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Autore: JustAHeartBeat    15/02/2016    7 recensioni
Si ritrovò a sfiorare con uno sguardo curioso i lineamenti tondi, lattei, e gli occhi liquidi d’un argento limpido, ma allo stesso tempo inespressivi, si ritrovò a carezzare la linea imbronciata delle labbra sottili, ed al contempo visibilmente morbide, si ritrovò a perdere un battito del cuoricino nell’osservare la fossetta che in quel momento era comparsa al disopra del suo sopracciglio sinistro, inarcato, e si scoprì desiderosa di scoprire se un paio simili sarebbero comparse ai lati della bocca, se le avesse sorriso, si ritrovò ad osservare i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, tirati indietro da qualcosa che sarebbe potuto assomigliare al gel babbano, pensando come sarebbero stati scompigliati . Ma come sarebbe tanta bellezza potuta essere nemica? Cos’era Scorpius Malfoy? Il giorno, forse? O la notte? Proprio non lo sapeva, ma Rose non era stupida, e sapeva che il giorno e la notte sono soltanto due facce della stessa medaglia, e Malfoy, era sicuramente entrambe.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Qualche Lentiggine Di Troppo'
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Eccomi qui agaiin!
Si, lo so, come al solito sono in ritardo! Ragazzi, mi dispiace davvero tantissimo, ma questo non è stato un capitolo facile da scrivere, ha avuto prima di questa versione, almeno altre tre, ed ancora non riesco ad essere soddisfatta, quindi veramente, perdonatemi!
Il capitolo tocca un argomento piuttosto delicato, ho cercato di trattarlo nel miglior modo possibile, ho cercato di essere il meno superficiale possibile e spero di esserci riusita, gradirei molto che mi facciate sapere cosa ne pensate, di questo capitolo più che degli altri proprio per questo motio, ricordo che ogni critica saà accettata istantaneamente ed, ovviamente mi aiuta a crescere stilisticamente e mantalmente, qundi grazie davvero in anticipo <3!
Ringrazio tantissimo Amy_demigod, Fracesca, Fancy, Chiaretta, la mia Occhialutina, ed ovviamente Lit, che sono stata felicissima di risentire! Grazie davvero a tutte voi, ragazze, non saprei davvero cosa fare senza il vostro appoggio, e.. boh, penso ch ormai sappiate perfettamente quanto mi sia affezionata!
Quindi ora vi lascio con il capitoletto e..
Ci 'vediamo' giù!
Cieeuuu

 
Chapter XVIII

La colpa più grande.


For one so small,
You seem so strong
My arms will hold you,
Keep you safe and warm
This bond between us
Can't be broken
I will be here
Don't you cry
-You'll be in my heart, Phill Collins


I giorni continuarono a scorrere inesorabilmente, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Sembrava però come se il tempo servisse esclusivamente a giustificare, in qualche modo, i mutamenti costanti dell’arco celeste: roseo, grigio, azzurro, di nuovo grigio, arancio, rosso, roseo ancora una volta e poi nero. Come se il concetto di tempo in sé per sé fosse effettivamente sparito. Dominique Weasley era stata trasferita con urgenza nel reparto rianimazione del San Mungo la sera del giorno 20 Gennaio, e dopo due orette scarse, l’addolorato dottor Witterblanken, aveva annunciato con un marcatissimo accento tedesco, che nessun incantesimo formulato era stato in grado di far uscire la paziente dal coma, e, mentre una barella candida usciva, alle sue spalle, fuori dalla stanza diretta probabilmente in un’altra, aveva richiesto la più totale pazienza e fede che la famiglia avesse avuto, in attesa che un giorno magico –indefinibile- Dominique decidesse di risvegliarsi.
Rose avrebbe voluto fiondarsi su quel pazzoide germanico e sgozzarlo con tutta le forza in corpo. ‘Ho fatto tutto il possibile’. Certo.. sicuramente. ‘No che non l’hai fatto, stronzo!”. Avrebbe avuto urlargli addosso. Non aveva fatto il possibile, assolutamente non l’aveva fatto, altrimenti Dominique sarebbe stata lì con lei, e non ci sarebbe stato alcun bisogno di tornare a casa o robe simili. Ma quel bastardo maledetto era protetto dal suo bellissimo camice bianco.
Rose quel giorno era stata in disparte, il suo sguardo aveva semplicemente catturato di sfuggita una piccola porzione della barella che si allontanava. Avrebbe dovuto capirlo, che non stava bene, che razza di cugina era? Che razza di amica era? Ma lei era troppo occupata ad amoreggiare con un coglione, la sua priorità non era di certo capire che sua cugina stava male, che avrebbe voluto morire. No, certo, perché preoccuparsi?
La Professoressa McGranitt, nella sua rugosa e minuta apprensione e preoccupazione, era stata più che disponibile a concedere un paio di settimane ai giovani membri alla famiglia Weasley-Potter per riprendersi dallo shock, così, un’assolata mattina di fine Gennaio, bagagli in mano e volti funerei, si erano ritrovati tutti alla stazione di Hogsmeade, nessuno era riuscito a produrre nemmeno il fantasma d’un sorriso, nessuno osava alzare lo sguardo per paura di incontrarne uno straziato come il proprio.
L’espresso colmo di Weasley era partito la mattina del 24, ma Rose era rimasta sulla banchina, seduta con il proprio bagaglio in mano, uno sguardo vacuo a colorarle gli occhi ed il fantasma di una lacrima ancora dipinto sulla guancia. Non poteva tornare a casa, non poteva. Sarebbe stata una tortura svegliarsi la mattina con il profumo caldo dei biscotti appena sfornati, e condividere sorrisi forzati con nonna Molly, qualche stretta di mano con la madre, giornate a giocare a gobbiglie con Albus tanto per passare il tempo, senza trarre gioia da una vincita o accorgersi di aver perso. No. Preferiva di gran lunga stare da sola, preferiva isolarsi nella Biblioteca, studiare, avere qualcos’altro da pensare, seppur una distrazione minima come un Tema di Pozioni. Avrebbe preferito tutto, anche un Troll in Incantesimi, purché questo le permettesse di sfuggire un attimo da quella bolla struggente di sensi di colpa e dolore nella quale si era confinata.
Così era tornata al castello, era entrata nell’ufficio della Preside e le aveva spiegato come stavano le cose, senza esserci effettivamente, consapevole del fatto che le parole le stessero uscendo a fiumi fuori dalle labbra da sole. La donna aveva semplicemente annuito, poi l’aveva accompagnata di persona alla torretta Grifondoro, senza fiatare, poggiandole una mano sulla spalla.
La rossa aveva apprezzato il gesto più di quanto fosse sembrato, e quella sera stessa, dopo aver ingurgitato velocemente un paio di biscotti ed una tazza di tè , le aveva addirittura scritto una lettera di ringraziamento, chiedendo che però non fosse inviato nulla come risposta, bisognosa di rimanere da sola.
Il week-end a seguire, la ragazza lo aveva passato chiusa nel suo letto a baldacchino, a studiare, costretta a scambiare saluti del tutto inutili con le compagne di dormitorio solamente la mattina e la sera. Poi arrivò il primo Lunedì dall’accaduto.
Quel giorno pioveva, ma Rose non ci fece neppure troppo caso. Si svegliò un quarto d’ora prima della sveglia eppure -regolata ad un orario assolutamente improponibile-, il sonno a colorarle le gote, aprì gli occhi solamente quando lo stridio fastidioso dell’aggeggio iniziò a risuonare acuto nella stanza. Sbrigliò il braccio dal cumulo di coperte per assestarle un colpo e buttarla per terra, in modo tale che smettesse di suonare, poi, aprendo appena gli occhi, si tirò a sedere, stiracchiandosi lentamente come per controllare l’effettiva efficienza dei propri arti e sbadigliò rumorosamente.
Quel giorno alzarsi le sembrava un’impresa. Rose Weasley si lasciò cadere nuovamente sul materasso, a peso morto, sprofondando nuovamente tra le braccia di Morfeo nel giro di un paio di petosecondi, lasciando ad Christie Morgan l’onore di svegliarla, un’ora dopo, appena in tempo per la colazione.
Scese nella Sala Grande miracolosamente in orario, i capelli fulvi raccolti in una treccia impeccabile, lo sguardo sveglio di chi è in piedi da ore, la camicetta perfettamente abbottonata e stirata fino all’ultimo bottone ed in nodo della cravatta rossa-oro stretto a regola d’arte. Nulla della sua figura lasciava anche vagamente intravedere le tre ore di sonno che si era concessa la notte precedente. Nulla nella camminata ritta e posata lasciava immaginare il dolore provato o le lacrime versate. Sembrava un giorno come un altro. Semplicemente un giorno come un altro. Per tutti. Quasi tutti.
La gente sussurrava, i ragazzi, annuivano tra loro, chi mormorava qualcosa nell’orecchio di qualcun altro, chi neppure si preoccupava di nascondere la propria curiosità. Perché si, tutti gli studenti di Hogwarts era al corrente del ricovero di Dominique Weasley, anche chi non sapeva minimamente chi fosse.
Rose deglutì il fastidio, per la prima volta davvero pentita di essere rimasta a scuola. Si sedette tra Hanna e John, come se nulla fosse, borbottando il suo solito “Buongiorno” cordiale. Questi le sorrisero appena, poi, scambiandosi uno sguardo carico di parole, le si strinsero attorno, in un tacito. “Noi ci siamo”. Rose sorrise.
Inforcò un paio di salsicce, che tuttavia rimasero intatte sulla superficie di ceramica per qualche minuto, e dopo averle spezzettate un po’, posò la posata sul tavolo. “Che avete in prima ora?” domandò in un filo di voce.
Hanna fu la prima a rispondere, alla velocità della luce, come se sospettasse che se la rossa avesse aspettato qualche attimo in più sarebbe scoppiata a piangere. “Doppia Erbologia con i Tassi, tu?”. Incrociò le braccia al petto, quasi per impiegarle in un qualcosa che non fosse pizzicare la propria uniforma quasi istericamente. Rose arricciò lievemente le labbra. Odiava essere trattata con così tanto riguardo, era quanto di più fastidioso ci fosse. Eppure non poteva biasimarli, erano preoccupati per lei, e probabilmente anche lei avrebbe fatto la stessa cosa a parti inverse. Merlino, era tutto così surreale. “Pozioni con le Serpi” rispose, cercando di ignorare la piccola vertigine alle sue stesse parole. Come avrebbe fatto a mandare giù quel maledetto senso di colpa? Con quale coraggio l’avrebbe guardato in faccia ancora sapendo che era il motivo della sua non curanza? Certo, sarebbe stata una dannata codarda e vigliacca ad incolparlo, eppure una piccola parte di sé, non poteva che pensarci.
“Ehm… Io vado, altrimenti rischierei di fare tardi” mormorò, alzandosi dal tavolo, per poi fare un sorriso di timida scusa. Non era affatto vero, che avrebbe tardato, era in anticipo, eppure stare lì, seduta tra i suoi amici, centro di occhiate preoccupate, la faceva sentire esposta, come se i suoi problemi, la sua tristezza fossero in qualche modo violati, non fossero più sue e basta. La faceva sentire.. scoperta, vulnerabile.
Poi scappò dalla Sala, corse via, senza salutare, senza dire altro. Si mischiò alla folla, la fidata borsa sbatacchiante sulla gamba, alla volta dei sotterranei, il più velocemente possibile, utilizzando i corridoi meno frequentati. Rallentò solamente quando gli studenti iniziarono ad essere sempre più radi. Prese il cunicolo che conduceva all’aula del professor Lumacorno, ma invece di entrarvi, optò per la classe a fianco, una delle classi costantemente vuote, chiuse la porta ed avanzò fino a ritrovarsi al centro della stanza. Non si appoggiò alla porta, alla parete, semplicemente rimase ferma, in piedi, lo sguardo fisso sulla parete opposta. Merlino, le sembrava di essere tornata al primo giorno di scuola del primo anno: tutti quei borbottii alle sue spalle, la pena negli occhi altrui, Merlino buono, la disgustava la pena della gente. Lei stava bene. Non aveva bisogno di un paio di sorrisi. Dominique non stava bene! Dominique non stava e basta, non lei, avrebbero dovuto mandare un gufo alla famiglia, non guardarla con dispiacere. Lei non se ne faceva un emerito nulla con quelle parole, con quelle occhiate! Non avrebbero fatto svegliare Dom, non lo avrebbe fatto!
La ragazza scoppiò a piangere. Non si sarebbe svegliata se la gente avesse continuato a parlarle dietro, se quel medico di merda non avesse riprovato a fare il suo lavoro! Si portò le braccia a circondare la sua stessa vita, come potessero sostituire l’abbraccio che avrebbe voluto. Piangeva silenziosamente, piangeva mozzando ogni singhiozzo al nascere, affannandosi per non farsi sentire, piangeva mettendo nelle lacrime tutto il dolore il corpo, piangeva perché non avrebbe potuto fare altro che quello. Era inutile. Era impotente. Si piegò sulle gambe, portandosi una mano alle labbra per morderla con forza, con lo scopo di strozzare l’ennesimo urlo. Rivide ancora una volta la figura esangue della cugina, la rivide davanti a sé. L’aveva trovato lei, il corpo abbandonato sul pavimento del bagno di Mirtilla Malcontenta, quando vi era entrata con l’intento di sciacquare via la patina consunta del lucidalabbra che si era passata sulle labbra per fare un po’ di scena. L’aveva trovata lì, i capelli biondi sciolti sul viso, alcune ciocche impregnate dell’acquolina salata delle lacrime che bagnavano il resto della pelle cerea. Il braccio, che aveva stretto la bacchetta fino a pochi attimi prima, mollemente teso sulla grata dello scolo dell’acqua, con quest’ultima a pochi centimetri di distanza, l’altro, al contrario, immobile lungo il fianco. Poi il sangue. Merlino, Rose non aveva visto mai tanto sangue in vita sua. La camicetta candida ne era imbevuta ad ogni punto, ed una pozza di stava allargando sotto il corpo statico, fuoriuscendo da un punto non ben preciso, da un taglio invisibile. La rossa aveva urlato, si era precipitata dalla cugina, era crollata sulle ginocchia e l’aveva scossa, l’aveva chiamata così tante volte che le era parso d’aver consumato il suo nome, le aveva sollevato il capo, tolto i capelli dal viso, schiaffeggiato le gote. Ma Dominique non aveva risposto. Non ricordava molto di quello che era successo, sapeva di aver chiamato aiuto, con tutto il fiato possibile, di aver implorato gli studenti uno ad uno perché l’aiutassero, ricordava di aver provato a pronunciare un incantesimo di levitazione di aver fallito. Di essere stata inutile anche nell’unica cosa che avrebbe potuto fare. Ricordava un ragazzo sollevare Dominique e portarla via e ricordava un’altra ragazza intimarle di alzarsi da terra. Il resto era tutto così sfuocato che non avrebbe saputo definirlo.
Allora pianse ancora, perdendo la cognizione del tempo, fino a quando non sentì qualcuno abbracciarla davvero. Non aveva udito l’aprirsi della porta, ma neppure si preoccupò più di tanto del nuovo arrivato. Sapeva chi fosse, lo aveva capito subito, quasi senza doverselo chiedere. Così, quando sentì la sua debole presa attorno a se stessa essere sostituita da una forte, una stretta quasi soffocante, una protezione quasi invalicabile, vi ci si abbandonò. Scorpius si accovacciò con lei, si sedette a terra e la portò a sedersi con lui, tra le sue gambe, le fece poggiare il capo nell’incavo del suo collo, senza che questa tuttavia smettesse di agitarsi e dimenarsi in una disperazione che era diventata quasi incontrollabile. Le posò delicatamente un bacio sul capo, assecondando accuratamente ogni sussulto, come aveva già fatto in Infermeria una settimana prima. Iniziò a dondolare lievemente, come se stesse cullando una bambina, mentre una lacrima rigava anche una sua guancia. Non disse mai nulla, semplicemente la strinse a sé, lasciando che questa prendesse il cotone della sua camicia e la stringesse tra le dita, stropicciandola e soffocasse i sussulti sul suo petto.
Rimasero così per un tempo non ben definito, fino a quando il pianto la ragazza si affievolì in un primo momento, e fu sostituito dopo poco da copiosi singhiozzi. “Shh”, le sussurrò dunque Scorpius all’orecchio, senza smettere d carezzarle i boccoli, senza smettere di circondarle il corpo con le braccia. Rose ebbe la forza di staccarsi un pochino dal ragazzo, solamente per guardarlo negli occhi. “È-È.. c-c-colpa mi-ia” balbettò dunque, aumentando l’intensità sulla camicia del Serpeverde. Questi parve scioccato da quella confessione a mezza bocca. Che razza di sciocchezze andava a pensare? Ma Rose non sembrava intenzionata a lasciarlo parlare, così, non appena il ragazzo socchiuse le labbra per pronunciare qualcosa, continuò il suo discorso. Voleva dire tutto, voleva condividere quei pensieri che le stavano logorando l’anima, non le importava d’essere giudicata, perché nessun giudizio poteva fare male come il suo. Semplicemente voleva sputare fuori tutto, tutto. Voleva condividere quel peso immenso. “Non ho notato nulla, non ho pensato a niente che non fosse me stessa, Scorpius, non mi sono fermata nemmeno una volta a pensare che Dominique potesse star male. Nemmeno una volta! E lei.. lei..” la voce le vacillò così tanto che il ragazzo dovette concentrarsi per afferrare le ultime parole pronunciate. Rose smise di parlare, mentre il tremitio che l’aveva abbandonata pochi attimi prima si stava impossessando nuovamente del corpicino esile. Scorpius allora la strinse ancora riportandola alla posizione precedente. “Shh, non dire sciocchezze, Rose, hai pensato a te per u..”. Ma ancora una volta la ragazza si staccò da lui, prendendo a dissentire più e più volte, sbatacchiando la testa come se non dipendesse più dal suo volere. “Non l’ho notato! Io non l’ho capito! L-lei..”. Il ragazzo scosse la testa con veemenza, per prenderla per le spalle e voltarla in modo tale che lo guardasse negli occhi. “Rosaline Weasley, porco Merlino, cosa non hai notato? Come avresti fatto? Per una volta, una dannata volta, hai pensato alla tua felicità! È stato un maledetto incidente! Solo questo! No..” . Rose però gli tappò la bocca poggiandovi il palmo della mano con forza. “Era incinta, cazzo! Era incinta! Aspettava un bambino… Io n-non ho s-saputo aiuta-arla.. L-l-ei ha pro-o-vato a-..” Ma a quel punto Rose non riuscì più ad andare avanti.. Non era stata in grado di aiutare sua cugina, troppo presa a pensare alle proprie cazzate. Aveva lasciato Dominique sola, a badare ad una gravidanza che le avrebbe cambiato la ita completamente, a badare alla cosa più importante della sua vita. E lei, da sola, era impazzita, troppo fragile per sollevare un peso così grade era stata schiacciata. Dominique non voleva un bambino, Dominique aveva compiuto da poco diciassette anni, era troppo piccola per un bambino. Ed il padre? Rose non lo sapeva, non le importava, sapeva solo che Dominique aveva commesso il più grande errore della sua vita tentando quell’aborto, sapeva solamente che lei non le aveva impedito di farlo. Era colpa sua.
Scorpius rimase impietrito. “D-Dominique ha a-b..” Rose sussultò così tanto che non continuò la frase, per paura che potesse in qualche modo svenire. Non voleva crederci. Scorpius non sapeva neppure che pensare, mentre guardava la ragazza piegarsi nuovamente per riprendere a piangere silenziosamente contro il suo collo. Avvertì le lacrime salate scivolargli lungo la pelle, bagnargli le clavicole e fermarsi in quella piccola conchetta. Era come se si fosse ghiacciato il mondo.
“Era incinta”. Due parole, le stesse parole che avevano ghiacciato l’anima dei signori Weasley-Delacour. Le stesse parole che avevano ucciso James Potter. Era incinta.


Ed eeccomii quii!
Giuro, ho una paura nera.
Okay, lo so, è un capitolo allucinante. Lo so, spero davvero di non aver offeso la sensibilità di nessuno, ma credo comunque di aver rispettato il rating arancione, in quanto questo comprenda anche le tematiche delicate ed i contenuti forti, comunque, nel caso in cui abbia dato fastidio a qualcuno, provvederei a rimediare istantaneamente, basta un avvertimento o un commento!
Non sono per nulla convinta di questo testo e sono insicura come lo sono stata in pochi capitoli. Comprendetemi, sto tipo tremolando(??) come una foglia.
Tremolii a parte, spero vi piaccia!
Il prossimo capitolo è già in corso, ma non saprei dirvi una data precisa di pubblicazione, ad ogni modo spero il più presto possibile!
Alla prossima!
Bacionissimi(?)
JustAHeartBeat

Ps. Contate mai le volte in cui scrivo 'davvero' e 'spero'?!

Pps. Domani ho due compiti in classe, sparatemi.
   
 
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