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Autore: BrokebackGotUsGood    15/02/2016    5 recensioni
Per Sherlock l'amore non è altro che uno svantaggio pericoloso. Riuscirà John a fargli ammettere di essersi...beh, sì, sbagliato?
«Credo di star attraversando una...u-una crisi d' identità, ecco».
[...]
«Di identità sessuale?»
«Per l'amor del cielo, non pronunci quella parola!!».

[Johnlock]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I







Quello era uno di quei momenti in cui mi ritrovavo inevitabilmente a pensare che avrei fatto di tutto per sapere cosa stesse passando per l'intricata e brillante mente di Sherlock.
Stava camminando con passo lento avanti e indietro per il salotto, le mani congiunte appoggiate alla bocca, gli occhi socchiusi per la concentrazione: molto probabilmente stava analizzando ogni singolo dettaglio che avrebbe potuto portare ad un possibile collegamento tra i tre omicidi avvenuti quella mattina all'Heathrow airport.
Sapeva di avere a che fare con un serial killer e non aspettava altro da settimane. Avevo imparato a conoscerlo e ormai sapevo perfettamente che più il caso si rivelava enigmatico, più per lui era eccitante; era sempre in cerca di qualcosa che potesse stimolarlo, che gli donasse il brivido del rischio, che fosse degno del suo invidiabile e ineguagliabile intelletto.
E io, per quanto riguardava l'irresistibile richiamo del pericolo, ero esattamente come lui. Ecco perché formavamo una bella squadra, nonostante il mio istinto omicida nei suoi confronti (che puntualmente reprimevo con la forza) venisse messo a dura prova dalla sua arroganza, presunzione e totale non curanza (apparente) per qualsiasi forma di sentimento altrui.
Avevo provato più volte a convincermi del fatto che non fosse il genere di persona con cui avrei voluto lavorare, passare il mio tempo libero e soprattutto condividere un appartamento, eppure, del tutto inaspettatamente, in pochissimo tempo era diventato il mio migliore amico, nonché una delle persone a cui tenevo di più al mondo.
Ma ormai avevo smesso di chiedermi come fosse potuto accadere, perché la risposta era sempre la stessa: in lui c'era molta più umanità di quanto volesse dare a vedere e io ero l'unico a cui si era concesso di mostrarla.
E non sarei riuscito a immaginare una fortuna più grande.
«La polizia non lo ha notato, ma gli squarci presenti sulla schiena di tutte e tre le vittime non sono casuali, formano delle figure, dei simboli...» disse quasi sussurrando, non rendendosi conto di star dando voce ai propri pensieri.
Lo guardai dalla mia poltrona, accavallando le gambe. «Ah sì?»
«Simboli che non mi sono del tutto nuovi. Dev'essere un alfabeto in codice o qualcosa di simile...».
Annuii, fingendo di dargli corda per qualche secondo, ma poi, quando l'occhio capitò sulle lancette del mio orlogio da polso, dovetti cercare di convincerlo a lasciar perdere, per il momento. «Bene, che ne dici di decifrarlo domani? Sono quasi le otto e un quarto e noi dovremmo...»
«Devo entrare nel mio palazzo mentale».
Feci per alzarmi, ma mi bloccai di colpo con le mani appoggiate ai braccioli della poltrona, guardandolo con disapprovazione.
«Che cosa? Adesso?! Sherlock, siamo già in ritardo, avevi detto che avresti preso parte alla festa a sorpresa per Greg! Non...»
«Greg...?».
Sospirai, non ritenendo scientificamente possibile che non si ricordasse il nome dell'ispettore dopo tutti gli anni che lo conosceva.
«Lestrade, Sherlock. Avevi...»
«Oh, Lestrade capirà» mi interruppe, avvicinandosi alla finestra e contemplando il cielo stellato per qualche istante. «Lo sa che non amo le feste».
Amanda Coalwood, Christopher Miller e Thomas Jacobson, passeggeri del volo BA 116 proveniente da New York, tutti e tre uccisi con numerose pugnalate alla schiena che, secondo Sherlock, formavano dei simboli che l'assassino voleva fossero decifrati: un caso indubbiamente più interessante di uno sciocco compleanno, certo. Avrei dovuto capirlo subito.
Sì, era più umano di quanto gli altri credessero, ma molte volte questo suo lato veniva meno anche in mia presenza.
«Non potresti, per un secondo, mettere da parte il caso per un amico?».
Giocai la carta del "Saresti un grandissimo stronzo se mettessi ancora una volta il lavoro prima delle persone a cui tieni", ma, come sempre, fallì miseramente.
«Io e Lestrade non siamo amici»
«Oh, certo».
Calò il silenzio.
Un'automobile sfrecciò sulla strada.
Fissai Sherlock (che non accennava a volersi allontanare dalla finestra) per qualche altro istante, nella speranza che potesse cambiare idea.
Sentì i miei occhi sulla sua schiena. «John, che cosa c'è?» chiese con un sospiro, voltandosi leggermente verso di me e guardandomi con la coda dell'occhio da sopra la sua spalla destra.
«Mh? Ah, niente, niente, io...io vado, allora. Buon proseguimento di indagini».
Detto questo, mi diressi verso le scale e, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata, cominciai a scendere i gradini che portavano all'ingresso.



 

Sorrisi, abbracci, ringraziamenti, regali, strette di mano: nell'intera casa regnava l'allegria e, in effetti, nonostante non fosse riuscito a nascondere una lieve ombra di delusione, Lestrade non si era particolarmente stupito del fatto che Sherlock avesse preferito occuparsi del nostro serial killer.
Quando anche il sergente Donovan si accorse dell'assenza del "geniaccio", non mancò di fare i suoi soliti commenti acidi e sprezzanti nei suoi confronti.
«Vedo che stasera non potremo deliziarci della presenza del suo collega, signor Watson: immagino avesse degli impegni irrimandabili. Qualche cadavere da frustare?».
Bevvi un sorso di vino dal mio calice e le feci un sorrisino a labbra serrate, scuotendo la testa. «No, sta cercando di risolvere i tre omicidi dell'Heathrow Airport»
«Oh, capisco»
«Già».
Distolsi lo sguardo da lei e presi a guardarmi intorno, sperando di farla allontanare e di non dover continuare la conversazione, ma come al solito le mie speranze furono vane.
«Ammiro la sua pazienza, davvero. Sherlock Holmes non mostra un briciolo di interesse verso le persone che, per qualche inspiegabile ragione, tengono a lui, e non mi è rimasto alcun dubbio sul fatto che lei sia una di quelle. Lei è sempre al suo fianco, ovunque lui vada, ed è sempre pronto a soddisfare qualsiasi sua richiesta. Perché?».
Ecco, lo sapevo che era lì che sarebbe andata a parare.
"Stia alla larga da Sherlock Holmes", mi aveva ripetuto più volte, e ora, giustamente, si domandava cosa mi avesse spinto a fare esattamente il contrario.
«Beh, io...».
Fu in quel momento che venni salvato dal tempismo perfetto dell'oggetto del nostro discorso, com' era già successo innumerevoli volte in situazioni ben più gravi.
Il mio cellulare squillò nella tasca posteriore dei jeans e, dopo essermi scusato con Donovan(che, avendo intuito chi mi stesse cercando, mi rivolse un'occhiata eloquente), lo tirai fuori per leggere quello che, appunto, si rivelò essere un messaggio di Sherlock.

Vieni più in fretta che puoi.
È importante.

SH

Importante? Come no. Di sicuro mi avrebbe chiesto qualcosa come passargli una penna troppo lontana dalla sua poltrona.
Eppure mi ritrovai lo stesso a dire a Lestrade che ero molto dispiaciuto, ma dovevo tornare a casa per una questione urgente.
«Ma come? Sei arrivato da mezz'ora!»
«Lo so, mi dispiace, è che...Sherlock ha bisogno di me».
L'ispettore stette in silenzio per qualche secondo e sulle sue labbra si disegnò un lieve sorriso sghembo, a cui correlò uno sguardo piuttosto ambiguo. «E direi che la cosa è reciproca».
Sbattei le palpebre. «C-come, scusa?»
«Vai pure, John, grazie di essere venuto. Saluta quel mascalzone del tuo coinquilino da parte mia»
«Oh, certo, sarà fatto».




 

Riuscivo perfettamente a leggere l'euforia nei suoi occhi mentre pronunciava queste parole: «Zodiac, John. Si tratta di Zodiac».
Dopo essere stato nel suo palazzo mentale, Sherlock si era ricordato di dove aveva precedentemente visto i simboli sulle schiene dei tre cadaveri: erano identici ad alcuni caratteri presenti nei messaggi cifrati che Zodiac, un famoso e spietato killer degli anni '60 mai arrestato, aveva mandato alla stampa affinché quest'ultima li facesse pubblicare sulle prime pagine dei giornali, altrimenti avrebbe ucciso una dozzina di persone nei successivi due giorni.
«Ho usato una delle poche traduzioni che sono riuscito a trovare su Internet. Sul corpo di Amanda c'è scritto "Z", su quello di Christopher "did" e su quello di Thomas "this". "Z did this"»
«Ma Sherlock...se Zodiac fosse ancora vivo sarebbe talmente decrepito da non riuscire a muovere un muscolo...e poi non viveva in California?»
«Infatti il nostro assassino non è il vero Zodiac, John» affermò in tono grave, con lo sguardo vispo di chi si trova davanti un gioco a cui non può assolutamente perdere.
«Ma qualcuno che vuole continuare la sua opera. Se ricorre agli stessi metodi intimidatori, presto troveremo un crittogramma su tutti i giornali. Ahh, finalmente un caso degno di nota!».
Lo guardai sorridere soddisfatto e per un attimo venne da sorridere anche a me.
Ma, ora che mi veniva in mente, c'era una cosa che non mi tornava.
«Non fraintendermi, sono felice che tu abbia ottenuto tutte queste informazioni, ma io esattamente che ci faccio qui?»
«Mh? Oh, niente, volevo solo condividere il mio entusiasmo».
Dio, lo sapevo. Lo sapevo che non era un'emergenza, ma ero andato da lui ugualmente.
Perché?
Sospirai con esasperazione. «Sherlock, ero a casa di Greg, a festeggiare un compleanno a cui, in teoria, avresti dovuto prendere parte anche tu, e mi hai fatto venir via dopo neanche mezz'ora per... condividere il tuo entusiasmo
«John, se esiste una sola cosa che temo non riuscirò mai a comprendere, quella è il tuo continuo ripetere ciò che è già stato affermato».
"Ok, fai appello al tuo autocontrollo da soldato e trattieniti dal dargli un pugno".
Feci un profondo respiro, chiudendo gli occhi per un secondo, e mi sedetti su un bracciolo della mia poltrona.
«E dato che ora sei qui» continuò, «ti andrebbe di...beh...di ascoltare un nuovo pezzo che ho composto ieri pomeriggio e darmi la tua sincera opinione?».
Alzai le sopracciglia con stupore, essendo quella l'ultima domanda che mi aspettavo potesse pormi in un momento come quello.
«Vuoi suonare a quest'ora?»
«Mi capita di suonare anche alle quattro del mattino e non mi sembra sia mai stato un problema».
Beh, non era esattamente così per la signora Hudson, ma in effetti era da un po' di tempo che non gli intimava esplicitamente di finirla con quella sua abitudine.
E, pensandoci, non era per niente una cattiva idea.
A quel punto il nervosismo nei suoi confronti si era come dissolto nell'aria e mi ritrovai ad annuire vigorosamente.
«Sì, certo che mi va».
Avrei voluto aggiungere che mi aveva fatto piacere che me lo avesse chiesto, ma le parole mi si bloccarono in gola.
Accennò un sorriso e, mentre mi mettevo comodo sulla poltrona, prese il violino e l'archetto, mettendosi davanti alla finestra; posizionò lo strumento sulla sua spalla, attese qualche istante.
Poi la melodia iniziò a riempire ogni angolo della stanza, dolce e lenta.
Chiusi gli occhi.
Adoravo sentirlo suonare, aveva una capacità di rilassarmi che nemmeno il più efficace dei calmanti avrebbe potuto eguagliare; amavo estraniarmi dal resto del mondo e lasciarmi trasportare verso orizzonti lontani da quelle note leggere e delicate, nate da un cuore che tutto era fuorché di ghiaccio.
Spesso mi chiedevo quali pensieri fossero la fonte di quegli armonici insiemi di suoni ed emozioni, ed era in momenti come quelli che mi convincevo del fatto che lui, Sherlock Holmes, avesse un animo più profondo di chiunque altro, un oceano immenso e a volte spaventoso, ma dalle cui onde ti lasceresti cullare senza esitazione; un oceano di cui vorresti conoscere ogni più intimo segreto, e che ti travolge, ti toglie il respiro, ti fa sentire tremendamente piccolo e insignificante.
Una forza della natura.
La melodia aveva assunto un tono maliconico, quasi simile ad un pianto nostalgico, e non mi resi conto di avere la pelle d'oca.
Finì troppo presto e me ne accorsi solo nel momento in cui Sherlock si voltò verso di me, guardandomi nella muta richiesta di sentire il mio giudizio.
Il mio riflesso nelle sue iridi cristalline, il suo viso parzialmente illuminato dalla calda luce dell'unica lampada accesa nel salotto.
«È bellissimo» sussurrai, anche se non sapevo esattamente a cosa mi stessi riferendo.
Non distolse lo sguardo dal mio. «Davvero?»
«Sì, è...è straordinario».
Fui quasi sicuro di leggere dell'imbarazzo nella sua espressione, ma venne subito sostituito dalla sua solita aria apparentemente indifferente e distaccata, che comunque ormai avevo capito essere una maschera dietro cui nascondere ciò che lui definiva "un difetto chimico": i sentimenti.
C'erano giorni in cui avrei voluto distruggerla una volta per tutte, quella maschera, e altri invece in cui mi rendevo conto che anche la sua freddezza contribuiva a fare di lui un uomo terribilmente interessante.
Un momento...lo avevo pensato sul serio?
«Sì, beh...» si schiarì la voce «Devo ancora riportare qualche modifica, ma grazie».
Sorrisi. «Non c'è di che».
Posò delicatamente il violino su un mobile poco distante e, una volta preso posto sulla poltrona di fronte alla mia, si mise a scrutarmi attentamente, trapassandomi l'anima con il suo sguardo di ghiaccio e provocandomi un impercettibile brivido lungo la spina dorsale.
«Ch-che cosa c'è?» chiesi con incertezza, aggrottando la fronte.
Non mi rispose e, diavolo, non sapevo se lo facesse apposta o se fosse semplicemente fatto così, ma odiavo quando restava in silenzio per tenermi sulle spine.
«Sherlock?» tentai di nuovo.
Lui inspirò, spostando gli occhi sul tappeto e, dopo essersi schiarito nuovamente la voce, congiunse le dita delle mani. «John...».
Stavo per preoccuparmi.
«So che non te lo dico spesso e ancor più di rado te lo dimostro, ma...» "Oh, dio, sta tentando di fare il carino" «apprezzo il lavoro che hai fatto fin ora e l'impegno che metti in ogni indagine, e voglio che tu sappia che il tuo sostegno significa molto per me, dico davvero. Ne abbiamo passate tante e senza il tuo aiuto non sarei riuscito a...beh, sì, i casi li avrei indubbiamente risolti lo stesso, però...»
«Sherlock, stavi andando bene, non rovinare tutto»
«No, certo, scusa. Quello che sto cercando di dire è che ti sono grato per essere rimasto al mio fianco per tutto questo tempo e per avermi aiutato ogni volta che mi sono trovato in pericolo. Che poi, parlandoci chiaro, è quasi sempre successo il contrario».
Sorrisi, consapevole del fatto che quel finale fosse servito a sdrammatizzare.
«E io apprezzo lo sforzo che hai fatto per far uscire queste belle parole dalla tua boccaccia» dissi ironico, facendolo ridere.
Poi, quando tornò il silenzio e i sorrisi sulle nostre labbra furono lentamente scemati, mi sporsi in avanti per raggiungere la sua spalla, su cui diedi una leggera e amichevole pacca.
«Però certe volte nemmeno tu cogli l'ovvio».
Mi guardò stranito. «Che vuoi dire?»
«Sei il mio migliore amico, secondo te per quale altro motivo continuo a rischiare la vita per te?»
«Beh, perché ne vai matto»
«Questo...questo è vero».




 

«Come sarebbe a dire che avete arrestato uno diciannovenne schizofrenico?!»
«Ha confessato»
«Non potete basarvi su una semplice confessione! Forse sta cercando di proteggere il vero assassino perché è stato minacciato da quest'ultimo, oppure...»
«Sherlock, sappiamo bene che una confessione non è sufficiente, per questo abbiamo perquisito la sua stanza. Sotto il letto abbiamo trovato un orologio da polso Zodiac, numerosi poster dell'omonimo film di David Fincher e, cosa ben più importante, l'arma del delitto: un coltello da cucina. C'erano ancora tracce di DNA compatibile con quello di tutte e tre le vittime».
Sherlock aprì e richiuse la bocca con espressione allibita, che rispecchiava perfettamente la mia.
«Insomma, vorresti dire che si tratta solo di un pazzo che cercava di imitare Zodiac come un adolescente imita il proprio idolo?! Ahh no, diamine, non può essere così semplice!» esclamò frustrato, prendendo a vagabondare nervosamente per la cucina sotto lo sguardo mezzo dispiaciuto e mezzo divertito di Lestrade.
«Beh, purtroppo non tutti sono geni del crimine» replicò l'ispettore, incrociando le braccia e appoggiandosi al ripiano del lavello.
Feci un sorriso incredulo, scuotendo la testa come se nemmeno io lo ritenessi possibile. «E dire che il caso si prospettava interessante»
«Ora diventerà intrattabile per tutto il giorno. Non ti invidio, John»
«Già, a volte nemmeno io vorrei essere me».
Ridemmo sommessamente, beccandoci un'occhiataccia dal mio coinquilino.
«Lo trovate divertente?»
«Oh, no, assolutamente no» rispose Greg, continuando tuttavia a ridere e rendendosi in questo modo ancora meno credibile.
Osservai i lineamenti di Sherlock tesi dal nervosismo, il quale metteva in risalto anche gli zigomi, e mi venne in mente un'idea su come fargli passare (o almeno tentare di fargli passare) il cattivo umore. Un'idea semplice e non molto fantasiosa, a dire il vero, ma sarebbe potuta tornare utile per distrarlo un po'.
«Bene, ora è meglio che torni alla centrale. Non prendertela tanto, Sherlock, sono sicuro che nei prossimi giorni ti capiterà qualcosa tra le mani».
Sherlock non rispose, limitandosi a fare un verso scocciato, per poi dirigersi in salotto e sedersi sul divano con le ginocchia portate al petto.
Greg non ci diede molto peso, abituato a quel suo comportamento. «Ci vediamo, John. Mi raccomando, tienilo d'occhio»
«A presto, Greg...e sì, ormai è diventato il mio compito dopo quello di aiutarlo a pagare l'affitto».
Sorrise e, dopo avermi fatto un cenno con la testa, recuperò il cappotto dalla sedia su cui lo aveva scompostamente lasciato e se ne andò, facendo scricchiolare le scale di legno.
Raggiunsi Sherlock, che ancora teneva il broncio, e lo guardai per qualche istante con le mani sui fianchi.
Fissava il vuoto come se volesse creare un buco nell'aria e potevo quasi sentire gli ingranaggi che si muovevano freneticamente nella sua testa, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse portare a una conclusione diversa da quella riferitagli da Lestrade.
Dopo un po' decisi di rompere il silenzio e di provare a mettere in pratica la mia idea.
«Sai, stavo pensando che potremmo andare a da Angelo, questa sera. È un po' che non ceniamo fuori».
Spostò lo sguardo sul mio, poi di nuovo davanti a sé, distendendo i muscoli delle spalle e rilassando il volto.
«Sì, perché no».
Sgranai gli occhi, non aspettandomi di certo una risposta così immediata e, soprattutto, positiva. 
Insomma, niente scenate, niente opposizioni, niente domande sconcertate su come potessi pensare ad una cena quando avrei dovuto aiutarlo a cercare un altro caso? 
«D-davvero? Hai detto sì?»
«Non mi sembra di aver parlato coreano, John».
Lo stupore non voleva saperne di abbandonarmi, ma mi affrettai a nasconderlo, non volendo apparirgli più idiota di quanto già pensava che fossi.
«Perfetto, allora. E cena sia».
Almeno al ristorante avrebbe potuto mettere in mostra la sua invidiabile intelligenza facendo deduzioni sull'intera vita di ognuno dei clienti.






 

Salve people :3
Un piccolo chiarimento: userò la terza persona solo nelle scene in cui John si confida con la signora Thompson, scene che ogni tanto faranno da "intermezzo" nei capitoli. Perché la storia è come se fosse il racconto di John, non so se mi spiego (probabilmente no ma ok)
Bene, ehm...non ho molto da dire. Di sicuro non sono dotata della stessa mente contorta degli sceneggiatori della serie, quindi non credo proprio che ne usciranno dei casi molto interessanti e coinvolgenti, ma diciamo che serviranno solo come sfondo e passeranno decisamente in secondo piano, quindi non dateci molto peso e concentratevi su John e Sherlock XP
E non preoccupatevi, nei prossimi capitoli inserirò anche la signora Hudson, Mycroft, Molly e gli altri personaggi.
Comunque vi ringrazio per le meravigliose recensioni ricevute fino ad ora :3
Spero di non aver scritto uno schifo e...niente. A presto!
Baci
Melissa

   
 
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