le idee, di trovare un equilibrio nelle emozioni tumultuose che lo animavano. Sollevò lo sguardo: il cielo di Karasuno era un trionfo di stelle e, per un momento, trovò la pace nel pensiero che era tornato finalmente a casa.
Il lieve rumore di un laser che vibrava gli spezzò il fiato.
Qualcuno si mosse alle sue spalle ma Koushi non si voltò. “Tooru...”
“Hai paura,” commentò il Sith arrivandogli di fianco.
La prima cosa che Koushi vide fu il laser rosso della spada che l’altro stringeva nel pugno e solo in un secondo momento sollevò lo sguardo su quegli occhi dorati che, suo malgrado, aveva imparato a conoscere.
“No,” Koushi ingoiò a vuoto per combattere il nodo che aveva cominciato a stringergli la gola. “Provo tristezza.”
Il Re dei Sith gli sorrise quasi gentilmente. “Non sei felice di vedermi, amico mio?”
“Non così...”
“Non sono più schiavo di nessuno, dovresti essere felice per me.”
“Sei schiavo di te stesso!” Replicò Koushi con forza. “Del tuo rancore e delle tue paure!”
Il Re dei Sith sbuffò. “Non impartirmi anche tu la solita, vecchia e noiosa lezione,” gli disse scocciato.
“Tooru...” Koushi fece un passo in avanti, verso di lui ma l’altro sollevò immediatamente la spada laser per invitarlo a stare al suo posto.
“Ci siete solo tu e Daichi qui,” non era una domanda quella di Tooru. “Oltre ai due idioti e al gigante fifone, ovvio.”
Koushi si guardò intorno ma non vide nessuno, eppure percepiva decide di presenze intorno a sé. Passò appena un istante, poi le luci si accesero e voci che conosceva bene cominciarono ad urlare seguite dai rumori di un combattimento in corso. Koushi sollevò lo sguardo verso le balconate del palazzo e fece per correre all’interno ma la spada laser rossa gli bloccò la strada ancora una volta.
“Risparmiati una fatica inutile,” gli consigliò il Sith. “Hanno l’ordine di non uccidere nessuno. Mi servite vivi, tutti quanti.”
“Hajime non verrà qui!” Esclamò Koushi con le lacrime agli occhi. “Il vecchio Ukai capirà che si tratta di te e non gli permetterà mai d’intervenire!”
Tooru rise. “Come se i desideri dei vecchi del Consiglio abbiano mai fatto differenza per lui o per me.”
“Ha una missione più importante da compiere,” lo informò Koushi. “Una missione che vale più di qualunque cosa lo tenga ancora legato a te.”
“Una missione?” Domandò Tooru come se sapesse già perfettamente di cosa stava parlando. “Chiamalo per nome. Lo abbiamo scelto perché avesse un significato per tutti noi, sarebbe uno spreco non usarlo, non credi?”
Koushi strinse le labbra e non disse nulla.
Tooru abbassò di un poco la spada laser. “Ha distrutto una delle nostre squadra e liberato un pianeta praticamente da solo,” ghignò. “È un prodigio, come me...”
Koushi scosse la testa. “Può essere un prodigio ma non sarà mai come te!”
“Mi ripeti il giuramento di Hajime, ora?” Era di nuovo scocciata l’espressione del Sith.
Il Jedi prese un respiro profondo e scosse appena la testa. “Tooru, fermati...” Lo pregò. “Puoi ancora farlo! Fermati!”
Ci fu un momento in cui l’espressione di Tooru si riempì di dolce malinconia e Koushi credette di avere davanti il ragazzo che era cresciuto con lui, che aveva distrutto il suo futuro per un amore contro le regole. No, non era giusto raccontare quella storia così, non era giusto coinvolgere i sentimenti di Hajime in tutta quella oscurità. L’amore poteva aver lesionato l’innocenza di Tooru per primo ma Koushi si rifiutava di credere che fosse la causa della sua caduta.
Perché se così fosse stato, erano tutti spacciati.
“Sei sempre stato quello più speranzoso, Koushi,” disse Tooru, “e questo nonostante non vi fosse alcuna possibilità per te di essere ciò che desideravi diventare.”
Koushi si morse il labbro inferiore e cercò di trattenere le lacrime. “Tooru, ti prego... Se lo ami... Se lo hai mai amato... Fermati...”
L’espressione del Sith era indefinibile ma erano vuoti quegli occhi dorati mentre guardava il Jedi che era stato suo compagno ma, soprattutto, suo amico. “È troppo tardi da troppo tempo, Koushi.”
 



 
   
 
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