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Autore: JulesBerry    18/02/2016    1 recensioni
Seguito di "I have finally realised I need your love".
[Prevista revisione - e anche piuttosto urgente, Santo Merlino - dei capitoli già pubblicati.]
- Dal capitolo 26 -
«Ci sono sempre stati troppi cocci di me, sul pavimento. Potresti farti del male tentando di raccoglierli e rimetterli insieme» sfilò la mano dalla presa di Fred, percependola più allentata, e si alzò sotto il suo sguardo attonito. «Non sentirti in colpa se non ce la fai più. Non sentirti in colpa se decidi di aprire quella porta. Fosse possibile, sarei la prima a varcarne la soglia per allontanarmi un po’ da me.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 27




Essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti;
amare profondamente ci rende coraggiosi (I)

 
 

Every breaking wave on the shore
Tells the next one there’ll be one more
And every gambler knows that to lose
Is what you’re really there for
 


«Ah, la cara Hogwarts! Un po’ mi mancava, devo ammetterlo.»
La Stanza delle Necessità continuava a riempirsi di gente: membri dell’Ordine o dell’Esercito di Silente che fossero, ognuno di loro era pronto a dare il proprio contributo e a combattere fino alla fine.
Harry, accompagnato da Luna alla Torre di Corvonero, si era allontanato solo un paio di minuti prima, ma durante quel brevissimo lasso di tempo il passaggio segreto che conduceva al Castello dalla Testa di Porco non aveva avuto tregua.
Si avvertiva la tensione in tutte quelle espressioni febbricitanti, ma anche una scalpitante e profonda determinazione; la stessa di chi ha appena acquisito la consapevolezza di trovarsi di fronte a un punto di svolta, e che sarà dunque necessario impiegare tutte le proprie forze per determinare quell’attesa deviazione nella direzione di quel nefasto corso degli eventi.

Margaret fece vagare velocemente lo sguardo sulle pareti circostanti, che recavano appesi gli arazzi delle Case degli occupanti, prima di tornare a guardare Fred e sorridergli.
Annuì, riassaporando vecchi ma non troppo lontani ricordi di appassionate grattate di capo e di baci rubati dietro le aule, accompagnati da quelle immancabili occhiate complici che solo loro sarebbero stati in grado di interpretare. «Già. È stata una bella annata, quella.»
«Umbridge a parte. Vecchia rospa maledetta» aggiunse George, accogliendo i consensi del fratello e dell’amica. Quest’ultima, in particolar modo, parve rifletterci per qualche breve istante e poi ridacchiò tra sé, scuotendo la testa.
«Non si può certo dire, però, che le abbiate reso piacevole la permanenza» osservò, gustandosi i sorrisini diabolici che immediatamente dopo si erano dispiegati sui loro volti.
«Uno dei nostri lavori migliori» commentò Fred con una certa aria cospiratoria che, tuttavia, non celava quanto fosse fiero di quelle che lui stesso aveva più volte definito “eroiche gesta”.
«Hai ragione, Meg: una grande, grandissima annata» aggiunse l’altro, sognante.

Abigail – che fino a quel momento era rimasta in silenzio, guardandosi attorno con attenzione alla ricerca di qualche faccia conosciuta – li scrutò con un pizzico di divertimento ad accenderle gli occhi grigi. «Avrebbero dovuto inventare una quinta Casa solo per voi due e chiamarla... be’, non lo so, ma comunque con un nome contenente il termine “teppisti”.»
«Che dolcezza, ha provato a fare una battuta!» disse Fred in un finto tono intenerito, strizzando una guancia alla ragazza – che, ovviamente, aveva appena sollevato gli occhi al soffitto. «Un tentativo miseramente fallito, cara.»
«Immagino tu sia stata Smistata in una qualche casa infernale, blondie» infierì George, sorridendole furbescamente, ma lei non gliela diede vinta e ricambiò quello sguardo, ignorando la risata sommessa della cugina.
«Spiacente, ma non attacca. Noi eravamo Smistati secondo la logica dei Quattro Elementi. Io ero una Strega d’Acqua» spiegò con orgoglio, mentre con la mente ripercorreva con un po’ di nostalgia gli anni della scuola, quando un tema di Pozioni non ultimato era il più grosso dei suoi problemi.
Margaret, d’altra parte, parve illuminarsi. «Io di Fuoco. Anche in Spagna funzionava allo stesso modo.»
«Sempre detto che siamo una coppia vincente» annuì Abigail con convinzione, battendole il cinque.
Fred, piuttosto, lanciò un’occhiata intenditrice al fratello, che non esitò a ricambiarla. «E pericolosa, soprattutto.»
«Già, dovrebbero andare in giro legate.»
«Siete simpatici, sapete?» mormorò Margaret, sarcastica, facendo svettare le sopracciglia verso l’alto. L’altra le diede manforte.
«Tanto simpatici che imparerei a giocare a Quidditch solo per il gusto di lanciarvi qualche Bolide addosso.»
«Non dire queste cose davanti a tua nonna, potrebbero farle venire qualche strana idea» George tentò di sviare il discorso, notando con la coda dell’occhio che Vittoria gli stava passando a fianco proprio in quell’istante.
Questa, sentendosi chiamare in causa, si fermò e si voltò a guardare l’allegro quartetto con curiosità. «Prego, George?»
«Ti vedo straordinariamente agguerrita, questa sera.»
«Sì» rimuginò Fred, sorridendole. «Ti abbiamo sentita dire qualcosa di interessante sul voler trovare Bellatrix Lestrange per “chiarire delle importanti questioni di famiglia”.»
«Ce l’ha ancora per la storia dell’Arazzo dei Black» commentarono Meg e Abigail all’unisono, con un tono che dava l’impressione di essere una via di mezzo tra il divertito e il rassegnato.
La nonna, punta sul vivo, si erse in tutta la sua altezza e li guardò uno a uno con una dignità e una fierezza tali da poter intimidire chiunque le si fosse trovato sotto tiro in quel momento. «Vittoria Astrea Mills in Wilson non si sottometterà mai alle ingiustizie!» disse con animo, pochi secondi prima di dare le spalle al gruppetto per andare a risvegliare Andrew Thompson da quell’imbarazzante stato di morte cerebrale che l’improvvisa visione di Savannah Pedersen gli aveva indotto.

Abigail, indecisa se mostrare più interesse per l’ammirevole forza di sua nonna o per il modo in cui suo fratello si stava ridicolizzando con quella faccia da pesce lesso – che mai, avrebbe potuto giurarlo, gli aveva visto addosso, così come mai si sarebbe aspettata di notare uno strano rossore sulle gote della sua vecchia compagna di stanza a Belfast – finì con l’optare per la prima.
«Perfetto: se la prende, la nonna le fa il culo.»
«Me lo auguro, o sarà la cara Bellatrix a fare il culo a noi. Non vede l’ora di metterci le mani addosso, ci scommetterei la casa» osservò Meg, che iniziò ad avvertire un certo disagio: era come se qualcuno la stesse fissando.
Abigail annuì, grave in volto, e si lasciò posare un bacio tra i capelli da George, che doveva aver percepito la sua nascente agitazione. «Il “cuginicidio” va di moda, ultimamente.»
La maggiore delle due, però, non fece caso a ciò che l’altra aveva appena detto: quella sgradevole sensazione che qualcuno la stesse osservando non era certamente sparita, e non di meno l’aveva portata a volgere lo sguardo attorno a sé alla ricerca di un paio di occhi sfacciatamente puntati addosso. Tuttavia, per poco non spalancò la bocca quando si accorse che quella radiografia da capo a piedi proveniva da un ragazzo dai capelli color castano chiaro e dall’indescrivibile bellezza, e soprattutto che no, non era destinata a lei, ma alla sua cara e altrettanto ignara cugina.
Margaret non aveva idea di chi fosse, ma non si meravigliò quando lui – sicuramente accortosi di non essere riuscito a passare inosservato – distolse lo sguardo con un velo di imbarazzo a dipingergli il viso per tornare a rivolgersi a un’incantevole donna dai chiarissimi capelli biondi.
Mentre uno strano sospetto iniziava a bombardarle quel cervello sempre al lavoro, Meg s’impostò addosso una finta ma più che convincente maschera di perplessità e guardò i gemelli, che – incuriositi da quell’espressione – smisero all’istante di scambiarsi una delle loro solite ed esilaranti sfilze di battute per dedicarle la giusta attenzione.
«Credo che vostra madre voglia parlare con voi due. Preparatevi, non mi pare di buon umore» li avvertì, avendo notato – in effetti – una Molly Weasley piuttosto interdetta e grave in volto aggirarsi a una decina di metri da loro, apparentemente indecisa se andare a prendere lei stessa i suoi figli per le orecchie o se aspettare che fossero loro ad accorgersi spontaneamente delle sue occhiate di fuoco.
George intercettò l’espressione omicida della madre e deglutì lentamente, facendo un impercettibile passo indietro. «Di qualunque cosa si tratti, io stavolta non c’entro niente.»
Fred annuì, ma neanche una frazione di secondo dopo sgranò gli occhi, come ricordatosi di un particolare che aveva completamente rimosso dalla memoria. «E se avesse saputo di quando...» lasciò cadere la frase, mentre il fratello lo scrutava con un certo terrore in viso.
«Impossibile» bisbigliò, probabilmente nel tentativo di convincere più se stesso che qualcun altro.
Margaret assottigliò lo sguardo, sospettosa. «Di che cosa state parlando, voi due
«È troppo lunga da spiegare.»
«Ci conviene verificare, Fred» disse George, per nulla entusiasta, reprimendo poi un lamento alla vista del colorito sempre più rossastro della madre.

Abigail li osservò allontanarsi mestamente nella direzione della signora Weasley e sospirò con divertimento, chiedendosi cosa avessero potuto combinare di tanto eclatante. «Prima o poi ce la dovranno raccon-» si interruppe, perplessa, una volta che ebbe notato l’espressione di netto rimprovero che la cugina le stava riservando. «Perché mi guardi in questo modo inquietante?»
«Chi è?» le domandò quella in un sussurro minaccioso, avvicinandosi maggiormente. Lei, però, non parve capire a cosa si riferisse.
«Di chi parli?»
«Di quel bel bocconcino che ha trascorso la maggior parte del suo tempo in questa stanza fissandoti» bisbigliò ancora Meg, giusto prima di puntarle un dito contro, a pochi centimetri dagli occhi. «Ricorda che il tuo ragazzo è il mio migliore amico da quando avevo due giorni di vita, per cui non credere che io sia disposta a farti da complice. Chi è?»
«Ma cosa stai blaterando?» fece Abigail, stizzita, spostandole quella mano sempre più vicina al suo naso con uno schiaffetto. «Voglio proprio vedere di chi...» si bloccò, stupita, non appena i suoi occhi – seguendo lo sguardo di Margaret – ebbero incontrato la fonte di quell’assurda e insensata discussione. «Oh. Lui
Meg inarcò le sopracciglia, non contenta di quell’improvvisa scarsa loquacità. «E allora?»
«Erik Pedersen» comunicò la più giovane, poco prima che l’appena menzionato voltasse il capo per guardarla e le rivolgesse un sorriso smagliante, salutandola con un cenno; lei ricambiò il saluto e riuscì a nascondere l’imbarazzo in un’espressione gentile, mentre la cugina spostava ripetutamente lo sguardo dall’uno all’altra per non perdersi assolutamente nulla di quello scambio.
Quando quest’ultima tornò a rivolgersi ad Abigail, sul suo volto era stampata un’aria di pura sorpresa. «Scherzi? È proprio Mister Veela Pedersen
«Con tutti i suoi muscoli.»
«Bellissimi anche quelli, tra l’altro» mormorò Margaret, osservando l’oggetto del suo interesse come avrebbe fatto un Magizoologo che si fosse imbattuto in una qualche strana specie animale mai studiata prima.
La bionda sorrise di sottecchi, avendo notato il suo tono velatamente sognante. «Hai una fede all’anulare sinistro, ti dice o ricorda nulla?» commentò, colpendole scherzosamente il braccio con il gomito, attenta a non dare troppo nell’occhio.
Meg trasalì e abbandonò in un solo istante lo stato di trance in cui era caduta, ma non riuscì a impedirsi di arrossire. «Stavo solo rendendo giustizia a tanta bellezza ammirandola» si discolpò, riacquisendo sicurezza, sotto le occhiate divertite della cugina. «Guardare è naturale. Se fosse una forma di tradimento, giuro che non saresti in grado di distinguermi da un povero alce» aggiunse, allora, corrugando la fronte.
Abigail non poté più trattenersi e scoppiò a ridere, immaginando la sua interlocutrice assumere le sembianze di un cervide, ma al tempo stesso rifletté che questa non aveva poi tutti i torti: lei stessa, diverso tempo addietro, aveva notato come Fred avesse la pericolosissima abitudine di inseguire con lo sguardo qualsiasi fondoschiena o scollatura degni di nota in un’area di circa centocinquanta metri, presumibilmente perdendo qualsivoglia forma di comunicazione con quella che avrebbe dovuto essere la materia grigia rimastagli; si era più volte chiesta, incredula, come facesse a essere ancora vivo, dati i risaputi – quanto a dir poco temuti – livelli di gelosia che Margaret era in grado di raggiungere compiendo il minimo sforzo e ottenendo il massimo risultato nella scala della distruzione.      

Quest’ultima, avendo intuito i suoi pensieri, fece per aggiungere dell’altro, ma un braccio improvvisamente passato attorno alle sue spalle le impedì di continuare con quello che – c’era da giurarci – si sarebbe rivelato uno sproloquio infinito.
«Miei dolci amori, credo sia arrivato il momento di chiudere quelle bocche spalancate e di ricomporvi. Neanche il cane dei miei genitori sbava in maniera tanto indecorosa!» le stuzzicò Dorian, scrutandole con un sorriso allegro e canzonatorio a incurvargli le labbra.
Meg arrossì di nuovo – solo più violentemente di prima – e gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. «I tuoi genitori non hanno un cane.»
Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza e le arruffò i capelli. «Dettagli irrilevanti, il concetto non cambia» disse pigramente, per poi voltarsi a guardare Abigail con una strana espressione complice. «Credo ti interesserà sapere che ho appena intravisto la cara Virginia Anderson.»
«Dorian!» sbottò Margaret, colpendolo al braccio con uno schiaffone. «Per l’amor di Merlino, ti sembra il caso?» lo rimproverò, occhi sbarrati e voce in un sussurro isterico, quasi non riuscendo a credere che l’avesse fatto per davvero.
Si era accorta della presenza della Anderson molto prima che suo cugino – sfacciato come suo solito – glielo venisse a dire, ma al contempo aveva preso la saggia decisione di lasciar correre e di rimandare qualsiasi confronto più o meno civile a tempi migliori: mai si sarebbe sognata di attaccare briga in una circostanza come quella, così come mai le sarebbe passata per l’anticamera del cervello l’idea di aizzare Abigail contro un nemico tanto insignificante e per nulla meritevole della loro attenzione e della loro preziosa energia.
L’altra, però, non era certo d’accordo, come dimostravano piuttosto eloquentemente il suo sguardo sprezzante e il colorito lievemente violaceo che aveva già preso possesso delle sue guance: nonostante lavorasse come lei al San Mungo, infatti, non vedeva Virginia da quello sconveniente scambio di battute che aveva rischiato di far cadere Villa Orchidea nel vortice della sua furia vendicatrice, circa un mese prima; Abigail aveva il concreto sospetto che quella “lurida vipera” – come tanto amorevolmente aveva preso l’abitudine di chiamarla – avesse fatto tutto il possibile per cambiare i propri turni, in modo tale che questi non combaciassero con i suoi.

«Spero non le dispiaccia se vado a salutarla» disse a denti stretti, allora, facendo scrocchiare minacciosamente le nocche e mordendosi il labbro inferiore.
Meg carpì le sue intenzioni e scosse la testa, affatto entusiasta. «Non puoi farlo. Non davanti a tutta questa gente» osservò, nella speranza di infonderle anche solo un briciolo di razionalità, ma la diretta interessata le indirizzò un sorrisino diabolico e le fece l’occhiolino, pregustando il meraviglioso sapore che unicamente da una bella dose di rabbia appena sfogata sarebbe potuto derivare.
«Watch me» fece quindi in un bisbiglio, voltando le spalle a Margaret e Dorian – che, manco a dirlo, si stava godendo la scena con un luccichio negli occhi – per incamminarsi dritta verso la parte opposta della stanza, dove un’ignara Virginia Anderson era intenta a chiacchierare amabilmente con quelle che dovevano essere delle vecchie amiche – che, forse superfluo specificarlo, avrebbero fatto una fine molto infelice se avessero provato a mettersi in mezzo.
Senza sprecare più tempo del necessario, Abigail coprì la distanza che la separava dal suo obiettivo con brevi e rapide falcate e poi, una volta giunta a destinazione, poggiò con irruenza una mano sulla spalla della giovane, costringendola in tal modo ad abbandonare quella conversazione che tanto pareva interessarla.
Quando Virginia si rese conto di chi aveva di fronte, per poco non perse l’uso della parola e la capacità di impedire ai suoi occhi di fare un salto fuori dalle orbite.
«Thompson» esalò soltanto, con ogni probabilità troppo intimidita da quella vicinanza per articolare qualcosa di più sensato. D’altra parte, il coraggio non era mai stato il suo punto forte.
«Ti comprerei una dignità, ma butteresti nel cesso anche quella» soffiò Abigail, sputando tutto il suo disgusto in ogni suono da lei emesso e facendosi seguire da un bel sentito cazzotto sferrato contro il naso della Anderson, che perse l’equilibrio e cadde addosso al gruppo di spiazzate amiche dietro di lei. «Tieni lontane le tue sudice mani dal mio ragazzo, viscida stronza
Abigail stava per avventarsi per la seconda volta contro Virginia – cui doveva aver rotto il setto nasale, considerati i fiotti di sangue che da esso fuoriuscivano –, quando Meg riuscì ad afferrarla e a immobilizzarla, dando vita a una lotta senza tregua con la cugina.
«Abigail Darleen Thompson, non qui
«Questo era solo un assaggio di ciò che posso fare al tuo bel faccino, Anderson

«George, tesoro» Molly Weasley chiamò suo figlio, sfiorandogli il braccio, mentre i suoi occhi sgranati indugiavano su quella figura bionda che, a qualche metro di distanza, ancora si massaggiava la mano chiusa a pugno e si dimenava tra le braccia di Margaret, che tentava per come poteva di impedirle di tornare all’attacco.
George, rapito da quella visione celestiale, si costrinse a prestare attenzione alla madre, che d’improvviso prese a fissarlo con apprensione. «Dimmi pure, mamma.»
«Quella ragazza che ha appena picchiato la figlia degli Anderson è Abigail, la cugina di Maggie?»
«In uno dei suoi momenti migliori,
«E, fammi capire, siamo sicuri che sia la tua... la tua fidanzata?» domandò la donna, che non sapeva se ritenersi felice che anche l’altro suo figlio scapestrato avesse trovato una ragazza presumibilmente capace di rimetterlo in riga qualora si fosse reso necessario, o se mostrarsi in ansia per il suo stato di salute. D’altronde, ci teneva che il suo bambino rimanesse tutto intero – orecchio a parte, si intende.
Lui, però, le passò un braccio attorno alle spalle e sospirò teatralmente. «Adorabile, eh
 

***
 


Every sailor knows that the sea is a friend made enemy
And every shipwrecked soul knows what it is
To live without intimacy
I thought I heard the captain’s voice
But it’s hard to listen while you preach
Like every broken wave on the shore, this is as far as I could reach

 
Quanto può essere rumoroso, un battito di cuore?
Margaret non riusciva a domandarsi altro, mentre nuovi brividi dettati dalla tensione le percorrevano la schiena pressata contro la parete; sarebbe stato molto più semplice se avesse potuto diventare un tutt’uno con essa, rifletté piegando il capo all’indietro e chiudendo per un breve istante gli occhi.
Da quanto andava avanti la Battaglia? Quanti Mangiamorte era riuscita a seminare, e quanti ne aveva combattuti?
Non ne aveva idea. Dal momento in cui lei e Fred si erano separati, colpevole una stupida distrazione, aveva perso la cognizione del tempo, incapace di pensare ad altro che non fosse lottare con ogni sua forza per salvarsi la pelle.
Cercò di domare quel respiro affannoso che non le dava tregua e che rischiava di tradirla, stringendo le mani a pugno con insistenza per infondersi quel po’ di coraggio in più che le serviva e che era certa sarebbe bastato per andare avanti. Non c’era posto per gli attacchi di panico o per le insicurezze, e lo sapeva; non c’era spazio per quelle paure che l’avevano tenuta sveglia tante, troppe notti, a interrogarsi su quale sarebbe stato il loro destino e a chiedersi se ci sarebbe stata una nuova aurora, mentre le sue dita si perdevano a sfiorare distrattamente i capelli di quella figura tanto familiare che le dormiva a fianco e che aveva sempre rappresentato il suo più grande spiraglio di luce negli istanti di profonda oscurità.
Ma stavolta era da sola, e si faceva sempre più buio. Non c’era nessuno, lì con lei, pronto ad afferrarla per mano con un pizzico di incoscienza per affrontare quell’incubo insieme, di petto, fingendo di non avere timore di chi si trovava dall’altro lato di quella barricata. Non volutamente abbandonata a se stessa, la speranza di poter sopravvivere si affievoliva via via che la stanchezza si accumulava, ma il suo cuore e la sua testa le urlavano fino a sgolarsi che per nessuna ragione al mondo avrebbe dovuto mollare: c’era un’infinità di cose per cui valeva la pena di resistere.

«Perché non vieni fuori, piccoletta? Ti piace farti aspettare?» una voce fredda, tanto sadica da far accapponare la pelle, la fece sussultare; emise un inevitabile ma impercettibile verso strozzato, serrando con maggiore convinzione le dita impolverate attorno alla sua bacchetta di cedro.
Per un folle, assurdo istante, quella circostanza le fece ricordare di quando aveva quattro anni e giocava a nascondino con suo zio Nicholas, che non mancava mai di mostrare tutto il suo stupore nel constatare in quali luoghi impensabili tendesse a rifugiarsi la sua nipotina iperattiva.
Ma, ovviamente, non poteva essere la stessa cosa; in quel corridoio, oltre quel muro, non avrebbe incontrato il sorriso radioso di una persona che la amava, ma quello gelido e privo di calore di qualcuno che desiderava porre fine ai suoi giorni tra atroci dolori e sofferenze.

Nonostante questa terribile consapevolezza, decise di uscire allo scoperto e di continuare a lottare: l’alternativa sarebbe stata lasciare che fosse proprio il nemico a trovarla, e lei non poteva permettere che ciò accadesse; l’orgoglio era ciò che di più pressante aveva sempre avuto, e l’orgoglio era ciò che avrebbe difeso fino al suo ultimo respiro.
Le gambe si mossero da sole, inconsapevoli, dopo che la schiena fu riuscita a scollarsi dalla parete e da quel senso di protezione che da essa, in minima parte, era riuscita a trarre; abbandonò quel porto che sicuro sarebbe rimasto ancora per molto poco e manifestò la sua presenza a quella minacciosa figura maschile incappucciata e stagliata in fondo al corridoio.
Questa la squadrò da capo a piedi e scosse la testa con disappunto. «Troppi Purosangue che non sanno da che parte devono stare.»
Meg soffiò via una ciocca di capelli cadutale sul viso e guardò il suo avversario con fare sprezzante. «Io sto esattamente dalla parte per la quale vale la pena di lottare.»
Il primo tentativo d’attacco arrivò senza che lei potesse prevederlo, improvviso, ma la sua agilità le consentì di schivarlo prima che potesse colpirla. Ne giunsero ben presto degli altri, ma nessuno di essi fu abbastanza forte da rompere le sue allenate difese.

Ricordava i pomeriggi dell’estate dei suoi diciassette anni, poco prima del suo ritorno in Inghilterra, quando – nel giardino della loro villetta nel quartiere magico di Madrid – i suoi genitori facevano a turno per duellare con lei, ritenendo che fosse necessario aiutarla a perfezionare la tecnica e renderla capace di difendersi da sola. I primi tempi non riusciva a star loro dietro: erano troppo abili, troppo esperti, e soprattutto per nulla disposti a concederle vantaggi che non fossero meritati; ciò che era nato come qualcosa di potenzialmente divertente si era rivelato, in realtà, un vero e proprio addestramento finalizzato a prepararla in vista di una guerra che mai come in quei momenti era parsa così vicina.
Al contempo, se sua madre era più propensa ad allentare la presa e a riconoscerle – premiandolo – anche il più piccolo dei miglioramenti, il vero osso duro difficile da convincere era Desmond: non passava giorno senza che lui le ripetesse che avrebbe dovuto fare di meglio per stupirlo, accompagnandosi con un largo sorriso sornione che sperava la irritasse così tanto da spingerla a dare sempre qualcosina di più rispetto alla volta precedente; in quelle settimane, Margaret viveva sognando il giorno in cui avrebbe dato prova a suo padre di aver commesso un errore madornale nel sottovalutarla.
E il giorno arrivò, non molto tempo dopo, e la vendetta – come lei, da quell’istante in poi, l’aveva scherzosamente definita – fu dolcissima.

Era l’ultima domenica di un afoso mese di luglio, e incredibilmente Desmond Stevens non riusciva a reggere i ritmi di sua figlia come avrebbe voluto e dovuto; Gloria, innegabilmente compiaciuta della determinazione dell’allora unigenita, si godeva la scena comodamente distesa sulla sua amaca, sorseggiando dell’Acquaviola.  
«Sbaglio, o stai arrancando?» l’aveva stuzzicato Margaret, scagliandogli addosso un Levicorpus che lui era riuscito a schivare per un pelo.
«Ti piacerebbe!» aveva ribattuto, rispondendo con un Protego a un mirabile Incantesimo della Pastoia della ragazza. «Coraggio! Mostrami cosa sai fare, mostrami di che pasta sei fatta!»
Lei non se l’era fatto ripetere due volte e, seduta stante, l’aveva disarmato; se ciò non fosse bastato, Desmond aveva avuto giusto il tempo di osservare con sgomento la propria bacchetta schizzare dalla parte opposta del giardino che Meg aveva pensato di completare l’opera con uno Schiantesimo a dir poco degno di nota, tanto potente che l’uomo si era ritrovato gettato via di una decina di metri, dritto in piscina.
Era riemerso qualche secondo dopo, sorridendo con divertimento di fronte allo sguardo sconvolto di sua moglie e a quello preoccupato della figlia, che per un insano momento aveva temuto di aver decretato la morte per annegamento di suo padre.
«Tutto bene, papà?» gli aveva chiesto, incerta, mordicchiandosi il labbro con fare colpevole.
Lui si era portato indietro i capelli bagnati e aveva ammiccato con complicità nella sua direzione. «È stato un ottimo colpo, piccola» aveva ammesso, un po’ prima di incupirsi e puntarle un dito contro. «Ma prova a farlo di nuovo e ti becchi una settimana di punizione!»


E alla fine, quei pomeriggi passati a sudare avevano dato i loro primi frutti nelle circostante più opportune, e l’avevano resa più sicura di sé e più fiduciosa nelle sue potenzialità.
Prese ad attaccare, aggressiva, ma quell’ignoto Mangiamorte sembrava determinato almeno quanto lei a non concedere terreno: era riuscito a neutralizzare ogni sua fattura, rispondendo con tentate maledizioni dalle quali Margaret non si sarebbe mai sognata di doversi difendere, mentre il ritmo di quello scambio si faceva più intenso e soprattutto imprevedibile.

E fu proprio lì che qualcosa andò storto.

L’uomo fece un movimento azzardato e il cappuccio gli cadde dalla testa, rendendo più visibile il suo volto dai lineamenti rozzi e disarmonici; Meg non riconobbe chi fosse, ma quell’infinitesimale attimo di esitazione fu sufficiente perché un nuovo getto di luce la colpisse e la scagliasse contro la parete.
L’impatto fu duro, ma di poco conto se paragonato al dolore lancinante che s’impadronì di lei quando, ricadendo sul pavimento, la sua gamba sinistra fece una brutta flessione e su di essa andò a gravare tutto il suo peso. Spinta da un istinto di sopravvivenza, e lottando per impedire alla sua vista di annebbiarsi, prese a tastare con disperazione il marmo circostante alla ricerca della sua fedele bacchetta, ma questa giaceva ormai inerme a diversi metri di distanza; provò allora a rimettersi in piedi, ma l’acuirsi di quel dolore alla gamba le suggerì che questa doveva essersi fratturata, e che non c’era nulla che potesse fare.

“È finita”, fu l’unica cosa che fu capace di pensare quando, sulla sua schiena, avvertì la pressione di quello che doveva essere il piede del nemico, che in tal modo le mozzò il respiro.
 

Are we so helpless against the tide?


- Angolo dell’autrice

Ehm.
*timido colpo di tosse*
Salve.
*si guarda attorno con fare fortemente imbarazzato*
Vengo in pace.
*indietreggia con cautela*
Non uccidetemi, vi scongiuro.
*corre a ripararsi dal lancio di pomodori*

PERDONATEMI, VI PREGO.
Per il ritardo indecente, in primis, ma soprattutto per aver troncato in questo modo – ammetto imperdonabile – il capitolo. Anche perché non so proprio quando arriverà il seguito.
*scappa via urlando inseguita da lettori inferociti armati di forconi roventi*
Non è un capriccio, ve lo giuro: fosse per me, pubblicherei la seconda parte domani. Il fatto è che non è neanche ultimata, quindi non c’è proprio niente da pubblicare. C’è un punto morto nella narrazione e non riesco a sbloccarmi, ho davvero bisogno di un po’ d’ispirazione e non so dove trovarla. Questa sessione d’esami è stata la più dura e intensa che io abbia affrontato finora, spero che recuperare le forze mi aiuti a far partorire qualcosa al mio cervello esausto. Il secondo anno di Università è IL MALE.

Ma non perdiamo tempo e passiamo al capitolo in questione. Due parti caratterizzate da due stati d’animo completamente opposti. Un po’, effettivamente, stridono, ma mi piaceva l’idea e quindi ho voluto azzardare questo tentativo. Che ve ne pare?

Confesso, mentre scrivo queste note a fine capitolo la mia testa è totalmente sconnessa dal resto del corpo, ho circa duecento ore di sonno da recuperare e i dolori cervicali mi stanno uccidendo lentamente (20 anni are the new 80), motivo per cui sarò molto più sintetica delle volte precedenti (non sentitevi in colpa ad esultare). Lascio tutti i commenti del caso a voi, per stimolarvi vi regalo un Erik Pedersen/Paul Wesley selvatico da compagnia. :D

Anyway, mi sento terribilmente in colpa lasciandovi così, con una Margaret in pericolo e nessun indizio su cosa le accadrà. Vi anticipo già da adesso che il prossimo capitolo non sarà proprio quello che definirei una botta di vita, anzi; se siete particolarmente sensibili vi consiglio di tenere qualche fazzolettino a portata di mano, non è detto che ce ne sia bisogno ma non si sa mai.
Mi sembra giusto, però, dirvi che qualcuno ci lascerà – potrebbe essere chiunque, sia chiaro, non date nulla per scontato e prendete in considerazione qualsiasi ipotesi –, ve lo anticipo perché mi sembra giusto che vi prepariate psicologicamente.
In realtà sono solo una stronza sadica che si diverte a lasciarvi sulle spine.
No, sto scherzando, facendovi questo mi sto un po’ accoltellando al cuore.

Ora, ringrazio di cuore, come sempre, perché per stare ancora dietro alle mie follie dopo quasi QUATTRO ANNI dovete volermi davvero bene o dovete essere dei masochisti:

7_always_7Angel_MaryAnnA Black, aurora weasleyAzar, Beatris Humble, bridilepo, brunettes, Catebaggins, Daniela_97, Deader, Delta_MiDoraBaggins, Emmy29, eott56, EzraScarlet, Fanny_Weasley, FedeSerecanie, Fenicestrega31367, FranChan, hufflerin, huntingwithwolves, JeckyCobainjuly95, KariWhite, Krista Kane, ladyw, maryanne armstrong, Meissa AntaresMichela_WonSikOrma_, pintoisreal, Quella che ama i BeatlesSabry_Ace_Will_Never_Die, Secretly_SSoleil Jonestenna96valepassion95, Vivi_AB, WikiJoe, Zvyagintsevaely, _LenadAvena_, _Sherry_, __Lunatica , che seguono la storia;

And RiddleCalypso_EmmaDiggory15,  feathersx, FedeSerecanie, Fenicestrega31367GoodbyeStregatto, JeckyCobain, Jilliana, lililisa_jb69, lolcioppiLollie, Martillaaa, MaryWeasley,  max85, Meissa AntaresMoon95orange_weasleysara9703, soxsmile, Spark_, sweet years_giuly_, Trillian_97, Vivi_AB, Welcome to the darkside, Zarael,  _Lola_Uzumaki_, che hanno inserito la storia tra le preferite;

 7_always_7, Azazel_Frederique Blackhuntingwithwolves, IpseDixit, Leeyum_isMyBatman, maryanne armstrongmax85MelodySong99Orma_, che l’hanno inserita tra le ricordate;

Meissa Antares e huntingwithwolves, che hanno recensito il capitolo precedente. ♥

Il titolo è una citazione che personalmente adoro e si ritiene sia di Lao Tzu, la canzone è la meravigliosa Every Breaking Wave (♥) degli U2.
E proprio a proposito della canzone, ho chiuso il capitolo con una semplicissima e a mio avviso bellissima domanda ricorrente nei lyrics: Are we so helpless against the tide? Siamo così indifesi contro la marea?
Mi è parso il modo migliore per aprire la strada a quella che sarà la seconda e ultima parte di questo capitolo, che mi auguro di pubblicare il prima possibile. Giuro che ce la metterò tutta, non mi mancava molto – a parte l’ispirazione e la voglia di vivere in un mondo in cui esistono gli esami universitari, si intende.

Detto ciò, io e la mia cervicale maledetta e infame vi mandiamo l’abbraccio più caloroso e straripante di amore che possiate immaginare. Spero, in qualche modo, di essermi fatta perdonare.
Per qualsiasi suggerimento, critica, osservazione e così via, sapete cosa fare. ♥

Con affetto,
Jules.♥


- Dal prossimo capitolo:

“Tutto passa, Maggie. Il dolore passa, e bisogna imparare a combatterlo”, sembrava dirle la voce di sua nonna Julia, con quella frase che – ripescata da un lontano cassetto della memoria – aveva preso a rimbombarle nella testa. “Perché, tesoro mio? Semplicemente perché ci sono dei momenti in cui non possiamo permetterci di provarne”.   
   
 
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