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Autore: Bibismarty    22/03/2009    2 recensioni
Lie, una ragazza senza padre e in fuga da una madre drogata, si imbatte in un quartetto piuttosto speciale. Come un fulmine si ritrova a vivere con i Tokio Hotel, conosce la loro amica Erika e comincia a provare un affetto particolare che non aveva mai provato prima. Riuscirà a sentirsi in famiglia tra un Bill romanticone, un Tom innamorato, un gustav silenzioso, un georg allegro e Erika orfana di madre e padre? Cosa potrebbe succedere se Lie si accorgesse di amare Bill, per il quale prima provava solo indifferenza e potrebbe essere corrisposta? E se si trovassero a dormire nello stesso letto per mancanza di una camera doppia? E se molte verità venissero nascoste? Come potrebbero vivere nascondendosi dietro un muro di silenzio?
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo è il primo capitolo leggermente ristrutturato :) spero vi piaccia :) La storia non cambia ovviamente, ho solo modificato il modo di raccontare e ampliato in alcuni punti, senza mai modificare la storia! Colgo anche l'occasione per ringraziare Kessy993, prima d'ora mai ringraziata!

Ps:cosa volete farci? Io amo questa storia, pensavate forse che l'avrei lasciata nelle condizioni pietose in cui versava?



Capitolo 3: An deiner Seite

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Lie. Milano.
Quella notte, nel mio letto d'ospedale, rivissi il ricordo più glaciale che possedevo. La morte di mio padre. Fu un sogno, che mi atterrì completamente finché non fui inghiottita dal baratro. Il mio urlo, che seguì, risuonò lacerante nell'oscurità.
Mi risvegliai nella stanza dove regnava il buio più assoluto, mentre il mio cuore batteva ancora a mille.
La porta si aprì di scatto e la lampada a neon si accese lentamente, con il solito ronzio che segnala la fatica che ci sta impiegando per funzionare.
Bill, uno dei miei salvatori, stava correndo verso di me allarmato. Quando mi fu vicino mi prese una mano, ma io mi divincolai. Nonostante mi avessero salvata, non volevo nessuna confidenza con il gruppo: non ero abituata e poi non volevo illudermi che mi avrebbero aiutato. Appena fossi riuscita a mettere piede a terra me ne sarei andata. Per l'ennesima volta.
Bill allontanò la mano, sembrava comprendermi.
La mia espressione lo trapassò come se stessi fissando uno sgradito cumulo di polvere. Ma mi era impossibile fare la dura. Il mio cuore martellava ancora nel petto per l'immagine nitida che avevo appena rivissuto.
La testa cominciò a pulsarmi con spasmi sempre più forti. Mi piegai su me stessa, portandomi le mani al colletto. Mi sembrava che mi mancasse l'aria.
Bill salì sul letto, non lo avevo visto, ma lo sentii avvicinarsi e…
E poi sentii che l’aveva fatto un’altra volta. Mi aveva abbracciato.
Eppure questa volta per un motivo completamente diverso. Lo aveva fatto per distrarmi dal dolore alle tempie. Dovevo ammettere che c'era riuscito. E mi stava scaldando.
Mi sentivo come un piccolo embrione nell'abbraccio affettuoso dell'utero materno, che ti tiene al caldo e al sicuro finché non sei pronto per vedere la luce.
Io di statura ero molto più bassa di lui, quindi riusciva ad avvolgermi molto bene e a stringermi a lui facilmente. Forse troppo. Lo era a tal punto da farmi pensare che dopo mio padre non avevo mai ricevuto un abbraccio così. Era in grado di avvolgermi, di cullarmi l'anima con un soffio intenso.
Appoggiai il mento sulla sua spalla, rassegnata.
Ci sono qua io adesso. Sono qui per proteggerti.”
Era un perfetto sconosciuto, lo sapevo benissimo eppure mi stava proteggendo. Chi aveva fatto questo per me ultimamente? Nessuno.
La risposta mentale che mi diedi mi mandò in confusione. Come era possibile che una star internazionale si preoccupasse di una scadente cartuccia ferita?
Scrollai le braccia di Bill dalle mie spalle. “Bill…vattene” sibilai sperando mi ascoltasse.
Ma Bill non si mosse. Era troppo cocciuto per arrendersi.
Per favore Bill. Non ho bisogno di te” riprovai con più enfasi.
Nessuna risposta.
Ti supplico Bill. Non puoi rimanere a lungo e lo sai. Prima o poi andrai come tutti hanno fatto prima di te e allora si che starò male.”
Bill si addolcì, ma nella sua voce sentivo determinazione e forza. Forse anche coraggio. “No, non Bill Kaulitz.”
Cretino lasciami. In ogni caso me ne andrò io quando sarò in grado di alzarmi da questo letto” gridai spingendo con le mie poche forze le spalle di Bill, per farlo scandere dal letto.
A quella spinta fisica, Bill si alzò e senza guardarmi negli occhi si diresse verso la porta.
Tuttavia, successe qualcosa, in quei secondi. Qualcosa che mi sfracellò il cervello e mi scombussolò l'anima. Una richiesta improvvisa fece dischiudere le mie labbra e con disperazione uscì, all'improvviso.
Bill dove vai…Aspetta!”
Lui non si fermò.
Allora, tutto il mio essere cominciò a protestare, così non fui più in grado di fermare il fiume in piena. “Mio padre è morto e lo sogno di continuo, mentre mi lascia qui da sola. Ho paura. Ho paura della solitudine…”.
Solo in quel momento la camminata di Bill si arrestò, mentre stava per aprire la porta. “Allora perché vuoi che vada via?” chiese, gelidamente.
Perchè faccio soffrire tutte le persone che mi stanno vicino” risposi, rendendomi conto solo dopo aver parlato di quanto fosse vera quella risposta.
Bill incrociò i miei occhi. “Io non ho paura. Lascia che io rimanga.”
Lo guardai intensamente, desiderando che qualcuno decidesse ancora per me. Invece non parlò nessuno. L'unico suono che emisi fu un debole sbuffo. Era un tacito permesso.
Bill ritornò indietro e si sedette sul letto vicino al mio. “Se farai un brutto sogno ci sono io qui. Ok?”
Alzai gli occhi al soffitto. Forse era meglio lasciarlo andare? Cancellai in fretta quel pensiero, mi stesi nuovamente e gli voltai le spalle. Perché aveva tutta sta confidenza con me?
Grazie” borbottai, infine.
Strano ma vero, quella notte non ebbi più incubi, ma appena sveglia mi accorsi che Bill non c’era.
Cazzo mi ha preso per il culo!
Da questa parte” chiamò una voce ormai familiare alle mie orecchie.
Mi voltai verso la finestra e lo vidi. Indossava un berretto grigio in testa e una giubba nera, che la sera prima non indossava. Si stava ascoltando la musica con l’i-pod e credo che in bocca avesse una gomma americana.
Hai mai sentito le nostre canzoni?” disse continuando a fissare lo schermo di quell’aggeggio.
No. Perché avrei dovuto?” chiesi, freddamente. Quel tono continuava a suonarmi falso sulle mie labbra.
Era solo una domanda…” alzò gli occhi e sorrise incrociando i miei. “Come stai oggi?”. Si avvicinò e si sedette sul mio letto.
Mi distanziai leggermente. Lui prese il mio cuscino e lo sistemò contro la testa del letto e mi fece segno di appoggiarmi con la schiena. Lo fissai in malo modo, ma poi feci come voleva.
Il moro si sistemò accanto a me. La mia spalla sinistra toccò la sua destra. Cercai di allontanarmi, ma lui mi ficcò in un orecchio un auricolare, mentre allungava le gambe sul mio letto. “Sei comodo?” domandai, stizzita.
Lui rise. “Uhm quasi.”
Io sbuffai. “Cosa vuoi?”
Bill non rispose e con un gesto delicato diede il via alla riproduzione di una canzone.
Ubers ende der Welt” commentò semplicemente.
La musica partì e non feci in tempo a chiedere cosa avesse detto, che la musica faceva parte di me.
Non capii quali intenzione avesse, finché non sentii la voce di Bill che cantava dall’auricolare entrando nel mio orecchio. Mi stava facendo ascoltare le sue canzoni. Ah beh se non le ho mai sentite sono costretta ad ascoltarle! Perchè non ci avevo pensato prima cavolo!
Improvvisamente scivolò nella mia mente un pensiero che non riuscii a fermare. Sarebbe stato come voler afferrare l'acqua che scorre. Aveva una bella voce.
Bill accanto a me muoveva la testa a ritmo e canticchiava la sua canzone. Chissà cosa doveva provare ad ascoltare le sue canzoni come aveva fatto magari con tutte quelle d’altri artisti e chissà cosa pensava sul fatto che tutte le fan le riascoltavano giorno dopo giorno e sapevano a memoria tutti i testi.
Doveva essere super orgoglioso di sé.
Bill non sembrava fare molto caso alla mia presenza, perché continuò a cantare come se nulla fosse. E io ascoltavo.
Ma non riuscivo a trovare il pulsante in grado di frenare il flusso dei miei pensieri.
Prima pensai che Bill fosse un pazzo fuggita da qualche manicomio, poi mi resi conto che gli ero vicinissima e che le nostre spalle si toccavano ancora.
Arrossii violentemente, ma fortunatamente non se ne accorse.
La canzone finì e ne partì un'altra.
Leb die Sekunde” disse lui con il sorriso stampato in faccia.
Lo stacco iniziale era ricco di musica ben fatta e ne fui contenta, naturalmente nascondendolo.
Non volevo dargli la soddisfazione. Non capivo la finalità di farmi ascoltare le loro canzoni. Io non le volevo ascoltare. Cosa gli era saltato in mente?
Seguì una sequenza di ben cinque canzoni.
Wo sind eure Hande ”
Der letzte tag”
Ich brech aus”
Wenn nicht mehr geht”
Reden”
Bill le aveva cantate tutte e non sembrava stufo, mentre io progressivamente cominciavo a interessarmi sempre di più al loro modo di fare.
Oddio, cosa sto facendo? Ma era più forte di me.
Le loro canzoni non le avevo mai sentite e credevo facessero schifo, ma invece erano…carine. Forse per questo Bill voleva farmele ascoltare. Perché aveva pensato (e ci aveva azzeccato) che io credessi fossero un gruppo da quattro soldi solo perché avevo sentito Monsoon.
Screi”
Totgeliebt”
Lass uns hier raus”
Heilig”
Ich bin nich’ Ich ”
Stich ins Glück”
Rette mich”
Nach dir kommt nichts”
Jung und nicht mehr jugendfrei”
Spring nicht”
Freunde Bleiben”
Wir sterben niemals aus”
Unendlichkeit”
Vergessene Kinder”
Gegen meinen Willen”. Questo titolo lo disse con un tono diverso. Più malinconico. Capii, quando sentii Bill cantare: in quelle parole c’era l’odio di una persona che si sente tradita dai suoi genitori.
Si sente tradito e non amato mentre li vede allontanarsi uno dall’altro e lui che si sente solo, lì al centro, a fissarli perso.
C’ero passata anch’io. Non sapevo che anche lui avesse vissuto la stessa cosa e ne avesse fatto una canzone.
Bill, ora, si era voltato verso di me e mi fissava intensamente. Qualcosa di caldo mi rotolò sulla guancia. Lui allungò una mano e mi sfiorò poi si ritrasse. Aveva il dito bagnato, bagnato di una mia lacrima.
Non me ne ero accorta, ma mi ero messa a piangere. Mi asciugai in velocità il volto con il dorso della mano.
Scusa non sapevo che anche a te…Perdonami…”
Gli occhi di Bill erano due pozzi di comprensione, misto paura.
Abbassai lo sguardo, era una vera tortura sostenere il suo. Forse perché lui si stava scusando con me.
Era una scena così buffa eppure non mi veniva da ridere.
Bill Kaulitz era seduto sul mio letto nella mia stanza d’ospedale e ascoltava le sue canzoni con me e si scusava perché non sapeva che i miei genitori si erano separati. Se mi avessero visto le fan dei Tokio Hotel mi avrebbero ammazzato.
Bill abbassò lo sguardo come se avesse letto nel pensiero il mio disagio.
E infine An deiner Seite” disse porgendomi anche l’altro auricolare e lasciandomi nella mano l’i-pod.
Si alzò e senza aprire bocca se ne uscì dalla stanza, mentre le parole di Bill mi risuonavano nelle orecchie.
Riconobbi subito che quella canzone era bellissima. Le lacrime non avevano vergogna a pizzicarmi le guance mentre pensavo a Bill e al suo viso triste che mi aveva fatto rivivere tutte le mie più terribili paure, come il divorzio dei miei genitori.
La canzone finì e senza accorgermene mi ritrovai a riascoltarla di continuo.
 “Io sono al tuo fianco
solo per un po’
ce la faremo se ci proviamo.”
 E con quell’ultima frase che mi ronzava nel cervello, chiusi gli occhi svuotata di tutte le mie forze.

Quel pomeriggio quando mi svegliai non sentii voci nel corridoio. Pensai subito che si fossero ricreduti e fossero fuggiti come tutti, ma un omone grande e grosso entrò nella mia stanza e mi disse che sarebbe rimasto lui fuori e se avevo bisogno dovevo semplicemente chiamarlo perché i Tokio Hotel erano momentaneamente assenti. Si trovavano a Monaco.
Non capii perché Bill non me l’avesse detto, ma di certo sapevo che non era obbligato a dirmelo.
In fondo non poteva mollare il suo lavoro per sempre.
Avrei voluto darmi tante sberle sul viso per essere stata tanto stupida ma ci ripensai. Poi Bill mi avrebbe fatto un mucchio di domande.
In quel momento non sdegnai neanche l’idea di buttarmi giù dalla finestra per scappare. Il problema era che dopo alcuni tentativi per riuscire a scendere dal letto pensai fosse impossibile correre per fuggire. Avrei dovuto prolungare la permanenza in quel buco.
Rassegnata per non dire disperata voltai lo sguardo verso il comodino. Meraviglia!
Un foglietto e l’I-pod di Bill. Per quale ignoto motivo me l’avrà lasciato?
Con il dubbio presi il biglietto e lessi le righe che vi erano impresse, firmate da uno scarabocchio enorme. Oh no! Era la firma di Bill! Povero, che cretina!
C’era scritto: “Ben svegliata. Quando leggerai questo biglietto molto probabilmente saremo già a Monaco e staremo facendo le prove per la nostra esibizione agli EMA. Ti ho lasciato l’i-pod così ti puoi riascoltare “An deiner Seite” tutte le volte che vorrai. Se hai voglia di parlare basta che chiami l’uomo che è fuori dalla porta e mi chiamerà. Sarò sempre disponibile a parte domani sera che c’è la premiazione. Non vorrei mi squillasse il cellulare improvvisamente. Non ci farei una bella figura. Restiamo via qualche giorno. Un abbraccio”.
Ma deve proprio fare bella figura? Pensai lusingata all’idea di chiamarlo domani sera, ma poi ritornai in me. Non potevo fargli questo. Era lui il ragazzo che mi aveva tenuto compagnia ieri sera, quando avevo fatto un incubo. Sarebbe stato tanto cattivo.
Avevo voglia di sfogarmi. Dovevo urlare. Ma non avevo nessuno contro cui urlare. E se avessi chiamato Bill?
Non lui. No lui era stato così carino con me. Eppure desideravo insultarlo. Forse mi dava fastidio che una persona potesse occuparsi di me quando solo mio padre l’aveva fatto in vita mia. Probabilmente non ero abituata.

Il mio urlo trapassò il muro e l’omone preoccupato entrò per venire a vedere cosa mi era successo.
Alla sua vista urlai di nuovo. Inconsapevolmente avevo sperato fosse Bill. Pensavo fosse solo lui l’unico a potermi calmare.
Avevo fatto lo stesso orribile sogno della sera prima e l’omone preoccupato non riuscì ad avvicinarsi, cosa che mi causò una nuova depressione.
Mi coprii la testa con le mani per cercare di cacciare le immagini della morte che prendeva mio padre. Faceva troppo male.
L’omone prese alla svelta un cellulare e cominciò a digitare un numero. Qualche secondo dopo qualcuno rispose. Parlava in tedesco.
L’omone confabulò con il suo interlocutore e poi allungò il cellulare verso di me e la voce di Bill raggiunse le mie orecchie.
Il mio corpo percosso da fremiti di paura si protese verso l’aggeggio e afferrato lo avvicinai all’orecchio. “Lie! Ascoltami…”
Mi immobilizzai impressionata. Bill stava cantando An deiner Seite solo per me.
Il cellulare mi scivolò dalla mano e cadde sulle coperte del mio letto, mentre Bill continuava ad intonare i versi di quella canzone. Quella canzone che mi piaceva. Non capivo come potesse averlo intuito Bill.
Bill?” mi sfuggì dalla bocca, piano.
Lui smise di cantare.
Riafferrai quell’affarino così piccolo e la voce del ragazzo tedesco mi tranquillizzò.
Io non avevo nessuna voglia di dire niente, volevo solo stare lì a sentire la voce di Bill che in qualche modo aveva qualcosa di vago che mi ricordava mio papà.
Non capivo neanche quello che diceva perché non riuscivo a seguire il filo del discorso.
La mia mente volava via veloce, mentre guardavo fuori dalla finestra la pioggia scendere dal cielo scuro e bagnare il vetro della mia stanza.
Quando mi chiese come stavo mentii. Non stavo bene, ma per non farlo preoccupare gli dissi che stavo già meglio.
Non credo proprio che se la sia bevuta, ma comunque mi salutò e chiusi la chiamata.
Riporsi il cellulare all’uomo grande e grosso che uscì dalla stanza lasciandomi sola.
Ritornai a fissare fuori dalla finestra. Non vedevo l’ora di poter fuggire da quelle quattro mura o sarei morta al pensiero di quei tanti perché che da giorni mi affollavano la mente.


Bill. Monaco.
Bill rimase a fissare lo schermo spento del cellulare nella sua stanza d’albergo.
Ora si sentiva impotente. Così distante da lei. Non sapeva nemmeno perché si sentiva in lotta con se stesso per non essere rimasto al suo fianco.
Non la conosceva neppure. Non sapeva proprio niente di lei. Si e no il suo nome, ma niente più. Tuttavia si sentiva in dovere di darle una mano. Di aiutarla ad andare avanti e a farle dimenticare il passato…Come per dare qualcosa a qualcuno che lui non aveva mai ricevuto se non con suo fratello.
Posò il cellulare sul comodino. Filò in bagno e ne uscì sbadigliando. Si tolse la maglietta e rimase a petto nudo. Si tolse anche i jeans e si mise a letto rimanendo in boxer.
Nel suo lettone matrimoniale dove dormiva solo. Non gli fu facile conciliare il sonno, ma quando pensò al suo adorato fratellone gli si stampò un sorriso sulle labbra e gli occhi gli si chiusero stanchi morti.


Lie. Milano.
Quella mattina mi svegliai di soprassalto. Mi massaggiai le mani e la nuca lentamente. Sentii l'esigenza di fare un giro per prendere un po’ d’aria.
Ma come si poteva fare? Le gambe me lo impedivano.
Decisi di chiamare l’omone. Con mia sorpresa, però, entrò nella stanza una ragazza bionda.
Credetti a primo impatto che fosse un'infermiera.
Mi sorrise beata e quando gli spiegai che avrei tanto voluto fare un giro lei andò a chiamare il dottore che mi aiutò a sedermi su una carrozzella.
 Quello stesso giorno scoprii che non avrei perso l’uso delle gambe e che avrei anche potuto continuare a camminare anche se mi ci sarebbero voluto del tempo per rimettere un po' in sesto le ossa.
Una volta pronte uscimmo dalla stanza e con occhio furbo scrutai ogni via di fuga nel corridoio.
Individuai una porta d’emergenza che dava sulle scale antincendio e l’ascensore non distante da lì.
Se fossi riuscita a eludere la sorveglianza alla stanza non era niente fuggire, poi.
Dentro di me andava formandosi un piano di fuga molto dettagliato.
Ecco ora scendiamo e la porto nel giardino così può vedere gli alberi…Sa che qui sotto c’è un sacco di vita”
Dammi del tu. Se no mi sento vecchia. Mi chiamo Lie” dissi io socievole pregustando di trovare addirittura l’uscita dell’ospedale oltre il parco.
Io mi chiamo Erika. Lavoro con i Tokio Hotel da due anni”. Ok non era un'infermiera. “Mi occupo di varie cose. È stato Bill ad offrirmi di lavorare per loro. Mi diverto un sacco a seguirli per il mondo” Ok come si poteva fuggire se Bill mi avrebbe messo tutte queste guardie del corpo? Pensava forse che mi sarei buttata giù dalla finestra? Ok era quello che avevo desiderato fare, ma...
Io sono orfana” continuò la ragazza. “Ho diciassette anni e ho vissuto l’intera mia vita in un squallido orfanotrofio. Non ero nessuno. Non avevo nome, identità, dignità, nulla. Ero solo una povera bimba messa al mondo e poi abbandonata. Dimenticata dal mondo intero. Credo che Bill si sia ispirato alla mia vita per scrivere Vergessene Kinder”
Quella canzone la ricordavo. Parlava proprio di bambini dimenticati. Ed aveva un testo commovente.
È stato lui l’unico che sia preso cura di me oltre naturalmente a tutto il gruppo e alle persone speciali che li seguono. Sono la mia immensa famiglia”. Ebbi un sussulto. Lei aveva una famiglia. Aveva realizzato il mio sogno.
Una volta non sapevo nemmeno cosa voleva dire letteralmente quella parola. Era solo qualcosa che io non meritavo. Invece ora ci credo ciecamente. Al mondo non si è mai soli.”
Come hai fatto a conoscerli?” chiesi io, ora incuriosita.
Oh be’ anche in orfanotrofio in Germania si parla di loro. Tutti sognano di vivere una vita del genere. Una vita da persone libere. Quando sono venuti nella nostra città per un concerto ho allestito la più spettacolare fuga della storia. Ero a conoscenza di un passaggio stretto che conduceva alla libertà. Solo uno avrebbe potuto, perché non potevamo farci scoprire e così escludendo i piccoli che si sarebbero persi per la strada e i grandi che non ci passavano rimanevo io che era abbastanza grande, ma di corporatura mingherlina. Mi ricordo che corsi come una pazza per la notte e corsi al concerto che si sarebbe tenuto il giorno dopo. Sai, quando c’è tutta quella ressa è facile dire che sei insieme ad un altra ragazza che gli porge più di un biglietto”.
Ora ero impietrita. Che cosa aveva visto questa ragazza? Bill della sua vita ne aveva fatto una canzone. Chi era Bill in verità? E chi era questa ragazza?
Erika rise. “Nessuno si accorse di me, così sono riuscita a intrufolarmi. Mi sono guadagnata la prima fila e durante il concerto Bill mi ha scelto per salire sul palco. Non gli c’è voluto molto per capire da come ero vestita che venivo da un orfanotrofio. Avevo ancora i vestiti sudici e sporchi perché mi ero messa a dormire lì fuori al freddo sul terreno fangoso. Saki invece di rimettermi di nuovo tra le fan mi portò nel camerino dei Tokio Hotel e finito il concerto li conobbi uno ad uno.
È stata l’esperienza più entusiasmante che potessi fare”. Bill. Bill. Bill le aveva salvato la vita.
Poi un dubbio si insinuò nella mia testa. “E gli altri bambini che sono rimasti all’orfanotrofio?” chiesi.
Oh be’ non mi sono dimenticata di loro. Qualche giorno dopo ho portato tutto il gruppo a conoscere i miei amici. Sono stati loro ad aiutare l’orfanotrofio a velocizzare le pratiche per trovare una famiglia per ogni ragazzo. Sai la proprietaria ci guadagnava un sacco a tenerci li ma con il ricatto di informare la televisione ha mosso il suo culone e finalmente ha fatto qualcosa di decente nella sua vita. Poi la zia di Tom e di Bill ha firmato l’adozione per me. Così diciamo che sono loro cugina anche se non di sangue.”
Io fissai interdetta il sentiero di mattoni rossi che portava al cancello verde enorme dell’ospedale. Ora non mi sembrava più così importante.
Davvero?” domandai d'un fiato.
La bionda si fermò e mi si parò davanti. “Certo. Non so cosa tu credi che facciano o come li giudichi, ma non si gasano per il loro successo. O meglio lo fa solo Tom con le fan perché se le vuole portare a letto. Però poi sono tutte delle persone fantastiche!”
Io tenni sempre lo sguardo basso, nascondevo gli occhi con la frangetta.
Erika si avvicinò ancora di più a me. “Non ti devi vergognare. Bill mi ha raccontato tutto. So che tuo padre è morto e i tuoi si sono separati. So che dolore provi. Ma Bill vuole aiutarti. Lui in qualche modo ti aiuterà! Anche solo ascoltando “An deiner Seite…”
Di colpo alzai la testa. “No, non mi piace!”
Ma tu l'hai ascoltata una notte intera quando Bill è uscito dalla tua stanza”
Non è vero…” cercai di mentire io, incredula.
Lei sorrise complice. Fece finta di crederci, ma sapevo che aveva capito tutto. “Ti piacciono i Tokio Hotel?”
Non risposi. Esitai. Non erano male e alcune canzoni erano davvero belle, ma non credo che questo volesse dire: mi piacciono!
Non lo so. Ho sentito le loro canzoni e non sono male, ma di certo non sono i miei preferiti”.
Sul volto della ragazza apparve un’espressione un po’ ferita. “Pensavo ti avessero colpito di più…”
Io le sorrisi amaramente. “Forse è stato il primo impatto, ma le riascolterò.”
Sembrava di nuovo allegra. “Vieni ti devo riportare nella tua stanza”.
Tutto qui il mio viaggetto? Ti prego rimaniamo ancora!”
Erika non si fece supplicare due volte e mi accompagnò a fare il giro dell’intero stabile.
Mi parlò della sua vita e di come da un giorno all’altro fosse cambiata così radicalmente e mi dimenticai addirittura di cercare una via di fuga.
La ragazza castana pranzò con me e mi tenne compagnia per tutto il pomeriggio.
Verso sera però mi disse che doveva proprio scappare, mi lasciò il suo numero di telefono e mi disse che fuori c’era l’omone di ieri.
Io annui mentre addentavo un grande panino con la Nutella (quando sei all'ospedale alla dieta non ci pensi).
Prima di uscire mi fece un segno con la mano e mi fissò da dietro gli occhiali da sole neri.
Non sapevo sinceramente perché li portasse anche se fuori era buio, ma non feci commenti.
Quella sera stesa nel mio lettone cominciai a fare zapping con la tv. (goduria l'ospedale!)
E dove potevo capitare? Su Mtv naturalmente. Stavano trasmettendo una cosa strana. In diretta…da Monaco! Ecco dove erano i Tokio Hotel. E gli EMA erano gli European Music Awards!
Come se fosse il miraggio più assurdo lo vedo là, oltre lo schermo. Quel gruppetto così giovane era là. Dentro la scatola a colori.
Sgranai gli occhi…Non potevo credere che io li conoscevo sul serio! Quanta gente darebbe per essere al mio posto!
Mi sistemai comoda sul letto per vedere meglio cosa ci facevano loro in un posto zeppo di celebrità di altissimo livello e esperienza musicale da far rabbrividire i quattro tedeschi con i loro tre anni di acerbo successo.
Sullo schermo scorreva l’immagine di Snopp dog circondato da un sacco di ragazze svestite.
Cominciarono con le premiazioni. Non ci volle tanto perché mi venisse un infarto.
Quella aveva proprio detto Tokio Hotel? Oh cazzo!
Non sapevo che erano nominati in una categoria! Ed eccoli li che saltano e gioiscono!
Salgono a prendersi il premio che prontamente Tom sgraffigna per primo. Inquadrano più volte la faccia commossa di Bill che scuote la testa in segno di incredulità e si gratta la fronte.
Quando agguanta un microfono e ringrazia nella sua voce c’è una nota di emozione che trattiene a fatica.
Nelle loro espressioni non è difficile trovare stupore per quel premio che aveva quella forma stranissima ma che valeva così tanto!
Alla loro tenera età essere catapultati in un programma del genere con tutte quelle persone famose e affermate nel mondo dello spettacolo e ricevere un premio, doveva significare moltissimo.
Finito di ringraziare cambiarono inquadratura e continuarono il programma, ma io ero ancora mezza stordita. È tutto così assurdo!
Chiamai l’omone che stava fuori e feci comporre il numero del ragazzo tedesco con i capelli sparati. “Pronto?”
Bill sono io, Lie” dissi io.
Dall’altra parte sentii diversi urli (potevano essere di Tom, Georg e Gustav).
Allora smettetela che non capisco!” gridò Bill contrariato.
Un brontolio confuso di Tom, colorito di varie parolacce in tedesco mi fece sorridere.
Ciao, Lie. Cosa volevi?”
No, niente. Vi ho visti in Tv…”
Ancora urla e risate sconnesse. “Ero bello in primo piano? Lo so che me l’hanno fatto perché sono un figo da paura ed è tutto merito mio se il gruppo ha tutto questo successo…Loro lo sanno ma non l’ammetteranno mai davanti al pubblico…Poi mi ringrazieranno in privato…” disse tutto d’un fiato Tom che evidentemente aveva preso il cellulare.
Non ti hanno fatto nessun primo piano…” dissi io indifferente.
Il cameraman doveva essere cieco! Si non c’è nessun altra spiegazione.”
Bill riprese il cellulare. “Scusalo ma ha le crisi. Lo fa sempre dopo che sa il merito non è mai suo. È nel gruppo solo perché mi faceva pena”.
Non credo proprio fratellino. Il fatto è che deve avere qualcosa anche lui da fare nella band, allora gli ho chiesto se veniva a cantare. È lui che mi faceva pena là solo soletto” rimbeccò lui urlando.
La risata inconfondibile di Georg mi fece scoppiare a ridere. Bill al sentir me ridere mi imitò. E con lui Tom e Gustav. Fu una specie di catena. La catena di risate più strana in cui io facessi parte e anche la più bella.


Bill. Monaco.
Bill chiuse la chiamata. Si volse al gruppo e sorrise beato. “Allora cosa devo fare per voi? Come posso risollevare i vostri sciagurati problemi con la mia voce soave?”
“ ’fanculo Bill!” risposero in coro i tre ridendo.
Arrangiatevi allora e grogiolatevi nella ricerca di un cantante migliore di me che vi canti Monson per l’esibizione tra neanche un’ora.”.
Tom rimase a bocca aperta.
Bill portò le mani ai fianchi. “Ok lo so che non potete fare senza di me quindi per oggi chiuderò un occhio o anche due”.
Dovremmo chiuderli noi per non vedere continuamente il tuo faccione impiccione che ci segue dappertutto!” proruppe Georg ridendo.
Bill sbuffò contrariato. “Si parla parla ma un giorno te la faccio pagare…”
Di rimando gli altri risero ancora più forte.
Il moro imprecò tra se e se e continuò a scaldare la voce ignorando le risate di scherno.
Non se la prendeva tanto per ciò che gli dicevano, ma solo perché non erano seri.
In fondo le battute su di lui lo facevano ridere. Sapeva stare allo scherzo. Ma a volte voleva che un po’ di autocontrollo soprattutto prima di quell’importante esibizione li a Monaco.
Con una faccia lunga che dava tutta l’aria di una preoccupazione e ansia all’inverosimile e l’impressione di essere un morto che cammina cominciò a ripassare gli esercizi per la voce.
Pure Tom e i due G accantonarono le risate per ripassare velocemente la loro parte nel più completo silenzio.


Lie. Milano.
Rimasi a fissare lo schermo della televisione. Erano tutti quattro fradici come pulcini.
I capelli del frontmen si erano bagnati tutti e gli coprivano il volto.
Gli si intravedeva un occhio puntato davanti di se con un’espressione del tipo “Visto ciò che so fare? Io NON sono una mezza calzetta e te l’ho dimostrato!”
Mi sfuggì un sorriso di ammirazione. Aveva stupito ancora, il porcospino dello spettacolo. Sapeva far parlare di se.
Ritornai in me. Spensi il televisore. Esitai, quando stavo per mettere sul comodino il telecomando e rividi l’i-pod di Bill. Scambiai gli oggetti e mi ficcai gli auricolari nelle orecchie.
Andai alla ricerca di qualcosa da ascoltare, solo che istintivamente mi ritrovai nella cartella delle canzoni dei Tokio Hotel. Cosa poteva succedere se le avessi riascoltate?
Niente. Diedi l’avvio e mi ritrovai ad ascoltare per un’altra volta quelle canzoni.
Le canzoni dei quattro tedeschi. Non m’importava cosa avrebbero detto tutti. Alcune mi piacevano e le riascoltavo volentieri. Riascoltai anche Gegen meinen Willen e non riuscii a trattenere le lacrime. Era più forte di me.  
Come l'altra volta tenni per ultima An deiner Seite e con l'ultimo verso della canzone che mi frullava nel cervello, mi addormentai, stringendo il cuscino come se fosse l'unico mio appiglio per non cadere in baratro vuoto.



   
 
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