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Autore: PandorasBox    19/02/2016    1 recensioni
«Dieci vite fa» esordisce, riaprendo gli occhi, guardando Piper che sembra come pietrificata «Dieci vite fa ero una persona totalmente diversa. Dieci vite fa non mi avresti voluto avere come amico né come cuoco personale: continuavo a bruciare cose.»
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frank Zhang, Hazel Levesque, Leo Valdez, Piper McLean
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I'm never changing who I am

 
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Gli sguardi che Piper gli lancia – e gliene lancia tanti, seminascosta in quell’angolino accanto alla libreria- sono come secchiate d’acqua gelida e lo mettono a disagio, più a disagio di quanto si sia sentito negli ultimi duemila ventotto anni e ammette di non esserci abituato. Non è più abituato a tantissime cose, a dir la verità, ma sono dettagli che afferri solo quando ci passi.

Perché continua a non ricordare poi così tanto però, nella nebbia dalla sua memoria, qualcosa inizia ad uscire ed ora ricorda, ad esempio, che i suoi anni sono duemila ventotto ─e sono davvero tanti, non lo immaginava. 
Non ricorda molte altre cose –ad esempio non ricorda dove e come ha conosciuto Piper e gli dispiace, gli dispiace davvero, e neanche ricorda dove ha lasciato la ricetta che si è fatto fare da quell’oculista sul pianeta di vetro, ne ha bisogno- ma inizia a migliorare ed è già tanto e vorrebbe che anche quella ragazza che viaggia con lui si rendesse conto della cosa.
Probabilmente se ne renderebbe conto se solo non fingesse di non vederlo come sta facendo. Ma lei non si fida e non ha intenzione di fidarsi, può leggerlo chiaramente in quegli occhi che continuano a cercare di dargli fuoco, e lui non sa come fare: l’ha vista odiarlo quando ha cominciato a lavorare attorno alla plancia di comando e quando si è cambiato d’abito (perché, sul serio, quelli che aveva prima facevano troppo steampunk anche per lui, e poi gli andavano stretti) e sono settantadue ore che non gli rivolge parola. Settantadue ore e quattordici minuti, in realtà.
Tutto quel che ha da lei sono solo sguardi d’odio e di rimprovero ogni volta che sbaglia una coordinata ma, insomma, deve ancora capire cosa gli sia passato per la testa quando ha deciso che un macinino da caffè fosse un buon volante, non è colpa sua, è colpa di chi c’era prima! Deve rimediare, deve ricordarsi di farlo, odia come, insieme ad una nuova faccia, la rigenerazione gli abbia regalato anche una fantastica memoria fallata.
«La rigenerazione è una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita!» gli aveva detto una volta una sua vecchia compagna di viaggio, scherzando e rimanendo molto offesa dal fatto che non avesse colto quel riferimento che tutt’ora non coglie. È stato un tipo da citazioni solo nella sua ultima rigenerazione, che può farci?
Però effettivamente la rigenerazione è una scatola di cioccolatini e lui non si sarebbe mai aspettato l’aspetto che alla fine ha avuto: non si trova bene con quei venti centimetri d’altezza in più che rendono difficile prendere le misure e muoversi come si deve in quella che era la sua casa. Ad ogni calcio ad una porta o testata contro un tubo, vede gli occhi di Piper saettare verso di lui illuminati dalla luce più ostile che conosce: non è più il suo amico, piccolo e con la pelle abbronzata, non ci sono più i suoi ricci scuri e il sorriso sghembo ma lui vorrebbe urlargli che è la stessa persona, dentro.

La stessa acqua in una bottiglia diversa, aveva detto lui stesso qualche rigenerazione prima.

Però Piper non lo capisce e non vuole capirlo e lui non vuole urlarlo perché non crede di essere una persona che urla, questa volta.

È per evitare quegli sguardi, quelle parole appena accennate, i sospiri ed i silenzi lunghi giorni, che si era quindi messo il cuore in pace e l’aveva lasciata, come promesso e stranamente arrivandoci al primo colpo, davanti alla porta di casa sua esattamente due ore prima della cena di natale a cui stava andando quando si erano conosciuti.
Perché ora se lo ricorda, dopotutto la confusione da rigenerazione non dura più di una settimana, ma non c’è verso che Piper lo stia a sentire o avrebbe capito che ormai lui ricorda e che può, volendo, tornare il suo amico. Con una faccia diversa, ovviamente, ma sempre il suo amico!
Due amici al prezzo di uno non è male, in realtà.

Quando lei apre la porta di F.E.S.T.U.S. e scende con il suo zaino in spalla, però, lo fa senza salutare o guardarsi indietro. 
La porta sbatte e, dopo più di duemila anni, si rende conto che non è decisamente fatto per stare solo.





Ricompare nella sua vita il giorno in cui decide che dell’università non vuole più saperne ed è quasi sicura che suo padre non starà a sentire le sue rimostranze e sua madre assumerà quell’espressione (appena accennata, per non rischiare che le vengano le rughe) piena di disapprovazione. In poche parole è quasi sicura –un buon 97% ma solo perché la sua è una di quelle famiglie anticonvenzionali che non si sa mai- che riuscirà a deludere di nuovo i suoi genitori e si chiede quanto ci voglia a conquistare la medaglia come peggior figlia della galassia ─ ma non dell’Universo perché c’è quella principessa di quell’asteroide non ricorda dove che sa essere una figlia, se possibile, anche peggiore di lei.

Ma come può voler continuare a studiare quando ha visto una stella nascere ed ha visitato il pianeta Atlantis XV –dove l’acqua non ti bagna e puoi sguazzarci per ore- e quello in cui i fiori sono fatti di gemme ma li puoi mangiare quando hai voglia di fare uno spuntino?
Come può voler studiare quando ha vissuto un concerto dei Beatles, ha conosciuto re Artù e Cristoforo Colombo ed hai scoperto che gli alieni verdi sono rarissimi perché, di solito, gli extraterrestri hanno il colorito pallidiccio di qualcuno con l’influenza?

Ricompare nella sua vita con due caffè in mano ed una scatola di brownies «Sono quelli di Nuova Nuova Roma, dicono siano i migliori per fare pace…se ti piacciono ci torniamo perché hanno anche altra roba e...» mormora, sgocciolando acqua sul pavimento e, Piper se lo sente, probabilmente ha di nuovo usato l’uscita che dà sulla piscina prima che F.E.S.T.U.S. si fermasse del tutto e ci era finito dentro tutto vestito.

Ricompare nella sua vita con i capelli più corti dell’ultima volta che l’ha visto e con un paio di occhiali che gli danno ancor di più l’aspetto di un professore impacciato e, no, quello che ha davanti non è assolutamente il Dottore. Il suo Dottore sembrava uno strano folletto uscito da una qualche spaventosa favola tedesca, con un sorriso sghembo e il bavero della camicia bruciacchiato, lui no. Lui e la sua camicia stirata, lui e i suoi pantaloni scuri, lui e le sue scarpe da ginnastica, lui e il cacciavite che spunta dal taschino come a chiunque altro spunterebbe il tappo di una penna, lui non è il suo Dottore ma è comunque il Dottore e comincia a capirlo.
Perché comincia a vedere una luce conosciuta in quegli occhi blu – blu come F.E.S.T.U.S. e spera sia solo un caso, sarebbe una cosa veramente stupida- ed anche il modo in cui si passa una mano tra i capelli, imbarazzato, lo conosce e lo riconosce. 
Poi lo vede frugare nella tasca della giacca che indossa (e non credeva che il viola potesse donare tanto ad un uomo ma si sbagliava, evidentemente, regalerà qualcosa di viola a suo padre) e gli lascia solo una bustina blu e la scatolina con i brownies, i caffè si stanno già raffreddando sulla sua scrivania e «L’ho scritta per te quando ancora mi riconoscevi. Prendile come istruzioni.» le dice solo il Dottore accennando alla bustina, prima di rientrare nella cabina e lasciarla lì, da sola, con una lettera da leggere e dei dolci da mangiare.






La porta si apre quando ormai non ci sperava più, quando la sua pallina era stata lanciata e ripresa più di settecento volte, il libro che aveva tentato di leggere era stato abbandonato a pagina venti ed i suo cervello cominciava a lanciargli messaggi contrastanti. Se avere due cuori, poi, significa amare il doppio, questo significa anche avere una doppia tachicardia e scopre che la cosa non gli piace poi troppo.

Piper non proferisce parola e, semplicemente, si siede accanto a lui allungando la scatola dei dolci perché possa prenderne uno –e può quasi giurare che a questo nuovo corpo i dolci piacciano parecchio- e il silenzio c’è ancora, solo il rumore di F.E.S.T.U.S. che sbuffa a far da sottofondo.
«Mi piacerebbe fare un giro con te prima di dire ai miei che lascio l’università.» gli dice Piper, dando più attenzione al brownie che sta mangiando che a lui che gli siede accanto, ed è costretto ad annuire.
«Dovremmo comprare un regalo a tua madre, sai, per rabbonirla.» dice, ed è il turno di Piper annuire.
«Qualche amuleto Cherokee per papà, anche.»
«Poi torneresti a casa, giusto?»
Piper sospira, facendo dondolare le gambe che penzolano dal soppalco su cui sono seduti «Magari prendendo la strada più lunga.» azzarda, spostando per la prima volta lo sguardo su di lui.
Ed al Dottore tocca sorridere, a quelle sue parole, a quello sguardo (Piper lo riconosce, finalmente!), e qualcosa gli dice che gli abbracci gli piacciono perché sente il pressante bisogno di regalarne uno a Piper.
«Si torna solo per la strada più lunga. Ho sempre voluto vedere i giardini pensili di Babilonia ma accetto consigli ed itinerari!»
   
 
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