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Autore: _exodus    22/02/2016    1 recensioni
| Inazuma Eleven | Nessuna coppia | Angst; Malinconico | !Violenza! | Partecipante al contest "I non-toni dell'Amore" indetto dagli Shiri Sixteen |
Ormai Kyosuke era abituato a serate del genere, ogni sera il gruppo di amici si ritrovava in quel vagone e ognuno faceva sempre le medesime azioni, come se fosse stato un rituale sacro, il loro. Quello che facevano poteva essere benissimo accomunato ad un rituale devoto all’alcol. Ogni volta bevevano fino ad ubriacarsi. Bevevano per dimenticare, dicevano. Per dimenticarsi del tempo che continuava a scorrere senza sosta, delle loro vite senza senso e prive di utilità, perché secondo la società loro erano solo teppisti che si ubriacavano, imbrattavano muri con orrendi graffiti e prendevano decisioni affrettate senza mai riflettere. Tsurugi odiava quelli che giudicavano, quelli che si fermavano alle apparenze, per questo permetteva a quell'alchimia perversa di sapori e sensazioni di scorrere con il suo sapore forte, amaro e dolce allo stesso tempo, nella sua gola bruciante, per poi abbandonarsi al destino.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kirino Ranmaru, Matatagi Hayato, Matsukaze Tenma
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Itentativi dei ragazzi di salvare Hayato erano stati tutti privi di utilità, la vita del ragazzo era scivolata via, lenta e straziante, come le lacrime salate che scorrevano silenziose lungo le guance, facendole bruciare.
Il più scosso di tutti, probabilmente era Tenma, per diversi giorni non toccò cibo, solo alcune volte Takuto riuscì a convincerlo a mangiare qualcosa che non era mai al di fuori di un paio di bocconi di pane. Ciò che Tenma ingeriva in maggiori quantità erano gli alcolici, ne beveva ogni sera sempre di più.
Il castano condivideva un piccolo appartamento che dall’esterno risultava più che altro ad una catapecchia, ma l’interno era piuttosto accogliente. Quella sera era steso sul letto, intento a fissare il soffitto sul quale Ranmaru aveva dipinto tempo fa una perfetta rappresentazione del Sistema Solare, lo sguardo perso tra le nebulose e le comete, mentre la sua mente, a differenza dei suoi occhi grigiastri, era persa in un immenso buco nero eterno. In quel momento sentì dei pugni possenti battere sul legno della porta, producendo delle vibrazioni all’interno di quest’ultimo; poco dopo la familiare chioma ondulata di Takuto fece capolino da un piccolo spiraglio che si era creato aprendo la porta, facendo però filtrare anche la luce proveniente dall’altra stanza e facendo inevitabilmente strizzare gli occhi a Tenma, abituati alla flebile luce proveniente dalla piccola finestra, sulla parete destra.
« Tenma, oggi ci vediamo alla ferrovia, vieni con noi? »
Il castano voltò il capo verso destra, per fissare il cielo tinto di ogni sfumatura di rosso, fino all’arancione. Ormai odiava quel colore con tutto il suo cuore che, da quel giorno marchiato a fuoco nei pensieri del giovane, era diventato freddo come i ghiacci più eterni. Si era spento come una candela fa quando tutta la cera è colata via, sciogliendosi sul suolo, Tenma si era lentamente spento, e con lui tutta la sua vitalità.
« No, resto a casa. »
Rispose atono, senza degnare il coinquilino di uno sguardo. L’orecchio non posato sul cuscino poté udire un sospiro e la porta chiudersi lentamente, poi sentì il rumore metallico di un paio di chiavi, si era fato più distante e ancor più lo era il cigolio della porta d’ingresso che si chiudeva.
Il tempo passò velocemente, silenzioso, impercettibile per Tenma che quando voltò il capo verso la piccola sveglia elettronica notò che si erano fatte le dieci, il sole era scomparso del tutto portandosi con sé il cielo rossastro che ora era coperto da un blu intenso che oscurava le vie che, nonostante l’orario di punta, non erano affollate in quella zona, conosciuta per essere uno dei luoghi più malfamati dell’intera cittadina; solo la luce di una luna tradita dalle stelle che, quella sera erano, sparite rischiarava di poco i vicoli, aiutata dalla luce dei pochi lampioni posizionati sui marciapiedi.
C’era un fatto di cui Takuto e nemmeno il resto della compagnia era a conoscenza: Tenma era diventato solito a vagare per le vie abbandonate della citta, cullato dal vento pungente che gli scompigliava i capelli castani. Un giorno aveva conosciuto un gruppo di ragazzi, dei piccoli teppisti che se ne approfittavano dei più deboli che non avevano mai il coraggio di denunciarli alla polizia, intimoriti dalla loro aria poco rassicurante. In ogni caso, anche se avessero denunciato molestie e ricatti da parte di quei ragazzi la giustizia non si sarebbe mai intromessa perché tutti quei ragazzi erano figli di facoltosi avvocati o di membri delle forze dell’ordine. Ormai si sapeva, la giustizia non era mai giustizia.
Si alzò pigramente dal letto ad una piazza, facendo increspare le lenzuola bianche sotto al suo peso, indossò un giaccone nero e si diresse in soggiorno, dove le luci erano spente. Camminò cautamente fino all’interruttore della luce, situato a pochi metri dalla porta della propria camera e dovette  strizzare un paio di volte gli occhi grigiastri per permettere a questi di abituarsi alla luce fin troppo forte per i suoi gusti.
Cercò le chiavi di scorta che Shindou lasciava sempre in una scatola in alluminio dove una volta vi erano i suoi biscotti preferiti, una volta trovata la chiave giusta la infilò nella toppa e dopo tre mandate la porta si aprì emettendo il solito scricchiolio che a volte era per lo più paragonabile ad un flebile lamento.
Quando superò la soglia il suo viso venne investito dall’aria gelida che gli fece percorrere un brivido lungo tutta la spina dorsale, tirò il cappuccio sulla testa cercando di proteggersi il più possibile dal freddo e dopo essersi stretto nella giacca tirò dritto per la sua meta.
Quella sera Tenma era diretto in un locale delle città dove, si sapeva, giravano alcolici che venivano serviti anche a minorenni e droghe di ogni genere, da alcuni giorni erano diventati i luoghi più frequentati dal castano.
Si sapeva anche che nemmeno il tragitto verso quei locali era sicuro, per quelle vie giravano ragazzi che avevano il solo intento di approfittarsi di ragazze, ragazzi e persino anziani, non solo per prendere dei soldi, la stragrande parte delle volte lo facevano solo per divertimento, picchiando, pestando e minacciando, anche gli stupri in quelle strade erano all’ordine del giorno. Era come era ovvio che andasse in una nazione, se non in un mondo, dove sono sempre e solo i più forti e potenti a comandare e a non venire mai fermati dallo Stato per il semplice motivo che il mondo giri attorno a soldi e dove governano persone disposte a mettere persino a repentaglio e rendere impossibile la vita di altre persone pur di arricchirsi. Matatagi lo aveva sempre detto a Tenma, persone come loro avrebbero meritato di bruciare nel fuoco eterno dell’Inferno, spingendo macigni fino alla fine dei tempi.
In quel momento il castano stava camminando con lo sguardo fisso sull’asfalto tempestato da buche, perso in un buco nero di pensieri. Non si accorse di due ragazzi che camminavano nella direzione opposta alla sua e ci finì inevitabilmente addosso, urtando con le spalle prima uno, poi l’altro. Dovevano essere più grandi di lui solo di alcuni anni, se non essere suoi coetanei.
Uno di questi, il più alto e possente lo afferrò per la spalla, facendolo voltare e sbattere contro il muro in mattoni rivestito da graffiti che Tenma non si perse a guardare, troppo impegnato a fissare terrorizzato il ragazzo che si trovava davanti e che lo teneva stretto per la gola, osservandolo con fare superiore. Presto anche l’altro li raggiunse scrocchiandosi le dita.
« Come hai osato venirci addosso? »
Urlò quello che lo teneva pressato contro il muro, con sguardo assassino, i piccoli capillari del bulbo oculare che sembravano minacciare di scoppiare.
« I-io... »
Le parole gli rimasero bloccate in gola.
« Sarà il solito frocietto indifeso che va in qualche locale gay… »
Disse l’altro sprezzante.
« Lascialo stare, non avrà niente. »
Avevano ragione, l’unica cosa che era rimasta a Tenma era la dignità, ma i due ragazzi gli tolsero anche quella quando iniziarono a colpirlo ripetutamente, prima nello stomaco e sulle costole, facendogli emettere gemiti disumani, disperati, strozzati dal dolore accecante. Poi, insoddisfatti, iniziarono anche a lasciare segni violacei sulla pelle morbida del castano, sporcandola anche del sangue che aveva iniziato a scendere dal naso dopo un colpo ben assestato sul setto nasale che, probabilmente, si era anche rotto. I pugni che un  Tenma indifeso incassava erano sempre più potenti e dolorosi. Quando ormai tutto il corpo del ragazzo dai capelli grigiastri era stato colpito i due pestatori se ne andarono, lasciando Tenma accasciato sul freddo asfalto. Iniziò a singhiozzare, calde lacrime corsero veloci lungo le sue guance, cadendo poi sull’asfalto. Era un pianto silenzioso, il suo.
Passarono minuti, se non ore, prima che il castano, rassegnato, decidesse di rincasare, per lo meno di provarci. Riuscì a rialzarsi solamente dopo diversi tentativi falliti, le gambe tremavano per il freddo e la paura, erano instabili. Iniziò a camminare con passi strascicati, la testa gli pulsava dolorante, ma si sforzò di arrivare per lo meno alle strisce pedonali che iniziò ad attraversare.
Mancava poco per arrivare all’altro lato della strada, ma in quel momento un furgone nero passò oltre le strisce pedonali, ignorando il ragazzo che era in mezzo alla strada e investendolo in pieno.
Tenma cadde per terra per la seconda volta, l’unica cosa che i suoi occhi riuscirono a scorgere fu la targa di un furgone nero che proseguiva, andando per la sua strada come se nulla fosse.
 
« 49-49* »
 
Recitava la targa.
Poi i suoi occhi si fecero più pesanti e non si aprirono più, il corpo del ragazzo giaceva in mezzo alla strada, tutte le auto schivavano il corpo privo di vita del ragazzo dai capelli castani colorati di rosso dal sangue vermiglio ormai freddo che formava una pozza proprio sotto la sua testa. Freddo come i cuori delle persone.
 
 
Parole: 1.497
 
 

* In Giappone è possibile scegliere il numero da mettere sulla propria targa e ogni combinazione ha un significato, in questo caso “49-49” sta per “Morire soffrendo”
   
 
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