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Autore: RiverWood    15/02/2016    2 recensioni
"Clarke non riesce ad incontrare gli occhi di Lexa quando pressa il pugnale alla sua gola.
Lei non è chi Clarke vuole ferire e lo sa, nel profondo, sotto i pezzi di lei che sono stati fatti a brandelli, che non potranno mai essere ricuciti insieme. "
Clarke arriva a Polis per uccidere Lexa e rimane perché è il sentiero di minor resistenza, o almeno questo è quello che dice a se stessa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: Missing Moments, Otherverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Clarke rimane a Polis.

È il percorso di minor resistenza, o almeno questo è quello che si dice. Inoltre, lei è stanca di scappare.

Lexa fa in modo che lei abbia una stanza nell'ala opposta alla sua del palazzo di stato. Dietro la sala cavernosa dove i capi dei clan si riuniscono. La prima cosa che Clarke fa è nascondere la sua pistola sotto un'asse del pavimento sotto il suo letto.

Lexa le assegna un'assistente che si chiama Dinah – una donna gentile con delle rughe accanto agli occhi che le pettina i capelli e si assicura che lei mangi almeno un po', anche nei giorni negativi.

Ogni tanto, quando la donna controlla prima di andare a letto, menziona novità che ha sentito sulla Skaikru e Camp Jaha. Le dice che loro stanno essiccando carne per l'inverno; stanno costruendo baracche che li terranno al caldo durante i mesi freddi.

Clarke sa che queste sono parole di Lexa pronunciate da un'altra bocca, ma lei riesce a trovarvi comunque conforto.

Per il resto, il comandante la lascia stare.

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Il tempo è una cosa divertente.

Prima delle bombe, erano soliti dire che il tempo guarisce. Ma si sbagliavano – il tempo è come una crosta, si stratifica s'una ferita fino a quando azzera il dolore.

Queste croste diventano più spesse nel corso del tempo, ma la pelle nuova non cresce mai. La ferita è sempre aperta anche dopo anni.

Clarke non è sicura di quanto tempo sia passato quando per la prima volta si avventura fuori dal palazzo di stato. Inizialmente, non va più lontano di qualche isolato prima di ritirarsi nella sua stanza, ma presto non riesce più a sedare l'irrequietezza delle sua gambe a lungo e passa intere giornate camminando per la città.

Polis vibra in un modo che non credeva possibile esistere. È come se la città stessa fosse viva, e non solo le persone in essa. I mercanti cantano, i bambini ridono e lei capisce perché i guerrieri della Trikru sono disposti a morire per difendere questo posto.

Clarke impara ad evitare le strade affollate, dove le persone chinano il capo quando lei passa e mormorano parole gentili e ringraziamenti.

Si domanda che cosa Lexa abbia detto loro. Questo fa strappare la crosta di netto.

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È ridicolo, perché vivono tecnicamente nello stesso palazzo, ma non s'imbatte mai in Lexa.

C'è una parte debole di Clarke che si aspetta di trovarla dietro ogni angolo ed è delusa quando, volta dopo volta, lei non è lì. Inizia a vagare per il palazzo di stato allo stesso modo di come vaga per la città, dicendo a se stessa che vuole soltanto esplorare le librerie che c'erano prima della guerra e le sale da riunione decorate. Le creazioni del passato sono una compagnia migliore dei fantasmi del suo presente.

A volte, quando si sente avventata, scivola nell'altra ala residenziale e cammina lentamente lungo i corridoi, trascinando le dita lungo le pareti scheggiate. I suoi movimenti non sono silenziosi o furtivi ma, in qualche modo, non vede mai anima viva.

Una notte, Clarke chiede a Dinah se l'Heda sia in città.

"Oh sì." lei risponde con un piccolo sorriso.

Non dice nulla di più.

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La mattina seguente, Clarke gira un angolo e Lexa è lì.

È in piedi nel corridoio che conduce alle cucine, dove Clarke si ferma sempre alle prime luci dell'alba per prendere della frutta prima d'iniziare la giornata. Anche se lei deve essersi aspettata il suo arrivo – deve averla aspettata – la bocca di Lexa si spalanca, e ci vogliono alcuni secondi prima che i suoi lineamenti ritornino nella loro morsa d'acciaio.

L'accenno di vulnerabilità rilassa i nervi di Clarke e lei vacilla solo un po', prima di riprendere il suo passo rapido. Si obbliga a mantenere gli occhi fissi su Lexa mentre si avvicina, ma non si fida abbastanza di se stessa tanto da guardarla in viso.

Invece, lascia che i suoi occhi scivolino verso il basso, osservando gli abiti informali del comandante e il piccolo fagotto sotto un braccio. Quando è circa ad un passo di distanza, Clarke si ferma e, mentre fa risalire il suo sguardo, Lexa si sposta sui piedi.

I suoi occhi sono impassibili come sempre quando alla fine Clarke li incontra, ma la sua mascella è serrata. Deglutisce prima di parlare.

"Clarke." la sua voce si spezza e lei si schiarisce la gola "Sembri stare bene."

"Davvero?" Clarke prorompe in una risata asciutta e getta uno sguardo lungo il suo corpo; ai suoi jeans che fasciano allentati i suoi fianchi e le macchie sulla sua maglietta che non vengono via, non importa quanto Dinah strofini forte. "Se questo è ciò che s'intende per 'bene' devo proprio aver avuto un aspetto terribile prima."

Gli occhi di Lexa seguono il suo sguardo, poi scattano di lato.

"Ti ho portato dei vestiti più caldi," dice, porgendole il fagotto. "Non hai portato molto con te, e i nostri inverni sono rigidi."

"Grazie." Clarke lo prende e passa le dita sopra il tessuto e la pelliccia morbida.

Aspetta per qualsiasi cosa sia in procinto di avvenire, perché la consegna degli indumenti stagionali chiaramente non è uno dei doveri del comandante. Forse sta per dirle che ha abusato della sua ospitalità, o che dovrà pagare il prezzo per aver minacciato la vita della leader della Trikru.

Ma Lexa annuisce soltanto e torna sui suoi passi, camminando via velocemente. La vista fa stringere lo stomaco di Clarke e lei chiude gli occhi, allontanando i dolori acuti del tradimento.

"Lexa," chiama, quasi senza realizzarlo.

Quando riapre gli occhi, Lexa è ferma alla fine del corridoio, che la guarda con le sopracciglia sollevate. Clarke espira con il sollievo di aver avuto un altro momento.

"Clarke?"

Non sa come spezzare questo silenzio, questa distanza. Ci sono delle scuse che ha bisogno di sentire e quelle che ha bisogno di dire. Ci sono rabbia e risentimento che ancora si agitano in lei, e pensa che se urla a voce alta e abbastanza a lungo potrebbe forzarle a venire fuori. Poi c'è l'ala spezzata di un'anima che vuole essere guarita fino a quando potrà continuare ad andare avanti.

E, da qualche parte tra tutto questo, c'è una ragazza alla fine del corridoio che pronuncia il suo nome come se significasse qualcosa di diverso.

"Io--" inizia, poi scuote la testa.

Le sopracciglia di Lexa si aggrottano quando comprende l'angoscia che dev'essere scritta sul volto di Clarke. Chiude gli occhi il tempo di due battiti, quando li riapre annuisce semplicemente.

"Non è necessario dirlo."

Dopo un ultimo sguardo lei sparisce, lasciando solo il rumore dei suoi passi a rimbalzare tra le mura. Clarke si sente tanto vuota quanto lo spazio fra gli echi.

  
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